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Ancora sull’abuso del diritto

Abuso del diritto
Abuso del diritto

Quando, nel 1957, dovetti scegliere l’argomento per la mia tesi di laurea in giurisprudenza, proposi al Professor Francesco Santoro-Passarelli l’Abuso del diritto, e la proposta fu accettata. Sapevo che l’approfondimento non mi sarebbe stato molto utile per qualunque carriera avessi voluto intraprendere in futuro, ma l’argomento era troppo intrigante con la sua aria di quasi ossimoro. Infatti, esso ebbe vita tormentata…

 

Come ha ricordato da par suo Giorgio Pino “Nella cultura giuridica italiana, l’interesse per la figura dell’abuso del diritto ha seguito l’incerto andamento di un fiume carsico”.  Attualmente lo stesso è tornato alla superficie sulle pagine della dottrina e delle sentenze. E ancora una volta le recentissime pronunce della Cassazione non hanno mancato di risvegliare dubbi, incertezze e perplessità e, per ultimo, il nostro interesse.

 

Quanto e cosa sopravviva oggi dell’abuso del diritto nel nostro ordinamento è ciò che sperimenteremo di seguito.

La figura, di origine giurisprudenziale prima ancora che normativa, si materializzò, come è noto, fin dal diritto romano che fissò il perentorio principio “qui suo iure utitur neminem laedit”. La formula tuttavia si rivelò nella pratica piuttosto eccessiva, così che intervenne lo jus praetorium a temperare la durezza dello jus civile (“…corrigendi juris civilis gratia”).  Poteva succedere infatti che usando il proprio diritto si danneggiava qualcuno. Successivamente, l’avvento dell’etica cristiana, con la valorizzazione della “intenzione” e il tentativo della moralizzazione del diritto, incise significativamente sulla distinzione tra diritto e giustizia, poi tra diritto positivo e diritto naturale (“natura, id est deus”). Più avanti, con l’alternarsi delle ideologie politiche, il problema si ripropose nelle codificazioni europee, con approfondimenti soprattutto da parte della dottrina francese (per tutti Louis Josserand).

Come è noto, il problema dell’abuso si presenta così: se esercito un mio diritto senza violare la legge, ma per un fine diverso da quello per il quale esso fu attribuito, sono in torto? Due concezioni si fronteggiano e propongono due soluzioni opposte. In torto no, dato che ho esercitato un mio diritto senza violare alcuna legge (concezione illuministica e principio di legalità).  In torto si, dato che, così facendo, ho raggiunto un risultato che la legge non avrebbe consentito se avessi agito rispettandola con lealtà (concezione solidaristica e finalistica). La figura quindi, consiste nell’esercitare un diritto soggettivo in modo o meglio per un fine “distorto” (così fu definito l’abuso).

Secondo la Cassazione infatti  “si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti” (Cass. n. 20106 del1’8.9.2009; Cass. n.17642 del 15.10.2012).

Per   evitare il pericolo di aggiramenti furbeschi di norme e danni ingiustificati senza alcuna  responsabilità, si è posto il dilemma se  inserire nelle  codificazioni una clausola generale di buona fede oppure, per non mettere troppo a repentaglio il  principio di legalità, se prevedere una disciplina ad hoc per ogni singolo caso.  Il nostro codice civile del 1942 scelse, seppure con voci discordanti, questa più prudente strada

Orbene, per quanto attiene al diritto privato, sono a tutti note   le varie singole  “exceptio doli”  previste nei diritti reali, (es. divieto di atti emulativi, articolo 833 codice civile), nei contratti (es. articoli 1175, 1366 e 1375 codice civile) ed in altre situazioni similari.

