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Libertà d’espressione, ingiuria, diffamazione in internet e tutela del cittadino.

Un breve panorama giurisprudenziale

§ 1. Premessa. Il rapporto tra esseri umani non conosce solo aspetti positivi di reciproco sostegno, socializzazione, amicizia ed, eventualmente, amore: ingiuria, diffamazione e minacce sono fattispecie antiche come il mondo. Tuttavia l’esistenza di internet e la sua crescente importanza nella vita quotidiana di milioni di individui pongono nuovi problemi.

Mediante questo mezzo l’ingiuria e la diffamazione hanno la possibilità di “globalizzarsi”: fatte salve le barriere linguistiche, un’ingiuria postata a Roma su un sito internet può essere letta a Pechino o a Sidney. Se poi il potenziale lettore non ha un corredo di conoscenze tali da fargli discernere un’informazione autentica da una diffamatoria, il fatto o il detto attribuito ad un personaggio più o meno noto ovvero ad una società possono contribuire, nell’idea del nostro lettore d’oltreoceano, a costruire l’immagine del personaggio diffamato.

§ 2. Libertà di pensiero, ingiuria e satira. Non sempre, nelle situazioni che ogni giorno coinvolgono soggetti noti e non, è semplice discernere l’illecito dalla libera manifestazione del pensiero. Tuttavia la riflessione su tale discrimine è, da sempre, notevolmente copiosa. Autorevole dottrina (Ferri, Tutela della persona e diritto di cronaca, 1984, pag. 618) afferma che “nell’ideale braccio di ferro tra l’art. 21 Cost. (che tutela la libertà di manifestazione del pensiero) e l’art. 2 Cost. (che afferma il valore, centrale nel nostro sistema giuridico, della persona umana) si debba dare prevalenza alla tutela della persona”. In presenza di un numero esiguo di pronunce giurisprudenziali nel nostro paese che concernano direttamente il mezzo ‘internet’, con i suoi strumenti quali siti web, blog, forum, social network ecc., per far chiarezza nella fattispecie della libera manifestazione del pensiero, soccorrono le pronunce consolidate che la Cassazione ha formulato in materia di stampa. L’estensione non sembra illegittima o arbitraria, laddove si voglia comprendere quali siano i presupposti di una legittima estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, senza che ricorra ingiuria e/o diffamazione. Orbene su tale punto ritiene la Suprema Corte che ci si muova nell’ambito della libertà di pensiero, laddove ricorrano i seguenti requisiti: “a) l’interesse al racconto, ravvisabile quando anche non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione; b) la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la cd. continenza, nel senso che l’informazione di stampa non deve trasmodare in "argumenta ad hominem" né assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l’oggettiva verità del racconto” (Cass. civ. Sez. III, 18-10-2005, n. 20140).

Alla stregua di tali considerazioni, secondo la giurisprudenza di merito anche il diritto alla critica, essenziale alla funzione democratica, può e deve trovare un limite nella motivazione delle opinioni. Pertanto qualsiasi scritto relativo all’operato altrui, “contenente mere espressioni negative ed offensive, avulse da qualsiasi motivazione del dissenso espresso, non costituisce esercizio del diritto di critica, ma configura il reato di diffamazione aggravata (Trib. Verona, 29.06.1991).

