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In house providing: il requisito del controllo analogo

Per in house providing (traduzione letterale “gestione in proprio”) si intende quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi (erogazione di servizi, forniture, lavori) che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato.

Tale tipo di gestione trova la propria origine nella giurisprudenza comunitaria (vicenda “Teckal” 18.11.1999 in causa C-107/98): la Corte di Giustizia ha delineato le condizioni in base alle quali un’amministrazione aggiudicatrice può procedere all’affidamento di un servizio senza dover ricorrere al previo espletamento di procedure ad evidenza pubblica chiarendo che, ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice, ciò può avvenire “qualora l’ente locale (amministrazione aggiudicatrice) eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Due sono, pertanto, i criteri cumulativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria atti a giustificare la sottrazione di un servizio all’ambito di operatività delle regole dell’evidenza pubblica: la circostanza che l’affidamento abbia luogo in favore di soggetti che, sebbene giuridicamente distinti dall’amministrazione aggiudicatrice, costituiscano elementi del sistema che a tale amministrazione fanno capo essendo soggetti a “controllo analogo” e il fatto che il destinatario dell’appalto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell’amministrazione o delle amministrazioni che la controllano.

Trattasi, quindi, di un modello organizzativo: la pubblica amministrazione si avvale di propri organismi appartenenti all’organizzazione amministrativa che fa loro capo.

Si deve verificare, sostanzialmente, “ una sorta di amministrazione “indiretta”, nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo” (TAR Campania, Sez. I, 30/3/2005 n.2784).

Qualora, poi, la società sia partecipata da più enti pubblici aventi interessi omogenei, per la realizzazione in comune di servizi affidati “in house”, l’attività di controllo deve essere esercitata da detti enti collettivamente (Consiglio di Stato, sez. VI, 6 maggio 2002, n.2418).

Anche il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 2316 del 22.4.2004, V Sez., con la quale ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia, ha espresso l’avviso che, in merito alle condizioni in presenza delle quali è possibile per la pubblica amministrazione ricorrere all’affidamento “in house”, in deroga alle disposizioni di matrice comunitaria, l’amministrazione deve esercitare sulla società controllata un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e che, in concreto, costituisce parte della stessa amministrazione, con la quale deve trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria ed organizzativa.

In definitiva, la società deve essere attributaria di attività amministrative funzionalizzate alla cura di un interesse pubblico (art.1 legge n. 241/1990).

A livello comunitario, le istituzioni sono intervenute assegnando un significato pregnante ai detti criteri.

La Corte di Giustizia, con la sentenza 11.1.2005 c. 26/2003 (Stadt Halle), relativamente ad una fattispecie riguardante l’affidamento diretto a società mista pubblico-privata di un appalto di servizi avente ad oggetto attività di smaltimento rifiuti, ha ribadito che “qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere con un’entità giuridicamente distinta un contratto a titolo oneroso…l’appello alla concorrenza non è obbligatorio…nel caso in cui l’autorità pubblica eserciti sull’entità distinta in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante di attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano”. Ha escluso il controllo analogo qualora nella società aggiudicataria del servizio una o più imprese private detengano una partecipazione anche minoritaria insieme con l’amministrazione aggiudicatrice.

Successivamente, la Corte di Lussemburgo con la sentenza 21.7.2005 c. 231/03 ha confermato il proprio orientamento affermando che “una società aperta, almeno in parte, al capitale privato…impedisce di considerarla una struttura di gestione ”interna" di un servizio pubblico nell’ambito dei comuni che ne fanno parte". Ha inoltre escluso che una partecipazione “esigua” dell’ente locale nella società affidataria diretta del servizio pubblico possa configurare una forma di controllo tale da “giustificare un eventuale differenza di trattamento” nell’osservanza della normativa comunitaria in materia di appalti.