Anche nell’ambito del diritto processuale emergono casi di abuso del diritto, riscontrabili, ad esempio, nelle cause che si concludono con un accertamento di “lite temeraria”:In tema di responsabilità aggravata, la condanna ex articolo 96, comma 3, codice penalec. presuppone l’accertamento di un fatto illecito, qual è l’“abuso del processo” (Cass. Ordinanza n. 7901 del 30.03.2018; Cass. Ordinanza n. 29812 del 18.11.2019).  E anche “costituisce abuso del diritto di impugnazione, integrante colpa grave, la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente infondati”(Cass. Ordinanza  n. 18512 del 4.9.2020).

Ferma la scelta prudente della nostra codificazione civilistica, la giurisprudenza tuttavia ha spesso esteso, con varie oscillazioni, l’operatività di tale scelta fino a farne un principio generale in forma di clausola implicita da valere nei rapporti di ogni tipo (reali, obbligatori, processuali, ecc.). Cosi Cass. . n.  17642 del 15.10.2012, dove si proclama l’esistenza di un “generale principio etico-giuridico di buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne è un’espressione, che svolge una funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore”.

Non solo, ma si è andati più in là stabilendo l’inefficacia generale dell’abuso del diritto oltre che  per motivi formalistici,  anche per motivi sostanziali  (“abuso oggettivo”),  quali l’aver causato, con azioni formalmente lecite, “sacrifici della controparte” definibili “sproporzionati” e “ingiustificati” (Cass. n. 20106 del 18.9.2009). Ciò si pratica ricorrendo ad una interpretazione alquanto generosa dell’articolo 2 della Costituzione il quale sancisce che i “doveri inderogabili” dei cittadini debbono essere improntati alla “solidarietà politica, economica e sociale”.

Tuttavia, le oscillazioni sono continuate fino alle recenti decisioni delle Sezioni Unite della Cassazione, come dimostrano: Sez. Un. 23726/2007, (operatività di una clausola generale di buona fede) e Sez. Un. 28314/2019 (operatività della singola eccezione di buona fede). 

Tanto per l’ambito del diritto privato. Si è posto poi il problema se un fenomeno che somigliasse all’abuso del diritto poteva essere ravvisato anche nell’ambito del diritto penale e in quello del diritto amministrativo. Quanto al penale, si rileva che numerosissimi reati contengono il termine “abuso” nella formulazione della condotta.  Così, per limitarci a due esempi, citiamo il reato di abuso di mezzi di correzione o disciplina (articolo 571 codice penale)  ed il reato di abuso d’ufficio (articolo 323 codice penale).  Nel primo caso, si tratta di attività che   nascono lecite e diventano illecite quando travalicano un certo limite materiale o morale. Il soggetto ha il diritto di usare mezzi di disciplina e correzione nei confronti di persona a lui affidata per ragione di educazione, istruzione ed altro, ma se fa uso “smodato” di tali mezzi (giudizio di merito) il suo fatto-diritto si muta in fatto-reato, elemento materiale del delitto ex articolo 571 codice penale, ed egli va  incontro alle sanzioni penali, incluse le previste aggravanti.

Circa l’abuso d’ufficio (originariamente “innominato” quale norma di chiusura), pochi reati hanno avuto una malasorte simile a questo, tanto che, a seguito dell’ennesima  modifica  della recentissima legge sulla semplificazione 11 settembre 2020 n. 120 (salvezza per discrezionalità),  autorevole dottrina pensa che si possa parlare addirittura di una sostanziale  abolitio criminis. Come si è visto da questi esempi, la figura dell’abuso del diritto non trova rispondenza nel diritto penale.

Per l’ambito amministrativo, il discorso si fa più complesso. Innanzi tutto, ci si domanda se la Pubblica Amministrazione può compiere abuso del diritto nei confronti dei cittadini. Ipotesi ardua. Si sa che l’attività amministrativa per principio non può emettere atti che siano volti ad uno scopo diverso da quello dell’interesse pubblico per il quale sono stati adottati. Né ci si può limitare al c.d. abuso “oggettivo” poiché occorre sempre verificare la presenza anche dell’abuso “soggettivo” (animus nocendi) che nel settore pubblico ha scarso spazio per introdursi.  Tuttavia, non sono mancati tentativi di accostare l’abuso del diritto al vizio di legittimità  dell’atto discrezionale noto come ”eccesso di potere”, ed in particolare alla sua figura sintomatica dello  sviamento di potere (détournement de pouvoir) consistente  appunto nel  difetto della intenzione. Inoltre, un atto illegittimo perché abusivo ha i suoi sistemi di correzione sia nell’autotutela sia attraverso la propria giurisdizione.