Ulteriori problematiche suscita la rilevanza ed il carattere pubblico del personaggio (o della società) che sia eventualmente oggetto di dileggio: in tali circostanze sussiste un c. d. “diritto alla satira” e, se si, quali sono i limiti cui lo stesso è assoggettato? Con più pronunce precise e concordi, la S. C. ha delineato i limiti cui la satira è sottoposta. Ed invero secondo la Cassazione: “l’offesa personale non può in alcun modo essere legittimata invocando l’esercizio della "satira". Questa, infatti, può avere certamente intenti polemici, ma, per essere legittima, deve essere comunque intesa a sferzare i vizi, le abitudini e le concezioni delle persone (…) ma non può considerarsi satirico un insulto gratuito, fondato su luoghi comuni e privo di qualsiasi aggancio con la reale condotta della persona criticata” (Cass. pen. Sez. V, 12-10-2004, n. 42643). Analogamente a quanto asserito in materia di diffamazione a mezzo stampa “se può affermarsi, in via di principio, che l’aperta inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica esclude la loro capacità di offendere la reputazione e dunque che la satira è incompatibile col metro della verità, essa non si sottrae invece al limite della continenza, poiché comunque rappresenta una forma di critica caratterizzata da particolari mezzi espressivi. Ne consegue che, come ogni altra critica, la satira non sfugge al limite della correttezza, onde non può essere invocata la scriminante ex art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo e dileggio. (…) la satira stessa, al pari di qualsiasi altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica” (Cass. pen. Sez. V, 02-12-1999, n. 2128). In ogni caso la S. C. ha chiarito che, seppur sussiste un diritto di satira, distinto da quello di cronaca e di critica, espressione artistica come tale non soggetta agli schemi razionali della verifica critica ed ai consueti parametri di correttezza dell’espressione, tuttavia la stessa “al pari di ogni altra manifestazione del pensiero non può superare, peraltro, il limite del rispettivo dei valori fondamentali della persona, esponendo al disprezzo la stessa” (Cass. pen. Sez. V, 20-10-1998, n. 13563). Infine, a giudizio della Cassazione, può ritenersi che “nessuna giustificazione può riconoscersi di fronte ad una situazione che certamente ed inequivocabilmente eccede dalla semplice satira, dall’indirizzo ironico, dall’umorismo, per trasmodare in vera contumelia e in concreta denigrazione” (Cass. pen. Sez. V, 20-01-1992).

§ 3. Mezzi di tutela. Di quali mezzi concreti, dal punto di vista giuridico, dispone nel nostro ordinamento chi si sente colpito da espressioni ingiuriose, diffamatorie o minacciose su un sito internet, un forum o un blog?

È ovvio che, nel caso di specie, l’immediato interesse della persona (sia essa fisica o giuridica) consista nella cancellazione in tempi rapidi delle espressioni ingiuriose e/o diffamatorie e minacciose.

È ben noto che il processo civile contempla un mezzo che mira a dare una tutela effettiva ad un diritto che possa essere pregiudicato dalle lungaggini dei tempi ordinari di giudizio, ovvero il procedimento cautelare. Senza addentrarsi nel discorso della struttura di tale processo, basterà evidenziare che per invocare la tutela anticipata di un diritto occorre che sussistano due condizioni: la prima consiste nel pericolo del danno che potrebbe verificarsi per il ritardo del provvedimento definitivo a causa della lentezza del procedimento ordinario (ovvero il periculum in mora) e la seconda nella probabile esistenza del diritto, o fumus boni iuris, che il magistrato adito accerterà mediante una cognizione sommaria. Il provvedimento che definisce un tale tipo di processo di norma ha un’efficacia limitata nel tempo, in quanto destinato ad essere sostituito da un provvedimento definitivo, ed è comunque sempre passibile di reclamo innanzi ad un’Autorità giudiziaria diverso da quello che lo ha emesso.

Nella materia oggetto della presente riflessione quando potrebbe ricorrere il presupposto del pericolo nel ritardo? Secondo un indirizzo giurisprudenziale di merito “in caso di messaggi diffamatori collocati su pagine web accessibili da Internet, ricorre l’ipotesi ai diffamazione solo nel momento in cui si prova che vi siano stati accessi al sito mediante il quale vengono diffuse le affermazioni lesive della reputazione” (Trib. Teramo, 06-02-2002).

Pertanto laddove si abbia un incremento del numero di messaggi pregiudizievoli pubblicati su un sito internet, ovvero sia documentabile un accresciuto numero di visite a siti contenenti ingiurie (spesso dotati di ‘contatori di presenze’ preinstallati), siffatta situazione esporrà il soggetto di tali messaggi al dileggio, al discredito ed al ludibrio. Pregiudizio che andrà valutato con estrema celerità da parte del Giudice della cautela in quanto, secondo la Suprema Corte “l’utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta "erga omnes", pertanto integra il reato di diffamazione aggravata” (Cass. pen. Sez. V, 17-11-2000, n. 4741).

Chiaramente il periculum in mora sarà maggiormente amplificato nel caso l’oggetto delle contumelie sia un pubblico personaggio, noto alla generalità dei cittadini almeno in un ambito territoriale locale.

