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Accertamento di compatibilità paesaggistica: applicabile il silenzio assenso al parere della soprintendenza. Il Consiglio di Stato benedice il difficile connubio tra 17-bis (l. 241/90) e 167 (d.lgs. 42/04)

Nota a margine della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093
il dono del giorno
Ph. Ermes Galli / il dono del giorno

Accertamento di compatibilità paesaggistica: applicabile il silenzio assenso al parere della soprintendenza. Il Consiglio di Stato benedice il difficile connubio tra 17-bis (l. 241/90) e 167 (d.lgs. 42/04)

Nota a margine della sentenza del Consiglio di Stato, sez. VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093

 

Abstract [It]:

Il presente contributo si fa carico di approfondire gli effetti di una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093, secondo cui il principio del silenzio assenso introdotto dall’art. 17-bis della legge n. 241/90 si applica anche al parere della Soprintendenza previsto dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/04 nello speciale procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica, nel quale, tuttavia, non è richiesto al responsabile comunale di predisporre lo “schema di provvedimento finale” prima dell'inoltro della pratica alla Soprintendenza.

La sentenza, indubbiamente innovativa, finisce per privilegiare l'opzione interpretativa della massima estensione della sfera di operatività dell'art. 17-bis a tutti i procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata, compreso quello di accertamento di compatibilità paesaggistica, nel quale la Regione (o il Comune) non svolge il ruolo di semplice passacarte e la protezione del valore paesaggistico attribuisce alla Soprintendenza "doveri e responsabilità".

 

Abstract [En]:

This contribution aims to delve deeper into the effects of a recent ruling by the Council of State, Section. VII, of 2 February 2024, n. 1093, according to which the principle of silent consent (art. 17-bis of law no. 241/90) also applies to the opinion of the Superintendency provided for by art. 167 of Legislative Decree no. 42/04 in the particular procedure for assessing landscape compatibility, in which the municipal manager is not required to prepare the "final provision scheme" before forwarding the practice to the Superintendence.
The ruling, undoubtedly innovative, favors the interpretative option of the maximum extension of the sphere of operation of the art. 17-bis to all procedures characterized by a multi-structured decision-making phase, including assessing landscape compatibility, in which the Region (or the Municipality) does not play the role of simple paper-pusher and the protection of landscape value attributes "duties and responsibilities" to the Superintendence.

 

La sentenza del T.A.R. Molise che aveva definito negativamente il contenzioso in primo grado

In un mio precedente contributo[1] sul tema, avevo sollevato perplessità, dubbi e criticità su una sentenza del T.A.R. Molise, Sez. I, dell'8 maggio 2019, n. 179, in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica (di segno opposto rispetto ad altra pronuncia del T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, del 7 giugno 2019, n. 3099, oggetto del contributo stesso), con la quale era stato affermato il seguente principio.

 "Nel caso in cui sia stata presentata una richiesta di sanatoria, il superamento del termine di novanta giorni di cui all'art. 167, co. 5, del d.lgs. 42/04, previsto per la valutazione di compatibilità paesaggistica, comporta per l'interessato la possibilità di proporre ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione, ma non rende illegittimo il parere tardivo".

Tale principio non appariva convincente soprattutto perché ignorava il disposto dell'art. 17-bis della legge n. 241/90[2] (inserito dall'art. 3 della legge Madia n. 124/15 e modificato dal d.l. n. 76/20, convertito nella legge n. 120/20, applicabile "ratione temporis"), che attribuisce legittimità all'espressione della volontà procedimentale attraverso l'inerzia prolungata entro il termine assegnato, non essendo la motivazione esplicita più richiesta come elemento strutturale dell'atto e potendosi - anzi - ritenere la motivazione stessa, sul piano empirico, insita nell'adesione implicita allo schema di provvedimento formulato dall'amministrazione procedente.

 Né - del resto - poteva valere a supportare una diversa conclusione il richiamo operato dal T.A.R. alla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 6 febbraio 2019, n. 895, secondo cui:

- "qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni assegnato dall’art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, il potere dell’organo ministeriale continua a sussistere, ma l’interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo per contestare l’illegittimità dell’inerzia";

- "la perentorietà del termine riguarda, in altre parole, non la sussistenza del potere, ma l’obbligo di concludere la fase del procedimento, obbligo che, ove rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935; Consiglio di Stato, Sez. III, 26 aprile 2016, n. 1613; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 settembre 2013, n. 4656)";

- "l'art. 20 della legge n. 241 del 1990 esclude, peraltro, dall’ambito di applicazione del silenzio-assenso i procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico".

 Tale pur autorevole precedente, infatti, era riferito ad una vicenda che traeva origine da una istanza di compatibilità paesaggistica presentata dall’interessato in data 29 febbraio 2008, allorquando, cioè, la legge Madia, che ha introdotto il nuovo paradigma del 17 bis[3], applicabile anche agli atti di assenso di competenza delle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, era di là da venire.

Non mi ero sbagliato!

 

L'innovativa sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093, che ha accolto l'appello della parte privata

Con la sentenza che si annota, n. 1093 del 2 febbraio 2024[4], il Consiglio di Stato, Sezione VII, pronunciando sull’appello proposto dalla società interessata avverso la predetta decisione del T.A.R. Molise, ne ha, infatti, disposto l’integrale riforma, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Tale esito - beninteso - potrebbe essere confinato nell’alveo del fisiologico “dialogo” a distanza che in questi casi avviene tra giudice di primo grado e giudice di appello.

Così non è, tuttavia, risultando la sentenza di portata dirompente, come meglio si dirà in seguito.

Il caso, in verità, era anche abbastanza semplice, in quanto relativo alla realizzazione di una recinzione provvisoria, preordinata all’impianto di un vigneto, consistente nell’apposizione di una rete metallica sorretta da paletti conficcati nel terreno ad una profondità di 40-50 cm  (l'area risultava anche gravata da un vincolo archeologico che prevedeva la profondità massima di 70 cm) e all'avvenuto interramento, in prossimità degli accessi, di “piccoli cordoli con piattaforme a raso per la futura apposizione di cancelli, sempre nel rispetto del suddetto limite”.

 Senonché, malgrado i lavori fossero stati già interamente eseguiti, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise ne disponeva la sospensione, riservandosi l’adozione di futuri provvedimenti.

 Successivamente, anche il Comune, nel cui territorio era stato eseguito l'intervento, adottava analoga ordinanza interdittiva, avvertendo, comunque, che “per quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 167, commi 4 e 5, e 146 del D.Lgs. 42/2004 può essere presentata richiesta di rilascio di autorizzazione paesaggistica in sanatoria”.

In data 11 maggio 2017, la società interessata presentava una S.C.I.A. in sanatoria con richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/04, riferita, appunto, alle opere realizzate.

 In data 15 giugno 2017, la Regione Molise, quale autorità delegata, inoltrava alla Soprintendenza una nota corredata di parere favorevole, ritenendo, per quanto di competenza, "l’intervento compatibile paesaggisticamente ai sensi dell’art. 167 del D.lgs. 42/04 e ss. mm. ii.”.

 La medesima proposta di parere favorevole veniva inoltrata anche al Comune.

 Ciononostante, le Amministrazioni coinvolte rimanevano inerti, dando così origine al contenzioso.

Più nel dettaglio, va precisato che il contenzioso aveva inizio con la proposizione di un ricorso avverso il silenzio finalizzato alla declaratoria dell’obbligo delle Amministrazioni competenti di concludere il relativo procedimento mediante il rilascio del provvedimento formale richiesto, anche in virtù del silenzio assenso formatosi sul parere obbligatorio della Soprintendenza ai sensi dell’art. 17-bis della legge n. 241/90.

 Dopodiché, il giudizio veniva integrato con la proposizione, in tempi diversi, di motivi aggiunti, avendo le Amministrazioni adottato provvedimenti in corso di causa.

 In particolare, con i primi motivi aggiunti venivano impugnati il preavviso di parere negativo del 29 agosto 2017 e il definitivo parere negativo del 3 maggio 2018 della Soprintendenza, entrambi motivati col fatto che l’intervento realizzato ricadeva all'interno di un'area sottoposta a vincolo archeologico diretto.

Con i secondi motivi aggiunti, invece, veniva impugnata una nota del 16 novembre 2018, con la quale la Regione Molise, prendendo atto del parere negativo espresso dalla Soprintendenza, aveva rigettato anch’essa la richiesta di accertamento di compatibilità paesaggistica, in quanto la valutazione è stata espressa in riferimento ai valori paesaggistici e non esclusivamente a quelli della salvaguardia del bene archeologico, il quale risulterebbe non intaccato dalla recinzione”.

Avverso la sentenza del T.A.R. Molise la società interessata ha proposto appello al Consiglio di Stato, che, come già anticipato, lo ha accolto, affermando che sulla richiesta di parere obbligatorio formulata ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/04 dalla Regione alla Soprintendenza si era formato il silenzio assenso, dal momento che il definitivo parere sfavorevole era stato espresso in data 3 maggio 2018, ossia a distanza di quasi un anno dalla richiesta inoltrata dalla Regione stessa e, dunque, ben oltre il prescritto termine di 90 giorni, risultando, in definitiva, inutiliter datum.