Può, è vero, verificarsi il caso del funzionario infedele che, organo della P.A., spezzato il rapporto organico, rediga un atto che non vada nella direzione dell’interesse pubblico, bensì in quella di un interesse diverso (es. il proprio). L’atto illegittimo della P.A. è in realtà anche atto illecito del funzionario, cosa di cui si occuperà il giudice penale. 

Se ne deve concludere che difficilmente un atto illegittimo per eccesso di potere della P.A. possa presentare comunque una struttura simile a quella dell’abuso del diritto.

Rimane da esaminare l’ipotesi dell’atto del privato diretto alla P.A. che costituisca un uso  malizioso del proprio diritto soggettivo volto ad ottenere dalla P.A. vantaggi non previsti dalla legge. Innanzi tutto, è dubbio che, nel rapporto di diritto pubblico tra i due soggetti, l’atto del privato possa mantenere la  natura del diritto soggettivo, atteso che spesso il diritto soggettivo del privato di fronte all’imponenza della P.A. si affievolisca in interesse legittimo... E poi, la formalizzazione degli atti reciproci ne rende ancora più incerta la configurazione.

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E finalmente riemerge, diremmo inaspettatamente, con la forza della tradizione, la figura dell’abuso del diritto in un settore speciale, un settore che nel tempo ha assunto un rilievo sociale e politico di primo piano. Il settore dei Tributi. È interessante verificare in quale modo l’abuso del diritto si atteggi in questo settore assai diverso da quello della sua origine.

Nella complessa attività relativa alla imposizione fiscale, poiché una parte cospicua di essa si concretizza attraverso propulsioni dei contribuenti, come dichiarazioni o operazioni od altri atti di attivazione privata, l’abuso del diritto, destreggiandosi tra le insufficienze normative, è riuscito ad emergere ancora una volta dal suo fluire carsico.  

Per abuso del diritto in campo tributario si intende l’attività del privato volta ad aggirare norme fiscali e così, senza reali motivazioni economiche e senza violare formalmente le norme stesse, conseguire risparmi non spettanti.

L’abuso del diritto, inserito in una struttura giuridica impropria, pone alcuni importanti problemi.

Il primo: si può dire che il semplice aggiramento delle norme fiscali può o deve essere considerato equivalente alla loro violazione? È esso un comprensibile comportamento diciamo di difesa del contribuente oppure è un agire sleale e opportunistico privo di ogni valore etico-sociale che lo possa esentare dalla responsabilità?

Al quesito lo Stato dà una risposta positiva: con il suo comportamento malizioso il privato “abusa” del  proprio diritto e va sanzionato. Tale considerazione trova, anch’essa conforto nel dettato dell’articolo 2 della Costituzione il quale, come abbiamo visto più sopra, impone al cittadino “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Doveri che sarebbero derogati da comportamenti egoistici e sleali come quelli dell’abuso.

Altro problema: riconosciuta la responsabilità per l’abuso, su quale fondamento giuridico va sanzionato? Esiste cioè una norma, una clausola generale che consenta la sanzionabilità di operazioni che non violano alcuna legge senza incrociare i principi generali del diritto come il principio di legalità (articolo 25, 2 comma Cost., in penale nullum crimen, nulla poena  sine lege)? Infatti, occorre qui ricordare che nel campo dei tributi, il problema  non riguarda il comportamento secondo buona fede o correttezza relazionale o commerciale tra privati. Nel campo dei tributi le norme sono cogenti e una possibile equivalenza tra l’aggiramento e la violazione  in tanto  può affermarsi in quanto vi sia una norma che la sostenga.

