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Le condizioni obiettive di punibilità

Condizioni di punibilità
Condizioni di punibilità

Sommario:

 

1.1. L’art. 44 c.p.: riferimenti normativi e qualificazioni dogmatiche.

1.2. Un breve panorama casistico.

1.3. Le condizioni obiettive di punibilità nel diritto penale tributario.

 

1.1. L’art. 44 c.p.: riferimenti normativi e qualificazioni dogmatiche.

Talvolta la punibilità di un fatto è subordinata dal legislatore alla presenza di particolari condizioni, che si aggiungono ai tipici elementi costitutivi del reato.

 

L’opinione classica vede la condizione obiettiva di punibilità quale elemento estrinseco alla condotta colpevole del reo, un accadimento esterno, addizionale e postumo al fatto di reato, distinto sia dalla condotta criminosa che dall’evento tipico; elemento, futuro e incerto, dal verificarsi del quale dipende, per voluntas legis, l’applicazione della pena.

 

Recita in proposito l’art. 44 c.p. “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. Si consideri sin da subito, a titolo esemplificativo, la contravvenzione preveduta dall’art. 688 c.p., II comma, a tenore della quale la punibilità dell’ubriaco dipende dalla circostanza che egli venga sorpreso in stato di manifesta ubriachezza in un luogo pubblico.

 

Per il vero, l’istituto delle condizioni obiettive di punibilità è uno dei più enigmatici tra quelli previsti nel nostro codice; persino l’origine storica e la ragione dell’introduzione nel campo del diritto sono oggetto di variegate soluzioni.

 

L’unico dato indubbio è che esse devono consistere in eventi futuri e incerti, coevi o successivi rispetto alla condotta dell’agente: non antecedenti giacché diversamente dovrebbe ammettersi la possibilità che la prescrizione del reato cominci a decorrere prima ancora della sua consumazione, atteso che l’art. 158 c.p., II comma, dispone per i reati condizionati la decorrenza del termine prescrizionale a partire dal momento in cui si verifica la condizione medesima. Pertanto l’evento condizionante non può influire sull’integrazione della fattispecie penale, ma deve riguardare un elemento plurimo con funzioni delimitative e garantiste .

 

La funzione ascrivibile alle condizioni obiettive di punibilità è duplice: da un canto delimitare o ridimensionare la rilevanza penale di dati comportamenti (nel senso di prevedere una punibilità non incondizionata, ma subordinata al verificarsi di circostanza ulteriore), dall’altro rispettare il principio di legalità.

 

Ciò considerato, si tratta di precisare la posizione delle condizioni obiettive rispetto alla struttura del fatto di reato strictu sensu inteso. Un’importante indicazione in tal senso è offerta dallo stesso testo dell’art. 44, allorquando il legislatore afferma che il colpevole risponde anche se l’evento integrante la condizione obiettiva di punibilità “non è da lui voluto”: ciò vuol dire che l’evento-condizione può concretamente essere anche pervaso dalla volontà del reo, ma che l’esistenza di un tale nesso psichico non costituisce requisito indispensabile ai fini della punibilità del fatto. D’altro canto questo trova chiosa tenendo in conto che sovente l’evento-condizione consiste nel fatto di un terzo (basti pensare al ricordato art. 688 c.p., il quale fa dipendere la punibilità dell’ubriaco dalla circostanza che terzi soggetti lo sorprendano in stato di flagrante ubriachezza), per cui sarebbe irragionevole pretendere che la volontà dell’agente abbracci eventi che, proprio perché realizzati da altri, sfuggono al suo potere di egemonia.

 

Escluso che la condizione obiettiva debba costituire oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente, rimane da precisarne il rapporto con l’azione penalmente rilevante: ci si deve chiedere alternativamente se la condizione obiettiva di punibilità debba essere legata all’azione tipica da un rapporto di causalità materiale. La risposta può essere data nei termini che seguono: se nulla vieta che la condizione obiettiva derivi eziologicamente dall’azione, non si può pretendere che la condizione di punibilità risalga in certi casi alla libera e cosciente condotta di un terzo, la quale condotta difficilmente si atteggia a diretta conseguenza causale del comportamento dell’agente.

