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Danno allo spettatore per lancio di oggetti allo stadio: chi ne risponde? Ed a che titolo?

Danno allo spettatore per lancio di oggetti allo stadio: chi ne risponde? Ed a che titolo?
Danno allo spettatore per lancio di oggetti allo stadio: chi ne risponde? Ed a che titolo?

Abstract: risponde ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile la società organizzatrice di una partita di calcio per il danno cagionato allo spettatore, derivante da lancio di oggetti pericolosi da parte di altri spettatori, rappresentando, l’attività di organizzazione di eventi sportivi, un’attività pericolosa.

La domanda avente per oggetto l’accertamento di tale responsabilità implica presupposti di fatto diversi, sia rispetto a quelli propri della responsabilità per fatto illecito ex articolo 2043, sia a quelli propri della responsabilità per danno cagionato da cose in custodia ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile: ne consegue che incorre nel divieto di ius novorum in appello, l’attore che non formuli compiutamente in primo grado domanda di risarcimento ai sensi dell’articolo 2050.

Risponde ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile (responsabilità di padroni e committenti, per fatto dei propri ausiliari) del danno cagionato allo spettatore di una partita di calcio, derivante da lancio di oggetti pericolosi da parte di altri spettatori, la società organizzatrice dell’evento, in virtù del contratto di “spettacolo” stipulato (mediante l’acquisto del biglietto) tra organizzatore e spettatore, che determina, quale obbligo accessorio, quello di garantire la sicurezza e l’incolumità di quest’ultimo.

SOMMARIO: Introduzione - 1. Il caso; - 2. Le questioni affrontate: A) la diversità tra la domanda ex articolo 2043 e quella ex articolo 2050 del codice civile; - 3 B) la responsabilità per attività pericolosa ex articolo 2050 del codice civile dell’organizzatore sportivo; - 4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto cosiddetto “di spettacolo”; - 5. La responsabilità extracontrattuale delle società sportive, ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile; - 6. Conclusioni.

Introduzione

Con decisione n. 26901 dello scorso 19 dicembre 2014[1] la Suprema Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, Presidente Travaglino - Relatore Lanzillo) pronunciandosi su di un caso di danno occorso ad una spettatrice che, durante una partita di calcio del campionato di Serie A[2], veniva colpita al viso da un oggetto (nella specie: un moschettone da trekking) lanciato da un «anello» dello stadio superiore a quello in cui lei sedeva - in corrispondenza della «curva Sud» - riportava la frattura dell’arco zigomatico, ha escluso la responsabilità della società di calcio sia ai sensi dell’art. 2043 (neminem laedere), sia ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile (danno cagionato da cose in custodia).

Nel primo caso, la responsabilità civile veniva esclusa per assenza di colpa in capo alla società sportiva, essendo stato l’evento qualificato come «non controllabile, a fronte delle migliaia di spettatori delle partite e della natura dell’oggetto contundente di cui qui si tratta», e l’oggetto considerato come«facilmente occultabile e di per sé non contundente né pericoloso»[3].

Nel secondo caso, la responsabilità per danno da cose in custodia veniva esclusa, «trattandosi di danno riconducibile non alla natura del bene custodito, né dall’uso che ne è stato fatto dal custode, bensì al comportamento illecito di un terzo, rispetto al quale lo stadio ha rappresentato esclusivamente il contesto nell’ambito del quale è maturata la vicenda»[4].

La sentenza presenta spunti di particolare interesse, soffermandosi (pur se con concisa motivazione) sui profili di responsabilità delle società di calcio  - sia di natura contrattuale, sia di natura extracontrattuale - per danni cagionati agli spettatori nel corso delle manifestazioni sportive, nella loro duplice qualità di organizzatori delle medesime[5] e di gestori degli stadi[6] ove tali manifestazioni si svolgono.

Per una migliore comprensione del caso (e dei profili giuridici da esso affrontati) si rende necessaria una breve ricostruzione dei fatti. 

1. Il caso

Una spettatrice conveniva in giudizio la società calcistica U.S. Città di Palermo - in qualità di custode dello stadio cittadino - per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del lancio - proveniente dalla parte superiore della «curva» dove la stessa sedeva - di un moschettone da trekking che, andandola a colpire al viso, ne determinava la frattura dello zigomo.

In virtù di tanto, costei avanzava domanda di risarcimento innanzi al Tribunale di Palermo (sezione civile), invocando in proprio favore gli articoli 2043 (neminem laedere) e 2051 (danno cagionato da cosa in custodia) del codice civile.

Il giudice di prime cure, tuttavia, ne disponeva il rigetto[7], aggiungendo però che la soluzione avrebbe potuto essere diversa «ove la danneggiata avesse agito ai sensi dell’articolo 2050, prospettando la responsabilità per la convenuta per l’esercizio di attività pericolosa».

La spettatrice quindi riformulava le proprie pretese in Appello, ponendo - questa volta - a fondamento delle stesse il richiamato articolo 2050 del codice civile, deducendo che erroneamente il giudice di primo grado aveva respinto la propria domanda, potendo applicare d’ufficio la norma ritenuta appropriata.

I giudici d’Appello, tuttavia, rigettavano nuovamente il gravame proposto[8], in quanto contrario alle norme processuali relative al divieto di ius novorum (in particolare: l’articolo 345, comma 1, codice di procedura civile, che impedisce la proposizione di nuove domande in sede di appello).

Presentato ricorso per Cassazione (con unico motivo, riguardante la presunta violazione dell’articolo 2043 del codice civile che, in quanto norma di carattere generale, ricomprenderebbe - secondo le allegazioni di parte - ogni altra fattispecie di responsabilità civile, ivi compresa quella di cui all’articolo 2050), la Suprema Corte rigettava definitivamente la domanda di parte attrice (ritenendola in parte inammissibile ed in parte infondata) fornendo, tuttavia, una serie d’interessanti precisazioni al riguardo.

2. Le questioni affrontate: A) la diversità tra la domanda ex articolo 2043 e quella ex articolo 2050 del codice civile

Almeno due sono state le questioni affrontate da parte dei giudici di legittimità, una di natura processuale ed una di natura sostanziale.

La prima questione ha investito i profili relativi alla proposizione di una nuova domanda in sede di Appello, su cui fondare un (eventuale) giudizio di responsabilità della società sportiva (per danno derivante da lancio di oggetti provenienti dagli spalti).

A tal fine la Cassazione ha avuto modo di precisare che la responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericolosa ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile implica l’accertamento di presupposti di fatto diversi - anche solo parzialmente - rispetto a quelli propri della responsabilità per fatto illecito ex articolo 2043[9].

Ciò reca la conseguenza per cui la domanda avente per oggetto l’accertamento del primo tipo di responsabilità va considerata alla stregua di una domanda diversa e nuova rispetto a quella che ha per oggetto la “normale” responsabilità per fatto illecito[10].

In virtù di tanto, la Suprema Corte ne ha disposto il rigetto[11].

L’orientamento si colloca sulla stessa scía di altri in precedenza, secondo cui le differenze tra le azioni di cui all’articolo 2043 e l’articolo 2050 del codice civ. escludono la possibilità che, una volta proposto la domanda del primo tipo in grado di merito, possa poi intentarsi - per la prima volta - la domanda del secondo tipo in grado d’appello [12].

Del pari, la giurisprudenza ha anche escluso che la domanda di cui all’articolo 2050 possa essere intentata per la prima volta nel giudizio di Cassazione, importando comunque la necessità di nuove indagini di fatto[13].

Né può ritenersi sufficiente - ha aggiunto la stessa giurisprudenza[14] - il generico richiamo in domanda alle norme che disciplinano regimi speciali di responsabilità (quali quelli di cui agli articoli 2050 e 2051 del codice civile) «ove tale richiamo non sia inserito in una argomentazione difensiva chiara e compiuta».

3. B) la responsabilità per attività pericolosa ex articolo 2050 del codice civile dell’organizzatore sportivo

La seconda, fondamentale, questione su cui si sofferma l’orientamento in esame investe i profili di responsabilità - sia contrattuale che extracontrattuale - delle società sportive per danni subiti dagli spettatori, nella loro duplice qualità di organizzatori di manifestazioni sportive[15] e di gestori degli impianti sportivi in cui queste si svolgono (nella fattispecie: uno stadio di calcio).

La risposta a tale quesito non può che partire da una (breve) ricostruzione della generale nozione di ‘attività pericolosa’, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2050 del codice civile.

Stante la ‘struttura aperta’ di tale norma[16], infatti, la giurisprudenza è stata più volte investita del problema relativo alla qualificazione concreta della pericolosità di una determinata attività, ai fini dell’applicazione dello speciale regime da essa previsto.

Così, essa ha qualificato come ‘pericolose’ quelle attività che - anzitutto - sono considerate come tali dalle leggi di pubblica sicurezza[17] o da altre leggi speciali, ed in secondo luogo quelle attività che, per loro stessa natura - o per le caratteristiche dei mezzi adoperati - «comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva»[18].

In altri termini, occorre che si tratti di attività il cui carattere di obiettiva pericolosità determina una potenzialità offensiva (rilevabile attraverso dati statistici, caratteristiche tecniche e/o dati di comune esperienza) notevolmente superiore al normale[19].

Per quanto riguarda l’attività sportiva (ed il gioco del calcio in particolare) occorre distinguere tra pericolosità dell’attività e pericolosità dell’organizzazione.

Per quel che concerne l’attività sportiva in sé e per sé considerata, la giurisprudenza ha escluso che possa essere qualificata come pericolosa[20].

Con specifico riferimento, invece, all’attività di organizzazione di eventi sportivi - anche in virtù della loro attitudine a richiamare un certo numero di spettatori (a volte anche considerevole, come nel caso delle competizioni calcistiche) - mette conto rilevare che tale attività è soggetta all’osservanza di (almeno) un triplice ordine di prescrizioni.

In tutti quei casi, infatti, in cui tale attività dia luogo ad un pubblico spettacolo (tenutosi, cioè, in luogo pubblico o aperto al pubblico)[21], vengono in rilievo, in primo luogo, tutte quelle prescrizioni che la legge pone a garanzia dell’ordine pubblico.

Tali disposizioni perseguono il duplice fine di tutelare l’incolumità di atleti e spettatori (da un lato), e quello di garantire l’integrità dei risultati sportivi (dall’altro), e trovano applicazione a prescindere dalla presenza (o meno) della finalità di lucro in capo all’imprenditore-organizzatore (in tali casi, vengono in rilievo anche disposizioni di tipo tributario)[22].