Il problema, data la sua generalità, ha interessato anche le istituzioni sopranazionali. L’Unione Europea, sollecitata dai ricorsi provenienti dagli Stati membri e dalle conseguenti sentenze della Corte di Giustizia, se ne è occupata più volte. Per limitarci agli interventi più recenti,  ricordiamo il caso, poco produttivo per la verità, della Carta di Nizza, adottata dalla U. E. nel 2000, una specie di Costituzione vincolante per gli stati firmatari. Nell’ultima parte della Carta, titolata  “Disposizioni generali”,   si trova l’articolo 54 recante la promettente rubrica  “Divieto dell’abuso di diritto”. Ma il testo dell’articolo si rivela  fallace in quanto fa solo divieto (pleonastico) di compiere interpretazioni delle norme contenute nella Carta stessa  in modo tale da stravolgerne i principi  (in questo consisterebbe l’abuso), e nient’altro. All’evidenza, nonostante la rubrica, siamo al di fuori del nostro problema.

Dove invece l’Unione Europea è validamente intervenuta   contro il fenomeno  in esame, è nella “Raccomandazione” della Commissione del 6 dicembre 2012.  In essa  è suggerita una via per arginare quella che definisce la “pianificazione fiscale aggressiva”, dove per “aggressiva” deve intendersi maliziosa o fraudolenta, consistente  “nello sfruttare a proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale o le disparità esistenti fra due o più sistemi fiscali al fine di ridurre l’ammontare dell’imposta dovuta”.  Avverso tale attività, che “sfrutta” insufficienze normative, l’atto comunitario “Raccomanda” agli Stati membri di adottare  norme contenenti sanzioni di natura processuale, di questo tipo: “La costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione e che comporti un vantaggio fiscale, deve essere ignorata”. Ignorata dalla Amministrazione, e quindi inefficace.  Alla Raccomandazione ha fatto seguito la importante Direttiva 2016/1164/UE  Recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno”,   aggiornata dalla Direttiva 2017/952/UE anch’essa di impressionante lunghezza e complessità. Tali atti indicano agli Stati membri  le possibili iniziative di contrasto  nei confronti della aggressività dell’abuso.  Una nota sentenza della Corte di Giustizia  (Halifax sent. n. 255/02) ha riconosciuto natura generale al divieto normativo dell’atto legittimo ma diretto a scopi impropri (abusivo), tracciando un percorso poi seguito da ulteriori provvedimenti.

Nel nostro ordinamento interno, l’abuso del diritto, visto nell’ottica del diritto tributario, ha avuto svariate elaborazioni. Fondamentale è l’articolo 37 bis  del  DPR n. 600  del 1973, aggiornato il 24.12.2007 n. 244. Esso  sancisce al comma 1 il divieto dell’abuso del diritto: premettendone la relativa sanzione processuale  “Sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”.

La Cassazione ha ritenuto che un siffatto divieto possa legittimamente  tradursi nella invocata  clausola generale stabilendo che   “In materia tributaria il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antiuelusivo il cui fondamento si rinviene nell’articolo 37 bis  DPR n. 600 del 1973, che consente all’Amministrazione finanziaria di disconoscere e dichiarare inopponibili le operazioni e gli atti in sé privi di valide ragioni economiche e diretti al solo scopo di conseguire vantaggi fiscali diversamente non spettanti. (Cass. n. 34750 del 31.12.2019, Cass. n. 15510 del 21.7. 2020).

La soluzione della giurisprudenza si fonda anche su precisi riferimenti costituzionali. Naturalmente l’articolo 53  per il quale Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.  