 

Si ricava dalle dispiegate considerazioni che le condizioni obiettive di punibilità costituiscono avvenimenti futuri e incerti, che fanno parte sì della fattispecie astratta, ma che sono estranei sia al fatto materiale, sia alla colpevolezza.

 

Ai fini di una corretta individuazione della categoria in esame si è soliti fare ricorso ad un contemperamento di indici strutturali (relativi alla collocazione dell’elemento in questione all’interno della fattispecie astratta) e di parametri sostanziali (relativi cioè alla determinazione dell’interesse tutelato dalla norma). Rebus sic stantibus, facendo applicazione di criteri di tipo strutturale, dal novero delle condizioni obiettive di punibilità dovrebbero essere di regola esclusi gli eventi legati da un rapporto di causalità necessaria con l’azione tipica, ovvero da un rapporto psicologico necessario con l’agente.

 

Quanto ai criteri discretivi da adottare per individuare se un dato elemento normativo possa essere considerato una condizione obiettiva di punibilità, nel silenzio dell’art. 44 c.p., il quale accenna solo all’indifferenza di una relazione psicologica rispetto all’agente senza dare indicazione sul nesso eziologico fra condotta ed evento condizionante, la Corte di legittimità ha precisato, in negativo, che tale non può ritenersi un elemento di fattispecie che faccia parte della condotta tipica.

 

Nello stesso senso pare orientata una parte della dottrina per la quale il discrimen andrebbe visto nel dolo; invero, quando un elemento di fattispecie ricade nell’ambito dell’elemento psichico non può essere considerato una circostanza condizionante; opinione vigorosamente avversata da altra dottrina in quanto il criterio de quo sarebbe utilizzabile, eventualmente, solo per limitate ipotesi normative.

 

Le classiche teoriche della dottrina distinguono le condizioni obiettive di punibilità in due categorie: quelle intrinseche (dette anche condizioni di esistenza del reato), che porterebbero elementi di fattispecie necessari per la sussistenza del reato nella sua compiutezza tipica, e cioè consisterebbero in elementi da considerare partecipi dell’interesse di offesa della fattispecie, e quindi oggetto di rimproverabilità nei confronti dell’agente; e quelle estrinseche, le quali rappresenterebbero elementi del tutto esterni ed estranei al fatto di reato e, pertanto, al di fuori del piano dell’offesa.

 

Altra parte della dottrina (Mantovani, Padovani) ritiene - al fine di scoprire se un elemento possa essere inquadrato nell’alveo delle condizioni obiettive di punibilità - di dovere accentuare la dicotomia esistente tra elementi che rendono meritevole di pena il fatto tipico (costitutivi del reato) ed elementi che rendono quel fatto bisognevole di pena (elementi addizionali definiti condizioni obiettive di punibilità).

 

 

1.2. Un breve panorama casistico.

 

Può risultare utile avvicinarsi alle ipotesi pratiche più ricorrenti, anche per comprendere l’atteggiamento assunto dalla giurisprudenza circa l’istituto di cui in narrativa.

Nell’art. 414, comma 3, c.p. (apologia di delitti) la pubblicità non è elemento costitutivo del reato, ma opera come condizione obiettiva di punibilità ed indipendentemente dal fine che ha indotto il colpevole ad agire (Cass., 14.12.1973; Cass. 12.02.1986).

 

L’incendio, o il pericolo d’incendio nell’ipotesi prevista all’art. 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio), secondo il Supremo consesso è solo condizione oggettiva di punibilità e, come tale, estraneo al dolo, in quanto nella fattispecie delittuosa in esame l’agente vuole solo danneggiare col fuoco, ma non vuole l’incendio il quale si verifica o minaccia di verificarsi a prescindere dalla volontà dell’agente stesso (Cass. 20.11.1995).

