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Riforma della giustizia penale e prescrizione: un nodo posto dalla cosiddetta spazzacorrotti al quale occorre rimediare

Legge spazzacorrotti
Legge spazzacorrotti

Abstract

Il tema della modifica delle norme strutturali che regolano il sistema giudiziario italiano è da anni sentita come una priorità da chiunque abbia avuto l’occasione di approcciarsi, anche in maniera occasionale, ad un Palazzo di Giustizia. Ed infatti, sia nell’ambito civile che in quello penale, i problemi sono numerosi e – nella maggior parte dei casi – i medesimi: i tempi dei processi, la carenza del personale, la mancanza di strumenti idonei ed all’avanguardia e la commistione della politica nelle scelte dell’organo di autogoverno della magistratura, solo per dirne alcuni. Tuttavia, occorre assolutamente rilevare – vista la delicatezza dell’argomento - che una riforma in tal senso dovrà necessariamente tener conto di tutti i fattori di criticità ed allarme ed approntare degli strumenti correttivi adatti che possano migliorare veramente il sistema, in un’ottica di lungo termine. Un esempio – negativo – in tal senso è rinvenibile in alcune parti della Legge n. 3 del 2019.

 

Premesse

Sembrerebbe che finalmente qualcosa si muova in ordine alla tanto attesa riforma della Giustizia: infatti, parrebbe che il Governo Conte bis si sia determinato nell’approvare in tempi brevi, addirittura entro fine anno, un’organica riforma della normativa.

È, tuttavia, preliminarmente opportuno rilevare come una riforma in tal senso dovrà necessariamente essere strutturata in maniera organica e sistematica, tenendo conto di tutti i settori e in un’ottica di lungo periodo.

In particolare, la nuova normativa non potrà – a parere di chi scrive – non tenere in debito conto l’utilizzo degli strumenti preventivi nel settore penale: la lotta ai fenomeni criminali deve necessariamente essere anticipata al terreno – per l’appunto – della prevenzione. L’illecito sarà, in questa maniera, fermato in una fase embrionale della sua realizzazione senza il bisogno di arrivare ad un processo penale.

In questo senso, pare opportuno consigliare la possibilità – ad esempio – di inserire nella riforma organica della giustizia anche l’obbligatorietà dell’adozione del Modello Organizzativo Gestionale, così come ipotizzata dal Disegno di Legge n. 726.

Con una soluzione del genere, come detto, si eviterebbe di pervenire ad un processo penale proprio perché l’eventuale illecito verrebbe fermato attraverso l’applicazione di una delle procedure adottate.

Un esempio di provvedimento che presenta una serie di preoccupanti elementi di allarme e lacune è rinvenibile nella cosiddetta Legge Spazzacorrotti, che, certamente da un lato ha il pregio di aver innalzato le pene per i corruttori, senza tuttavia, dall’altro lato, risolvere nulla sul lungo periodo, anzi.

Come vedremo, infatti, la Legge n. 3 del 2019 si è premurata solamente di agire dal punto di vista della repressione senza prevedere alcuna misura preventiva.

Ad ogni modo, un dato è certo: la riforma non è più rimandabile. L’esigenza è sentita non solo dai professionisti di settore che si devono confrontare con mezzi assolutamente antiquati ma anche dai cittadini che, coinvolti in un procedimento civile o penale, si devono confrontare con carenza del personale e con rilevanti ritardi.

 

La riforma della prescrizione

Il punto maggiormente criticato ed inadatto della Legge Spazzacorrotti è senza dubbio quello concernente la sospensione della prescrizione: in particolare, l’articolo 1, lett. d), e), f) sancisce – inspiegabilmente – che il corso della prescrizione rimanga sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado (non solo di condanna ma addirittura di assoluzione) o del decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.

Questa recentissima novità introdotta dalla Legge n. 3/2019 in materia di prescrizione del reato e la sua possibile ripercussione sulla sorte del processo penale impone un’attenta ed accurata analisi delle disposizioni interessate.

È evidente, infatti, come una soluzione del genere – che dovrebbe dispiegare i propri effetti dal gennaio 2020 ma che si spera venga auspicabilmente modificata entro la scadenza – sia assolutamente inadeguata ed inadatta a diminuire i tempi dei processi e, anzi, pregiudichi irrimediabilmente la posizione giuridica della persona sottoposta a processo penale.

Non è, in altre parole, colpendo un istituto quale la prescrizione, prerogativa necessaria all’interno di uno Stato democratico e di diritto, che va trovata la soluzione in relazione ai tempi della Giustizia.

Peraltro, in che modo un’impostazione del genere ridurrebbe la durata dei processi?