In relazione alla probabile esistenza del diritto, la stessa deve ritenersi sussistente ogni qual volta il soggetto sia facilmente ed univocamente individuato o individuabile senza arbitrarie operazioni interpretative. Onore, decoro, reputazione ecc. sono intimamente connessi all’individuo in quanto tale e la sussistenza di tali diritti non richiede una particolare prova, in particolare in un procedimento quale quello cautelare, caratterizzato da una cognizione necessariamente sommaria. In relazione al problema della competenza territoriale, ovvero quale sia il foro ove andrà proposta l’azione cautelare, deve registrarsi una pronuncia della Cassazione, la quale ha stabilito che “in caso di obbligazione risarcitoria ex artt. 2043 e 2059 c.c. conseguenti a diffamazione posta in essere via Internet (…), il foro competente ai sensi dell’art. 20 c. p. c. è quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, in quanto essendo la sede principale dei propri affari ed interessi è questo il luogo in cui le conseguenze negative dell’illecito diffamatorio si producono in misura più rilevante” (Cass. civ. Sez. III (Ord.), 08-05-2002, n. 6591).

Infine un problema di fondo, probabilmente il più spinoso dell’intera questione: nel caso in cui venga adito un tribunale nei confronti di chi dovrà essere richiesto il provvedimento? Posto che una delle caratteristiche salienti di internet è quello di essere un mondo aperto ad apporti esterni, chi sarà il legittimato passivo in un procedimento cautelare volto ad ottenere la rimozione di asserzioni ingiuriose e/o diffamatorie, di norma redatte (e non potrebbe essere altrimenti) da ignoti coperti dall’usbergo dell’anonimato? Secondo la costante, ma non copiosa giurisprudenza e dottrina su casi analoghi, il controllo sui contenuti di un sito internet, anche nei casi in cui allo stesso siano apportabili materiali scritti da terzi, compete al responsabile del sito ed al provider. A tale orientamento si allinea, ad esempio, il Tribunale di Napoli, laddove ritiene che “in caso di diffamazione consumata mediante i contenuti di un sito Internet, sussiste la responsabilità concorrente del "provider", ancorché quest’ultimo si sia limitato semplicemente ad ospitare sui propri "server" il contenuto delle pagine "web" predisposti dal cliente, ai sensi dell’art. 18 l. n. 675 del 1996, che estende la regola di cui all’art. 2050 c.c. a colui che tratta dati personali” (Trib. Napoli, 08-07-2002). Individuati secondo questo criterio i soggetti nei confronti dei quali dovrebbe essere emesso il provvedimento, sorge una complicazione: numerosi “provider” si trovano all’estero, come parimenti le società di gestione di molti blog, social network o chat.

In questi casi, a giudizio dello scrivente, potrebbe soccorrere il disposto del terzo comma dell’art. 669-ter codice di procedura civile. Lo stesso in rubrica reca “competenza anteriore alla causa” e, al terzo comma citato, recita “Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare”. Un richiamo a tale norma è contenuto nel successivo art. 669-quater quinto comma, a tenore del quale “Se la causa pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, si applica il terzo comma dell’articolo 669-ter”. Una lettura estensiva di tali norme indurrebbe a ritenere che a) anteriormente all’avvio di una causa che rientra nella cognizione del giudice estero, ben sia possibile per un soggetto italiano richiedere la tutela cautelare al giudice italiano, che dovrebbe essere individuato in quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, secondo l’ordinanza della Cassazione sopra rammentata ovvero b) laddove penda una causa dinanzi al giudice straniero e quello italiano non sia competente a conoscere tale giudizio, il provvedimento cautelare potrà essere richiesto al giudice italiano. In ragione dei problemi sottesi ad una materia tanto complessa, tuttavia, sarebbe auspicabile l’adozione di una convenzione internazionale, che consenta al cittadino all’interno del proprio stato d’appartenenza, una tutela efficace di fronte a situazioni che, purtroppo, potrebbero essere destinate a presentarsi esponenzialmente alla crescita del mezzo internet.

Avv. Vincenzo Grimaldi

§ 1. Premessa. Il rapporto tra esseri umani non conosce solo aspetti positivi di reciproco sostegno, socializzazione, amicizia ed, eventualmente, amore: ingiuria, diffamazione e minacce sono fattispecie antiche come il mondo. Tuttavia l’esistenza di internet e la sua crescente importanza nella vita quotidiana di milioni di individui pongono nuovi problemi.