A tal fine, sarà sufficiente rammentare il sistema del rilascio delle licenze da parte dell’autorità di pubblica sicurezza[23] (Questura), nonché le disposizioni emanate da parte delle autorità locali[24].

In secondo luogo vengono in rilievo le disposizioni presenti nei vari Regolamenti Sportivi - soprattutto in tema di idoneità e sicurezza dei luoghi - che sono poste non solo a tutela degli atleti partecipanti (in via principale), ma anche a tutela dell’incolumità degli spettatori che a queste assistono (in via sussidiaria)[25].

In terzo ed ultimo luogo entrano in gioco le norme di comune prudenza - come rammentato dalla stessa giurisprudenza[26] - da interpretare secondo il criterio della “prevedibilità ex ante” dell’evento lesivo[27].

Alla luce di tali considerazioni, quindi, l’attività sportiva (o meglio, l’organizzazione di un evento sportivo)[28] può ben rientrare nel novero delle attività pericolose ex articolo 2050 del codice civile, con un grado di pericolosità (ed un conseguente standard di diligenza richiesto all’organizzatore) che può variare a seconda della presenza - ed al concreto impatto (in relazione alla disciplina in questione) - di tutte le variabili appena menzionate (presenza degli spettatori; natura intrinsecamente pericolosa dell’attività svolta; natura dei mezzi utilizzati; idoneità e sicurezza dei luoghi; idoneità e sicurezza dei mezzi; idoneità fisica e tecnica degli atleti partecipanti).

La differenza - rispetto ad altre attività umane considerate ‘non pericolose’ - è tutt’altro che di poco conto, dal momento che la sussunzione dell’attività di organizzazione di eventi sportivi nel novero delle attività pericolose fa “scattare” - in capo all’organizzatore - l’applicazione del regime speciale di responsabilità previsto dallo stesso articolo, in tema di prova liberatoria richiesta (consistente, in particolare, nella dimostrazione «di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno»).

La dottrina, sul punto, è unanime nel ritenere la responsabilità derivante da esercizio di attività pericolose alla stregua di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (o ‘aggravata’) in capo al soggetto danneggiante, essendo sufficiente, da parte del danneggiato, la sola prova del nesso causale tra l’evento dannoso e lo svolgimento di quella determinata attività (non essendo, di contro, necessaria la prova del dolo o della colpa del danneggiante).

In tal modo, è stata considerata pericolosa l’attività di organizzazione di gare motociclistiche (anche se di regolarità) su circuito aperto al traffico[29], l’attività di gestione di una pista di go-kart[30], l’organizzazione di gare di bob, anche su campo di gara omologato dalle competenti Federazioni Internazionali[31], l’attività di gestione di un maneggio (nel caso in cui a montare in sella sia un soggetto considerato ‘principiante’, o di giovane età)[32], l’attività di gestione di tappeti elastici[33], la disciplina sportiva del ‘taekwondo’[34], la disciplina sportiva dell’alpinismo[35], lo svolgimento di attività di equitazione[36], l’attività venatoria (per l’intrinseca pericolosità dei mezzi utilizzati)[37], l’attività di navigazione aerea[38], il volo da diporto o sportivo[39].

Non sono state, invece, considerate pericolose l’attività ginnica a corpo libero[40], l’attività di calcio ‘in costume’ (o ‘fiorentino’)[41], l’attività di gestione di un campo di calcetto[42], l’attività di gestione di una pista di “autoscontro”[43], l’attività di gestione di un impianto sciistico[44], o l’attività di gestione di un impianto di risalita[45].

4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto cosiddetto “di spettacolo”

Per quanto riguarda i profili relativi alla responsabilità contrattuale delle società sportive, l’orientamento in esame confuta (secondo un iter logico-giuridico che sembra corretto) l’argomentazione fatta propria dai giudici di Appello, che ha portato ad escludere la responsabilità contrattuale della società convenuta, derivante dalla vendita del biglietto, in quanto limitata - sic et simpliciter - all’«obbligo di attribuire allo spettatore il diritto di assistere all’evento sportivo» (senza nessuna ulteriore garanzia, quindi, per quest’ultimo, sul piano della sua incolumità personale).

Analogamente essa stabilisce (cassandola) per quanto riguarda l’ulteriore conclusione secondo cui «il controllo degli ingressi sarebbe una questione che interessa esclusivamente la responsabilità delle forze dell’ordine».

Posto che - come puntualmente rilevato dalla dottrina[46] - la responsabilità dell’organizzatore va commisurata in relazione alla complessità organizzativa richiesta dalla singola manifestazione, la vendita del biglietto comporta, infatti, la stipula di un contratto di spettacolo[47] (“innominato e atipico”) tra lo spettatore (acquirente) e l’organizzatore dell’evento (cedente), che determina - quale obbligo principale - quello di assicurare la visione diretta dello spettacolo sportivo, e - quale obbligo strumentale - quello di garantire la sicurezza e l’incolumità nei confronti del primo, tenendolo indenne da tutti quei danni che possano derivare dallo svolgimento di quell’attività (di cui l’organizzatore si fa carico)[48].

A tal proposito, è stato correttamente osservato[49] che il principio dell’accettazione del rischio (di sinistri e/o infortuni che siano conseguenza immediata e diretta della partecipazione a competizioni sportive) da parte dell’atleta ha una sua validità - entro confini precisi e determinati[50] - nei limiti di quella che dev’essere considerata la ‘normale’ partecipazione ad una determinata disciplina sportiva da parte di costui.

Esso non ha (nè potrebbe mai avere) efficacia, né nei confronti degli spettatori (sia che questi assumano la veste di spettatori ‘paganti’, sia in altre vesti), né nei confronti di terzi soggetti[51], non direttamente coinvolti nella competizione sportiva.

Non può certamente valere, infatti, nei confronti di soggetti estranei al mondo dello sport il “privilegio” della sola applicazione delle norme dell’ordinamento sportivo[52] (non facendo, infatti, costoro neanche parte di tale ordinamento).

Parimenti, non può essere sostenuto che la volontà dello spettatore di assistere allo spettacolo sportivo possa - anche aprioristicamente - inibire la pretesa risarcitoria di quest’ultimo, in nome di una “presunta” accettazione del rischio (di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica?), a causa della mera visione di tale spettacolo.

Proprio in quanto ‘spettatore’ (e non gareggiante), infatti, costui si trova in un contesto fisico estraneo al campo di gara.

Tuttavia, in merito alla sussistenza dell’obbligo, in capo all’organizzatore sportivo, di tenere indenne lo spettatore da tutti quei danni che possano derivare dallo svolgimento di attività sportive (perseguibile, nel caso che qui interessa, anche attraverso l’obbligo d’impedire l’introduzione ed il lancio di oggetti pericolosi), la giurisprudenza di merito s’è divisa tra orientamenti favorevoli[53] e contrari[54] (che propendono, in quest’ultimo caso, per l’esistenza di tale obbligo unicamente nei confronti delle forze dell’ordine).

Orbene, l’orientamento in esame sembra troncare ogni dubbio al riguardo.

Con affermazione, infatti, alquanto precisa e perentoria, la Suprema Corte chiarisce che l’organizzatore sportivo è tenuto ad attribuire al pubblico - quale corrispettivo del biglietto d’ingresso - non solo il diritto ad assistere alla competizione sportiva, ma anche «la garanzia di condizioni minime di agibilità del luogo e di protezione dell’incolumità personale».

A fondamento di tale tesi essa richiama - pur se con brevi cenni - quelle disposizioni di legge che fanno obbligo alle società sportive di «adottare tutte le misure idonee a prevenire tali rischi», proprio in riferimento a quelli relativi a «violenze e vandalismi», che vengono - precisamente - da essa qualificati come «eventi divenuti frequenti e prevedibili»[55] nel corso delle manifestazioni sportive.

A tal fine, vengono in rilievo sia le norme statali volte a prevenire e reprimere i fenomeni di violenza negli stadi[56], sia quelle norme facenti parte dell’ordinamento sportivo[57], che - mediante istituti anche discussi[58] - perseguono il fine di responsabilizzare le società sportive in tal senso (attraverso la predisposizione di un sistema di sanzioni sportive a carico di queste e/o dei loro rappresentanti[59]).

Tra le norme del primo tipo, sarà sufficiente richiamare le disposizioni che prevedono la misura del divieto d’accesso agli stadi (il c.d. “Daspo”) nei confronti di quei soggetti che si rendano protagonisti di episodi di violenza in occasione di manifestazioni sportive[60], quelle che prevedono la “videosorveglianza” (sia all’interno dello stadio, sia nelle «aree immediatamente adiacenti» a questo)[61] nel corso di tali eventi, quelle che prevedono l’emissione di biglietti “nominativi”[62] ai fini dell’accesso agl’impianti (le cui finalità di controllo e di tutela dell’ordine pubblico emergono in maniera abbastanza evidente), quelle che prevedono i sistemi di separazione tra le zone riservate agli spettatori e quelle, invece, riservate alle attività sportive[63],  le norme che prevedono la predisposizione negli stadi di varchi dotati di «metal detector» (i cosiddetti «tornelli»), ai fini dell’individuazione di strumenti di offesa e della «verifica elettronica della regolarità del titolo d’accesso mediante l’utilizzo di apposite apparecchiature»[64], ed infine quelle disposizioni che attribuiscono all’Autorità di PS il potere di arresto di soggetti violenti in stato di flagranza «differita»[65], sempre nel corso di tali eventi.

Tutte le norme appena menzionate partono dalla constatazione (su di un piano meramente fattuale, e secondo un dato di comune esperienza) del continuo verificarsi (e ripetersi) di episodi di violenza nel corso delle manifestazioni sportive.

Infatti, proprio attraverso la corretta (e piena) applicazione di una di esse[66], l’oggetto in questione, che ha cagionato il danno nei confronti della spettatrice (un moschettone da trekking), non avrebbe potuto (e dovuto) in alcun modo fare ingresso allo stadio, anche perché di natura metallica, e quindi non difficilmente rilevabile dal «metal detector» inserito nei «tornelli» dei varchi d’accesso[67].

5. La responsabilità extracontrattuale delle società sportive;

Per quanto riguarda i profili di responsabilità extracontrattuale delle società sportive, occorre partire dalla generale considerazione che responsabilità contrattuale ed extracontrattuale possono concorrere allorché un unico comportamento, risalente al medesimo autore, sia idoneo a ledere non solo diritti spettanti al contraente in virtù di specifiche pattuizioni (nel caso che qui interessa, derivanti dal contratto di spettacolo), ma anche diritti assoluti «che alla persona offesa spettano, di non subire pregiudizi all’onore, alla propria incolumità personale e alla proprietà di cui è titolare»[68].

