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Chat group e responsabilità dei gestori e dei moderatori: prime riflessioni

Abstract:

Nell’era delle nuove tecnologie e delle forme di comunicazione diretta ed immediata che internet consente, è configurabile una qualche responsabilità delle società di gestione di servizi quali le chat group od i social network per le ipotesi di comportamenti antigiuridici degli utenti? Su questo quesito si sviluppa la presente riflessione, riconducendo tale responsabilità al tradizionale istituto della responsabilità oggettiva da cosa in custodia.

§1. Premessa. Il fenomeno della cosiddette “group chat” ha acquisito notevole rilevanza parallelamente allo sviluppo ed alla diffusione di Internet. Con il termine group chat ordinariamente si designano quei servizi idonei a mettere in comunicazione “centinaia di persone allo stesso momento, in quanto i messaggi vengono inviati a tutte le persone che in quel momento sono collegate al gruppo (solitamente chiamato canale o stanza). I canali si possono differenziare per i loro contenuti tematici e per la lingua usata dai loro utenti” (1).

Uno strumento con tante potenzialità positive può anche contenere pericoli, tanto è vero che il richiamato lemma di Wikipedia prosegue elencando “i pericoli maggiori in cui può cadere un utente della chat” (2), consistenti in “virus, furto dati personali e lesione della privacy, adescamenti e truffe”. A questi pericoli potremmo aggiungerne altri, quali l’ingiuria, attuata mediante la pubblicazione di insulti diretti ad uno o più utenti, la diffamazione (che, ai sensi dell’art. 595 del codice penale, consiste nell’offesa all’altrui reputazione comunicando con altre persone), la molestia. La possibilità di consumazione dei suddetti reati è ancor più ampliata dalla tendenza, propria di talune chat, di assicurare all’utente la possibilità di pubblicare album fotografici e testi personalizzati, con lo scopo di presentare un sommario profilo biografico e dei gusti dell’utente (3). Oggi sempre più chat, al fine di predisporre un argine a tali pericoli, tendono a richiedere preventivamente al fruitore l’adesione ad un codice di comportamento (c. d. chatiquette) ed a preporre al rispetto di tale codice dei moderatori.

Tali scelte si rivelano, alla prova dei fatti più o meno incisive al fine di prevenire o reprimere i pericoli sopra cennati. Di fronte, tuttavia, all’ampiezza e rilevanza che talune condotte antigiuridiche stanno assumendo nelle group chat (4) è configurabile una responsabilità della società di gestione e/o dei moderatori? In caso di risposta positiva, in quale misura?

§ 2. Responsabilità personale, responsabilità civile e responsabilità oggettiva. Beninteso, un caposaldo fondamentale della presente riflessione è il principio della personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 della Costituzione. È pacifico che, nel caso di utilizzo improprio di una chat group per ingiuriare o diffamare taluno all’interno di un canale (o stanza) ovvero per carpire dati personali o diffondere virus , della condotta posta in essere dovrà penalmente rispondere l’autore del fatto illecito. Ciò chiaramente nella consapevolezza (ma non impossibilità) delle difficoltà per la parte lesa di rintracciare chi commetta questo tipo di reati dal personal computer nell’anonimato della propria casa. Il problema, semmai, si pone sotto il profilo civilistico in ipotesi tutt’altro che scolastiche ma concrete (5): nel caso in cui, attraverso la sistematica ripetizione di condotte anti giuridiche, nonché di pubblicazione di immagini e testi lesivi del decoro, della reputazione ovvero della onorabilità di un altro utente, non si registri l’intervento repressivo dei moderatori, preposti al rispetto dei codici di condotta interni (le c. d. chatiquette), ovvero questo intervento sia tardivo, questa omissione avrà rilevanza nel nostro ordinamento, soprattutto sotto il profilo civilistico del risarcimento del danno?