Né, peraltro, poteva essere ritenuta idonea ad interrompere il suddetto termine la comunicazione del preavviso di parere negativo della Soprintendenza, sia perché inoltrata alla sola Regione Molise (e non anche alla società richiedente) sia perché "trattavasi di atto endo-procedimentale privo di una rilevanza volontaristica all’esterno e, pertanto, autonomamente e immediatamente impugnabile solo ove conosciuto dal destinatario e lesivo della sua posizione soggettiva".

Il Consiglio di Stato ha, quindi, concluso che, ai fini della riedizione del potere, la Regione Molise dovrà pronunciarsi sull’istanza di rilascio dell’accertamento di compatibilità paesaggistica presentata dalla società, prescindendo dal richiedere un ulteriore parere alla Soprintendenza, “dovendosi lo stesso ritenere già reso ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 5, D.lgs. n. 42/2004 e 17-bis della legge n. 241/90”.

Nel pervenire a tale importante approdo, che si segnala per una motivazione sintetica ma, al tempo stesso, "tranchant" e strettamente rispondente alle finalità per cui la normativa sopravvenuta è stata emanata (e per questo avulsa dalle criticità che la giurisprudenza precedente, fatta eccezione per una isolata pronuncia[5], aveva ravvisato nella peculiarità del procedimento, strutturalmente diverso da quello ordinario), il Consiglio di Stato ha ricordato che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 167, comma 5, prevede che:

 “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni. Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione. L'importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima. In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1. La domanda di accertamento della compatibilità paesaggistica presentata ai sensi dell'articolo 181, comma 1-quater, si intende presentata anche ai sensi e per gli effetti di cui al presente comma”.

Tale essendo la proposizione descrittiva e precettiva della norma, il Supremo Consesso non ha ravvisato ragioni per dubitare della applicabilità alla fattispecie della legge generale sul procedimento amministrativo n. 241/90, che ha disciplinato all’art. 17-bis gli effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici[6] .

 Del resto, l'esegesi che ne ha dato, in precedenza, lo stesso Consiglio di Stato, nell’esercizio della funzione consultiva (Adunanza della Commissione Speciale del 23 giugno 2016, parere n. 1640), è chiara e univoca nell'affermare che:

 "L'art. 17-bis riveste nei rapporti tra amministrazioni pubbliche una portata generale analoga a quella del nuovo articolo 21-nonies nei rapporti tra amministrazioni e privati".

Il Consiglio di Stato ritiene si possa parlare di un ‘nuovo paradigma’: in tutti i casi in cui il procedimento amministrativo è destinato a concludersi con una decisione ‘pluristrutturata’ (nel senso che la decisione finale da parte dell’Amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra Amministrazione), il silenzio dell’Amministrazione interpellata, che rimanga inerte non esternando alcuna volontà, non ha più l’effetto di precludere l’adozione del provvedimento finale ma è, al contrario, equiparato ope legis a un atto di assenso e consente all’Amministrazione procedente l’adozione del provvedimento conclusivo.

 La portata generale di tale nuovo paradigma fornisce una importante indicazione sul piano applicativo dell’art. 17-bis, poiché ne consente una interpretazione estensiva, quale che sia l’amministrazione coinvolta e quale che sia la natura del procedimento pluristrutturato (cfr. infra, i punti successivi)".

Lo stesso parere dà atto che il meccanismo del silenzio assenso orizzontale rinviene, sotto il profilo costituzionale, il proprio fondamento nel principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., letto ‘in un’ottica moderna’, che tenga conto anche dell’esigenza di assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico rispetto a qualsiasi forma di mero dirigismo burocratico.

Si è ritenuto, infatti, che, nella logica del ‘primato dei diritti’, i meccanismi di semplificazione dell’azione amministrativa non vanno visti come una forma di sacrificio dell’interesse pubblico ma, al contrario, come strumenti funzionali ad assicurare una cura efficace, tempestiva e pronta dello stesso, con il minore onere possibile per la collettività e per i singoli privati. Essi trovano, quindi, un fondamento nel principio del buon andamento dell’azione amministrativa che postula anche l’efficienza e la tempestività di quest'ultima. L’introduzione di rimedi di semplificazione dissuasivi e stigmatizzanti il silenzio contribuisce, in altri termini, a dare piena attuazione al principio di trasparenza dell’azione amministrativa: l’arresto del procedimento non può più avvenire con un comportamento per definizione “opaco”, qual è l’inerzia.

Inoltre:

"Nel tempo presente ... il sistema tende a favorire la liberalizzazione e la deregolamentazione delle attività private, accompagnate da una serie di normative tese allo snellimento dell'azione amministrativa semplificando anche i rapporti tra amministrazioni, come dimostra quanto statuito nell'art. 17 bis ...; nei casi in cui opera il silenzio assenso, l'interesse sensibile dovrà comunque essere oggetto di valutazione, comparazione e bilanciamento da parte dell'amministrazione procedente".

"Il silenzio assenso “orizzontale” previsto dall’art. 17-bis opera, nei rapporti tra Amministrazioni co-decidenti, quale che sia la natura del provvedimento finale che conclude il procedimento, non potendosi sotto tale profilo accogliere la tesi che, prospettando un parallelismo con l’ambito applicativo dell’art. 20 concernente il silenzio assenso nei rapporti tra privati, circoscrive l’operatività del nuovo istituto agli atti che appartengono alla categoria dell’autorizzazione, ovvero che rimuovono un limite all’esercizio di un preesistente diritto.

La nuova disposizione, al contrario, si applica a ogni procedimento (anche eventualmente a impulso d’ufficio) che preveda al suo interno una fase co-decisoria necessaria di competenza di altra amministrazione, senza che rilevi la natura del provvedimento finale nei rapporti verticali con il privato destinatario degli effetti dello stesso".

Le medesime conclusioni si impongono, a fortiori, in relazione all’art. 14-bis, della legge n. 241/90, così come modificato dal d.lgs. n. 127/16 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124), che presenta un analogo meccanismo semplificatorio[7].

Tale disposizione afferma (anche con riferimento alle amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale, in relazione alle quali si prevede solo un allungamento del termine per rendere il parere) il principio per cui si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso ai sensi del comma 3 la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza (“Fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi, la mancata comunicazione della determinazione entro il termine di cui al comma 2, lettera c), ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti previsti dal comma 3, equivalgono ad assenso senza condizioni”).

Non vi è dubbio che i principi sanciti "de iure condito" siano esportabili anche al procedimento di cui all'art. 167, trattandosi, al pari di quello disciplinato dall'art. 146, di un procedimento orizzontale pluristrutturato.

 

La sentenza del Consiglio di Stato, Sez.  IV, del 2 ottobre 2023, n. 8610, richiamata quale "precedente specifico e conforme"

Come chiarito dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la sentenza del 2 ottobre 2023, n. 8610[8], richiamata dalla sentenza annotata quale "precedente specifico e conforme", non può ritenersi in generale esistente un potere del giudice di decidere una controversia a lui sottoposta facendo diretta applicazione di un principio costituzionale anche quando non si sia in presenza di una lacuna (e cioè quando esista una normativa di legge applicabile al caso, a meno che questa normativa non sia formulata attraverso il ricorso ad un principio o a una clausola generale): il che trova spiegazione nella circostanza per cui, diversamente opinando, il “bilanciamento” (del principio) effettuato dal giudice (“pesando” il principio stesso con altri “principi” che con esso appaiono interferenti) finirebbe inevitabilmente per sovrapporsi a quello contenuto nella disposizione di legge (e operato dal legislatore).

Ciò vale anche nel caso in cui il giudice ravvisi nella norma di legge ordinaria un contrasto con un principio costituzionale. E non si tratta, come pure potrebbe apparire in via di prima approssimazione, di mettere in discussione il sistema gerarchico delle fonti del diritto, e quindi la “superiorità” del principio costituzionale rispetto alla “regola” ordinaria, ma di ribadire che la “prevalenza” del primo sulla seconda (ove sia stato accertato il contrasto) deve essere sancita da una pronuncia della Corte costituzionale che darà anche l’interpretazione qualificata del principio costituzionale e del “bilanciamento” cui esso deve essere sottoposto in confronto con altri principi.

I principi certamente operano come ratio interpretativa delle norme di rango inferiore: l'interpretazione costituzionalmente conforme (o adeguatrice) dev’essere sempre preferita, fino a quando non entri in conflitto insuperabile con il testo normativo.

Se questo conflitto si verifica, il giudice ha l'onere (ove ravvisi la persistenza del contrasto) di sollevare la questione di legittimità costituzionale.

In altre parole, fintantoché il giudice riesca ad argomentare che il “bilanciamento” di interessi da lui ritenuto “conforme a Costituzione” è realizzabile attraverso una o più regole che la disposizione di legge ordinaria consente di ricavare in via interpretativa, non si pone alcun problema.

Se, invece, questo non sia oggettivamente possibile, e dunque la norma ordinaria (secondo il significato che le si può attribuire all’esito del ricorso a tutti i criteri di interpretazione: letterale, storico, logico, teleologico, sistematico) si ponga in antitesi con il principio costituzionale (come interpretato dal giudice), il giudice stesso, che percepisca il contrasto, non ha altra strada che quella di sollevare - lo si ripete - la questione di legittimità costituzionale.