 

Il pericolo per l’incolumità pubblica, in materia di naufragio di una nave di cui all’art. 428, comma 3, c.p. costituisce una condizione obiettiva di punibilità (Cass. 4.11.1989).

 

Nel delitto di incesto, ex art. 564 c.p., il pubblico scandalo costituisce condizione oggettiva di punibilità e l’evento condizionante può apparire evidente anche da manifestazioni esterne, quali lo stato di gravidanza (Cass. 17.03. 1975). Autorevole dottrina (G. Fiandaca, E. Musco), partendo dall’assunto che dovrebbero escludersi dalle condizioni obiettive di punibilità quegli eventi nei quali si compendia l’offesa all’interesse protetto, esclude che il pubblico scandalo nel reato di incesto possa considerarsi una condizione obiettiva, qualificando piuttosto gli invocati eventi quali elementi costitutivi del fatto. Il pubblico scandalo, infatti, incide direttamente sull’offesa, perché il diritto penale di uno Stato laico e pluralistico non ha interesse a punire l’incesto come fatto immorale in sé, ma solo in quanto tale fatto sia percepito come causa di turbamento da parte di terzi estranei.

 

 

1.3. Le condizioni obiettive di punibilità nel diritto penale tributario.

 

Nel d. lgs. n. 74 del 2000 (disciplina dei reati tributari) sono previste alcune fattispecie, la cui punibilità è subordinata al superamento di determinate soglie. L’art. 3, nel contemplare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici diversi dall’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dispone che il fatto ivi previsto assuma rilevanza penale quando, congiuntamente, l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a ciascuna delle singole imposte, a euro 77.468,53 e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione degli elementi passivi fittizi, sia superiore al 5 % dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione.

 

Similmente l’art. 5, il quale, nel prevedere il reato di omessa dichiarazione, stabilisce che la condotta divenga penalmente rilevante ove l’imposta evasa sia superiore, con riguardo a taluna delle singole imposte, a 77. 468,53.

 

Si è posto il problema di sapere quale sia la natura giuridica delle soglie quantitative di punibilità, se cioè esse debbano essere considerate elementi costitutivi del reato o condizioni obiettive di punibilità. A ben guardare, la Relazione governativa al d. lgs. in questione si è espressa, con riguardo a tutte le soglie di punibilità, nel senso che queste ultime si configurino come elementi costitutivi del reato e, come tali, debbano essere investite dal dolo.

 

In dottrina si è recentemente ritenuto, a proposito dell’evasione di imposta, che, essendo l’omesso versamento, in cui quest’ultima si sostanzia, riconducibile integralmente alla volontà e al comportamento del soggetto attivo del reato e rappresentando esso il fine stesso cui deve tendere la complessiva condotta illecita dell’agente, non può riconoscersi all’evasione d’imposta la qualifica di condizione oggettiva di punibilità ai sensi dell’art. 44 c.p.

 

Si è ribadito sovente che essa costituisce un avvenimento esterno al fatto di reato, distinto sia dalla condotta che dall’evento tipico, postumo e concomitante con lo stesso, che può essere causato dal colpevole o da terzi, al cui verificarsi il legislatore ha subordinato la punibilità di un reato già perfetto ed espressivo del suo intero disvalore. In tale prospettiva devono considerarsi condizioni obiettive gli accadimenti del tutto avulsi alla sfera dell’offesa derivante dal reato e gli accadimenti che arricchiscono la sfera di quest’ultima, rappresentando una progressione dell’offesa tipica o una lesione di beni estranei all’oggetto giuridico del reato.

 

Naturale conseguenza di tale impostazione è che il superamento delle soglie quantitative di punibilità, configurandosi quale elemento costitutivo del reato, dovrà rientrare nel fuoco della volontà.