Sempre in merito al requisito che in concreto deve assumere il “controllo analogo” la Commissione Europea con la comunicazione 26 giugno 2002, diretta al Governo italiano per sollecitare le modificazioni all’art. 113 del Testo Unico degli Enti Locali, come modificato dall’art. 35 l. n. 448/2001, nell’ambito della procedura di infrazione comunitaria aperta per contrasto della disposizione con la normativa e i principi comunitari in materia di appalti e di concorrenza, ha escluso che la sola partecipazione totalitaria dell’amministrazione aggiudicatrice nella società aggiudicataria del servizio possa garantire la situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione e quindi un “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Sempre nella stessa nota l’Istituzione Europea ha precisato, infatti, che “affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”(punto 34). La Commissione ritiene che per aversi controllo analogo occorre verificare che l’amministrazione controllante eserciti “un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo”.

Sul contenuto da assegnare al requisito del “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” la giurisprudenza amministrativa nazionale ha esplicitato le condizioni affinché il controllo esercitato dalle amministrazioni aggiudicatrici sulle società pubbliche presenti le caratteristiche richieste.

Il Consiglio di Stato, sez VI, n. 168/2005 ha ritenuto che il rapporto di “controllo analogo” è perfezionato allorquando tra amministrazione aggiudicatrice e società aggiudicataria sussista “un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie…”.

Il TAR Campania, sez. I, n. 2784/2005 è dell’avviso che “il soggetto gestore deve sostanzialmente essere configurato come una sorta di longa manus dell’affidante, pur conservando natura distinta e autonoma rispetto all’apparato organizzativo dell’ente: deve, in altri termini, determinarsi una sorta di ”amministrazione indiretta", nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sulla attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo…Si deve dunque verificare se i rapporti organizzativi e funzionali tra ente e società a capitale pubblico siano tali da realizzare in concreto questa assimilazione e tale indagine dovrà incentrarsi sull’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società…".

Analogamente si sono espressi il TAR Friuli Venezia Giulia 15.7.2005 n. 634 e il TAR Sardegna, 2.8.2005 n. 1729, i quali hanno affermato che può ritenersi “raggiunto l’obiettivo di consentire il controllo qualora esista ”una forma penetrante di controllo, che investe non solo gli atti di gestione straordinaria, ma anche, in parte rilevante, la gestione ordinaria e gli organi stessi" della società.

In definitiva, ai sensi della richiamata giurisprudenza, il “controllo analogo” sulla società pubblica affidataria del servizio può ritenersi garantito dalla previsione espressa nell’atto costitutivo e nello statuto della società di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale a favore dell’amministrazione aggiudicatrice. Il controllo deve riguardare le attività fondamentali e di straordinaria amministrazione, il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico assegnati nonchè gli organi della società.

In pratica, a mente della Circolare del Presidente della Giunta Regionale Piemonte del 3 ottobre 2005, n. 4/AMB, tale tipo di controllo si esplicita, in via esemplificativa:

1. nell’obbligo di trasmissione e di preventiva approvazione dei documenti di programmazione e del piano industriale; nella facoltà di modifica degli schemi tipo di contratto di servizio; nel potere di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi assegnati anche sotto il profilo della efficacia, efficienza ed economicità.

2. nell’approvazione da parte dell’amministrazione delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria e degli atti fondamentali della gestione (il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo).

3. nella nomina e revoca di componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società da parte del soggetto controllante.

Deve, però, evidenziarsi che recentemente il Consiglio di Stato, con sentenza n.7345/05 V Sez., depositata in segreteria il 22 dicembre 2005, nello specificare i requisiti che in concreto deve assumere il “controllo analogo” ha cambiato orientamento. Il Supremo Consesso ha ritenuto, per esigenze fondamentali di logica interpretativa, che l’adozione nel diritto comunitario della figura societaria, come strumento alternativo alla prestazione diretta dei servizi pubblici, impone di risolvere il problema del “controllo analogo” secondo un criterio coerente con la peculiarità dell’istituto in questione. Se si effettua l’affidamento diretto ad una società, il servizio dovrà essere gestito da una persona giuridica separata e distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice, un ente, cioè, che determina la propria azione mediante gli organi di cui è dotato. Esclude, quindi, l’applicazione di un modulo che riproduca, tra Amministrazione e società affidataria, quella forma di dipendenza che è tipica degli uffici interni all’ente.