Anche in un secondo momento, infatti, la giurisprudenza ha ribadito la possibilità di cumulo tra le due responsabilità, quando in capo al soggetto danneggiato sia configurabile una pluralità di situazioni giuridiche protette, sia in relazione alla sussistenza di un precedente (specifico) obbligo in capo a costui, sia in relazione alla sussistenza di divieti generali ed assoluti[69].

Per quel che concerne l’attività di organizzazione di eventi sportivi, con particolare riguardo ai profili di responsabilità delle società di calcio per danni occorsi a soggetti estranei alle competizioni, i più risalenti indirizzi tendevano a escludere la qualificazione di pericolosità di tale attività, qualificandola come ‘neutra’[70].

In un secondo momento, tuttavia, proprio con riguardo all’ipotesi di danno subito da uno spettatore (colpito ad un occhio) da oggetti lanciati da settori occupati da altri tifosi, essa ha mutato orientamento, pervenendo ad un giudizio di responsabilità della società sportiva, condannandola al risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo, in quanto riconducibili ad attività pericolosa ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile[71].

Analogamente essa si è pronunciata nell’ipotesi di danni provocati da un incendio sviluppatosi per la presenza di un ingente quantitativo di materiale infiammabile (nella specie: ‘fumogeni’ e materiale cartaceo) abusivamente introdotto nello stadio da parte di un gruppo di tifosi, a seguito del quale alcuni spettatori hanno trovato la morte[72].

L’orientamento che attribuisce natura pericolosa all’attività di organizzazione di gare di calcio professionistico (ex articolo 2050 del codice civile) ha trovato ulteriore conforto in altri successivi[73], anche nel caso in cui la situazione di pericolo sia«attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo»[74].

Ratio di tale evoluzione giurisprudenziale è stata la grande popolarità raggiunta al giorno d’oggi dal calcio professionistico, sempre in grado di richiamare un numero considerevole di spettatori, e la conseguente sua attitudine (su di un piano meramente statistico)[75] ad atteggiarsi quale palcoscenico di episodi di violenza, a volte molto gravi.

In questa linea si colloca non solo la previsione delle norme statali aventi la finalità di prevenire e reprimere i fenomeni di violenza negli stadi (prima menzionate)[76], ma anche di quelle regole di sicurezza che si devono osservare ai fini della realizzazione e della gestione degl’impianti sportivi[77], ed in particolare di quelle disposizioni dedicate alla capienza, alle caratteristiche proprie della zona degli spettatori, ai settori in cui deve essere diviso lo spazio a questi dedicato, al sistema delle vie d’uscita, alla predisposizione di un piano di sicurezza[78].

Trattasi di disposizioni la cui esecuzione - come ricorda l’orientamento in esame - «grava in primo luogo sulla società organizzatrice dell’incontro», e che, se omesse, «giustificano l’addebito di responsabilità, sia a titolo contrattuale, sia a titolo extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2049 del codice civile.»[79].

L’orientamento, quindi, richiama anche la disposizione di cui all’articolo 2049 del codice civile (responsabilità dei padroni e dei committenti) quale fondamento del giudizio di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle società sportive per danni subiti dagli spettatori.

 A tal fine (ed in maniera assolutamente corretta), essa fa appello anche all’attività di controllo effettuata dalle forze dell’ordine agli ingressi dello stadio, per attribuire a queste ultime la qualifica di «strumenti ausiliari dell’attività d’impresa», su cui fondare il giudizio di responsabilità dell’organizzatore sportivo (nella sua qualità d’imprenditore), ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile.

Sul punto, basterà ricordare che l’attività di controllo[80] effettuata agli ingressi dello stadio viene posta in essere anche da parte di altri soggetti - gli «stewards» degli stadi[81] - che con le società sportive si trovano o in rapporto di diretta (nel caso in cui siano alle dirette dipendenze di queste ultime) o di indiretta (nel caso in cui siano, invece, alle dipendenze di istituti di sicurezza privata autorizzati, di agenzie di somministrazione di lavoro, o di altre società appaltatrici di servizi) collaborazione.

6. Conclusioni.

Rimane il fatto che - come ricordato dall’orientamento in esame - il ricorso non era stato proposto in questi termini (perlomeno, non nei primi due gradi del giudizio).

In tali gradi di giudizio, infatti, oltre che al citato articolo 2043 del codice civile, la spettatrice aveva invocato in proprio favore anche l’articolo 2051 (danno cagionato da cosa in custodia).

Ma l’articolo 2051 del codice civile riguarda la diversa ipotesi in cui il danno sia stato provocato da cose di cui sia stata affidata la custodia a qualcuno, che quindi su di essa disponga di un potere effettivo.

Tale articolo fa riferimento, invero, ad una situazione di fatto, imputando la responsabilità a chi si trova nella condizione di controllare i rischi della stessa (potendo, a tal fine, essere qualificato come custode anche il soggetto che di fatto controlla le modalità d’uso e di consumo della cosa).

La giurisprudenza[82] rammenta come per custode debba intendersi colui che ha il governo della cosa, ossia il potere effettivo, dinamico ed esclusivo sulla stessa, inteso come potestà di fatto di esclusione di ogni altro soggetto da essa.

La responsabilità ex articolo 2051 postula, dunque, una relazione materiale, oltreché giuridica, tra la cosa e il custode, che determina a carico di chi ha il potere fisico sulla stessa l’onere di impedire che da essa possa derivare pregiudizio a terzi.

Diversamente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 (che sottintende un evento lesivo derivante da mancata o inadeguata custodia della cosa stessa), la responsabilità da esercizio di attività pericolose postula, tuttavia,«una successione ripetuta e continua di atti che si svolge nel tempo e che rivela una notevole potenzialità di danno, superiore al normale, ed apprezzabile in un momento anteriore all’evento dannoso»[83].

Non è stata questa l’ipotesi che ha interessato il caso in questione, visto il mancato potere di fatto, la mancata relazione materiale da parte della società organizzatrice nei confronti dell’oggetto (un moschettone da trekking) che ha materialmente cagionato il danno (lanciato, invece, da un altro spettatore presente).

Ragion per cui la responsabilità ex articolo 2051 del codice civile è stata (correttamente) esclusa dai giudici di legittimità.

La sentenza, tuttavia, contribuisce a fare chiarezza, sia in merito a quelli che sono i profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo nell’ipotesi di danni cagionati agli spettatori (e ciò anche a mezzo di altri soggetti di cui si avvale nell’esercizio della propria attività imprenditoriale), sia per quanto riguarda i profili probatori connessi a tale tipo di responsabilità, ormai inequivocabilmente riconducibile all’articolo 2050 del codice civile (per tale motivo, essa è certamente da salutare con favore).

Si rimane in attesa della produzione di altri orientamenti in merito, in grado di fornire ulteriori e più utili chiarimenti rispetto alle considerazioni sin qui svolte, in una materia che riveste sempre maggiore importanza nei settori della vita quotidiana qual è, oggi, lo sport.

 

[1] il testo integrale della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.altalex.com/index.php?idnot=27116;

[2] lo stadio in questione era il “Renzo Barbera”, dove la società U.S. Città di Palermo disputa le sue partite “casalinghe”;

[3] così in motivazione l’orientamento citato;

[4] così in motivazione l’orientamento citato (punto 3.2 della decisione);

[5] in generale, per organizzatore sportivo deve intendersi la persona fisica, giuridica, associazione non riconosciuta o comitatoche, assumendosene tutte le responsabilità (civili, penali, ed amministrative) nell’ambito dell’ordinamento giuridico dello Stato, promuove lincontro di uno o più atleti (o squadre) con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori e, dunque, a prescindere dal pubblico spettacolo. Per un’analisi dei profili di responsabilità (civile soprattutto) dell’organizzatore sportivo, si veda G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, Jovene, Napoli, 2005;

[6] ricordiamo che la caratteristica principale dell’organizzatore sportivo si ravvisa nella finalità di promozione delle competizioni, e nel potere di direzione e di controllo sulle stesse (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1948 del 10.02.2003, in Foro It., 2003, vol. 126, n. 5 [maggio], pag. 1439 ss.). Non necessariamente, la figura del gestore dell’impianto coincide, quindi, con quella del proprietario (è questa, anzi, la situazione che interessa la stragrande maggioranza degl’impianti sportivi italiani, di proprietà pubblica ma - in taluni casi - di gestione privata, tramite apposite convenzioni);

[7] Trib. Palermo (sezione civile), 14.06.2005;

[8] sent. n. 444 del 24.03.2010;

[9] cfr. punto 3.1 della decisione;

[10] cfr. sempre punto 3.1 della decisione, e la giurisprudenza ivi richiamata (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 24799 del 24.11.2005, in Arch. giur. circ., 2006, n. 6, pag. 611; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 8095 del 06.04.2006, in La resp. Civ., 2006, n. 7, pag. 662 ss. con nota di FACCI);

[11] perché contraria (come prima accennato) al divieto di ius novorum in appello (ex art. 345, 1° comma, cod. proc. civ.);

[12] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1192 del 16.02.1996 (in Dir. Trasp., 1998, pag. 465, con nota di LA TORRE; in Mass. Giust. civ., 1996, pag. 202; ed in Danno e Resp, 1996, pag. 649);

[13] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 11356 del 31.07.2002 (in Arch. Civ., 2003, pag. 570); e Cass. Civ., Sez. III ª, n. 7214 del 05.08.1997 (in Danno e Resp., 1998, n. 2, pag. 169 ss. con nota di BENEDETTI);

[14] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 18520 del 20.08.2009 (in Mass. Giust. civ., 2009, n. 7-8, pag. 1200);

[15] la giurisprudenza ci rammenta che le caratteristiche dell’organizzatore sportivo si sostanziano nella finalità di promuovere la competizione e nel potere di controllo e direzione sulla stessa (così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1948 del 10.02.2003, in Mass. Giust. civ., 2003, pag. 295; in Dir. Fall., 2003, pag. 532; ed in Foro It., 2003, I, pag. 1439 e ss., nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’organizzatore di un torneo di calcetto in quanto affittuario temporaneo della struttura). Per una disamina dei profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo, si veda anche M. PITTALIS, “La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi”, in Contr. e Impr., 2011, vol. I, pag. 150 ss.;

[16] che fa riferimento sia alle attività pericolose ‘tipizzate’ (nel codice o in leggi speciali), sia a quelle che sono tali per la loro attitudine a produrre un rischio (in questo caso, si parla di ‘atipicità’ delle attività pericolose);

