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Adozione di coppie gay: la Cassazione dice sì

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Ph. Cinzia Falcinelli / interni

Indice:

1. Omogenitorialità: la richiesta di adozione e il rifiuto dell’ufficiale di stato civile

2. Omogenitorialità: la decisione della Cassazione e l’interesse del minore

3. La normativa italiana e la stepchild adoption

 

1. Omogenitorialità: la richiesta di adozione e il rifiuto dell’ufficiale di stato civile

Il caso in questione riguardava una coppia omosessuale costituita da un uomo italiano e uno americano, convolati a nozze a New York, che avevano adottato in loco un minore di circa dieci anni, anch’egli statunitense.

La coppia, tuttavia, si era vista rifiutare la trascrizione dell’atto dall’ufficiale di stato civile del Comune di Samarate, nella provincia di Varese, e si era pertanto rivolta alla giurisdizione superiore per vedere accertato il proprio diritto.

Nonostante nel 2017 la Corte d’Appello di Milano avesse accettato il riconoscimento di tale adozione, il sindaco di Samarate, per mezzo dell’Avvocatura dello Stato, aveva proposto ricorso in Cassazione per impedire la trascrizione del provvedimento de quo in Italia.

 

2. Omogenitorialità: la decisione della Cassazione e l’interesse del minore

La Cassazione, tuttavia, ha statuito che “non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti di un provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo status genitoriale secondo il modello dell’adozione piena o legittimante”.

È stata specificata la circostanza per cui il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale” non può costituire in alcun modo un “elemento ostativo all’adozione, purché ne sia comunque esclusa la maternità surrogata.

unta, gli Ermellini hanno statuito un fondamentale principio, destinato certamente a non passare inosservato, secondo cui il provvedimento in questione non fosse fondato unicamente sul consenso dei genitori biologici, di per sé insufficiente per l’adozione, ma anche – e soprattutto – ad un giudizio di idoneità della coppia adottante.

Tale principio, in sostanza, garantisce che l’affidamento avvenga sulla base dell’idoneità della coppia, garantita all’esito di un’indagine complessiva, e non su presupposti quali l’eterosessualità dei genitori.

Tale circostanza è perfettamente aderente alla salvaguardia del “best interest of the child” (o “principio di interesse superiore del minore”), principio di diritto internazionale che impone al giudice di valutare concretamente la situazione del minore al fine di adottare un provvedimento che realizzi il suo esclusivo (e prevalente) interesse.

Tale principio, ormai consolidato nel diritto minorile europeo, è consacrato anche nell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del minore del 1989.

 

3. La normativa italiana e la stepchild adoption

L’ultimo step legislativo in merito alle coppie gay è stato compiuto dalla cd. Legge Cirinnà (L. n. 76/2016), la quale tuttavia non ha previsto l’adozione per coppie omosessuali, introducendo invece le unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Ciononostante, già nel 2014, la giurisprudenza ha fatto passi in avanti nell’estendere la stepchild adoption (L. n. 184/1983) anche alle coppie omosessuali, sebbene la normativa italiana sia ancora ampiamente lacunosa.

Nello stesso anno, peraltro, il Tribunale dei Minori di Roma ha espresso il principio secondo il quale nessuna legge esprima concretamente il divieto per un genitore omosessuale di chiedere l’adozione del figlio del partner (basandosi, in particolare, sull’art. 44 L. 184/1983). Anche in questo caso, il Tribunale competente ha espressamente previsto la prevalenza dell’interesse del minore, in linea con l’orientamento europeo.

In conclusione, è pacifico ammettere che, sebbene la recente pronuncia della Cassazione si inserisca in una linea progressista in materia di adozioni omosessuali, è indubbiamente indispensabile un intervento legislativo che colmi le lacune presenti.