Pertanto, per il Consiglio di Stato, l’ente pubblico, o gli enti pubblici, proprietari dell’intero pacchetto delle azioni, sia mediante la nomina degli organi, sia mediante l’approvazione di opportune deliberazioni, sono in condizione di imporre, o meglio, di svolgere, ogni tipo di verifica e di rendiconto, in modo che sia operante la sostanziale identificazione riscontrabile tra il soggetto societario agente e la mano pubblica che le affida il servizio.

E’ tale identificazione che rende compatibile con le regole comunitarie di tutela della concorrenza l’affidamento di un servizio pubblico ad una società privata senza l’adozione delle procedure ad evidenza pubblica.

Il Consiglio di Stato, a sostegno del nuovo orientamento, richiama la sentenza 11 gennaio 2005, n. 2603 in C-26 della Corte di Giustizia, la quale afferma che il possesso dell’intero pacchetto azionario della società da parte della mano pubblica garantisce lo svolgimento del servizio secondo “esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico”.

Per i giudici di Palazzo Spada appare palese, dunque, che, secondo questa giurisprudenza comunitaria, il problema della sussistenza del “cntrollo analogo” si risolve in senso affermativo se la mano pubblica possiede il solo requisito della totalità del pacchetto azionario della società affidataria.

Per in house providing (traduzione letterale “gestione in proprio”) si intende quel modello di organizzazione e gestione dei pubblici servizi (erogazione di servizi, forniture, lavori) che le pubbliche amministrazioni adottano attraverso propri organismi, cioè senza ricorrere al libero mercato.

Tale tipo di gestione trova la propria origine nella giurisprudenza comunitaria (vicenda “Teckal” 18.11.1999 in causa C-107/98): la Corte di Giustizia ha delineato le condizioni in base alle quali un’amministrazione aggiudicatrice può procedere all’affidamento di un servizio senza dover ricorrere al previo espletamento di procedure ad evidenza pubblica chiarendo che, ancorché la controparte contrattuale sia un’entità giuridicamente distinta dall’amministrazione aggiudicatrice, ciò può avvenire “qualora l’ente locale (amministrazione aggiudicatrice) eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.

Due sono, pertanto, i criteri cumulativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria atti a giustificare la sottrazione di un servizio all’ambito di operatività delle regole dell’evidenza pubblica: la circostanza che l’affidamento abbia luogo in favore di soggetti che, sebbene giuridicamente distinti dall’amministrazione aggiudicatrice, costituiscano elementi del sistema che a tale amministrazione fanno capo essendo soggetti a “controllo analogo” e il fatto che il destinatario dell’appalto svolga la parte più importante della propria attività in favore dell’amministrazione o delle amministrazioni che la controllano.

Trattasi, quindi, di un modello organizzativo: la pubblica amministrazione si avvale di propri organismi appartenenti all’organizzazione amministrativa che fa loro capo.

Si deve verificare, sostanzialmente, “ una sorta di amministrazione “indiretta”, nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo” (TAR Campania, Sez. I, 30/3/2005 n.2784).

Qualora, poi, la società sia partecipata da più enti pubblici aventi interessi omogenei, per la realizzazione in comune di servizi affidati “in house”, l’attività di controllo deve essere esercitata da detti enti collettivamente (Consiglio di Stato, sez. VI, 6 maggio 2002, n.2418).

Anche il Consiglio di Stato, con l’ordinanza n. 2316 del 22.4.2004, V Sez., con la quale ha sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte di Giustizia, ha espresso l’avviso che, in merito alle condizioni in presenza delle quali è possibile per la pubblica amministrazione ricorrere all’affidamento “in house”, in deroga alle disposizioni di matrice comunitaria, l’amministrazione deve esercitare sulla società controllata un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e che, in concreto, costituisce parte della stessa amministrazione, con la quale deve trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria ed organizzativa.