[17] cfr. R. D. 18 giugno 1931, n. 773, “Approvazione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza” (T.U.L.P.S.), in G.U. n. 146 del 26.06.1931 (con tutte le successive modificazioni);

[18] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15288 del 30.10.2002 (in Nuova Giur. Civ. Comm., 2004, vol. I, n. 1, pag. 103, con nota di E. BOERI, “Attività agricola pericolosa e concorso di colpa del danneggiato incapace”, pag. 107);

[19] cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Lav., n. 2464 del 21.12.2010; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20359 del 21.10.2005 (in Mass. Giur. It., 2005, n. 10); Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20334 del 15.10.2004 (in Foro It., 2005, n. 1, pag. 1794);

[20] cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1197 del 19.01.2007; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20982 del 27.11.2012;

[21] dietro il pagamento, in quest’ultimo caso, di biglietto, o mediante l’iscrizione ad associazioni, ecc.;

[22] in particolare, l’imposta sugli Intrattenimenti (istituita con il d. lgs. n. 60 del 26 febbraio1999, che ha riformato con decorrenza 01.01.2000 il regime tributario degli spettacoli, dei giochi e degli intrattenimenti), l’Imposta sul Valore Aggiunto (I.V.A.) per quanto riguarda l’emissione di titoli d’accesso (sia in regime forfettario, sia in regime di dichiarazione ex d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 640 e d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633), e l’Imposta da versare alla S.I.A.E. (Società Italiana Autori ed Editori), la cui base imponibile è costituita dall'importo dei singoli titoli di accesso venduti al pubblico per l'ingresso o l'occupazione del posto;

[23] valide solo per il luogo ed il tempo in essa indicate (cfr. artt. 68 e 71 del T.U.L.P.S., citato sub nota 18);

[24] soprattutto per quanto riguarda gli sport su strada (in tema di responsabilità dell’organizzatore per la morte di un partecipante durante una gara di go-kart, cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 21664 del 08.11.2005, in Foro It., 2006, I, pag. 1459 ss.) o gli sport nautici (su cui, cfr. Cass. Pen., n. 6478 del 21.02.1995, sub nota 26 infra);

[25] basti porre a mente tutte quelle regole che interessano le distanze degli spettatori dal terreno di giuoco, o i mezzi di separazione (recinzioni, reti, rivestimenti vari, ecc.) tra questi ultimi e gli atleti (sui cui v. par. 4 infra);

[26] in tal senso, Cass. Pen., n. 6478 del 21.02.1995 (cit.), in Riv. dir. sport., 1996, pag. 302 ss. (in tema di responsabilità della Lega Navale Italiana per omicidio colposo per decesso di un gareggiante a seguito del naufragio dell’imbarcazione nel coso di una regata);

[27] così in motivazione Cass. Pen., n. 6478/95 cit.. In dottrina, cfr. S. GALLIGANI - A. PISCINI, “Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo”, in Riv. dir. ec. sport., 2007, vol. III, n. 3, che pongono l’accento sulla necessità di predisporre un’attività di specifica e complessa programmazione, in grado di prevedere “tutto il prevedibile, al di là delle prescrizioni statuali e regolamentari di settore, e con una valutazione in concreto di ogni strumento volto a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva” (pag. 118).

[28] per una disamina dei profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo, si veda anche B. BERTINI, “La responsabilità sportiva”, collana ‘Il Diritto Privato Oggi”, a cura di P. Cendon, Giuffrè, Milano, 2002, pag. 119 ss.;

[29] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 749 del 24.01.2000 (in Foro It., 2000, I, 2861; Giust. Civ, 2000, I, 1391; e Riv. dir. sport., 2001, 192);

[30] Cass. Pen., Sez. IVª, n. 34620 del 27.05.2003 (in Riv. Pen., 2003, pag. 959), fattispecie in tema di responsabilità penale per omicidio colposo del gestore di un impianto di go-kart per la morte di un minorenne cui era stato consentito l’uso di uno di tali mezzi e che, per un errore di manovra, era uscito dalla pista, abbattendo la recinzione e finendo contro un ostacolo fisso, riportando le lesioni dalle quali era derivato il decesso;

[31] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3528 del 13.02.2009, secondo cui: “l'attività di organizzazione di una competizione sportiva può essere qualificata come pericolosaqualoracomporti, per fatto degli organizzatori, un aumento del rischio di danno per gli atleti”;

[32] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 17216 del 22.07.2010 (in senso conforme: n. 6888 del 01.04.2005; e n. 16637 del 19.06.2008). Per quanto riguarda, invece, profili di responsabilità relativi a danni nei confronti di soggetti che, invece, non rientrano nelle categorie ‘principianti’ o giovanissimi, si applica la normativa speciale di cui all’art. 2052 cod. civ. (danno cagionato da animali: Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5664 del 09.03.2010);

[33] Trib. Pescara (sezione civile), 10.07.1999;

[34] cfr. Trib. Reggio Emilia (sezione civile), n. 1890 del 08.11.2012,. Più di recente, cfr. Cass. Pen., Sez. IVª, n. 31734 del 18.07.2014 (in tema di responsabilità penale dell’allenatore per la lesione alla testa occorsa ad un atleta in occasione di un allenamento svolto senza casco, in virtù della posizione di garanzia da questi rivestita);

[35] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12900 del 24.07.2012 (in Foro It., 2012, vol. 137, n. 11, tomo I, pag. 3002 ss., con nota di PALMIERI, “Attività senza fine di lucro, pericolosità e responsabilità oggettiva: ragioni economiche e protezione rafforzata degli interessi di rilievo costituzionale”), anche in virtù del particolare regime di autorizzazione cui essa è soggetta;

[36] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 19449 del 15.07.2008;

[37] e ciò sia per definizione normativa (l’attività è infatti disciplinata dalla legge 157 del 1992, che detta particolari norme in tema di assicurazione per i danni ai terzi ed istituisce, tra l’altro, un apposito fondo di garanzia a ciò dedicato) sia per qualificazione giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5222 del 30.11.1977, in Rep. Giust. civ., 1978; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12109 del 19.08.2003, in Mass. Giust. civ., 2003, n. 7-8);

[38] tutte le volte in cui questa venga svolta in sfavorevoli condizioni ambientali e metereologiche (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5971 del 18.03.2005, in Mass. Giust. civ., 2005, n. 4; ed in Dir. Mar., 2005, n. 4, pag. 1127), o in condizioni di anomalia del velivolo (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 10551 del 19.02.2002, in Giust. civ., 2003, I, pag. 104, e in Danno resp., 2002, pag. 1215, con nota di AGNINO, “Navigazione aerea ed applicabilità dell’art. 2050 c.c.”);

[39] Trib. Pisa (sezione civile), 10 aprile 2001 (in Dir. trasp., 2003, pag. 929); Trib. Roma (sezione civile), 22 maggio 2002 (in Dir. trasp., 2003, pag. 953, con nota di ANTONINI, “Assicurazione della responsabilità della scuola di pilotaggio e azione diretta del danneggiato”, ivi, pag. 958); Trib. Torino (sezione civile), 18 febbraio 2002 (in Dir. trasp., 2003, pag. 941, con nota conforme di GAGGIA, “Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle scuole di volo da diporto o sportivo”, ivi, 945);

[40] proprio in virtù del “mancato impiego di strumenti particolari” (cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5341 del 29.05.1998, in Giur. It., 1999, pag. 707 ss.; e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 8095 del 06.04.2006, cit.);

[41] Trib. Firenze (sezione civile), 15.12.1989 (in Arch. civ., 1990, pag. 923);

[42] Trib. Monza (sezione civile), 16.04.2004;

[43] Trib. Chiavari (sezione civile), 17.01.1997 (in Giur. mer., 1998, pag. 448);

[44] Cass. Pen., Sez. IVª, n. 39619 del 11.07.2007 (in Riv. Pen., 2008, n. 7-8,  pag. 842); contra Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 7916 del 26.04.2004 (in Guida al Dir., 2004, n. 19, pag. 32) che, in tema di lesioni riportate da uno sciatore che abbia praticato volontariamente un “fuori pista” in un passaggio pericoloso, ha affermato la responsabilità penale del gestore e del responsabile della sicurezza dell’impianto sciistico a titolo di colpa (nella specie: mancanza di adeguata segnalazione di tale passaggio sulla pista), su base contrattuale (nella specie: contratto di skipass);

[45] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 2216 del 15.02.2001 (in Danno e resp., 2001, pag. 379). Oggi si ritiene che il rapporto tra lo sciatore ed il gestore di un impianto di risalita sia regolato da un contratto di trasporto, pur se con qualche connotato di ‘atipicità’ (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 4343 del 23.02.2009, in Dir. trasp., 2009, vol. I, pag. 153, con nota di B. BIANCHINI, “Sulla ripartizione degli oneri probatori e sull’accertamento della causa del danno alla persona nel trasporto terrestre”, pag. 157);

[46] da M. PITTALIS, “La responsabilità sportiva”, 2013, Giuffrè, Milano, 185 ss.;

[47] cfr. G. STIPO, “La responsabilità civile nell’esercizio dello sport”; in Riv. dir. sport., 1961, 44 ss.;

[48] in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano (sezione civile), 21.03.1988 (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 68 ss., ed in Resp. Civ., 1988, pag. 766 ss.);

[49] da G. PONZANELLI, “Responsabilità civile e attività sportiva”, in Danno e resp., 2009, n. 6, pag. 603 ss.;

[50] rappresentati, fondamentalmente, dal rispetto delle regole tecniche e dei principi di lealtà e correttezza sportiva (il c.d. “fair play”);

[51] salvo pochissime eccezioni, che tengono sempre conto delle peculiarità dello sport praticato, e comunque valide solo nei confronti di terzi soggetti, ausiliari nell’attività di organizzazione e svolgimento della competizione (cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20908 del 27.10.2005, in Foro It., 2006, 5, pag. 1465 ss.; in Danno e resp., 2006, n. 1, pag. 633, con nota di FERRARI; ed in Rass. dir. econ. sport., 2006, pag. 508 ss., con nota di LEPORE). Fattispecie in tema di danno cagionato dallo sbandamento di uno sciatore nel corso di una gara agonistica di sci [nella specie: slalom gigante] nei confronti di un addetto alla regolarità del percorso [‘guardiaporte’]. L’esclusione della responsabilità dell’organizzatore è stata - in tale caso - motivata dalla normale ‘alea’ che caratterizza tali competizioni, essendo sufficiente che costui abbia predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto dei vigenti regolamenti sportivi);