Il rischio, altrimenti ragionando, è quello di trasformare, secondo il Consiglio di Stato, un ordinamento "di diritto scritto", quale formalmente continua ad essere il nostro, in qualcosa di diverso, affiancando, senza che ciò trovi supporto in una modificazione formale del sistema delle fonti, al diritto "scritto" (basato sulla legge) un diritto di fonte "giurisprudenziale" (fondato sull'equità), considerato idoneo a derogare al primo ogni qualvolta le caratteristiche del caso concreto segnalino come "ingiusto" l'esito che in base ad esso dovrebbe essere sancito.

Tali considerazioni trovano, poi, pedissequo riscontro nella giurisprudenza delle Corti superiori interne e internazionali.

Nella medesima direzione è, in primo luogo, orientata la giurisprudenza costituzionale che ha individuato nell’univoco tenore letterale della norma un limite all’interpretazione costituzionalmente conforme (Cort. cost., 26 febbraio 2020, n. 32).

A non dissimili conclusioni giunge anche la Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale ha ricordato in proposito che, nell’applicare il diritto nazionale (in particolare le disposizioni di una normativa appositamente adottata al fine di attuare quanto prescritto da una direttiva), il giudice nazionale deve interpretare tale diritto per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva.

Tuttavia, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del suo diritto nazionale trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (Corte di giustizia, Grande Sezione, 15 aprile 2008,C-268/06,v. sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, nonché Adeneler e a., cit., punto 110; v. anche, per analogia, sentenza 16 giugno 2005, causa C-105/03, Pupino, Racc. pag. I-5285, punti 44 e 47).

Analoghe e, sotto certi profili ancora più stringenti considerazioni (in quanto relative anche alla interpretazione delle c.d. clausole generali), si rivengono nella più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la quale:

 “Anche quando non si trova al cospetto di un enunciato normativo concepito come regola a fattispecie, ma è investito del compito di concretizzare la portata di una clausola generale… il giudice non detta né introduce una nuova previsione normativa. La valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l'assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore.

La giurisprudenza non è fonte del diritto … Il giudice comune svolge un ruolo costituzionalmente diverso da quello del legislatore … è organo chiamato non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema.

Una pluralità di ragioni giustifica l'indicato approccio metodologico, fra cui il rispetto del pluralismo e dell'equilibrio tra i poteri, profilo centrale della democrazia, perché la ricerca dell'effettività deve seguire precise strade compatibili con il principio di leale collaborazione e con il dialogo istituzionale che la Corte costituzionale ha avviato con il legislatore…. Non c'è spazio, in altri termini, né per una penetrazione diretta - attraverso la ricerca di un bilanciamento diverso da quello già operato dal Giudice delle leggi - di quell'ambito di discrezionalità legislativa che la Corte costituzionale ha inteso far salvo, né per una messa in discussione del punto di equilibrio da essa indicato …

La riserva espressa della competenza del legislatore si riferisce, evidentemente, al piano della normazione primaria, al livello cioè delle fonti del diritto: come tale, essa non estromette il giudice comune, nel ruolo - costituzionalmente diverso da quello affidato al legislatore - di organo chiamato, non a produrre un quid novi sulla base di una libera scelta o a stabilire una disciplina di carattere generale, ma a individuare e dedurre la regola del caso singolo bisognoso di definizione dai testi normativi e dal sistema” (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, 30 dicembre 2022, n. 38162).

 Nel "precedente specifico e conforme" sopra menzionato, la vicenda scrutinata dal Consiglio di Stato aveva, per di più, ad oggetto l’edificazione di una residenza turistico-alberghiera nel Comune di Ascea, per la quale il proprietario del suolo aveva chiesto il rilascio sia del permesso di costruire, in conformità alle previsioni della vigente strumentazione urbanistica, che dell’autorizzazione paesaggistica.

Il Comune di Ascea, a seguito di tale richiesta, aveva indetto una conferenza di servizi decisoria in forma semplificata e con modalità asincrona, al fine di acquisire tutti i necessari atti di assenso, ivi compreso il parere della Soprintendenza, nonché il nulla osta dell’Ente Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni.

L’Ente Parco aveva rilasciato il proprio nulla osta ma la Soprintendenza, dopo aver chiesto integrazioni e chiarimenti, aveva espresso parere contrario.

Preso atto di tale parere, il Comune aveva rigettato la richiesta di autorizzazione paesaggistica, affermando che, pur essendo “l’intervento dal punto di vista urbanistico conforme al PRG e alle norme di attuazione attualmente vigenti e pertanto assentibile”, il dissenso espresso dalla amministrazione statale non era superabile.

Avverso tale decisione, l’interessato aveva proposto tempestivo ricorso al T.A.R. Salerno, il quale, resistendo in giudizio il Ministero della Cultura, lo aveva integralmente accolto, ritenendo, in sintesi, tardivo il parere contrario della Soprintendenza.

Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza del T.A.R., dopo aver premesso, fra l’altro, che:

1. “l’obiettivo della competitività del sistema paese richiede sia garantita la conclusione dei procedimenti avviati su istanza di parte in tempi certi e rapidi, e quindi la tempestività dell’azione amministrativa, poiché il fattore tempo è una variabile essenziale della programmazione finanziaria privata di cui è necessaria la ragionevole prevedibilità”;

2. “l’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili deve essere inteso, dopo i recenti interventi normativi, non più in modo astratto ed aprioristico come primazia in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali”.

Il Consiglio di Stato ha anche aggiunto che, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, la regola da applicare al caso concreto, l’interpretazione giudiziale deve farsi carico del significato corretto della disposizione nell’arco delle sole opzioni che il testo autorizza, eventualmente scrutando nelle sue eventuali zone d’ombra.

Il testo della legge, specie quando formulata mediante la c.d. tecnica per fattispecie analitica, fornisce la misura della discrezionalità giudiziaria; esso, come è stato autorevolmente osservato, rappresenta il punto fermo da cui occorre muovere nell’attività interpretativa e a cui, (all’esito del combinato ricorso a tutti gli altri canoni di interpretazione) è necessario ritornare.

Ne consegue che il testo della legge costituisce un limite insuperabile rispetto ad opzioni interpretative che ne disattendano ogni possibile risultato riconducibile al suo potenziale campo semantico (così come delimitato dalla disposizione), per giungere ad esiti con esso radicalmente incompatibili.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha affermato, con la sentenza in questione, che rappresenta un vero e proprio "leading case", i seguenti principi[9].

1. Nel caso delle autorizzazioni paesaggistiche, sia ordinarie che semplificate, che si inseriscono nel procedimento gestito dal Comune, il parere della Soprintendenza ha funzione di co-decisione (“il parere della Soprintendenza è espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico”).[10]

2. Anche a prescindere dal dato testuale dell’art. 11, comma 9, “a tali pareri si applicherebbe pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell’art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali, di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso[11].

3. Non può essere accolta la tesi contraria, secondo cui la tardiva adozione del parere in funzione co-decisoria comporterebbe solo una sua "dequotazione", perdendo l’efficacia vincolante, ma conservando la sua efficacia giuridica; tesi che deve ritenersi “definitivamente superata dalla modifica apportata all’art. 2 della legge n. 241 del 1990 dall’articolo 12, comma 1, lett. a), n. 2), del decreto-legge n. 76 del 2020, che ha introdotto il nuovo comma 8-bis, in base al quale “Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1 …, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14 ter, comma 7 … sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni (…); la locuzione utilizzata dal legislatore mira a chiarire definitivamente che l'organo che si pronuncia tardivamente ha perso il potere di decidere: dunque il suo atto, adottato in carenza di potere relativamente ad uno specifico progetto, è privo di effetti nell'ordinamento amministrativo”.

4. Pertanto, il parere negativo della Soprintendenza tardivo è inefficace ("tamquam non esset") e  “l’assenso sulla proposta di accoglimento ricevuta dall’amministrazione procedente si forma per silentium, ma ciò non esonera quest’ultima dalla necessità di concludere il procedimento con una decisione espressa, come si desume, del resto, dall’ultima parte del citato comma 9 dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, secondo cui l’amministrazione procedente, una volta formatosi il silenzio assenso sul parere del soprintendente, provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica[12].

 

L'ostacolo dell'assenza dello "schema di provvedimento", ormai superato sulla base della interpretazione teleologica dell'art. 17-bis della legge n. 241/90

Precisata l’applicabilità dell’art. 17-bis della legge n. 241/90, sul piano soggettivo, agli atti di assenso delle Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistica, la giurisprudenza si è posta in passato il problema di verificare se l’ambito di applicazione oggettivo del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni comprenda anche il procedimento disciplinato dall’art. 167 del d.lgs. n. 42/04[13].

Dopo un approfondito esame dell'istituto, la giurisprudenza si è determinata negativamente, in quanto l'art. 167 richiede che:

  • l’Amministrazione procedente abbia predisposto e trasmesso uno “schema di provvedimento” all’Amministrazione competente a rendere il proprio assenso;

sia decorso il termine di “trenta giorni” ovvero quello di “novanta giorni” (operante per gli assensi, i concerti o i nulla osta comunque denominati di Amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico-territoriale) dalla ricezione della richiesta dell’Amministrazione procedente, senza che l’Amministrazione interpellata abbia manifestato espressamente la propria posizione al riguardo, essendole anche preclusa la possibilità di formulare richieste di integrazione documentale[14].