In definitiva, la società deve essere attributaria di attività amministrative funzionalizzate alla cura di un interesse pubblico (art.1 legge n. 241/1990).

A livello comunitario, le istituzioni sono intervenute assegnando un significato pregnante ai detti criteri.

La Corte di Giustizia, con la sentenza 11.1.2005 c. 26/2003 (Stadt Halle), relativamente ad una fattispecie riguardante l’affidamento diretto a società mista pubblico-privata di un appalto di servizi avente ad oggetto attività di smaltimento rifiuti, ha ribadito che “qualora un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere con un’entità giuridicamente distinta un contratto a titolo oneroso…l’appello alla concorrenza non è obbligatorio…nel caso in cui l’autorità pubblica eserciti sull’entità distinta in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e tale entità realizzi la parte più importante di attività con l’autorità o le autorità pubbliche che la controllano”. Ha escluso il controllo analogo qualora nella società aggiudicataria del servizio una o più imprese private detengano una partecipazione anche minoritaria insieme con l’amministrazione aggiudicatrice.

Successivamente, la Corte di Lussemburgo con la sentenza 21.7.2005 c. 231/03 ha confermato il proprio orientamento affermando che “una società aperta, almeno in parte, al capitale privato…impedisce di considerarla una struttura di gestione ”interna" di un servizio pubblico nell’ambito dei comuni che ne fanno parte". Ha inoltre escluso che una partecipazione “esigua” dell’ente locale nella società affidataria diretta del servizio pubblico possa configurare una forma di controllo tale da “giustificare un eventuale differenza di trattamento” nell’osservanza della normativa comunitaria in materia di appalti.

Sempre in merito al requisito che in concreto deve assumere il “controllo analogo” la Commissione Europea con la comunicazione 26 giugno 2002, diretta al Governo italiano per sollecitare le modificazioni all’art. 113 del Testo Unico degli Enti Locali, come modificato dall’art. 35 l. n. 448/2001, nell’ambito della procedura di infrazione comunitaria aperta per contrasto della disposizione con la normativa e i principi comunitari in materia di appalti e di concorrenza, ha escluso che la sola partecipazione totalitaria dell’amministrazione aggiudicatrice nella società aggiudicataria del servizio possa garantire la situazione di dipendenza organica che normalmente si realizza nell’organizzazione burocratica di una pubblica amministrazione e quindi un “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”.

Sempre nella stessa nota l’Istituzione Europea ha precisato, infatti, che “affinché tale tipo di controllo sussista non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”(punto 34). La Commissione ritiene che per aversi controllo analogo occorre verificare che l’amministrazione controllante eserciti “un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato e che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo”.

Sul contenuto da assegnare al requisito del “controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi” la giurisprudenza amministrativa nazionale ha esplicitato le condizioni affinché il controllo esercitato dalle amministrazioni aggiudicatrici sulle società pubbliche presenti le caratteristiche richieste.

Il Consiglio di Stato, sez VI, n. 168/2005 ha ritenuto che il rapporto di “controllo analogo” è perfezionato allorquando tra amministrazione aggiudicatrice e società aggiudicataria sussista “un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie…”.

Il TAR Campania, sez. I, n. 2784/2005 è dell’avviso che “il soggetto gestore deve sostanzialmente essere configurato come una sorta di longa manus dell’affidante, pur conservando natura distinta e autonoma rispetto all’apparato organizzativo dell’ente: deve, in altri termini, determinarsi una sorta di ”amministrazione indiretta", nella quale la gestione del servizio, in un certo senso, resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sulla attività della società affidataria la quale, a sua volta, è istituzionalmente destinata in modo assorbente ad operare in favore di questo…Si deve dunque verificare se i rapporti organizzativi e funzionali tra ente e società a capitale pubblico siano tali da realizzare in concreto questa assimilazione e tale indagine dovrà incentrarsi sull’esame dell’atto costitutivo e dello statuto della società…".