[52] com’è stato puntualmente rilevato da G. PONZANELLI, op. cit., 603;

[53] Giudice di Pace di Napoli, 31.12.2003 (in Giur. It., 2004, vol. I, n. 2, pag. 2324 ss., con nota di LUCARELLI);

[54] Trib. Perugia (sezione civile), 15.07.2005 (in Resp. civ. e prev., 2006, pag. 1297 ss., con nota di ZUDDAS);

[55] così sempre in motivazione l’orientamento in esame (punto 3.3);

[56] in particolare, la legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”), con tutte le sue successive modificazioni (ed i numerosi richiami alla normativa speciale di settore in essa contenuti);

[57] si allude, in particolare, agli artt. 4 (“Responsabilità delle società”), 11 (“Responsabilità per comportamenti discriminatori”), 12 (“Prevenzione di fatti violenti”) e 14 (“Responsabilità delle società per fatti violenti dei propri sostenitori”), contenuti nel Titolo I-bis (“Norme di comportamento”) del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC (reperibile on-line presso il seguente indirizzo web:  http://www.figc.it/it/99/3815/Norme.shtml);

[58] si allude al discusso istituto della responsabilità oggettiva delle società di calcio, di cui all’art. 4, 3° co., del citato CGS (che pone a carico di queste ultime le conseguenze derivanti dall’operato e dal comportamento “delle persone comunque addette ai servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo.. sia su quello delle società ospitanti..”);

[59] cfr. artt. 18 (“Sanzioni a carico delle società”) e 19 (“Sanzioni a carico di dirigenti, soci e tesserati delle società”) del CGS della FIGC, cit.;

[60] cfr. l’art. 6 della legge n. 401 del 1989 (cit.), e le varie ipotesi di “Daspo” da esso previste;

[61] cfr. il d. m. 06.06.2005 (“Modalità per l'installazione di sistemi di videosorveglianza negli impianti sportivi di capienza superiore alle diecimila unità, in occasione di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio”, in G.U. n. 150 del 30.06.2005);

[62] cfr. il d m. 06.06.2005 (“Modalità per l'emissione, distribuzione e vendita dei titoli di accesso agli impianti sportivi di capienza superiore alle diecimila unità (oggi 7.500, ndr.), in occasione di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio”, in G.U. n. 150 del 30.06.2005);

[63] cfr. il d. m. 06.06.2005 (“Modifiche ed integrazioni al decreto ministeriale 18 marzo 1996, recante norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi”, in G. U. n. 150 del 30.06.2005). Nell’ambito delle norme che prevedono i sistemi di separazione tra le zone riservate agli spettatori, vengono in rilievo, in particolare, quelle che prevedono la suddivisione in settori “di cui uno dedicato agli ospiti.. (1° co.) con sistemi di separazione idonei ad impedire che i sostenitori delle due compagini in gara vengano in contatto tra loro.. (2° co. dell’art. 7 del d.m. 18 marzo 1996, come modificato dal d. m. 06.06.2005, cit.)”;

[64] così l’art. 1-quater del decreto-legge n. 28 del 2003 (“Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”, in G.U. n. 45 del 24.02.2003,convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, in G.U. 24.04.2003, n.95);

[65] in tutti quei casi in cui «non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica», sino alle «48 ore successive» al fatto contestato (così il comma 1-ter dell’art. 8, l. 401/89, come modificato dal decreto legge 24 febbraio 2003 n. 28, cit.);

[66] il citato (sub nota 63) art. 1-quater del decreto-legge n. 28 del 2003;

[67] a differenza - invece - di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello (e condiviso, invero, anche dai giudici di legittimità) in merito alla «facile occultabilità» ed alla «non pericolosità» dell’oggetto medesimo;

[68] cfr. Cass. Civ., n. 4337 del 07.08.1982 (in Resp. civ. e prev., 1984, pag. 78 ss.);

[69] cfr. Cass. Civ. Sez. Iª, n. 2577 del 06.03.1995 (in Mass. Giur. it., 1995, 527; in DI, 1995, pag. 649 ss. con nota di ANDREOLINI).

In dottrina, C. CASTRONOVO, “Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso”, in Eur. e dir. priv., 2004, pag. 69 ss.;

[70] cfr. Trib. Milano (sezione civile) 19.10.1972 (in Riv. dir. sport., 1973, pag. 81 ss., che ha negato il risarcimento del danno al tifoso colpito da un petardo in quanto «il danno non appariva prevedibile ai sensi dell’art. 1225 c.c.»); Trib. Milano (sezione civile) 21.03.1988 (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 68 ss., che ha qualificato i comportamenti dei tifosi, pur se non imprevedibili, tuttavia «non in concreto fronteggiabili»); App. Milano 30.03.1990 (in Resp. civ. e prev., 1990, pag. 590 ss.); e Trib. Firenze, 15.12.1989 (in Riv. dir. sport., 1991, pag. 95 ss.);

[71] così Trib. Milano (sezione civile), n. 10037 del 21.09.1998, (in Riv. dir. sport., 1999, pag. 556 ss.; ed in Danno e resp., 1999, pag. 234 ss.), successivamente confermata da App. Milano, 18.05.2001;

[72] Trib. Ascoli Piceno (sezione penale), 13.05.1989, (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 496 ss., con nota di A. MANFREDI, “Responsabilità del Presidente della società sportiva e dei dipendenti della società stessa per danni subiti da alcuni spettatori a causa della condotta illecita di altri tifosi”), successivamente confermata da App. Ancona, 18.06.1990 (in Società, 1990, pag. 1625), ove è stato affermato che «il presidente della società di calcio è penalmente e civilmente responsabile di tali fatti se non dimostra di avere predisposto una rigorosa, specifica e puntuale divisione di mansioni e di avere delegato la vigilanza ed il controllo sugli impianti sportivi a persone idonee a svolgere i compiti»;

[73] significativa al riguardo è stata la sentenza del Trib. Torino (sezione civile) 11.11.2004, in una fattispecie di danno cagionato allo spettatore da lancio di un ‘fumogeno’ proveniente da un settore occupato dalla tifoseria avversaria, ove si è affermato che «il comportamento di tifosi violenti ed ultras configura una prevedibile e costante fonte di danno per chi partecipi alla manifestazione in qualità di spettatore e spesso anche per gli stessi calciatori e per le Forze dell’ordine» (in Riv. dir. sport., 2005, 1, 134 ss., con nota di M. GRASSANI, “La Responsabilità risarcitoria dell’organizzatore dell’evento sportivo - il caso Juventus”; in Giur. It., 2005, IV, pag. 720 ss., con nota di VISINTINI; in Giur. merito, 2005, 12, pag. 2636 ss., con nota di ROCCHIO; ed in Danno e resp., 2006, pag. 767 ss., con nota di MAIETTA);

[74] così Trib. Bari (sezione civile), n. 2301 del 11.10.2007;

[75] cfr. il Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive 2014, reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.osservatoriosport.interno.gov.it/allegati/Dati/rapporto_osservatorio_2014.pdf;

[76] la legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”), richiamata sub nota 55;

[77] il d.m. 25 agosto 1989 (“Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio di impianti sportivi”), in G.U. n. 206 del 04.09.1989, e il d.m. 18 marzo 1996 (“Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi”), in G.U. n.  85 del 11.04.1996, coordinato con le modifiche e le integrazioni introdotte dal d. m. 6 giugno 2005, cit.;

[78] cfr. art. 19, d.m. 18 marzo 1996, cit.;

[79] così in motivazione l’orientamento in esame (punto 3.3);

[80] insieme a quella di instradamento degli spettatori nei posti ubicati nei settori loro riservati, e di assicurare da parte di questi ultimi il rispetto del regolamento d’uso dell’impianto (così l’art. 6-quater, l. 401/89 cit.);

[81] per un’analisi di quelli che sono i poteri e le mansioni, nonché le tutele penali, attribuiti a tali soggetti, sia consentito rinviare a P. GARRAFFA, “L´esperienza italiana nella sicurezza degl’impianti sportivi: gli ‘stewards’ degli stadi”, in Revista Brasileira de Direito Desportivo, 2011, San Paolo (Brasile), anno 10, n. 20 (Luglio-Dicembre);

[82] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 24530 del 20.11.2009 (ne La resp. civ., 2010, pag. 393; in Mass. Giur. It., 2009, 11, pag. 1614; ed in Guida al dir., 2010, n. 1, pag. 47);

[83] così Cass. Civ. Sez. IIIª, n. 1425 del 24.02.1983 (in Mass. Giur. It., 1983, n. 2);

Abstract: risponde ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile la società organizzatrice di una partita di calcio per il danno cagionato allo spettatore, derivante da lancio di oggetti pericolosi da parte di altri spettatori, rappresentando, l’attività di organizzazione di eventi sportivi, un’attività pericolosa.

La domanda avente per oggetto l’accertamento di tale responsabilità implica presupposti di fatto diversi, sia rispetto a quelli propri della responsabilità per fatto illecito ex articolo 2043, sia a quelli propri della responsabilità per danno cagionato da cose in custodia ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile: ne consegue che incorre nel divieto di ius novorum in appello, l’attore che non formuli compiutamente in primo grado domanda di risarcimento ai sensi dell’articolo 2050.

Risponde ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile (responsabilità di padroni e committenti, per fatto dei propri ausiliari) del danno cagionato allo spettatore di una partita di calcio, derivante da lancio di oggetti pericolosi da parte di altri spettatori, la società organizzatrice dell’evento, in virtù del contratto di “spettacolo” stipulato (mediante l’acquisto del biglietto) tra organizzatore e spettatore, che determina, quale obbligo accessorio, quello di garantire la sicurezza e l’incolumità di quest’ultimo.

SOMMARIO: Introduzione - 1. Il caso; - 2. Le questioni affrontate: A) la diversità tra la domanda ex articolo 2043 e quella ex articolo 2050 del codice civile; - 3 B) la responsabilità per attività pericolosa ex articolo 2050 del codice civile dell’organizzatore sportivo; - 4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto cosiddetto “di spettacolo”; - 5. La responsabilità extracontrattuale delle società sportive, ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile; - 6. Conclusioni.

Introduzione

Con decisione n. 26901 dello scorso 19 dicembre 2014[1] la Suprema Corte di Cassazione (Terza Sezione Civile, Presidente Travaglino - Relatore Lanzillo) pronunciandosi su di un caso di danno occorso ad una spettatrice che, durante una partita di calcio del campionato di Serie A[2], veniva colpita al viso da un oggetto (nella specie: un moschettone da trekking) lanciato da un «anello» dello stadio superiore a quello in cui lei sedeva - in corrispondenza della «curva Sud» - riportava la frattura dell’arco zigomatico, ha escluso la responsabilità della società di calcio sia ai sensi dell’art. 2043 (neminem laedere), sia ai sensi dell’articolo 2051 del codice civile (danno cagionato da cose in custodia).