Ad avviso dello scrivente, ed in assenza di pronunce giurisprudenziali sullo specifico tema (peraltro solo di recente affacciatosi agli onori della cronaca), la responsabilità delle società di gestione di chat group e degli eventuali moderatori ad esse preposte, nell’ipotesi del verificarsi dei fatti sopra indicati, sarebbe da ricondursi sotto il dettato dell’art. 2051 del codice civile. Lo stesso recita “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. A prima vista potrebbe apparire discutibile la classificazione di una entità come una chat, apparentemente immateriale, quale “cosa”. Tuttavia l’art. 810 del codice civile definisce beni le “cose che possono formare oggetto di diritti”. Tale definizione è di per sé idonea a comprendere anche i beni immateriali, consistenti “in un’idea, intesa come risultato di un processo creativo anche elementare” (6) . Né vi sono dubbi, nell’epoca della c. d. net economy che un’entità come una chat possa formare oggetto di diritti, dal momento che il programma ed i segni distintivi di essa ben possono essere alienati, ceduti nell’ambito di un compendio aziendale, concessi in comodato ecc.

Il richiamato art. 2051 del codice civile disciplina un’ipotesi di c. d. responsabilità oggettiva. Tali casi sono tassativamente previsti dalla legge: in queste ipotesi “un soggetto risponde per i danni a prescindere dal fatto che essi derivino causalmente da un suo personale comportamento e dunque a prescindere dalla colpa o dal dolo” (7) . La ragione di una tale previsione dell’ordinamento è efficacemente sintetizzata da Trabucchi, secondo il quale “chi trae vantaggio da una situazione risponde anche degli svantaggi: ubi commoda ibi incommoda (8) .

In sostanza, nello svolgimento di determinate attività si registra la responsabilità di chi si è assunto il rischio connesso all’attività, responsabilità che può essere esclusiva o concorrente con l’autore del fatto illecito.

§ 3. Responsabilità da cose in custodia e giurisprudenza. Un costante orientamento della Suprema Corte, in relazione all’inveramento della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c. c., è quello di ritenere che “la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia abbia base a) nell’essersi il danno verificato (…) dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa; b) nell’esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi” (Cassazione Civile Sezione III, sent. n. 6340/1988). Tale prospettazione ben potrebbe ritenersi applicabile alle chat group.

Ed invero: i) la pubblicazione di immagini o scritti lesivi dell’altrui decoro, dignità, reputazione ecc. configura manifestamente un danno a carico del soggetto passivo di tali manifestazioni e rappresenta uno sviluppo di un agente dannoso insorto nella cosa (posto che lo scopo di una chat è quello di agevolare la socializzazione e non ledere i terzi); tale responsabilità ovviamente sussiste ii) se vi siano soggetti (i moderatori o la società di gestione) che abbiano un potere fisico al quale sia connesso il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, mediante la rimozione di immagini o scritti o l’allontanamento dell’utente molestatore. Ancora, la Cassazione ha chiarito che “per la sussistenza della responsabilità (presunta "iuris tantum") a carico del custode, a norma dell’art. 2051 cod. civ., è richiesto che il danno sia prodotto dalla cosa in custodia in sé, o perché questa sia suscettibile di produrlo o perché in essa siano insorti agenti dannosi” (Sez. III, sent. n. 908 del 02-02-1983). Manifestamente non può sussistere, nel caso di una chat line, una idoneità in sé a produrre un danno: solo una condotta scorretta da parte di uno o più utenti può determinare l’insorgenza di un agente dannoso. Si tratta, nel caso di specie, dell’intervento di fattori estrinseci alla chat, che tuttavia il custode ha il potere/dovere di rimuovere, incorrendo nella responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per il caso della mancata eliminazione di tali fattori. Di tale avviso è anche - beninteso per diversa fattispecie - la Cassazione, laddove ritiene che la responsabilità del custode insorga anche da un “agente dannoso ancorché provocato da elementi provenienti dall’esterno, che (…) si inserisca nella struttura della cosa stessa in modo da alternarne la natura ed il comportamento” (Sez. III, sent. n. 2619 del 14-04-1983).