Articolo a sua volta collegato al già  ricordato articolo 2 Cost. (solidarietà sociale). In questo modo, il principio politico si trasfonde nel dovere  giuridico di contribuire alle spese della comunità secondo criteri costituzionalmente prestabiliti (generalità e progressività). L’aspetto alternativo, individualistico e liberale, che si vuole far discendere dall’articolo 41 della Costituzione (libertà della iniziativa economica privata), deve cedere di fonte alle esigenze  primarie della vita delle comunità.

Ulteriore intervento legislativo si è avuto con il Decreto legislativo 5.8.2015 n. 128, che ha inserito nel corpo dello “Statuto dei Diritti del Contribuente” (legge  27.7.2000 n. 212 dal percorso tormentato: l’articolo 3 ha subito 22 aggiornamenti…), l’articolo 10 bis, oggi cardine dello stato giuridico di cui trattiamo. La norma  sottolinea un importante concetto: l’abuso del diritto in ambito tributario  ha assunto la veste propria della “elusione”.  Ed infatti la rubrica reca un eloquente segnale (vero che Rubrica legis non est lex, ma…),  e cioè “Disciplina dell’abuso del diritto o dell’elusione fiscale”. L’importanza sta nella  disgiuntiva “o” che in questo caso è vel e non aut e che  riconosce legislativamente l’equiparazione tra l’abuso del diritto e la figura tipica della  elusione,  del medesimo contenuto ma in forma assai meno problematica.

È stato rilevato, inoltre,  come l’inserimento dell’articolo10 bis nel corpo dello “Statuto dei Diritti del Contribuente” abbia avuto l’effetto collaterale di confermare l’estensione interpretativa generalizzante decisa dalla Cassazione, considerato che lo Statuto riguarda la disciplina di ogni e qualunque i tipo di imposizione fiscale, erariale,  locale, ecc.

Ed ancora. A norma del comma 13 dell’articolo 10 bis, la  penalità del  contribuente di cui si ha prova (onere in parte della P.A. Cass. Ordinanza  n. 9610 del 13/04/2017) dell’abuso, è stata attenuata. Infatti, oggi l’autore del comportamento malizioso non sarà più sottoposto a sanzione penale, ritenendo la recente legge sufficiente applicare le previste sanzioni amministrative con annessi e connessi. Con il che si è  disposta la depenalizzazione dell’abuso del diritto  in ambito tributario.

È noto ancora come, nel corso del  procedimento comunitario Halifax, già da noi ricordato,   avanti alla Corte di  Lussemburgo del 2006, dove si trattava  espressamente dell’abuso   diritto in campo fiscale (IVA),  è stato eccepito, alquanto provocatoriamente, che “la legge non impone di gestire  gli affari nel modo che si assicuri allo Stato il maggior gettito fiscale possibile”. Ma la  Corte non si è fatta impressionare e, sulla scorta delle varie disposizioni  normative,   ha riconosciuto  l’esistenza di un generale principio antielusivo alla luce del quale “il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto del proprio diritto”, ed ha deciso per la   illiceità dell’atto fraudolento (abusivo) contenenteoperazioni che hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale“.

La Cassazione in proposito ha fatto un passo avanti verso una ragionevolezza maggiore ritenendo,  proprio “conformemente alla raccomandazione n. 2012/772/UE”  di poter escludere il carattere di  elusività nel caso di una operazione caratterizzata anche da una semplice “compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali”(Cass. 2.3.2020 n. 5644).

In conclusione, a nostro parere esisterebbe un modo per semplificare le non poche complicazioni che accompagnano l’abuso del diritto nell’ambito tributario, a partire dalla legittimità stessa della sua presenza in  detto settore.

Ebbene, sarebbe sufficiente, per ottenere chiarezza formale e sostanziale,  espungere del tutto la locuzione “abuso del diritto” dall’intero comparto tributario e sostituirla ovunque con il termine più perspicuo e appropriato di “elusione”, consustanziale ed equiparato, come si è visto, anche legislativamente dal citato articolo 10 bis. E di conseguenza riservare la figura dell’abuso del diritto all’ambito da  cui ha avuto la sua origine, e cioè al campo del diritto privato.