Mediante questo mezzo l’ingiuria e la diffamazione hanno la possibilità di “globalizzarsi”: fatte salve le barriere linguistiche, un’ingiuria postata a Roma su un sito internet può essere letta a Pechino o a Sidney. Se poi il potenziale lettore non ha un corredo di conoscenze tali da fargli discernere un’informazione autentica da una diffamatoria, il fatto o il detto attribuito ad un personaggio più o meno noto ovvero ad una società possono contribuire, nell’idea del nostro lettore d’oltreoceano, a costruire l’immagine del personaggio diffamato.

§ 2. Libertà di pensiero, ingiuria e satira. Non sempre, nelle situazioni che ogni giorno coinvolgono soggetti noti e non, è semplice discernere l’illecito dalla libera manifestazione del pensiero. Tuttavia la riflessione su tale discrimine è, da sempre, notevolmente copiosa. Autorevole dottrina (Ferri, Tutela della persona e diritto di cronaca, 1984, pag. 618) afferma che “nell’ideale braccio di ferro tra l’art. 21 Cost. (che tutela la libertà di manifestazione del pensiero) e l’art. 2 Cost. (che afferma il valore, centrale nel nostro sistema giuridico, della persona umana) si debba dare prevalenza alla tutela della persona”. In presenza di un numero esiguo di pronunce giurisprudenziali nel nostro paese che concernano direttamente il mezzo ‘internet’, con i suoi strumenti quali siti web, blog, forum, social network ecc., per far chiarezza nella fattispecie della libera manifestazione del pensiero, soccorrono le pronunce consolidate che la Cassazione ha formulato in materia di stampa. L’estensione non sembra illegittima o arbitraria, laddove si voglia comprendere quali siano i presupposti di una legittima estrinsecazione della libera manifestazione del pensiero, senza che ricorra ingiuria e/o diffamazione. Orbene su tale punto ritiene la Suprema Corte che ci si muova nell’ambito della libertà di pensiero, laddove ricorrano i seguenti requisiti: “a) l’interesse al racconto, ravvisabile quando anche non si tratti di interesse della generalità dei cittadini, ma di quello generale della categoria di soggetti ai quali, in particolare, si indirizza la pubblicazione; b) la correttezza formale e sostanziale dell’esposizione dei fatti, nel che propriamente si sostanzia la cd. continenza, nel senso che l’informazione di stampa non deve trasmodare in "argumenta ad hominem" né assumere contenuto lesivo dell’immagine e del decoro; c) la corrispondenza tra la narrazione ed i fatti realmente accaduti, nel senso che deve essere assicurata l’oggettiva verità del racconto” (Cass. civ. Sez. III, 18-10-2005, n. 20140).

Alla stregua di tali considerazioni, secondo la giurisprudenza di merito anche il diritto alla critica, essenziale alla funzione democratica, può e deve trovare un limite nella motivazione delle opinioni. Pertanto qualsiasi scritto relativo all’operato altrui, “contenente mere espressioni negative ed offensive, avulse da qualsiasi motivazione del dissenso espresso, non costituisce esercizio del diritto di critica, ma configura il reato di diffamazione aggravata (Trib. Verona, 29.06.1991).