Tale sommaria ricostruzione consente di individuare a contrario una casistica di circostanze idonee ad escludere la responsabilità del custode, che non ricorre laddove questi possa provare la sussistenza del caso fortuito. Invero, attesa la natura specifica delle chat caratterizzate, come detto in premessa, dall’anonimato degli utenti e dallo svolgersi in tempo reale delle comunicazioni, sarebbe quanto meno illogico, alla stregua dei principi generali vigenti nel nostro ordinamento, ritenere la sussistenza della responsabilità oggettiva della società di gestione o dei moderatori per qualsivoglia utilizzo improprio di una chat group o di un social network da parte di utenti in mala fede. Ciò anche in virtù della recentissima sentenza 24804 dell’8 ottobre 2008, della III Sezione della Corte di Cassazione, che ha escluso la responsabilità del custode nel caso di utilizzazione della cosa che sia manifestamente pericolosa. Tuttavia, laddove la consumazione di condotte antigiuridiche da parte di un utente sia reiterata e non repressa, venga segnalata alla società di gestione e/o ai moderatori senza alcun risultato, ovvero si sostanzi nella pubblicazione di materiale idoneo a ledere l’altrui decoro o a determinare ‘l’infezione’ da virus, senza che lo stesso sia tempestivamente rimosso, allora nella specie potranno ricorrere i presupposti richiesti per la sussistenza della responsabilità oggettiva del custode.



(1) Sulla definizione di chat si rimanda a Wikipedia, voce chat in http://it.wikipedia.org/wiki/Chat

(2) ibidem

(3) Beninteso un altro mezzo che potrebbe agevolare le su indicate condotte è costituito dai c. d. social network (i più noti dei quali sono myspace e facebook), per i contenuti potenzialmente lesivi che potrebbero assumere i materiali e gli scritti lì pubblicati.

(4) Si veda, a tal fine, una interrogazione parlamentare presentata in data 29.07.2008, dal Sen. Stefano Pedica (gruppo IdV) su una delle chat più note in Italia, consultabile al link http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=16&id=308068

(5) Sul punto si veda la precedente nota 4.

(6) Cfr. sul punto F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1987, pag. 195

(7) F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., pag. 670

(8) A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, Padova, pag. 211. L’edizione dal quale è tratta la presente citazione è la XXIX, edita nel 1988

Abstract:

Nell’era delle nuove tecnologie e delle forme di comunicazione diretta ed immediata che internet consente, è configurabile una qualche responsabilità delle società di gestione di servizi quali le chat group od i social network per le ipotesi di comportamenti antigiuridici degli utenti? Su questo quesito si sviluppa la presente riflessione, riconducendo tale responsabilità al tradizionale istituto della responsabilità oggettiva da cosa in custodia.

§1. Premessa. Il fenomeno della cosiddette “group chat” ha acquisito notevole rilevanza parallelamente allo sviluppo ed alla diffusione di Internet. Con il termine group chat ordinariamente si designano quei servizi idonei a mettere in comunicazione “centinaia di persone allo stesso momento, in quanto i messaggi vengono inviati a tutte le persone che in quel momento sono collegate al gruppo (solitamente chiamato canale o stanza). I canali si possono differenziare per i loro contenuti tematici e per la lingua usata dai loro utenti” (1).

Uno strumento con tante potenzialità positive può anche contenere pericoli, tanto è vero che il richiamato lemma di Wikipedia prosegue elencando “i pericoli maggiori in cui può cadere un utente della chat” (2), consistenti in “virus, furto dati personali e lesione della privacy, adescamenti e truffe”. A questi pericoli potremmo aggiungerne altri, quali l’ingiuria, attuata mediante la pubblicazione di insulti diretti ad uno o più utenti, la diffamazione (che, ai sensi dell’art. 595 del codice penale, consiste nell’offesa all’altrui reputazione comunicando con altre persone), la molestia. La possibilità di consumazione dei suddetti reati è ancor più ampliata dalla tendenza, propria di talune chat, di assicurare all’utente la possibilità di pubblicare album fotografici e testi personalizzati, con lo scopo di presentare un sommario profilo biografico e dei gusti dell’utente (3). Oggi sempre più chat, al fine di predisporre un argine a tali pericoli, tendono a richiedere preventivamente al fruitore l’adesione ad un codice di comportamento (c. d. chatiquette) ed a preporre al rispetto di tale codice dei moderatori.