Solo al ricorrere di tali condizioni, può considerarsi acquisito per silentium l’atto di assenso, sicché l’Amministrazione procedente è posta in condizione di adottare il provvedimento conclusivo, comunque necessario per la definizione del procedimento.

Infatti, nell'assumere la decisione finale, l’Amministrazione procedente è tenuta a valutare i vari interessi coinvolti nell’esercizio del potere, ivi compreso l’interesse pubblico sotteso all’atto di assenso implicitamente acquisito: soltanto in tale maniera si assicura, oltre che la tempestiva adozione della decisione finale, anche un’adeguata protezione di tutti gli interessi pubblici coinvolti nell’esercizio del potere, pure qualora manchi la determinazione espressa dell’Amministrazione (interpellata) che sarebbe stata competente a valutare la compatibilità della soluzione prescelta con l’interesse pubblico dalla stessa tutelato.

Alla luce di tali rilievi, si è, dunque, ritenuto che il silenzio assenso ex art. 17-bis l. n. 241/90:

  • non riguarda la fase istruttoria del procedimento amministrativo, che rimane regolata dalla pertinente disciplina positiva, influendo soltanto sulla fase decisoria, attraverso la formazione di un atto di assenso per silentium, con la precisazione che l'Amministrazione procedente è, comunque, tenuta ad elaborare uno schema di provvedimento da trasmettere all’Amministrazione co-decidente, sulla base delle risultanze dell’istruttoria già svolta, non potendosi elaborare un progetto di decisione senza avere previamente accertato e valutato i presupposti del provvedere;
  • opera soltanto in relazione ai procedimenti caratterizzati da una fase decisoria pluristrutturata e, dunque, come chiarito dal Consiglio di Stato nel parere n. 1640/2016 cit., “nei casi in cui l’atto da acquisire, al di là del nomen iuris, abbia valenza co-decisoria”;
  • presuppone, pur sempre, un potere decisionale distribuito tra plurime Amministrazioni, tutte abilitate ad intervenire sul contenuto del provvedimento finale, suscettibile di essere adottato solo previo accordo tra le parti pubbliche co-decidenti.

Nel procedimento di compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, il legislatore, invece, ha previsto sì una forma di cogestione del vincolo paesaggistico tra due Amministrazioni (Soprintendenza, competente nel rendere un parere vincolante, nonché Amministrazione regionale o subdelegata, chiamata ad assumere la decisione finale)[15], ma secondo modalità del tutto peculiari.

Ai sensi dell’art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42/04, infatti:

 “Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dagli interventi di cui al comma 4 presenta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni”.

Emerge, pertanto, che:

  • l’autorità preposta alla gestione del vincolo non è tenuta ad elaborare uno schema di provvedimento alla stregua delle risultanze istruttorie da trasmettere alla Soprintendenza ai fini dell’espressione del parere di competenza, sebbene un tale documento sia necessario per la formazione del silenzio assenso, posto che, altrimenti, difettando lo schema di provvedimento, mancherebbe pure la bozza di decisione su cui possa ritenersi tacitamente acquisito un atto di assenso;
  • il termine per l’espressione del parere è espressamente qualificato dal legislatore come perentorio, il che influisce sulla individuazione delle conseguenze discendenti dalla sua inosservanza, emergendo effetti incompatibili con la formazione di un atto per silentium;
  • la Soprintendenza e l’autorità preposta alla gestione del vincolo sono chiamate a verificare la compatibilità dell’intervento edilizio rispetto al medesimo interesse pubblico (paesaggistico), quando la co-decisione è un modulo procedimentale impiegabile per la condivisione di una data decisione da parte di plurime Amministrazioni, ciascuna preposta alla tutela di un differente interesse pubblico, parimenti rilevante ai fini della regolazione del caso concreto;
  • il parere della Soprintendenza è qualificato come vincolante, con la conseguenza che “a fronte del carattere vincolante del parere soprintendentizio ai sensi dell'art. 167, comma 5, D.Lgs. n. 42 del 2004, non persiste […] margine alcuno di valutazione difforme in capo all'Amministrazione comunale” (così Consiglio di Stato, Sez. VI, 16 aprile 2018, n. 2245), tenuta, comunque, a concludere il procedimento entro il termine perentorio di centottanta giorni (del pari previsto dall’art. 167, comma 5, cit.), sicché il parere de quo assume più propriamente natura di parere conforme, non potendo l’Amministrazione procedente astenersi dalla decisione, né potendo assumere una decisione difforme da quella indicata dalla Soprintendenza[16]. Si è in presenza, dunque, di una disciplina connotata da elementi procedurali del tutto peculiari, che, secondo la giurisprudenza richiamata, sarebbero incompatibili con quelli posti a base della disciplina del silenzio assenso ex art. 17-bis l. n. 241/90[17].

Le peculiarità del procedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica si manifesterebbero anche nella disciplina delle conseguenze discendenti dalla condotta inerte della Soprintendenza: il legislatore - d'altronde - ha anche qualificato (ai sensi dell’art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04) come “perentorio” il termine entro cui la Soprintendenza deve esprimere il parere di competenza, in tale maniera regolando (implicitamente) gli effetti dell’inerzia[18].

Di conseguenza, si è ritenuto che l’inutile decorrenza del termine perentorio di novanta giorni ex art. 167, comma 5, d.lgs. n. 42/04 determini – anziché la formazione di un atto di assenso tacito, a conferma dell’inapplicabilità dell’art. 17-bis l. n. 241/90 – la decadenza dall’esercizio dello specifico potere assegnato dal legislatore e, dunque, dalla possibilità di vincolare l’amministrazione procedente nella decisione finale; il che, tuttavia, non impedirebbe all’organo statale di intervenire nel procedimento per fornire il proprio contribuito partecipativo, ponendo in essere un atto non obbligatorio e non vincolante.

Tale ricostruzione va senza dubbio rimeditata alla luce della normativa sopravvenuta, come, peraltro, confermato dalla sentenza annotata.

Rileva, quale elemento dirimente più di ogni altro, la disposizione dell'art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241/90.

Tale disposizione, invero, non opera alcuna distinzione all'interno dei procedimenti caratterizzati da una fase co-decisioria pluristrutturata, né, per quanto attiene alla materia paesaggistica, tra il procedimento ordinario di cui all'art. 146 del d.lgs. n. 42/04 e quello "peculiare" disciplinato dall'art. 167 stesso d.lgs.

Come precisato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 8610 citata, la recente modifica apportata all’art. 2 della legge n. 241/90 dall’art. 12, comma 1, lett. a), n. 2), del d.l. n. 76/20, convertito nella legge n. 120/20, che ha introdotto il nuovo comma 8-bis, ha segnato il definitivo superamento dell’indirizzo interpretativo contrario all’applicazione del silenzio assenso orizzontale al parere paesaggistico.

Infatti, in base a tale norma:

Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1 …, ovvero successivamente all’ultima riunione di cui all’art. 14 ter, comma 7… sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall’articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni”.

La lettera di tale disposizione, riferendosi espressamente alle fattispecie del silenzio maturato nel corso di una conferenza di servizi ex art. 14-bis e nell’ambito dell’istituto di cui all’art. 17-bis, è inequivocabile nell’affermare il principio (che non ammette eccezioni) secondo cui le determinazioni tardive sono irrilevanti in quanto prive di effetti nei confronti dell’autorità competente, e non soltanto prive di carattere vincolante.

Da ciò discende che non c’è più spazio, alla luce della novità normativa, per insistere nella tesi del silenzio-devolutivo, stante la formulazione volutamente omnicomprensiva della nuova norma.

La previsione introdotta è evidentemente espressione della volontà politico-legislativa di semplificare i procedimenti e di superare le discussioni, registratesi nel previgente quadro normativo, in ordine al vizio che affliggeva il provvedimento tardivo.

Sotto il profilo teleologico, la locuzione utilizzata dal legislatore, indipendentemente dal riferimento, contenuto nell'art. 167, allo "schema di provvedimento", consente, pertanto, di affermare che l'organo che si pronuncia tardivamente perde il potere di decidere: dunque il suo atto, adottato in carenza di potere relativamente ad uno specifico progetto, è privo di effetti nell'ordinamento amministrativo.

D'altronde, il criterio della interpretazione teleologica, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite che l’interprete non può superare e deve rispettare, porta a tenere presente, da un lato, il fatto sociale che sta alla base della norma e che è regolato da essa, e, dall’altro, a considerare le conseguenze che deriverebbero da una data interpretazione, per escludere quelle che non corrispondono allo scopo della disposizione[19].

 

La effettività della "cogestione" del vincolo anche nel procedimento "orizzontale pluristrutturato" di accertamento di compatibilità paesaggistica, nel quale la Regione (o il Comune) non svolge il ruolo di semplice passacarte 

 Un secondo argomento, pur significativo, volto a superare le obiezioni sollevate è quello della effettività della "cogestione" del vincolo anche nel procedimento "orizzontale pluristrutturato" di accertamento di compatibilità paesaggistica, ribadendosi ancora una volta che il legislatore, attraverso l'istituto di  semplificazione di cui all'art. 17-bis, indipendentemente dall'utilizzo di espressioni formali, ha tentato di raggiungere un delicato punto di equilibrio, sul piano sostanziale, tra la tutela degli interessi sensibili e la, parimenti avvertita, esigenza di garantire una risposta (positiva o negativa) entro termini ragionevoli al cittadino o all’operatore economico, che, diversamente, rimarrebbe esposto al rischio dell’omissione burocratica.