Sommario:

 

1.1. L’art. 44 c.p.: riferimenti normativi e qualificazioni dogmatiche.

1.2. Un breve panorama casistico.

1.3. Le condizioni obiettive di punibilità nel diritto penale tributario.

 

 

 

1.1. L’art. 44 c.p.: riferimenti normativi e qualificazioni dogmatiche.

 

Talvolta la punibilità di un fatto è subordinata dal legislatore alla presenza di particolari condizioni, che si aggiungono ai tipici elementi costitutivi del reato.

 

L’opinione classica vede la condizione obiettiva di punibilità quale elemento estrinseco alla condotta colpevole del reo, un accadimento esterno, addizionale e postumo al fatto di reato, distinto sia dalla condotta criminosa che dall’evento tipico; elemento, futuro e incerto, dal verificarsi del quale dipende, per voluntas legis, l’applicazione della pena.

 

Recita in proposito l’art. 44 c.p. “Quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l’evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto”. Si consideri sin da subito, a titolo esemplificativo, la contravvenzione preveduta dall’art. 688 c.p., II comma, a tenore della quale la punibilità dell’ubriaco dipende dalla circostanza che egli venga sorpreso in stato di manifesta ubriachezza in un luogo pubblico.

 

Per il vero, l’istituto delle condizioni obiettive di punibilità è uno dei più enigmatici tra quelli previsti nel nostro codice; persino l’origine storica e la ragione dell’introduzione nel campo del diritto sono oggetto di variegate soluzioni.

 

L’unico dato indubbio è che esse devono consistere in eventi futuri e incerti, coevi o successivi rispetto alla condotta dell’agente: non antecedenti giacché diversamente dovrebbe ammettersi la possibilità che la prescrizione del reato cominci a decorrere prima ancora della sua consumazione, atteso che l’art. 158 c.p., II comma, dispone per i reati condizionati la decorrenza del termine prescrizionale a partire dal momento in cui si verifica la condizione medesima. Pertanto l’evento condizionante non può influire sull’integrazione della fattispecie penale, ma deve riguardare un elemento plurimo con funzioni delimitative e garantiste .

 

La funzione ascrivibile alle condizioni obiettive di punibilità è duplice: da un canto delimitare o ridimensionare la rilevanza penale di dati comportamenti (nel senso di prevedere una punibilità non incondizionata, ma subordinata al verificarsi di circostanza ulteriore), dall’altro rispettare il principio di legalità.

 

Ciò considerato, si tratta di precisare la posizione delle condizioni obiettive rispetto alla struttura del fatto di reato strictu sensu inteso. Un’importante indicazione in tal senso è offerta dallo stesso testo dell’art. 44, allorquando il legislatore afferma che il colpevole risponde anche se l’evento integrante la condizione obiettiva di punibilità “non è da lui voluto”: ciò vuol dire che l’evento-condizione può concretamente essere anche pervaso dalla volontà del reo, ma che l’esistenza di un tale nesso psichico non costituisce requisito indispensabile ai fini della punibilità del fatto. D’altro canto questo trova chiosa tenendo in conto che sovente l’evento-condizione consiste nel fatto di un terzo (basti pensare al ricordato art. 688 c.p., il quale fa dipendere la punibilità dell’ubriaco dalla circostanza che terzi soggetti lo sorprendano in stato di flagrante ubriachezza), per cui sarebbe irragionevole pretendere che la volontà dell’agente abbracci eventi che, proprio perché realizzati da altri, sfuggono al suo potere di egemonia.

 

Escluso che la condizione obiettiva debba costituire oggetto di rappresentazione e volontà da parte dell’agente, rimane da precisarne il rapporto con l’azione penalmente rilevante: ci si deve chiedere alternativamente se la condizione obiettiva di punibilità debba essere legata all’azione tipica da un rapporto di causalità materiale. La risposta può essere data nei termini che seguono: se nulla vieta che la condizione obiettiva derivi eziologicamente dall’azione, non si può pretendere che la condizione di punibilità risalga in certi casi alla libera e cosciente condotta di un terzo, la quale condotta difficilmente si atteggia a diretta conseguenza causale del comportamento dell’agente.