Entrando nel merito delle norme, occorre osservare come la portata rivoluzionaria della riforma abbia oltretutto permesso, per un verso, di reintrodurre la regola soppressa dalla ex legge Cirielli, secondo cui, considerando unitariamente il reato continuato, il termine di decorrenza della prescrizione del reato (cosiddetta dies a quo) decorre non già dal momento in cui è stato commesso ciascuno dei reati avvinti dalla continuazione, bensì dal momento in cui è cessata la continuazione

per altro verso, poi, la nuova formulazione dell’articolo 159, comma 2, Codice Penale consentirà di anticipare – per la prima volta – il decorso del termine della prescrizione (cosiddetta dies ad quem) destinato, come detto, a rimanere irrimediabilmente sospeso a seguito della pronuncia di primo grado (sia essa di condanna o di assoluzione) o dall’emissione del decreto penale di condanna, sino all’esecutività di detti provvedimenti, ora individuando, ora fissando, una nuova regola, un nuovo termine finale al decorso della prescrizione.

La disposizione in esame costituisce sicuramente una norma tanto innovativa quanto censurabile, la cui ratio principale è quella di tentare di potenziare l’attività di prevenzione, accertamento e repressione dei reati contro la pubblica amministrazione, limitandone l’estinzione per intervenuta prescrizione. Tuttavia, come detto non è questa a strada da intraprendere per curare i mali che attanagliano il processo penale.

Peraltro, intervenendo sul testo della norma, il Legislatore ha impropriamente paragonato – a parole – la nuova disciplina ad un’ipotesi del tutto nuova di “sospensione” del corso della prescrizione del reato.

Come già rilevato dai primi commentatori, tuttavia, non si tratta propriamente né di un’ipotesi di sospensione del corso della prescrizione, né tanto meno di un’ipotesi di interruzione della stessa: sia nell’uno che nell’altro caso, infatti, il corso della prescrizione è destinato a riprendere. Qua il termine finisce.

Ancora, l’inadeguata collocazione della nuova disciplina nell’articolo 159 Codice Penale – che avrebbe potuto trovare adeguata sede nell’articolo 158 Codice Penale rubricato: “Decorrenza del termine della prescrizione” – vuole sottolineare la sostituzione della riforma Orlando, che ha introdotto nella disposizione preindicata «due eventuali e successivi periodi di sospensione del corso della prescrizione, dopo la condanna in primo e/o in secondo grado, ciascuno per un tempo non superiore a un anno e sei mesi, dipendenti dall’esito di condanna del giudizio», facendo così dipendere il tempo necessario a prescrivere il reato dall’esito del processo, tenendo conto della gravità del reato e dalla complessità del procedimento.

La riforma spazza-prescrizione propone una soluzione decisamente più radicale che comporterà il “blocco” del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado o il decreto penale di condanna, indipendente dall’esito (di condanna o di assoluzione), determinando l’impossibilità, per la prescrizione, di maturare nei successivi gradi di giudizio.

L’equiparazione delle due tipologie di sentenza non fa altro che rimarcare l’assolutamente irragionevole portata della norma nei confronti dell’imputato che, assolto all’esito del giudizio di primo grado, si troverà “ostaggio” in un giudizio di appello o di cassazione, per un periodo di tempo indefinito, nella eventualità in cui il P.M. interponga appello avverso la sentenza assolutoria, con conseguente sospensione (rectius, blocco) del decorso del termine di prescrizione del reato.

In tale ottica, l’operatività della riforma in parola finirà per frustare la domanda giudiziaria e per incrementare il numero dei processi in corso, aggravando l’incessante lavoro delle corti e discostandosi dal primario obiettivo cui tende: potenziare l’attività di prevenzione e repressione dei reati corruttivi riducendo, al contempo, il numero dei reati caduti in prescrizione.

Va da sé che un simile scenario, caratterizzato da un percorso complesso, costellato da innumerevoli critiche, pone il problema della possibile violazione dei principi costituzionali, primo fra tutti quello della ragionevole durata del processo (articolo 111, comma 2, Costituzione e articolo 6 CEDU), seguito dal diritto di difesa (articolo 24 Costituzione), della presunzione di innocenza (articolo 27, comma 2, Costituzione), della finalità rieducativa della pena (articolo 27, comma 3, Costituzione).

A ben vedere, la sospensione del corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado comporterà un’interminabile dilatazione delle tempistiche del procedimento penale nel quale risulterà «impossibile raccogliere prove a discarico o esercitare attività istruttoria anche mediante rinnovazione in appello controinterrogando i testimoni a distanza di un così considerevole lasso di tempo».

Il principio del contraddittorio nella formazione della prova – garanzia di un confronto dialettico tra accusa e difesa nel processo penale – perderà qualsiasi rilevanza costituzionale, divenendo un principio evanescente, privo di significato, che impedirà il raggiungimento di una decisione giusta e aderente ai fatti, rispettosa dei diritti e delle garanzie dell’imputato, così sancendo il ritorno al processo inquisitorio e alla prevalenza dell’atto scritto e del documento sull’assunzione orale della prove nonché della sua formazione in contradditorio .

Detto altrimenti, protraendo ab eterno la sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, non solo verrà meno la possibilità di poter ricostruire ed esaminare i fatti di reato contestati in un’ottica difensiva, ma anche l’esercizio efficace ed incisivo delle prerogative difensive che il dettato normativo di cui all’articolo 24, comma 2, Costituzione assume come inviolabile.

I processi potranno durare all’infinito: in definitiva, fine processo, mai.