Ulteriori problematiche suscita la rilevanza ed il carattere pubblico del personaggio (o della società) che sia eventualmente oggetto di dileggio: in tali circostanze sussiste un c. d. “diritto alla satira” e, se si, quali sono i limiti cui lo stesso è assoggettato? Con più pronunce precise e concordi, la S. C. ha delineato i limiti cui la satira è sottoposta. Ed invero secondo la Cassazione: “l’offesa personale non può in alcun modo essere legittimata invocando l’esercizio della "satira". Questa, infatti, può avere certamente intenti polemici, ma, per essere legittima, deve essere comunque intesa a sferzare i vizi, le abitudini e le concezioni delle persone (…) ma non può considerarsi satirico un insulto gratuito, fondato su luoghi comuni e privo di qualsiasi aggancio con la reale condotta della persona criticata” (Cass. pen. Sez. V, 12-10-2004, n. 42643). Analogamente a quanto asserito in materia di diffamazione a mezzo stampa “se può affermarsi, in via di principio, che l’aperta inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica esclude la loro capacità di offendere la reputazione e dunque che la satira è incompatibile col metro della verità, essa non si sottrae invece al limite della continenza, poiché comunque rappresenta una forma di critica caratterizzata da particolari mezzi espressivi. Ne consegue che, come ogni altra critica, la satira non sfugge al limite della correttezza, onde non può essere invocata la scriminante ex art. 51 c.p. per le attribuzioni di condotte illecite o moralmente disonorevoli, gli accostamenti volgari o ripugnanti, la deformazione dell’immagine in modo da suscitare disprezzo e dileggio. (…) la satira stessa, al pari di qualsiasi altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona al disprezzo e al ludibrio della sua immagine pubblica” (Cass. pen. Sez. V, 02-12-1999, n. 2128). In ogni caso la S. C. ha chiarito che, seppur sussiste un diritto di satira, distinto da quello di cronaca e di critica, espressione artistica come tale non soggetta agli schemi razionali della verifica critica ed ai consueti parametri di correttezza dell’espressione, tuttavia la stessa “al pari di ogni altra manifestazione del pensiero non può superare, peraltro, il limite del rispettivo dei valori fondamentali della persona, esponendo al disprezzo la stessa” (Cass. pen. Sez. V, 20-10-1998, n. 13563). Infine, a giudizio della Cassazione, può ritenersi che “nessuna giustificazione può riconoscersi di fronte ad una situazione che certamente ed inequivocabilmente eccede dalla semplice satira, dall’indirizzo ironico, dall’umorismo, per trasmodare in vera contumelia e in concreta denigrazione” (Cass. pen. Sez. V, 20-01-1992).

§ 3. Mezzi di tutela. Di quali mezzi concreti, dal punto di vista giuridico, dispone nel nostro ordinamento chi si sente colpito da espressioni ingiuriose, diffamatorie o minacciose su un sito internet, un forum o un blog?

È ovvio che, nel caso di specie, l’immediato interesse della persona (sia essa fisica o giuridica) consista nella cancellazione in tempi rapidi delle espressioni ingiuriose e/o diffamatorie e minacciose.

È ben noto che il processo civile contempla un mezzo che mira a dare una tutela effettiva ad un diritto che possa essere pregiudicato dalle lungaggini dei tempi ordinari di giudizio, ovvero il procedimento cautelare. Senza addentrarsi nel discorso della struttura di tale processo, basterà evidenziare che per invocare la tutela anticipata di un diritto occorre che sussistano due condizioni: la prima consiste nel pericolo del danno che potrebbe verificarsi per il ritardo del provvedimento definitivo a causa della lentezza del procedimento ordinario (ovvero il periculum in mora) e la seconda nella probabile esistenza del diritto, o fumus boni iuris, che il magistrato adito accerterà mediante una cognizione sommaria. Il provvedimento che definisce un tale tipo di processo di norma ha un’efficacia limitata nel tempo, in quanto destinato ad essere sostituito da un provvedimento definitivo, ed è comunque sempre passibile di reclamo innanzi ad un’Autorità giudiziaria diverso da quello che lo ha emesso.

Nella materia oggetto della presente riflessione quando potrebbe ricorrere il presupposto del pericolo nel ritardo? Secondo un indirizzo giurisprudenziale di merito “in caso di messaggi diffamatori collocati su pagine web accessibili da Internet, ricorre l’ipotesi ai diffamazione solo nel momento in cui si prova che vi siano stati accessi al sito mediante il quale vengono diffuse le affermazioni lesive della reputazione” (Trib. Teramo, 06-02-2002).

Pertanto laddove si abbia un incremento del numero di messaggi pregiudizievoli pubblicati su un sito internet, ovvero sia documentabile un accresciuto numero di visite a siti contenenti ingiurie (spesso dotati di ‘contatori di presenze’ preinstallati), siffatta situazione esporrà il soggetto di tali messaggi al dileggio, al discredito ed al ludibrio. Pregiudizio che andrà valutato con estrema celerità da parte del Giudice della cautela in quanto, secondo la Suprema Corte “l’utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è azione idonea a ledere il bene giuridico dell’onore nonché potenzialmente diretta "erga omnes", pertanto integra il reato di diffamazione aggravata” (Cass. pen. Sez. V, 17-11-2000, n. 4741).

Chiaramente il periculum in mora sarà maggiormente amplificato nel caso l’oggetto delle contumelie sia un pubblico personaggio, noto alla generalità dei cittadini almeno in un ambito territoriale locale.