 

Si ricava dalle dispiegate considerazioni che le condizioni obiettive di punibilità costituiscono avvenimenti futuri e incerti, che fanno parte sì della fattispecie astratta, ma che sono estranei sia al fatto materiale, sia alla colpevolezza.

 

Ai fini di una corretta individuazione della categoria in esame si è soliti fare ricorso ad un contemperamento di indici strutturali (relativi alla collocazione dell’elemento in questione all’interno della fattispecie astratta) e di parametri sostanziali (relativi cioè alla determinazione dell’interesse tutelato dalla norma). Rebus sic stantibus, facendo applicazione di criteri di tipo strutturale, dal novero delle condizioni obiettive di punibilità dovrebbero essere di regola esclusi gli eventi legati da un rapporto di causalità necessaria con l’azione tipica, ovvero da un rapporto psicologico necessario con l’agente.

 

Quanto ai criteri discretivi da adottare per individuare se un dato elemento normativo possa essere considerato una condizione obiettiva di punibilità, nel silenzio dell’art. 44 c.p., il quale accenna solo all’indifferenza di una relazione psicologica rispetto all’agente senza dare indicazione sul nesso eziologico fra condotta ed evento condizionante, la Corte di legittimità ha precisato, in negativo, che tale non può ritenersi un elemento di fattispecie che faccia parte della condotta tipica.

 

Nello stesso senso pare orientata una parte della dottrina per la quale il discrimen andrebbe visto nel dolo; invero, quando un elemento di fattispecie ricade nell’ambito dell’elemento psichico non può essere considerato una circostanza condizionante; opinione vigorosamente avversata da altra dottrina in quanto il criterio de quo sarebbe utilizzabile, eventualmente, solo per limitate ipotesi normative.

 

Le classiche teoriche della dottrina distinguono le condizioni obiettive di punibilità in due categorie: quelle intrinseche (dette anche condizioni di esistenza del reato), che porterebbero elementi di fattispecie necessari per la sussistenza del reato nella sua compiutezza tipica, e cioè consisterebbero in elementi da considerare partecipi dell’interesse di offesa della fattispecie, e quindi oggetto di rimproverabilità nei confronti dell’agente; e quelle estrinseche, le quali rappresenterebbero elementi del tutto esterni ed estranei al fatto di reato e, pertanto, al di fuori del piano dell’offesa.

 

Altra parte della dottrina (Mantovani, Padovani) ritiene - al fine di scoprire se un elemento possa essere inquadrato nell’alveo delle condizioni obiettive di punibilità - di dovere accentuare la dicotomia esistente tra elementi che rendono meritevole di pena il fatto tipico (costitutivi del reato) ed elementi che rendono quel fatto bisognevole di pena (elementi addizionali definiti condizioni obiettive di punibilità).

 

 

1.2. Un breve panorama casistico.

 

Può risultare utile avvicinarsi alle ipotesi pratiche più ricorrenti, anche per comprendere l’atteggiamento assunto dalla giurisprudenza circa l’istituto di cui in narrativa.

Nell’art. 414, comma 3, c.p. (apologia di delitti) la pubblicità non è elemento costitutivo del reato, ma opera come condizione obiettiva di punibilità ed indipendentemente dal fine che ha indotto il colpevole ad agire (Cass., 14.12.1973; Cass. 12.02.1986).

 

L’incendio, o il pericolo d’incendio nell’ipotesi prevista all’art. 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio), secondo il Supremo consesso è solo condizione oggettiva di punibilità e, come tale, estraneo al dolo, in quanto nella fattispecie delittuosa in esame l’agente vuole solo danneggiare col fuoco, ma non vuole l’incendio il quale si verifica o minaccia di verificarsi a prescindere dalla volontà dell’agente stesso (Cass. 20.11.1995).