In tale composito quadro, la competenza della Soprintendenza resta - lo si ripete - pur sempre garantita sia pure entro termini stringenti entro i quali deve esercitare la propria funzione.

A monte, la Regione (o l'Amministrazione comunale quale ente subdelegato) è tenuta pur sempre a svolgere la propria istruttoria.

Sono stati sollevati dubbi in ordine alla natura dell’attività di cogestione del vincolo paesaggistico e, più specificamente, in ordine al bilanciamento dei relativi poteri tra Amministrazione statale (Soprintendenza) da una parte e Regione (o Comune) dall’altra.

Si è, in pratica, sostenuto che, poiché, nel procedimento di autorizzazione “a regime” di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, il parere della Soprintendenza è un parere vincolante, il ruolo dell’ente pubblico territoriale è, in effetti, solo formale, dovendo quest’ultimo, una volta che il parere è stato reso, in senso positivo o negativo, adeguarvisi necessariamente.

Occorre preliminarmente rilevare, sul punto, che il principio cui si ispira la nuova disciplina è quello di tutelare nel modo più ampio ed incisivo possibile il bene “paesaggio”, attraverso il coinvolgimento di più soggetti (ufficio comunale, Commissione Paesaggio, laddove prevista dalla Regione per il procedimento ex art. 167, e Soprintendenza), anziché uno, con competenze specifiche e diverse.

È vero che il parere della Soprintendenza è vincolante, ma è altrettanto vero che, nella fase ex ante, il ruolo della Regione (o del Comune subdelegato) non è quello di un semplice passacarte.

Storicamente, la previsione dell'obbligatorietà dell'autorizzazione paesaggistica nasce con la precisa funzione di far precedere ogni trasformazione del bene paesaggistico da un controllo amministrativo circa la compatibilità dell'intervento proposto con l'esigenza di non dispersione del valore paesaggistico che il bene esprime.

Il controllo, in una logica precauzionale, è teso, infatti, alla verifica della compatibilità della trasformazione proposta con l'esigenza di tutela dei valori paesaggistici oggetto di protezione, come indica chiaramente il comma 1 del citato art. 146.

Il procedimento di autorizzazione paesaggistica origina, come è noto, dall’istanza del privato, alla quale vanno allegati il progetto da realizzare e la c.d. relazione paesaggistica. La relazione paesaggistica deve descrivere: a) lo stato attuale del bene; b) gli elementi di valore paesaggistico in esso presenti; c) gli impatti delle trasformazioni proposte (rappresentati anche attraverso simulazione dettagliata dello stato dei luoghi a seguito della realizzazione del progetto resa mediante foto modellazione realistica (rendering computerizzato o manuale), comprendente un adeguato "intorno" dell'area di intervento, desunto dal rapporto di "intervisibilità" esistente; d) i fattori di mitigazione e compensazione proposti.

Ricevuta la domanda corredata del progetto e della relazione paesaggistica, l'Amministrazione procede, in primo luogo, all'identificazione del contesto entro cui dovrebbe trovare spazio la trasformazione mediante la messa a fuoco della tipologia di vincolo e dei profili valoriali meritevoli di tutela, nonchè alla contestualizzazione delle ragioni del vincolo. A tal riguardo, l'Amministrazione realizza, quindi, una operazione prognostica circa gli effetti che l'attuazione del progetto proposto (per come prospettato dalla parte istante) produrrebbe sul bene stesso e sul contesto e, di seguito, esprime una valutazione (inevitabilmente non priva di margini di opinabilità) circa la compatibilità della trasformazione con l'esigenza di tutela del bene o del paesaggio vincolato.

Nel compiere questa operazione l'Amministrazione procedente analizza il progetto in relazione ad ogni profilo rilevante: il linguaggio architettonico e formale, i colori, i materiali, gli stilemi ed ogni carattere in grado di incidere sulla forma percepibile dell'oggetto dell'intervento. L'Amministrazione, nell'operare il controllo, non si limita ad esprimere un giudizio sul progetto sottoposto al suo esame. Deve, di contro, valutare se la soluzione proposta costituisca effettivamente l'opzione di minor impatto e, in termini collaborativi, ove siano concretamente identificabili altre ipotesi progettuali e soluzioni compositive in grado di minimizzare l'impatto, deve orientare (preferibilmente entro un dialogo endoprocedimentale, ovvero con prescrizioni, etc.) al perseguimento di tale risultato. In caso di impatti ineliminabili, suscettibili di residuare anche a valle della ricerca di soluzioni di minimizzazione, dovranno essere identificate adeguate mitigazioni ovvero, in ultima istanza, in caso di impatti non mitigabili, compensazioni efficienti (in grado cioè di operare sulle dinamiche percettive dei luoghi e non su altri versanti, con esclusione quindi di compensazioni meramente monetarie).

Quanto appena evidenziato trova esplicito riscontro nell'art. 3.2. del D.P.C.M. 12 dicembre 2005 (con il quale sono stati definiti i contenuti della documentazione da allegare alla relazione paesaggistica), secondo cui «Fermo restando che dovranno essere preferite le soluzioni progettuali che determinano i minori problemi di compatibilità paesaggistica, dovranno essere indicate le opere di mitigazione sia visive che ambientali previste, nonché evidenziati gli effetti negativi che non possano essere evitati o mitigati e potranno essere proposte le eventuali misure di compensazione ».

Nella fase di propria competenza, l'Amministrazione opera, in definitiva, una serie di verifiche che consentono di razionalizzare il giudizio di compatibilità, limitando i margini di valutazione estetica e di decisionalità soggettiva solitamente considerati ineliminabili, tanto da costituire una sorta di marca caratteristica della funzione autorizzatoria in materia paesaggistica.

È pur vero che tale attività istruttoria è espressamente riferita al procedimento ordinario e non a quello di accertamento di compatibilità paesaggistica, ma è evidente, in base al criterio dell'analogia ed in ragione di quanto affermato dal T.A.R. Campania, sezione staccata di Salerno, con sentenza del 9 dicembre 2023, n. 2986, che la documentazione prescritta per il primo debba essere acquisita anche per il secondo, nel quale l'Amministrazione procedente non può limitarsi al semplice riscontro dell'assenza di incrementi di superficie utile o di volumetria, come stabilito dall'art. 167, prevedendo il comma 4 della norma che la compatibilità possa essere accertata anche per "l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica" o per "lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380": attività queste ultime che richiedono, comunque, una qualche attività valutativa.

La stessa valutazione dell'aumento di superficie utile presuppone - a ben vedere - una indagine minima.

Per la nozione di superficie occorre, invero, richiamare quella giurisprudenza secondo la quale “in ambito paesaggistico la nozione di “superficie utile” di cui all’art. 167 d. lgs. n. 42/04 deve essere intesa in senso ampio e finalistico, ossia non limitata agli spazi chiusi o agli interventi capaci di provocare un aggravio del carico urbanistico, quanto piuttosto considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto del territorio e, quindi, l’idoneità della nuova superficie, qualunque sia la sua destinazione, a modificare stabilmente la vincolata conformazione originaria del territorio", sicché  "di superficie utile deve parlarsi in presenza di qualsiasi opera edilizia calpestabile o che può essere sfruttata per qualunque uso, atteso che il concetto di utilità ha un significato differente nella normativa in materia di tutela del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia" (così, in particolare, T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. II, 8 maggio 2019, n. 1033).

Per quanto concerne, invece, la definizione di volume, il discorso si allarga anche alle diverse tipologie di volumetrie esistenti nel settore edilizio.

Per volume si intende genericamente l’area, sviluppantesi in altezza e in profondità, coperta da un manufatto.

Nel d.lgs. 42/04 si nega l’autorizzazione paesaggistica postuma a qualsiasi tipo di volume, tecnico o abitativo; l’art. 167, comma 4, infatti, non effettuando distinzioni, lascia pensare che la norma vieti la sanatoria anche ai volumi tecnici[20].

Ciò su cui conviene soffermarsi, però, riguarda la relazione esistente tra il volume tecnico realizzato ed il volume dei manufatti già esistenti.

La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di affermare che “i volumi tecnici vanno comunque ricompresi nella nozione di volumi ostativa, ai sensi del comma 4 lett. a) dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004, al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica postuma. L’art. 167 comma 4, citato non consente, infatti, di sanare le opere edilizie che abbiano comportato l’aumento di volumi (anche tecnici), ma proprio perché intende valorizzare e salvaguardare le aree sottoposte al vincolo paesaggistico, consente alla Soprintendenza di  esaminare favorevolmente l’istanza di sanatoria (ovviamente, ferme restando tutte le altre valutazioni di sua competenza) quando l’istanza preveda la demolizione di volumi, del tutto legittimamente realizzati, per compensare il mantenimento di altri, realizzati senza titolo. In altri termini, purchè si mantenga il rispetto dei limiti legittimamente assentibili in tema delle superfici e dei volumi, ben può la Soprintendenza ritenere accoglibile l’istanza di sanatoria, quando la demolizione di volumi legittimamente assentiti consenta di ritenere che, nel suo complesso, la volumetria legittimamente assentibile non sia inferiore a quella da porre a base del provvedimento di sanatoria” (cfr. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VIII, 6 settembre 2018, n. 5410).