In relazione alla probabile esistenza del diritto, la stessa deve ritenersi sussistente ogni qual volta il soggetto sia facilmente ed univocamente individuato o individuabile senza arbitrarie operazioni interpretative. Onore, decoro, reputazione ecc. sono intimamente connessi all’individuo in quanto tale e la sussistenza di tali diritti non richiede una particolare prova, in particolare in un procedimento quale quello cautelare, caratterizzato da una cognizione necessariamente sommaria. In relazione al problema della competenza territoriale, ovvero quale sia il foro ove andrà proposta l’azione cautelare, deve registrarsi una pronuncia della Cassazione, la quale ha stabilito che “in caso di obbligazione risarcitoria ex artt. 2043 e 2059 c.c. conseguenti a diffamazione posta in essere via Internet (…), il foro competente ai sensi dell’art. 20 c. p. c. è quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, in quanto essendo la sede principale dei propri affari ed interessi è questo il luogo in cui le conseguenze negative dell’illecito diffamatorio si producono in misura più rilevante” (Cass. civ. Sez. III (Ord.), 08-05-2002, n. 6591).

Infine un problema di fondo, probabilmente il più spinoso dell’intera questione: nel caso in cui venga adito un tribunale nei confronti di chi dovrà essere richiesto il provvedimento? Posto che una delle caratteristiche salienti di internet è quello di essere un mondo aperto ad apporti esterni, chi sarà il legittimato passivo in un procedimento cautelare volto ad ottenere la rimozione di asserzioni ingiuriose e/o diffamatorie, di norma redatte (e non potrebbe essere altrimenti) da ignoti coperti dall’usbergo dell’anonimato? Secondo la costante, ma non copiosa giurisprudenza e dottrina su casi analoghi, il controllo sui contenuti di un sito internet, anche nei casi in cui allo stesso siano apportabili materiali scritti da terzi, compete al responsabile del sito ed al provider. A tale orientamento si allinea, ad esempio, il Tribunale di Napoli, laddove ritiene che “in caso di diffamazione consumata mediante i contenuti di un sito Internet, sussiste la responsabilità concorrente del "provider", ancorché quest’ultimo si sia limitato semplicemente ad ospitare sui propri "server" il contenuto delle pagine "web" predisposti dal cliente, ai sensi dell’art. 18 l. n. 675 del 1996, che estende la regola di cui all’art. 2050 c.c. a colui che tratta dati personali” (Trib. Napoli, 08-07-2002). Individuati secondo questo criterio i soggetti nei confronti dei quali dovrebbe essere emesso il provvedimento, sorge una complicazione: numerosi “provider” si trovano all’estero, come parimenti le società di gestione di molti blog, social network o chat.

In questi casi, a giudizio dello scrivente, potrebbe soccorrere il disposto del terzo comma dell’art. 669-ter codice di procedura civile. Lo stesso in rubrica reca “competenza anteriore alla causa” e, al terzo comma citato, recita “Se il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, la domanda si propone al giudice, che sarebbe competente per materia o valore, del luogo in cui deve essere eseguito il provvedimento cautelare”. Un richiamo a tale norma è contenuto nel successivo art. 669-quater quinto comma, a tenore del quale “Se la causa pende davanti al giudice straniero, e il giudice italiano non è competente a conoscere la causa di merito, si applica il terzo comma dell’articolo 669-ter”. Una lettura estensiva di tali norme indurrebbe a ritenere che a) anteriormente all’avvio di una causa che rientra nella cognizione del giudice estero, ben sia possibile per un soggetto italiano richiedere la tutela cautelare al giudice italiano, che dovrebbe essere individuato in quello del luogo in cui il danneggiato ha il proprio domicilio, secondo l’ordinanza della Cassazione sopra rammentata ovvero b) laddove penda una causa dinanzi al giudice straniero e quello italiano non sia competente a conoscere tale giudizio, il provvedimento cautelare potrà essere richiesto al giudice italiano. In ragione dei problemi sottesi ad una materia tanto complessa, tuttavia, sarebbe auspicabile l’adozione di una convenzione internazionale, che consenta al cittadino all’interno del proprio stato d’appartenenza, una tutela efficace di fronte a situazioni che, purtroppo, potrebbero essere destinate a presentarsi esponenzialmente alla crescita del mezzo internet.

Avv. Vincenzo Grimaldi