 

Il pericolo per l’incolumità pubblica, in materia di naufragio di una nave di cui all’art. 428, comma 3, c.p. costituisce una condizione obiettiva di punibilità (Cass. 4.11.1989).

 

Nel delitto di incesto, ex art. 564 c.p., il pubblico scandalo costituisce condizione oggettiva di punibilità e l’evento condizionante può apparire evidente anche da manifestazioni esterne, quali lo stato di gravidanza (Cass. 17.03. 1975). Autorevole dottrina (G. Fiandaca, E. Musco), partendo dall’assunto che dovrebbero escludersi dalle condizioni obiettive di punibilità quegli eventi nei quali si compendia l’offesa all’interesse protetto, esclude che il pubblico scandalo nel reato di incesto possa considerarsi una condizione obiettiva, qualificando piuttosto gli invocati eventi quali elementi costitutivi del fatto. Il pubblico scandalo, infatti, incide direttamente sull’offesa, perché il diritto penale di uno Stato laico e pluralistico non ha interesse a punire l’incesto come fatto immorale in sé, ma solo in quanto tale fatto sia percepito come causa di turbamento da parte di terzi estranei.

 

 

1.3. Le condizioni obiettive di punibilità nel diritto penale tributario.

 

Nel d. lgs. n. 74 del 2000 (disciplina dei reati tributari) sono previste alcune fattispecie, la cui punibilità è subordinata al superamento di determinate soglie. L’art. 3, nel contemplare il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante artifici diversi dall’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dispone che il fatto ivi previsto assuma rilevanza penale quando, congiuntamente, l’imposta evasa sia superiore, con riferimento a ciascuna delle singole imposte, a euro 77.468,53 e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione degli elementi passivi fittizi, sia superiore al 5 % dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione.

 

Similmente l’art. 5, il quale, nel prevedere il reato di omessa dichiarazione, stabilisce che la condotta divenga penalmente rilevante ove l’imposta evasa sia superiore, con riguardo a taluna delle singole imposte, a 77. 468,53.

 

Si è posto il problema di sapere quale sia la natura giuridica delle soglie quantitative di punibilità, se cioè esse debbano essere considerate elementi costitutivi del reato o condizioni obiettive di punibilità. A ben guardare, la Relazione governativa al d. lgs. in questione si è espressa, con riguardo a tutte le soglie di punibilità, nel senso che queste ultime si configurino come elementi costitutivi del reato e, come tali, debbano essere investite dal dolo.

 

In dottrina si è recentemente ritenuto, a proposito dell’evasione di imposta, che, essendo l’omesso versamento, in cui quest’ultima si sostanzia, riconducibile integralmente alla volontà e al comportamento del soggetto attivo del reato e rappresentando esso il fine stesso cui deve tendere la complessiva condotta illecita dell’agente, non può riconoscersi all’evasione d’imposta la qualifica di condizione oggettiva di punibilità ai sensi dell’art. 44 c.p.

 

Si è ribadito sovente che essa costituisce un avvenimento esterno al fatto di reato, distinto sia dalla condotta che dall’evento tipico, postumo e concomitante con lo stesso, che può essere causato dal colpevole o da terzi, al cui verificarsi il legislatore ha subordinato la punibilità di un reato già perfetto ed espressivo del suo intero disvalore. In tale prospettiva devono considerarsi condizioni obiettive gli accadimenti del tutto avulsi alla sfera dell’offesa derivante dal reato e gli accadimenti che arricchiscono la sfera di quest’ultima, rappresentando una progressione dell’offesa tipica o una lesione di beni estranei all’oggetto giuridico del reato.

 

Naturale conseguenza di tale impostazione è che il superamento delle soglie quantitative di punibilità, configurandosi quale elemento costitutivo del reato, dovrà rientrare nel fuoco della volontà.