Può, quindi, confermarsi che vi è, nel procedimento delineato dall'art. 167, tutta una fase a monte della formulazione del parere della Soprintendenza che vede l'Amministrazione procedente atteggiarsi a protagonista indiscussa del procedimento, con competenze istruttorie e valutative.

 

Considerazioni finali

Tirando le fila del ragionamento, appare innegabile che la riforma Madia abbia inteso stabilire, innovando la disciplina sostanziale e procedurale degli interessi sensibili attraverso l'introduzione del silenzio assenso orizzontale tra pubbliche amministrazioni ex art. 17-bis l. n. 241/90 e la riscrittura della disciplina della conferenza di servizi, che non può ritenersi astrattamente precluso al legislatore di operare un equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco: bilanciamento che deve, pur sempre, essere condotto senza consentire «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (sentenza Corte cost. n. 85 del 2013), con l'obbligo tendenziale di favorire, in ogni caso, criteri di proporzionalità e di ragionevolezza, al fine di veder garantita una tutela unitaria, sistemica e non frammentata degli interessi medesimi (sentenze Corte cost. n. 63 del 2016 e n. 264 del 2012).

Tale innovativa impostazione, come sottolineato pur sempre dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 8610, è la conseguenza del combinato operare di due elementi: 1) la trasformazione del ruolo della semplificazione, da valore strumentale (ossia come principio generale da collegare all’esigenza di migliorare l'efficienza amministrativa nel valutare tutti gli interessi che si confrontano nel procedimento e di aumentare l'efficacia nella cura degli interessi pubblici, al contempo garantendo una più agevole tutela delle pretese del cittadino) a bene o valore di natura finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle Amministrazioni competenti al rilascio di assensi comunque denominati; 2) l’attenuazione della valenza forte e assolutizzante dell’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili, nella misura in cui viene ammesso un loro bilanciamento in concreto con altri valori e principi.

In relazione al primo elemento, è stato sottolineato che l’obiettivo della competitività del sistema paese richiede sia garantita la conclusione dei procedimenti avviati su istanza di parte in tempi certi e rapidi, e quindi la tempestività dell’azione amministrativa, poiché il fattore tempo è una variabile essenziale della programmazione finanziaria privata di cui è necessaria la ragionevole prevedibilità. Quanto al secondo elemento, le novità sul trattamento procedimentale degli interessi sensibili poggiano sulla recente evoluta declinazione dell’attributo di primarietà ad essi associato, inteso non più in modo astratto e aprioristico come primazia in una ipotetica scala gerarchica dei valori costituzionali.

Il nuovo strumento di semplificazione conferma, pertanto, la natura patologica che connota il silenzio amministrativo, soprattutto quando maturi nell’ambito di un rapporto orizzontale con un’altra amministrazione co-decidente.

Il meccanismo del silenzio-assenso orizzontale palesa, in altri termini, una contrarietà di fondo del legislatore nei confronti dell’inerzia amministrativa, inerzia che viene stigmatizzata al punto tale da ricollegare al silenzio dell’Amministrazione interpellata la più grave delle “sanzioni” o il più efficace dei “rimedi”, ossia l’equiparazione del silenzio all’assenso con conseguente perdita del potere di dissentire e di impedire la conclusione del procedimento.

Tale conclusione è la logica conseguenza della interessante pronuncia del 22 luglio 2021, n. 160, con la quale la Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 6, della legge della Regione Siciliana 6 maggio 2019, n. 5 (Individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata), che aveva introdotto il silenzio-assenso c.d. verticale (ovvero nel rapporto con il privato) sulla domanda di autorizzazione paesaggistica, ha affermato che il silenzio assenso previsto dalla norma regionale oggetto di scrutinio assume una valenza del tutto diversa rispetto a quanto disciplinato all’art. 11, comma 9, del d.P.R. n. 31/17 (ovvero allo schema del silenzio assenso c.d. orizzontale).

Non si tratta, infatti, secondo la Consulta, “di silenzio assenso endoprocedimentale (rectius orizzontale tra pubbliche amministrazioni), destinato a essere seguito comunque da un provvedimento conclusivo espresso dell’amministrazione procedente, ma di un silenzio assenso provvedimentale, destinato a tenere luogo dell’autorizzazione paesaggistica richiesta, secondo lo schema generale dell’art. 20 della stessa legge n. 241 del 1990 (…); l’assenso del soprintendente sulla proposta di accoglimento ricevuta dall’amministrazione procedente si forma per silentium, ma ciò non esonera quest’ultima dalla necessità di concludere il procedimento con una decisione espressa, come si desume, del resto, dall’ultima parte del citato comma 9 dell’art. 11 del d.P.R. n. 31 del 2017, secondo cui l’amministrazione procedente, una volta formatosi il silenzio assenso sul parere del soprintendente, «provvede al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica»: ciò in linea con il divieto stabilito all’art. 20, comma 4, della legge n. 241/90, che esclude radicalmente l’applicazione del silenzio assenso nei rapporti verticali tra privati e pubbliche Amministrazioni preposte alla tutela dei cosiddetti “interessi sensibili”, tra cui, per quanto qui rileva, quelli relativi agli atti e ai procedimenti riguardanti «il patrimonio culturale e paesaggistico».

Proprio muovendo dall'istituto del silenzio assenso orizzontale (di cui, evidentemente, la Consulta assume la conformità al dettato costituzionale), la decisione citata finisce per censurare la disposizione regionale sottoposta al suo esame, la quale, introducendo una non consentita forma di silenzio assenso verticale, contrasta con il principio generale stabilito all’art. 20, comma 4, della legge n. 241/90, che vieta la formazione "per silentium" del provvedimento conclusivo nei procedimenti implicanti la tutela di “interessi sensibili”.

Tali importanti considerazioni di sistema consentono evidentemente di superare anche i potenziali dubbi di incostituzionalità della normativa che applica sia all’autorizzazione paesaggistica in generale che all'accertamento di compatibilità paesaggistica in particolare lo schema semplificatorio del silenzio assenso orizzontale, ferma naturalmente l’indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del paesaggio per la particolare dignità data dall’essere iscritta dall’art. 9 Cost. tra i principi fondamentali della Repubblica, come ripetutamente affermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale[21].

In tale ottica valutativa, non va dimenticato che all’istituto del silenzio assenso è stato da tempo riconosciuto un triplice fondamento: eurounitario, perché viene ricondotto al “principio della tacita autorizzazione” introdotto dalla c.d. Direttiva Bolkestein (considerando 43, art. 13, par. 4); costituzionale, perché si ricollega al principio di buon andamento, di cui all’art. 97 Cost., volto ad assicurare il ‘primato dei diritti’ della persona, dell’impresa e dell’operatore economico; sistematico, con riferimento al principio di trasparenza (anch’esso desumibile dall’art. 97 Cost.) che, soprattutto dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, informa l’intera attività amministrativa come principio generale.

 

 

[1] Il contributo, dal titolo “Il silenzio assenso orizzontale della Soprintendenza nel procedimento pluristrutturato di accertamento di compatibilità paesaggistica dopo la legge Madia (l. 7 agosto 2015, n. 124, introduttiva dell'art. 17 bis della legge n. 241/90. Nota a T.A.R. Campania-Napoli, Sezione Sesta, 7 giugno 2019, n. 3099”, risulta pubblicato sulla rivista giuridica Il Diritto Amministrativo in data 10 luglio 2019.

[2] Art. 17-bis (Effetti del silenzio e dell'inerzia nei rapporti)) tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici).

Comma 1. Nei casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di altre amministrazioni pubbliche, le amministrazioni o i gestori competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, da parte dell'amministrazione procedente. ((Esclusi i casi di cui al comma 3, quando per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi è prevista la proposta di una o più amministrazioni pubbliche diverse da quella competente ad adottare l'atto, la proposta stessa è trasmessa entro trenta giorni dal ricevimento della richiesta da parte di quest'ultima amministrazione.)) Il termine è interrotto qualora l'amministrazione o il gestore che deve rendere il proprio assenso, concerto o nulla osta rappresenti esigenze istruttorie o richieste di modifica, motivate e formulate in modo puntuale nel termine stesso. In tal caso, l'assenso, il concerto o il nulla osta è reso nei successivi trenta giorni dalla ricezione degli elementi istruttori o dello schema di provvedimento; ((lo stesso termine si applica qualora dette esigenze istruttorie siano rappresentate dall'amministrazione proponente nei casi di cui al secondo periodo.)) ((Non sono ammesse)) ulteriori interruzioni di termini. Comma 2. Decorsi i termini di cui al comma 1 senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito. ((Esclusi i casi di cui al comma 3, qualora la proposta non sia trasmessa nei termini di cui al comma 1, secondo periodo, l'amministrazione competente può comunque procedere. In tal caso, lo schema di provvedimento, corredato della relativa documentazione, è trasmesso all'amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta per acquisirne l'assenso ai sensi del presente articolo.)) In caso di mancato accordo tra le amministrazioni statali coinvolte nei procedimenti di cui al comma 1, il Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, decide sulle modifiche da apportare allo schema di provvedimento.