Tali scelte si rivelano, alla prova dei fatti più o meno incisive al fine di prevenire o reprimere i pericoli sopra cennati. Di fronte, tuttavia, all’ampiezza e rilevanza che talune condotte antigiuridiche stanno assumendo nelle group chat (4) è configurabile una responsabilità della società di gestione e/o dei moderatori? In caso di risposta positiva, in quale misura?

§ 2. Responsabilità personale, responsabilità civile e responsabilità oggettiva. Beninteso, un caposaldo fondamentale della presente riflessione è il principio della personalità della responsabilità penale, sancito dall’art. 27 della Costituzione. È pacifico che, nel caso di utilizzo improprio di una chat group per ingiuriare o diffamare taluno all’interno di un canale (o stanza) ovvero per carpire dati personali o diffondere virus , della condotta posta in essere dovrà penalmente rispondere l’autore del fatto illecito. Ciò chiaramente nella consapevolezza (ma non impossibilità) delle difficoltà per la parte lesa di rintracciare chi commetta questo tipo di reati dal personal computer nell’anonimato della propria casa. Il problema, semmai, si pone sotto il profilo civilistico in ipotesi tutt’altro che scolastiche ma concrete (5): nel caso in cui, attraverso la sistematica ripetizione di condotte anti giuridiche, nonché di pubblicazione di immagini e testi lesivi del decoro, della reputazione ovvero della onorabilità di un altro utente, non si registri l’intervento repressivo dei moderatori, preposti al rispetto dei codici di condotta interni (le c. d. chatiquette), ovvero questo intervento sia tardivo, questa omissione avrà rilevanza nel nostro ordinamento, soprattutto sotto il profilo civilistico del risarcimento del danno?

Ad avviso dello scrivente, ed in assenza di pronunce giurisprudenziali sullo specifico tema (peraltro solo di recente affacciatosi agli onori della cronaca), la responsabilità delle società di gestione di chat group e degli eventuali moderatori ad esse preposte, nell’ipotesi del verificarsi dei fatti sopra indicati, sarebbe da ricondursi sotto il dettato dell’art. 2051 del codice civile. Lo stesso recita “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. A prima vista potrebbe apparire discutibile la classificazione di una entità come una chat, apparentemente immateriale, quale “cosa”. Tuttavia l’art. 810 del codice civile definisce beni le “cose che possono formare oggetto di diritti”. Tale definizione è di per sé idonea a comprendere anche i beni immateriali, consistenti “in un’idea, intesa come risultato di un processo creativo anche elementare” (6) . Né vi sono dubbi, nell’epoca della c. d. net economy che un’entità come una chat possa formare oggetto di diritti, dal momento che il programma ed i segni distintivi di essa ben possono essere alienati, ceduti nell’ambito di un compendio aziendale, concessi in comodato ecc.

Il richiamato art. 2051 del codice civile disciplina un’ipotesi di c. d. responsabilità oggettiva. Tali casi sono tassativamente previsti dalla legge: in queste ipotesi “un soggetto risponde per i danni a prescindere dal fatto che essi derivino causalmente da un suo personale comportamento e dunque a prescindere dalla colpa o dal dolo” (7) . La ragione di una tale previsione dell’ordinamento è efficacemente sintetizzata da Trabucchi, secondo il quale “chi trae vantaggio da una situazione risponde anche degli svantaggi: ubi commoda ibi incommoda (8) .

In sostanza, nello svolgimento di determinate attività si registra la responsabilità di chi si è assunto il rischio connesso all’attività, responsabilità che può essere esclusiva o concorrente con l’autore del fatto illecito.

§ 3. Responsabilità da cose in custodia e giurisprudenza. Un costante orientamento della Suprema Corte, in relazione all’inveramento della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c. c., è quello di ritenere che “la responsabilità per danni cagionati da cosa in custodia abbia base a) nell’essersi il danno verificato (…) dallo sviluppo di un agente dannoso sorto nella cosa; b) nell’esistenza di un effettivo potere fisico di un soggetto sulla cosa, al quale potere fisico inerisce il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che produca danni a terzi” (Cassazione Civile Sezione III, sent. n. 6340/1988). Tale prospettazione ben potrebbe ritenersi applicabile alle chat group.