Analogamente si sono espressi il TAR Friuli Venezia Giulia 15.7.2005 n. 634 e il TAR Sardegna, 2.8.2005 n. 1729, i quali hanno affermato che può ritenersi “raggiunto l’obiettivo di consentire il controllo qualora esista ”una forma penetrante di controllo, che investe non solo gli atti di gestione straordinaria, ma anche, in parte rilevante, la gestione ordinaria e gli organi stessi" della società.

In definitiva, ai sensi della richiamata giurisprudenza, il “controllo analogo” sulla società pubblica affidataria del servizio può ritenersi garantito dalla previsione espressa nell’atto costitutivo e nello statuto della società di stringenti poteri di controllo finanziario e gestionale a favore dell’amministrazione aggiudicatrice. Il controllo deve riguardare le attività fondamentali e di straordinaria amministrazione, il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico assegnati nonchè gli organi della società.

In pratica, a mente della Circolare del Presidente della Giunta Regionale Piemonte del 3 ottobre 2005, n. 4/AMB, tale tipo di controllo si esplicita, in via esemplificativa:

1. nell’obbligo di trasmissione e di preventiva approvazione dei documenti di programmazione e del piano industriale; nella facoltà di modifica degli schemi tipo di contratto di servizio; nel potere di verifica dello stato di attuazione degli obiettivi assegnati anche sotto il profilo della efficacia, efficienza ed economicità.

2. nell’approvazione da parte dell’amministrazione delle deliberazioni societarie di amministrazione straordinaria e degli atti fondamentali della gestione (il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo).

3. nella nomina e revoca di componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società da parte del soggetto controllante.

Deve, però, evidenziarsi che recentemente il Consiglio di Stato, con sentenza n.7345/05 V Sez., depositata in segreteria il 22 dicembre 2005, nello specificare i requisiti che in concreto deve assumere il “controllo analogo” ha cambiato orientamento. Il Supremo Consesso ha ritenuto, per esigenze fondamentali di logica interpretativa, che l’adozione nel diritto comunitario della figura societaria, come strumento alternativo alla prestazione diretta dei servizi pubblici, impone di risolvere il problema del “controllo analogo” secondo un criterio coerente con la peculiarità dell’istituto in questione. Se si effettua l’affidamento diretto ad una società, il servizio dovrà essere gestito da una persona giuridica separata e distinta dall’Amministrazione aggiudicatrice, un ente, cioè, che determina la propria azione mediante gli organi di cui è dotato. Esclude, quindi, l’applicazione di un modulo che riproduca, tra Amministrazione e società affidataria, quella forma di dipendenza che è tipica degli uffici interni all’ente.

Pertanto, per il Consiglio di Stato, l’ente pubblico, o gli enti pubblici, proprietari dell’intero pacchetto delle azioni, sia mediante la nomina degli organi, sia mediante l’approvazione di opportune deliberazioni, sono in condizione di imporre, o meglio, di svolgere, ogni tipo di verifica e di rendiconto, in modo che sia operante la sostanziale identificazione riscontrabile tra il soggetto societario agente e la mano pubblica che le affida il servizio.

E’ tale identificazione che rende compatibile con le regole comunitarie di tutela della concorrenza l’affidamento di un servizio pubblico ad una società privata senza l’adozione delle procedure ad evidenza pubblica.

Il Consiglio di Stato, a sostegno del nuovo orientamento, richiama la sentenza 11 gennaio 2005, n. 2603 in C-26 della Corte di Giustizia, la quale afferma che il possesso dell’intero pacchetto azionario della società da parte della mano pubblica garantisce lo svolgimento del servizio secondo “esigenze proprie del perseguimento di obiettivi di interesse pubblico”.

Per i giudici di Palazzo Spada appare palese, dunque, che, secondo questa giurisprudenza comunitaria, il problema della sussistenza del “cntrollo analogo” si risolve in senso affermativo se la mano pubblica possiede il solo requisito della totalità del pacchetto azionario della società affidataria.