Comma 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano anche ai casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di amministrazioni pubbliche. In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazioni competenti comunicano il proprio assenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell'amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nulla osta, lo stesso si intende acquisito.

Comma 4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedano l'adozione di provvedimenti espressi.

[3] Circa gli effetti dell’art. 17-bis, in tema di interessi sensibili, v. il Parere della Commissione Speciale del Consiglio di Stato n. 1640 del 13 luglio 2016, secondo cui tale disposizione è di portata generale, in quanto:

La formulazione testuale del comma 3 consente di accogliere la tesi favorevole all’applicabilità del meccanismo di semplificazione anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali e la salute dei cittadini. Sul punto la formulazione letterale del comma 3 è chiara e non lascia spazio a dubbi interpretativi: le Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili beneficiano di un termine diverso (quello previsto dalla normativa di settore o, in mancanza, del termine di novanta giorni), scaduto il quale sono, tuttavia, sottoposte alla regola generale del silenzio assenso".

[5] Trattasi della sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 1^ ottobre 2019, n. 6556, che, in relazione a un intervento eseguito nel Comune di Arzachena, ha affermato che “correttamente il parere obbligatorio della Soprintendenza è stato acquisito per silentium , ai sensi dell’art. 17-bis della legge n. 241 del 1990, il cui comma 3 espressamente stabilisce che le disposizioni in tema di silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche si applicano anche «ai casi in cui è prevista l’acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale  …]» – e quindi anche ai procedimenti di accertamento della compatibilità paesaggistica di cui all’art. 167, comma 4, del d.l.gs n. 42 del 2004” –, precisando altresì che: «In tali casi, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all’articolo 2 non prevedano un termine diverso, il termine entro il quale le amministrazionicompetenti comunicano il proprioassenso, concerto o nulla osta è di novanta giorni dal ricevimento della richiesta da parte dell’amministrazione procedente. Decorsi i suddetti termini senza che sia stato comunicato l’assenso, il concerto o il nulla osta si intende acquisito ».

[6] Ancora sull’art. 17-bis, v. il contributo “In claris non fit interpretatio; sulla duplice (anzi triplice) esegesi pretoria in materia di silenzio assenso ex art. 17 bis l. n. 241/1990 e parere paesaggistico soprintendentizio” di G. DELLE CAVE, pubblicato su Giustizia Insieme in data 18 gennaio 2023, reperibile al seguente link: https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/2617-in-interpretatione-non-fit-claritas-sulla-duplice-anzi-triplice-esegesi-pretoria-in-materia-di-silenzio-assenso-ex-art-17-bis-l-n-241-1990-e-parere-paesaggistico-soprintendentizio-nota-a-t-a-r-campania-napoli-sez-vii-13-ottobre-2022-n-6303-e-t-a-r-campania-salerno-sez-ii-02-novembre-2022-n-2897.

Appare utile segnalare sul tema anche N. DURANTE, Il controverso regime delle autorizzazioni paesaggistiche, in Giustizia Amministrativa, anno di pubblicazione 2024; M.A. SANDULLI, Silenzio assenso e inesauribilità del potere, 16 e seg., in Giustizia amministrativa, 1^ maggio 2022, secondo cui “il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 configura un’ipotesi di co-gestione attiva del vincolo paesaggistico da parte di due amministrazioni e rientra, quindi, a pieno titolo tra le decisioni ‘pluri-strutturate’, nelle quali, per poter emanare il provvedimento conclusivo, l’amministrazione procedente deve, per legge, acquisire l’assenso vincolante di un’altra amministrazione”; P. CARPENTIERI, Silenzio assenso e termine a provvedere, anche con riferimento all’autorizzazione paesaggistica. Esiste ancora l’inesauribilità del potere amministrativo?, in Giustizia amministrativa, 11 aprile 2022; D. AMOROSINO, Autorizzazioni paesaggistiche: una sentenza “passatista” del Consiglio di Stato disattesa dal T.A.R. Salerno, in Urbanistica e appalti, n. 4/2021; A. BERLUCCHI, Il parere tardivo espresso dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici ex art. 146 D.lgs n. 2004/42: spunti di riflessione, in Riv. giur. ed., 2017, 130; G. DELLE CAVE, Autorizzazione paesaggistica e silenzio assenso tra P.A.: un connubio (im)possibile? competenze procedimentali e portata applicativa dell’art. 17-bis l. n. 241/1990 (nota a Consiglio di Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2640), in Giustizia Insieme, 6 luglio 2021; F. SCALIA, Il silenzio assenso nelle c.d. materie sensibili alla luce della riforma Madia, in Urb. app., 1, 2016, 11; F. APERIO BELLA, Il silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni (il nuovo art. 17 bis della l. n. 241 del 1990), intervento al convegno «I rimedi contro la cattiva amministrazione. Procedimento amministrativo ed attività produttive e imprenditoriali, 8-9 aprile 2016, Campobasso, in www.diritto-amministrativo.org; M. BOMBARDELLI, Il silenzio assenso tra amministrazioni e il rischio di eccesso di velocità nelle accelerazioni procedimentali, in Urb. app., 2016, 7, 758 ss.; A. CONTIERI, Il silenzio assenso tra le amministrazioni secondo l’art. 17 bis della legge n. 241/1990: la resistibile ascesa della semplificazione meramente temporale, in Scritti per Franco Gaetano Scoca, Napoli, 2020, 1173 e ss.; F. DE LEONARDIS, Il silenzio assenso in materia ambientale: considerazioni critiche sull’art. 17 bis introdotto dalla c.d. riforma Madia, in Federalismi.it, 2015; A. DEL PRETE, Il silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni: profili critici e sistematici, in Riv. giur. edil., 2018, 3, 704 e ss.; F. MARTINES, La “non decisione” sugli interessi pubblici sensibili: il silenzio assenso fra amministrazioni pubbliche introdotto dall’art. 17 bis della l. 241/1990, in Dir. amm., 2018, 3, 747 e ss.; P. MARZARO, Il coordinamento orizzontale tra amministrazioni: l’art. 17 bis della legge n. 241 del 1990, dopo l’intervento del Consiglio di Stato. Rilevanza dell’istituto nella co-gestione dell’interesse paesaggistico e rapporti con la conferenza di servizi, in Riv. giur. urb., 2016, 2, 10 ss.; id. Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento ‘orizzontale’ all’interno della ‘nuova amministrazione’ disegnata dal Consiglio di Stato, in Federalismi.it, 2016.

[7] I. CACCIAVILLANI, La conferenza di servizi nella c.d. «Legge  Madia»: riforma od atrofizzazione, in www.lexitalia.it, n. 3/2016; La Riforma Madia riscrive integralmente la conferenza di servizi, in Comuni d’Italia, 2016, fasc. 6, 16; M. SANTINI, La nuova conferenza di servizi dopo la Riforma Madia – Dalla l. 7 agosto 1990 n. 241 al d.lgs. 30 giugno 2016 n. 127, Roma, 2016; M. SANTINI, La Riforma Madia sulla conferenza di servizi, in Nuovo dir.  amm., 2016, fasc. 5, 13; S. MEZZACAPO, Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi, in attuazione dell’art. 2 l. 7 agosto 2015 n. 124 (commento al d.lgs. 30 giugno 2016 n. 127), in Guida al dir. dossier, 2016, fasc. 5, 86; G. CONTI, La conferenza di servizi dopo le modifiche  introdotte dalla l. n. 127 del 15 maggio 1997, in Giornale dir. amm., 2016, 578; G. VESPERINI, La nuova conferenza di servizi (commento al d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127), in Riv.  giur. urbanistica, 2016; 12; A. CIMELLARO - A.  FERRUTI, Dal 28 luglio 2016 al via la nuova conferenza di servizi – D.lgs. 30 giugno  2016 n. 127, in Comuni d’Italia, 2016, fasc. 5, 45; L. DE LUCIA, La conferenza di servizi nel d.lgs. 30 giugno 2016, n. 127, in Dir. economia, 1997, 547.

[8] La massima è la seguente.

“Nell’ambito della disciplina del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146, D.Lgs. n. 42/2004, va esteso anche al parere, da rendersi da parte della Soprintendenza, il meccanismo del silenzio assenso previsto dall’art. 17-bis della L. n. 241/90, applicabile anche in seno a una conferenza di servizi. Tutti i pareri vincolanti partecipano alla formazione di un provvedimento finale pluri-strutturato, in quanto la decisione dell’amministrazione procedente richiede per legge l’assenso vincolante di un’altra amministrazione. Si evidenzia, infatti, al riguardo che il parere della Soprintendenza è “espressione di una cogestione attiva del vincolo paesaggistico. A tali pareri si applicherebbe pertanto l’art. 17-bis della legge n. 241/1990, diversamente che ai pareri consultivi (non vincolanti), che restano assoggettati alla disciplina di cui agli artt. 16 e 17. Dunque, alla stregua di tale ricostruzione, la formulazione testuale del comma 3 dell’art. 17-bis consente di estendere il meccanismo del silenzio assenso anche ai procedimenti di competenza di amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili, ivi compresi i beni culturali di modo che, scaduto il termine fissato dalla normativa di settore, vale la regola generale del silenzio assenso. Di conseguenza il parere della Soprintendenza per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è da considerarsi tamquam non esset”. (Conferma TAR CAMPANIA, Salerno, n. 2946/2022) – Pres. Neri, Est. Furno – Ministero della Cultura, Avv. Stato, c. G.M., avv.ti Botti e D’Angiolillo).