Ed invero: i) la pubblicazione di immagini o scritti lesivi dell’altrui decoro, dignità, reputazione ecc. configura manifestamente un danno a carico del soggetto passivo di tali manifestazioni e rappresenta uno sviluppo di un agente dannoso insorto nella cosa (posto che lo scopo di una chat è quello di agevolare la socializzazione e non ledere i terzi); tale responsabilità ovviamente sussiste ii) se vi siano soggetti (i moderatori o la società di gestione) che abbiano un potere fisico al quale sia connesso il dovere di custodire la cosa stessa, cioè di vigilarla e di mantenerne il controllo, mediante la rimozione di immagini o scritti o l’allontanamento dell’utente molestatore. Ancora, la Cassazione ha chiarito che “per la sussistenza della responsabilità (presunta "iuris tantum") a carico del custode, a norma dell’art. 2051 cod. civ., è richiesto che il danno sia prodotto dalla cosa in custodia in sé, o perché questa sia suscettibile di produrlo o perché in essa siano insorti agenti dannosi” (Sez. III, sent. n. 908 del 02-02-1983). Manifestamente non può sussistere, nel caso di una chat line, una idoneità in sé a produrre un danno: solo una condotta scorretta da parte di uno o più utenti può determinare l’insorgenza di un agente dannoso. Si tratta, nel caso di specie, dell’intervento di fattori estrinseci alla chat, che tuttavia il custode ha il potere/dovere di rimuovere, incorrendo nella responsabilità ex art. 2051 cod. civ. per il caso della mancata eliminazione di tali fattori. Di tale avviso è anche - beninteso per diversa fattispecie - la Cassazione, laddove ritiene che la responsabilità del custode insorga anche da un “agente dannoso ancorché provocato da elementi provenienti dall’esterno, che (…) si inserisca nella struttura della cosa stessa in modo da alternarne la natura ed il comportamento” (Sez. III, sent. n. 2619 del 14-04-1983).

Tale sommaria ricostruzione consente di individuare a contrario una casistica di circostanze idonee ad escludere la responsabilità del custode, che non ricorre laddove questi possa provare la sussistenza del caso fortuito. Invero, attesa la natura specifica delle chat caratterizzate, come detto in premessa, dall’anonimato degli utenti e dallo svolgersi in tempo reale delle comunicazioni, sarebbe quanto meno illogico, alla stregua dei principi generali vigenti nel nostro ordinamento, ritenere la sussistenza della responsabilità oggettiva della società di gestione o dei moderatori per qualsivoglia utilizzo improprio di una chat group o di un social network da parte di utenti in mala fede. Ciò anche in virtù della recentissima sentenza 24804 dell’8 ottobre 2008, della III Sezione della Corte di Cassazione, che ha escluso la responsabilità del custode nel caso di utilizzazione della cosa che sia manifestamente pericolosa. Tuttavia, laddove la consumazione di condotte antigiuridiche da parte di un utente sia reiterata e non repressa, venga segnalata alla società di gestione e/o ai moderatori senza alcun risultato, ovvero si sostanzi nella pubblicazione di materiale idoneo a ledere l’altrui decoro o a determinare ‘l’infezione’ da virus, senza che lo stesso sia tempestivamente rimosso, allora nella specie potranno ricorrere i presupposti richiesti per la sussistenza della responsabilità oggettiva del custode.



(1) Sulla definizione di chat si rimanda a Wikipedia, voce chat in http://it.wikipedia.org/wiki/Chat

(2) ibidem

(3) Beninteso un altro mezzo che potrebbe agevolare le su indicate condotte è costituito dai c. d. social network (i più noti dei quali sono myspace e facebook), per i contenuti potenzialmente lesivi che potrebbero assumere i materiali e gli scritti lì pubblicati.

(4) Si veda, a tal fine, una interrogazione parlamentare presentata in data 29.07.2008, dal Sen. Stefano Pedica (gruppo IdV) su una delle chat più note in Italia, consultabile al link http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/showText?tipodoc=Sindisp&leg=16&id=308068

(5) Sul punto si veda la precedente nota 4.

(6) Cfr. sul punto F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1987, pag. 195

(7) F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit., pag. 670

(8) A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, CEDAM, Padova, pag. 211. L’edizione dal quale è tratta la presente citazione è la XXIX, edita nel 1988