Nel primo caso, la responsabilità civile veniva esclusa per assenza di colpa in capo alla società sportiva, essendo stato l’evento qualificato come «non controllabile, a fronte delle migliaia di spettatori delle partite e della natura dell’oggetto contundente di cui qui si tratta», e l’oggetto considerato come«facilmente occultabile e di per sé non contundente né pericoloso»[3].

Nel secondo caso, la responsabilità per danno da cose in custodia veniva esclusa, «trattandosi di danno riconducibile non alla natura del bene custodito, né dall’uso che ne è stato fatto dal custode, bensì al comportamento illecito di un terzo, rispetto al quale lo stadio ha rappresentato esclusivamente il contesto nell’ambito del quale è maturata la vicenda»[4].

La sentenza presenta spunti di particolare interesse, soffermandosi (pur se con concisa motivazione) sui profili di responsabilità delle società di calcio  - sia di natura contrattuale, sia di natura extracontrattuale - per danni cagionati agli spettatori nel corso delle manifestazioni sportive, nella loro duplice qualità di organizzatori delle medesime[5] e di gestori degli stadi[6] ove tali manifestazioni si svolgono.

Per una migliore comprensione del caso (e dei profili giuridici da esso affrontati) si rende necessaria una breve ricostruzione dei fatti. 

1. Il caso

Una spettatrice conveniva in giudizio la società calcistica U.S. Città di Palermo - in qualità di custode dello stadio cittadino - per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del lancio - proveniente dalla parte superiore della «curva» dove la stessa sedeva - di un moschettone da trekking che, andandola a colpire al viso, ne determinava la frattura dello zigomo.

In virtù di tanto, costei avanzava domanda di risarcimento innanzi al Tribunale di Palermo (sezione civile), invocando in proprio favore gli articoli 2043 (neminem laedere) e 2051 (danno cagionato da cosa in custodia) del codice civile.

Il giudice di prime cure, tuttavia, ne disponeva il rigetto[7], aggiungendo però che la soluzione avrebbe potuto essere diversa «ove la danneggiata avesse agito ai sensi dell’articolo 2050, prospettando la responsabilità per la convenuta per l’esercizio di attività pericolosa».

La spettatrice quindi riformulava le proprie pretese in Appello, ponendo - questa volta - a fondamento delle stesse il richiamato articolo 2050 del codice civile, deducendo che erroneamente il giudice di primo grado aveva respinto la propria domanda, potendo applicare d’ufficio la norma ritenuta appropriata.

I giudici d’Appello, tuttavia, rigettavano nuovamente il gravame proposto[8], in quanto contrario alle norme processuali relative al divieto di ius novorum (in particolare: l’articolo 345, comma 1, codice di procedura civile, che impedisce la proposizione di nuove domande in sede di appello).

Presentato ricorso per Cassazione (con unico motivo, riguardante la presunta violazione dell’articolo 2043 del codice civile che, in quanto norma di carattere generale, ricomprenderebbe - secondo le allegazioni di parte - ogni altra fattispecie di responsabilità civile, ivi compresa quella di cui all’articolo 2050), la Suprema Corte rigettava definitivamente la domanda di parte attrice (ritenendola in parte inammissibile ed in parte infondata) fornendo, tuttavia, una serie d’interessanti precisazioni al riguardo.

2. Le questioni affrontate: A) la diversità tra la domanda ex articolo 2043 e quella ex articolo 2050 del codice civile

Almeno due sono state le questioni affrontate da parte dei giudici di legittimità, una di natura processuale ed una di natura sostanziale.

La prima questione ha investito i profili relativi alla proposizione di una nuova domanda in sede di Appello, su cui fondare un (eventuale) giudizio di responsabilità della società sportiva (per danno derivante da lancio di oggetti provenienti dagli spalti).

A tal fine la Cassazione ha avuto modo di precisare che la responsabilità derivante dall’esercizio di attività pericolosa ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile implica l’accertamento di presupposti di fatto diversi - anche solo parzialmente - rispetto a quelli propri della responsabilità per fatto illecito ex articolo 2043[9].

Ciò reca la conseguenza per cui la domanda avente per oggetto l’accertamento del primo tipo di responsabilità va considerata alla stregua di una domanda diversa e nuova rispetto a quella che ha per oggetto la “normale” responsabilità per fatto illecito[10].

In virtù di tanto, la Suprema Corte ne ha disposto il rigetto[11].

L’orientamento si colloca sulla stessa scía di altri in precedenza, secondo cui le differenze tra le azioni di cui all’articolo 2043 e l’articolo 2050 del codice civ. escludono la possibilità che, una volta proposto la domanda del primo tipo in grado di merito, possa poi intentarsi - per la prima volta - la domanda del secondo tipo in grado d’appello [12].

Del pari, la giurisprudenza ha anche escluso che la domanda di cui all’articolo 2050 possa essere intentata per la prima volta nel giudizio di Cassazione, importando comunque la necessità di nuove indagini di fatto[13].

Né può ritenersi sufficiente - ha aggiunto la stessa giurisprudenza[14] - il generico richiamo in domanda alle norme che disciplinano regimi speciali di responsabilità (quali quelli di cui agli articoli 2050 e 2051 del codice civile) «ove tale richiamo non sia inserito in una argomentazione difensiva chiara e compiuta».

3. B) la responsabilità per attività pericolosa ex articolo 2050 del codice civile dell’organizzatore sportivo

La seconda, fondamentale, questione su cui si sofferma l’orientamento in esame investe i profili di responsabilità - sia contrattuale che extracontrattuale - delle società sportive per danni subiti dagli spettatori, nella loro duplice qualità di organizzatori di manifestazioni sportive[15] e di gestori degli impianti sportivi in cui queste si svolgono (nella fattispecie: uno stadio di calcio).

La risposta a tale quesito non può che partire da una (breve) ricostruzione della generale nozione di ‘attività pericolosa’, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 2050 del codice civile.

Stante la ‘struttura aperta’ di tale norma[16], infatti, la giurisprudenza è stata più volte investita del problema relativo alla qualificazione concreta della pericolosità di una determinata attività, ai fini dell’applicazione dello speciale regime da essa previsto.

Così, essa ha qualificato come ‘pericolose’ quelle attività che - anzitutto - sono considerate come tali dalle leggi di pubblica sicurezza[17] o da altre leggi speciali, ed in secondo luogo quelle attività che, per loro stessa natura - o per le caratteristiche dei mezzi adoperati - «comportino la rilevante possibilità del verificarsi di un danno per la loro spiccata potenzialità offensiva»[18].

In altri termini, occorre che si tratti di attività il cui carattere di obiettiva pericolosità determina una potenzialità offensiva (rilevabile attraverso dati statistici, caratteristiche tecniche e/o dati di comune esperienza) notevolmente superiore al normale[19].

Per quanto riguarda l’attività sportiva (ed il gioco del calcio in particolare) occorre distinguere tra pericolosità dell’attività e pericolosità dell’organizzazione.

Per quel che concerne l’attività sportiva in sé e per sé considerata, la giurisprudenza ha escluso che possa essere qualificata come pericolosa[20].

Con specifico riferimento, invece, all’attività di organizzazione di eventi sportivi - anche in virtù della loro attitudine a richiamare un certo numero di spettatori (a volte anche considerevole, come nel caso delle competizioni calcistiche) - mette conto rilevare che tale attività è soggetta all’osservanza di (almeno) un triplice ordine di prescrizioni.

In tutti quei casi, infatti, in cui tale attività dia luogo ad un pubblico spettacolo (tenutosi, cioè, in luogo pubblico o aperto al pubblico)[21], vengono in rilievo, in primo luogo, tutte quelle prescrizioni che la legge pone a garanzia dell’ordine pubblico.

Tali disposizioni perseguono il duplice fine di tutelare l’incolumità di atleti e spettatori (da un lato), e quello di garantire l’integrità dei risultati sportivi (dall’altro), e trovano applicazione a prescindere dalla presenza (o meno) della finalità di lucro in capo all’imprenditore-organizzatore (in tali casi, vengono in rilievo anche disposizioni di tipo tributario)[22].

A tal fine, sarà sufficiente rammentare il sistema del rilascio delle licenze da parte dell’autorità di pubblica sicurezza[23] (Questura), nonché le disposizioni emanate da parte delle autorità locali[24].

In secondo luogo vengono in rilievo le disposizioni presenti nei vari Regolamenti Sportivi - soprattutto in tema di idoneità e sicurezza dei luoghi - che sono poste non solo a tutela degli atleti partecipanti (in via principale), ma anche a tutela dell’incolumità degli spettatori che a queste assistono (in via sussidiaria)[25].

In terzo ed ultimo luogo entrano in gioco le norme di comune prudenza - come rammentato dalla stessa giurisprudenza[26] - da interpretare secondo il criterio della “prevedibilità ex ante” dell’evento lesivo[27].

Alla luce di tali considerazioni, quindi, l’attività sportiva (o meglio, l’organizzazione di un evento sportivo)[28] può ben rientrare nel novero delle attività pericolose ex articolo 2050 del codice civile, con un grado di pericolosità (ed un conseguente standard di diligenza richiesto all’organizzatore) che può variare a seconda della presenza - ed al concreto impatto (in relazione alla disciplina in questione) - di tutte le variabili appena menzionate (presenza degli spettatori; natura intrinsecamente pericolosa dell’attività svolta; natura dei mezzi utilizzati; idoneità e sicurezza dei luoghi; idoneità e sicurezza dei mezzi; idoneità fisica e tecnica degli atleti partecipanti).

La differenza - rispetto ad altre attività umane considerate ‘non pericolose’ - è tutt’altro che di poco conto, dal momento che la sussunzione dell’attività di organizzazione di eventi sportivi nel novero delle attività pericolose fa “scattare” - in capo all’organizzatore - l’applicazione del regime speciale di responsabilità previsto dallo stesso articolo, in tema di prova liberatoria richiesta (consistente, in particolare, nella dimostrazione «di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno»).

La dottrina, sul punto, è unanime nel ritenere la responsabilità derivante da esercizio di attività pericolose alla stregua di un’ipotesi di responsabilità oggettiva (o ‘aggravata’) in capo al soggetto danneggiante, essendo sufficiente, da parte del danneggiato, la sola prova del nesso causale tra l’evento dannoso e lo svolgimento di quella determinata attività (non essendo, di contro, necessaria la prova del dolo o della colpa del danneggiante).