[9] Principi opportunamente richiamati e ribaditi dal T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, nella recente sentenza del 18 aprile 2024, n. 2190.

[10] V. Cons. Stato, Sez. IV, 19 aprile 2021, n. 3145; Cons. Stato, Sez. VI, 21 novembre 2016, n. 4843; id. 18 marzo 2021, n. 2358; 19 marzo 2021, n. 2390; 21 novembre 2016, n. 4843; 15 maggio 2017, n. 2262; 17 marzo 2020, n. 1903; 16 giugno 2020, n. 3885.

 

[11] V. Cons. Stato, Commissione Speciale, 23 giugno 2016, n. 1640 cit.; Sez. VI, 1^ ottobre 2019, n. 6556; idem, Sez. IV, 14 luglio 2020, n. 4559; Sez. V, 14 gennaio 2022, n. 255.

 

[12]  Un originale orientamento di segno contrario, ma in realtà dotato di ricadute pratiche alquanto simili a quelle del 17-bis, era stato, poco più di un anno prima, assunto dalla Sezione VI del Consiglio di Stato con la sentenza del 24 maggio 2022, n. 4098. 

Tale decisione aveva, infatti, escluso l’esistenza di ragioni di natura sostanziali per negare che, sul parere soprintendentizio, si possa formare il silenzio assenso di cui all’art. 17-bis, non inferendosi ciò dal mero fatto che il procedimento “principale” sia avviato ad istanza di un privato ed anzi evidenziando «che la disciplina del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, disegnata dall’art. 146 del D.lgs. 42/2004, per vari aspetti rispecchia quella del silenzio assenso ex art. 17-bis».

 Secondo il Consiglio di Stato:

 “Costituisce motivo di riflessione la scansione procedimentale indicata dal comma 9 dell’art. 146, secondo cui l’amministrazione competente, cioè la regione o l’ente delegato, “provvede comunque”: dal che si desume che in tal caso l’amministrazione procedente è tenuta ad adottare il provvedimento finale in maniera espressa, ma non necessariamente nel senso precedentemente prefigurato”.

Ora, «se presupposto all’art. 146, comma 9, vi fosse la formazione di un silenzio assenso ai sensi dell’art. 17-bis, la norma avrebbe dovuto prevedere per coerenza, che anche in tal caso l’amministrazione procedente adottasse il provvedimento finale “in conformità”: in tal caso, “in conformità” alla proposta iniziale, sulla quale la Soprintendenza non ha espresso motivi ostativi».

Tanto induce a ritenere che «il legislatore non ha voluto che si producesse tale effetto, quale conseguenza del comportamento silente della Soprintendenza, come è reso evidente dal fatto che in tal caso l’amministrazione procedente è tenuta a provvedere “comunque” e non “in conformità”».

 Ha osservato, nondimeno, il Consiglio di Stato che «dal punto di vista pratico cambia poco rispetto alla fattispecie del silenzio assenso ex art. 17-bis, perché è evidente che il provvedimento finale, anche in tal caso, deve rispecchiare la proposta originaria trasmessa alla Soprintendenza: diversamente il provvedimento adottato risulterebbe illegittimo in quanto emesso su una proposta non precedentemente sottoposta al parere della Soprintendenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 5799 dell’11 dicembre 2017); l’amministrazione procedente, tuttavia, non essendosi formato un silenzio assenso da parte della Soprintendenza, potrebbe avere un ripensamento e quindi potrebbe decidere di riformulare la proposta originaria, senza perciò incorrere in un provvedimento in autotutela, non essendosi ancora formato un provvedimento definitivo».

Pertanto, l’atto finale dell’amministrazione procedente, a meno di un “ripensamento” circa la propria posizione originaria, non potrà che essere favorevole al privato, pena l’illegittimità di un diniego, che sarebbe emesso in assenza di una precedente proposta in tal senso sottoposta al parere della Soprintendenza”.

[13] V., in particolare, Consiglio di Stato, Sez. II, 19 agosto 2022, n. 7293; Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 895; Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 1935; T.A.R. Toscana, Sez. III, 12 novembre 2019, n. 1520.

[14]Il T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, con sentenza del 16 agosto 2021, n. 5503, ha precisato che, in tali casi, anche la richiesta di integrazione documentale tardiva è illegittima perché vanifica “l’esigenza di assicurare certezza e stabilità alle situazioni giuridiche discendenti da provvedimenti amministrativi, in funzione di tutela: a latere privatistico, dell’affidamento del privato, la cui sfera giuridica, ampliata dal potere amministrativo, non può tollerare una situazione di diuturna instabilità; - a latere pubblicistico, a garantire la inoppugnabilità degli atti anche nell’interesse della Amministrazione, nella fattispecie di quella comunale”.

Del resto, l’art. 146 del d.lgs. n. 42/04, prevede testualmente, al comma 7, che: “L’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica verifica se ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 149, comma 1, alla stregua dei criteri fissati ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141-bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d). Qualora detti presupposti non ricorrano, l’amministrazione verifica se l’istanza stessa sia corredata della documentazione di cui al comma 3, provvedendo, ove necessario, a richiedere le opportune integrazioni e a svolgere gli accertamenti del caso”.

Dall’inequivoco tenore della suddetta disposizione emerge, in definitiva, che la sola amministrazione regionale o delegata (e non anche la Soprintendenza) può richiedere “le opportune integrazioni”.

Peraltro, già nella vigenza dell’art. 159 del d.lgs. n. 42/04, la giurisprudenza amministrativa aveva precisato che la richiesta di informazioni o di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto del procedimento conclusosi con il rilascio del nulla osta da parte dell’ente comunale non era idonea ad interrompere il termine perentorio di sessanta giorni previsto per l’esercizio del potere statale di annullamento.

Il Consiglio di Stato, in particolare, con sentenza della Sezione VI del 12 agosto 2002, n. 4182, aveva affermato che "una volta che la documentazione acquisita nel procedimento conclusosi con il nulla osta comunale sia stata trasmessa in modo completo, unitamente ovviamente all'autorizzazione stessa, si deve ritenere che decorra il termine di sessanta giorni per l'esercizio del potere di annullamento senza che lo stesso possa essere interrotto da richieste istruttorie, che risultano idonee ad interrompere il termine solo in caso di incompleta trasmissione della documentazione su cui l'ente regionale (o sub-delegato, come nel caso di specie) si sia pronunciato (v., in argomento, anche Corte cost. n. 359 del 18 dicembre 1985; n. 153 del 24 giugno 1986; n. 302 del 9 marzo 1988 e n. 1112 del 12 dicembre 1988; nonché T.A.R. Sardegna n. 1081 del 10 luglio 2001).

Sia consentito rinviare, sul tema, anche a B. MOLINARO, Condono edilizio: vietato chiedere integrazioni documentali a tempo scaduto, in Altalex, Quotidiano di informazione giuridica, 21 settembre 2021.

[15] V., in termini, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2019, n. 721, e la giurisprudenza richiamata.

[16] V. Consiglio di Stato, Sez. IV, 15 aprile 2021, n. 3092, secondo cui è conforme il parere che si imponga nel suo contenuto all'Amministrazione procedente, la quale, nell'adottare il provvedimento finale, è tenuta esclusivamente, nell'esercizio dei poteri ad essa peculiari di amministrazione attiva, alla verifica estrinseca della completezza e della regolarità del precedente procedimento di valutazione, senza quindi attivare una nuova ed autonoma valutazione di merito).

[17] Dello stesso tenore è anche la Circolare del Ministero della Cultura, Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, Servizio V, del 7 ottobre 2019, Class. 34.28, in cui leggesi che l'Ufficio Legislativo, con i pareri prot. n. 27158 del 10 novembre 2015 e prot. n. 21892 del 20 luglio 2016, ha concluso per "l'inapplicabilità del silenzio assenso in luogo del parere della Soprintendenza nel procedimento di compatibilità paesaggistica", i cui caratteri peculiari (mancanza di uno schema di provvedimento sottoposto dall'Amministrazione procedente e carattere vincolante del parere della Soprintendenza) "non sono compatibili con quelli dettati dall'art. 17-bis della legge n. 241/90".

[18] Come precisato dal Consiglio di Stato, “un termine può […] essere considerato come perentorio o quando sia espressamente qualificato come tale o quando sia prevista la comminatoria di esclusioni o decadenze; lo stesso termine, ove non sia indicato come perentorio, ha funzione solo acceleratoria, cosicché il suo superamento non comporta la decadenza della potestà amministrativa al riguardo o l'illegittimità del provvedimento conclusivo” (Consiglio di Stato, Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1374).

[19]“Scire leges non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem” (D.1,3,17, Celso).

[20] V., sul punto, ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 aprile 2023, n. 4181; Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 aprile 2017, n. 1907; Sez. VI, 14 gennaio 2019, n. 325).

[21] V. Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 29 dicembre 1982, n. 239; 21 dicembre 1985, n. 359; 5 maggio 1986, n. 182; 10 ottobre 1998, n. 302; 19 ottobre 1992, n. 393; 12 febbraio 1996, n. 2; 28 giugno 2004, n. 196; 29 ottobre 2009, n. 272; 23 novembre 2011, n. 309