In tal modo, è stata considerata pericolosa l’attività di organizzazione di gare motociclistiche (anche se di regolarità) su circuito aperto al traffico[29], l’attività di gestione di una pista di go-kart[30], l’organizzazione di gare di bob, anche su campo di gara omologato dalle competenti Federazioni Internazionali[31], l’attività di gestione di un maneggio (nel caso in cui a montare in sella sia un soggetto considerato ‘principiante’, o di giovane età)[32], l’attività di gestione di tappeti elastici[33], la disciplina sportiva del ‘taekwondo’[34], la disciplina sportiva dell’alpinismo[35], lo svolgimento di attività di equitazione[36], l’attività venatoria (per l’intrinseca pericolosità dei mezzi utilizzati)[37], l’attività di navigazione aerea[38], il volo da diporto o sportivo[39].

Non sono state, invece, considerate pericolose l’attività ginnica a corpo libero[40], l’attività di calcio ‘in costume’ (o ‘fiorentino’)[41], l’attività di gestione di un campo di calcetto[42], l’attività di gestione di una pista di “autoscontro”[43], l’attività di gestione di un impianto sciistico[44], o l’attività di gestione di un impianto di risalita[45].

4. La responsabilità contrattuale delle società sportive: il contratto cosiddetto “di spettacolo”

Per quanto riguarda i profili relativi alla responsabilità contrattuale delle società sportive, l’orientamento in esame confuta (secondo un iter logico-giuridico che sembra corretto) l’argomentazione fatta propria dai giudici di Appello, che ha portato ad escludere la responsabilità contrattuale della società convenuta, derivante dalla vendita del biglietto, in quanto limitata - sic et simpliciter - all’«obbligo di attribuire allo spettatore il diritto di assistere all’evento sportivo» (senza nessuna ulteriore garanzia, quindi, per quest’ultimo, sul piano della sua incolumità personale).

Analogamente essa stabilisce (cassandola) per quanto riguarda l’ulteriore conclusione secondo cui «il controllo degli ingressi sarebbe una questione che interessa esclusivamente la responsabilità delle forze dell’ordine».

Posto che - come puntualmente rilevato dalla dottrina[46] - la responsabilità dell’organizzatore va commisurata in relazione alla complessità organizzativa richiesta dalla singola manifestazione, la vendita del biglietto comporta, infatti, la stipula di un contratto di spettacolo[47] (“innominato e atipico”) tra lo spettatore (acquirente) e l’organizzatore dell’evento (cedente), che determina - quale obbligo principale - quello di assicurare la visione diretta dello spettacolo sportivo, e - quale obbligo strumentale - quello di garantire la sicurezza e l’incolumità nei confronti del primo, tenendolo indenne da tutti quei danni che possano derivare dallo svolgimento di quell’attività (di cui l’organizzatore si fa carico)[48].

A tal proposito, è stato correttamente osservato[49] che il principio dell’accettazione del rischio (di sinistri e/o infortuni che siano conseguenza immediata e diretta della partecipazione a competizioni sportive) da parte dell’atleta ha una sua validità - entro confini precisi e determinati[50] - nei limiti di quella che dev’essere considerata la ‘normale’ partecipazione ad una determinata disciplina sportiva da parte di costui.

Esso non ha (nè potrebbe mai avere) efficacia, né nei confronti degli spettatori (sia che questi assumano la veste di spettatori ‘paganti’, sia in altre vesti), né nei confronti di terzi soggetti[51], non direttamente coinvolti nella competizione sportiva.

Non può certamente valere, infatti, nei confronti di soggetti estranei al mondo dello sport il “privilegio” della sola applicazione delle norme dell’ordinamento sportivo[52] (non facendo, infatti, costoro neanche parte di tale ordinamento).

Parimenti, non può essere sostenuto che la volontà dello spettatore di assistere allo spettacolo sportivo possa - anche aprioristicamente - inibire la pretesa risarcitoria di quest’ultimo, in nome di una “presunta” accettazione del rischio (di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica?), a causa della mera visione di tale spettacolo.

Proprio in quanto ‘spettatore’ (e non gareggiante), infatti, costui si trova in un contesto fisico estraneo al campo di gara.

Tuttavia, in merito alla sussistenza dell’obbligo, in capo all’organizzatore sportivo, di tenere indenne lo spettatore da tutti quei danni che possano derivare dallo svolgimento di attività sportive (perseguibile, nel caso che qui interessa, anche attraverso l’obbligo d’impedire l’introduzione ed il lancio di oggetti pericolosi), la giurisprudenza di merito s’è divisa tra orientamenti favorevoli[53] e contrari[54] (che propendono, in quest’ultimo caso, per l’esistenza di tale obbligo unicamente nei confronti delle forze dell’ordine).

Orbene, l’orientamento in esame sembra troncare ogni dubbio al riguardo.

Con affermazione, infatti, alquanto precisa e perentoria, la Suprema Corte chiarisce che l’organizzatore sportivo è tenuto ad attribuire al pubblico - quale corrispettivo del biglietto d’ingresso - non solo il diritto ad assistere alla competizione sportiva, ma anche «la garanzia di condizioni minime di agibilità del luogo e di protezione dell’incolumità personale».

A fondamento di tale tesi essa richiama - pur se con brevi cenni - quelle disposizioni di legge che fanno obbligo alle società sportive di «adottare tutte le misure idonee a prevenire tali rischi», proprio in riferimento a quelli relativi a «violenze e vandalismi», che vengono - precisamente - da essa qualificati come «eventi divenuti frequenti e prevedibili»[55] nel corso delle manifestazioni sportive.

A tal fine, vengono in rilievo sia le norme statali volte a prevenire e reprimere i fenomeni di violenza negli stadi[56], sia quelle norme facenti parte dell’ordinamento sportivo[57], che - mediante istituti anche discussi[58] - perseguono il fine di responsabilizzare le società sportive in tal senso (attraverso la predisposizione di un sistema di sanzioni sportive a carico di queste e/o dei loro rappresentanti[59]).

Tra le norme del primo tipo, sarà sufficiente richiamare le disposizioni che prevedono la misura del divieto d’accesso agli stadi (il c.d. “Daspo”) nei confronti di quei soggetti che si rendano protagonisti di episodi di violenza in occasione di manifestazioni sportive[60], quelle che prevedono la “videosorveglianza” (sia all’interno dello stadio, sia nelle «aree immediatamente adiacenti» a questo)[61] nel corso di tali eventi, quelle che prevedono l’emissione di biglietti “nominativi”[62] ai fini dell’accesso agl’impianti (le cui finalità di controllo e di tutela dell’ordine pubblico emergono in maniera abbastanza evidente), quelle che prevedono i sistemi di separazione tra le zone riservate agli spettatori e quelle, invece, riservate alle attività sportive[63],  le norme che prevedono la predisposizione negli stadi di varchi dotati di «metal detector» (i cosiddetti «tornelli»), ai fini dell’individuazione di strumenti di offesa e della «verifica elettronica della regolarità del titolo d’accesso mediante l’utilizzo di apposite apparecchiature»[64], ed infine quelle disposizioni che attribuiscono all’Autorità di PS il potere di arresto di soggetti violenti in stato di flagranza «differita»[65], sempre nel corso di tali eventi.

Tutte le norme appena menzionate partono dalla constatazione (su di un piano meramente fattuale, e secondo un dato di comune esperienza) del continuo verificarsi (e ripetersi) di episodi di violenza nel corso delle manifestazioni sportive.

Infatti, proprio attraverso la corretta (e piena) applicazione di una di esse[66], l’oggetto in questione, che ha cagionato il danno nei confronti della spettatrice (un moschettone da trekking), non avrebbe potuto (e dovuto) in alcun modo fare ingresso allo stadio, anche perché di natura metallica, e quindi non difficilmente rilevabile dal «metal detector» inserito nei «tornelli» dei varchi d’accesso[67].

5. La responsabilità extracontrattuale delle società sportive;

Per quanto riguarda i profili di responsabilità extracontrattuale delle società sportive, occorre partire dalla generale considerazione che responsabilità contrattuale ed extracontrattuale possono concorrere allorché un unico comportamento, risalente al medesimo autore, sia idoneo a ledere non solo diritti spettanti al contraente in virtù di specifiche pattuizioni (nel caso che qui interessa, derivanti dal contratto di spettacolo), ma anche diritti assoluti «che alla persona offesa spettano, di non subire pregiudizi all’onore, alla propria incolumità personale e alla proprietà di cui è titolare»[68].

Anche in un secondo momento, infatti, la giurisprudenza ha ribadito la possibilità di cumulo tra le due responsabilità, quando in capo al soggetto danneggiato sia configurabile una pluralità di situazioni giuridiche protette, sia in relazione alla sussistenza di un precedente (specifico) obbligo in capo a costui, sia in relazione alla sussistenza di divieti generali ed assoluti[69].

Per quel che concerne l’attività di organizzazione di eventi sportivi, con particolare riguardo ai profili di responsabilità delle società di calcio per danni occorsi a soggetti estranei alle competizioni, i più risalenti indirizzi tendevano a escludere la qualificazione di pericolosità di tale attività, qualificandola come ‘neutra’[70].

In un secondo momento, tuttavia, proprio con riguardo all’ipotesi di danno subito da uno spettatore (colpito ad un occhio) da oggetti lanciati da settori occupati da altri tifosi, essa ha mutato orientamento, pervenendo ad un giudizio di responsabilità della società sportiva, condannandola al risarcimento dei danni subiti da quest’ultimo, in quanto riconducibili ad attività pericolosa ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile[71].

Analogamente essa si è pronunciata nell’ipotesi di danni provocati da un incendio sviluppatosi per la presenza di un ingente quantitativo di materiale infiammabile (nella specie: ‘fumogeni’ e materiale cartaceo) abusivamente introdotto nello stadio da parte di un gruppo di tifosi, a seguito del quale alcuni spettatori hanno trovato la morte[72].

L’orientamento che attribuisce natura pericolosa all’attività di organizzazione di gare di calcio professionistico (ex articolo 2050 del codice civile) ha trovato ulteriore conforto in altri successivi[73], anche nel caso in cui la situazione di pericolo sia«attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo»[74].

Ratio di tale evoluzione giurisprudenziale è stata la grande popolarità raggiunta al giorno d’oggi dal calcio professionistico, sempre in grado di richiamare un numero considerevole di spettatori, e la conseguente sua attitudine (su di un piano meramente statistico)[75] ad atteggiarsi quale palcoscenico di episodi di violenza, a volte molto gravi.

In questa linea si colloca non solo la previsione delle norme statali aventi la finalità di prevenire e reprimere i fenomeni di violenza negli stadi (prima menzionate)[76], ma anche di quelle regole di sicurezza che si devono osservare ai fini della realizzazione e della gestione degl’impianti sportivi[77], ed in particolare di quelle disposizioni dedicate alla capienza, alle caratteristiche proprie della zona degli spettatori, ai settori in cui deve essere diviso lo spazio a questi dedicato, al sistema delle vie d’uscita, alla predisposizione di un piano di sicurezza[78].

Trattasi di disposizioni la cui esecuzione - come ricorda l’orientamento in esame - «grava in primo luogo sulla società organizzatrice dell’incontro», e che, se omesse, «giustificano l’addebito di responsabilità, sia a titolo contrattuale, sia a titolo extracontrattuale, ai sensi dell’articolo 2049 del codice civile.»[79].

L’orientamento, quindi, richiama anche la disposizione di cui all’articolo 2049 del codice civile (responsabilità dei padroni e dei committenti) quale fondamento del giudizio di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle società sportive per danni subiti dagli spettatori.

 A tal fine (ed in maniera assolutamente corretta), essa fa appello anche all’attività di controllo effettuata dalle forze dell’ordine agli ingressi dello stadio, per attribuire a queste ultime la qualifica di «strumenti ausiliari dell’attività d’impresa», su cui fondare il giudizio di responsabilità dell’organizzatore sportivo (nella sua qualità d’imprenditore), ai sensi degli articoli 1228 e 2049 del codice civile.

Sul punto, basterà ricordare che l’attività di controllo[80] effettuata agli ingressi dello stadio viene posta in essere anche da parte di altri soggetti - gli «stewards» degli stadi[81] - che con le società sportive si trovano o in rapporto di diretta (nel caso in cui siano alle dirette dipendenze di queste ultime) o di indiretta (nel caso in cui siano, invece, alle dipendenze di istituti di sicurezza privata autorizzati, di agenzie di somministrazione di lavoro, o di altre società appaltatrici di servizi) collaborazione.

6. Conclusioni.

Rimane il fatto che - come ricordato dall’orientamento in esame - il ricorso non era stato proposto in questi termini (perlomeno, non nei primi due gradi del giudizio).

In tali gradi di giudizio, infatti, oltre che al citato articolo 2043 del codice civile, la spettatrice aveva invocato in proprio favore anche l’articolo 2051 (danno cagionato da cosa in custodia).

Ma l’articolo 2051 del codice civile riguarda la diversa ipotesi in cui il danno sia stato provocato da cose di cui sia stata affidata la custodia a qualcuno, che quindi su di essa disponga di un potere effettivo.

Tale articolo fa riferimento, invero, ad una situazione di fatto, imputando la responsabilità a chi si trova nella condizione di controllare i rischi della stessa (potendo, a tal fine, essere qualificato come custode anche il soggetto che di fatto controlla le modalità d’uso e di consumo della cosa).

La giurisprudenza[82] rammenta come per custode debba intendersi colui che ha il governo della cosa, ossia il potere effettivo, dinamico ed esclusivo sulla stessa, inteso come potestà di fatto di esclusione di ogni altro soggetto da essa.

La responsabilità ex articolo 2051 postula, dunque, una relazione materiale, oltreché giuridica, tra la cosa e il custode, che determina a carico di chi ha il potere fisico sulla stessa l’onere di impedire che da essa possa derivare pregiudizio a terzi.

Diversamente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 (che sottintende un evento lesivo derivante da mancata o inadeguata custodia della cosa stessa), la responsabilità da esercizio di attività pericolose postula, tuttavia,«una successione ripetuta e continua di atti che si svolge nel tempo e che rivela una notevole potenzialità di danno, superiore al normale, ed apprezzabile in un momento anteriore all’evento dannoso»[83].

Non è stata questa l’ipotesi che ha interessato il caso in questione, visto il mancato potere di fatto, la mancata relazione materiale da parte della società organizzatrice nei confronti dell’oggetto (un moschettone da trekking) che ha materialmente cagionato il danno (lanciato, invece, da un altro spettatore presente).

Ragion per cui la responsabilità ex articolo 2051 del codice civile è stata (correttamente) esclusa dai giudici di legittimità.

La sentenza, tuttavia, contribuisce a fare chiarezza, sia in merito a quelli che sono i profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo nell’ipotesi di danni cagionati agli spettatori (e ciò anche a mezzo di altri soggetti di cui si avvale nell’esercizio della propria attività imprenditoriale), sia per quanto riguarda i profili probatori connessi a tale tipo di responsabilità, ormai inequivocabilmente riconducibile all’articolo 2050 del codice civile (per tale motivo, essa è certamente da salutare con favore).

Si rimane in attesa della produzione di altri orientamenti in merito, in grado di fornire ulteriori e più utili chiarimenti rispetto alle considerazioni sin qui svolte, in una materia che riveste sempre maggiore importanza nei settori della vita quotidiana qual è, oggi, lo sport.

 

[1] il testo integrale della sentenza è reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.altalex.com/index.php?idnot=27116;

[2] lo stadio in questione era il “Renzo Barbera”, dove la società U.S. Città di Palermo disputa le sue partite “casalinghe”;

[3] così in motivazione l’orientamento citato;

[4] così in motivazione l’orientamento citato (punto 3.2 della decisione);

[5] in generale, per organizzatore sportivo deve intendersi la persona fisica, giuridica, associazione non riconosciuta o comitatoche, assumendosene tutte le responsabilità (civili, penali, ed amministrative) nell’ambito dell’ordinamento giuridico dello Stato, promuove lincontro di uno o più atleti (o squadre) con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori e, dunque, a prescindere dal pubblico spettacolo. Per un’analisi dei profili di responsabilità (civile soprattutto) dell’organizzatore sportivo, si veda G. LIOTTA “Attività sportive e responsabilità dell’organizzatore”, Jovene, Napoli, 2005;

[6] ricordiamo che la caratteristica principale dell’organizzatore sportivo si ravvisa nella finalità di promozione delle competizioni, e nel potere di direzione e di controllo sulle stesse (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1948 del 10.02.2003, in Foro It., 2003, vol. 126, n. 5 [maggio], pag. 1439 ss.). Non necessariamente, la figura del gestore dell’impianto coincide, quindi, con quella del proprietario (è questa, anzi, la situazione che interessa la stragrande maggioranza degl’impianti sportivi italiani, di proprietà pubblica ma - in taluni casi - di gestione privata, tramite apposite convenzioni);

[7] Trib. Palermo (sezione civile), 14.06.2005;

[8] sent. n. 444 del 24.03.2010;

[9] cfr. punto 3.1 della decisione;

[10] cfr. sempre punto 3.1 della decisione, e la giurisprudenza ivi richiamata (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 24799 del 24.11.2005, in Arch. giur. circ., 2006, n. 6, pag. 611; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 8095 del 06.04.2006, in La resp. Civ., 2006, n. 7, pag. 662 ss. con nota di FACCI);

[11] perché contraria (come prima accennato) al divieto di ius novorum in appello (ex art. 345, 1° comma, cod. proc. civ.);

[12] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1192 del 16.02.1996 (in Dir. Trasp., 1998, pag. 465, con nota di LA TORRE; in Mass. Giust. civ., 1996, pag. 202; ed in Danno e Resp, 1996, pag. 649);

[13] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 11356 del 31.07.2002 (in Arch. Civ., 2003, pag. 570); e Cass. Civ., Sez. III ª, n. 7214 del 05.08.1997 (in Danno e Resp., 1998, n. 2, pag. 169 ss. con nota di BENEDETTI);

[14] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 18520 del 20.08.2009 (in Mass. Giust. civ., 2009, n. 7-8, pag. 1200);

[15] la giurisprudenza ci rammenta che le caratteristiche dell’organizzatore sportivo si sostanziano nella finalità di promuovere la competizione e nel potere di controllo e direzione sulla stessa (così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1948 del 10.02.2003, in Mass. Giust. civ., 2003, pag. 295; in Dir. Fall., 2003, pag. 532; ed in Foro It., 2003, I, pag. 1439 e ss., nella quale è stata esclusa la responsabilità dell’organizzatore di un torneo di calcetto in quanto affittuario temporaneo della struttura). Per una disamina dei profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo, si veda anche M. PITTALIS, “La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi”, in Contr. e Impr., 2011, vol. I, pag. 150 ss.;

[16] che fa riferimento sia alle attività pericolose ‘tipizzate’ (nel codice o in leggi speciali), sia a quelle che sono tali per la loro attitudine a produrre un rischio (in questo caso, si parla di ‘atipicità’ delle attività pericolose);

[17] cfr. R. D. 18 giugno 1931, n. 773, “Approvazione del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza” (T.U.L.P.S.), in G.U. n. 146 del 26.06.1931 (con tutte le successive modificazioni);

[18] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 15288 del 30.10.2002 (in Nuova Giur. Civ. Comm., 2004, vol. I, n. 1, pag. 103, con nota di E. BOERI, “Attività agricola pericolosa e concorso di colpa del danneggiato incapace”, pag. 107);

[19] cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. Lav., n. 2464 del 21.12.2010; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20359 del 21.10.2005 (in Mass. Giur. It., 2005, n. 10); Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20334 del 15.10.2004 (in Foro It., 2005, n. 1, pag. 1794);

[20] cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 1197 del 19.01.2007; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20982 del 27.11.2012;

[21] dietro il pagamento, in quest’ultimo caso, di biglietto, o mediante l’iscrizione ad associazioni, ecc.;

[22] in particolare, l’imposta sugli Intrattenimenti (istituita con il d. lgs. n. 60 del 26 febbraio1999, che ha riformato con decorrenza 01.01.2000 il regime tributario degli spettacoli, dei giochi e degli intrattenimenti), l’Imposta sul Valore Aggiunto (I.V.A.) per quanto riguarda l’emissione di titoli d’accesso (sia in regime forfettario, sia in regime di dichiarazione ex d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 640 e d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633), e l’Imposta da versare alla S.I.A.E. (Società Italiana Autori ed Editori), la cui base imponibile è costituita dall'importo dei singoli titoli di accesso venduti al pubblico per l'ingresso o l'occupazione del posto;

[23] valide solo per il luogo ed il tempo in essa indicate (cfr. artt. 68 e 71 del T.U.L.P.S., citato sub nota 18);

[24] soprattutto per quanto riguarda gli sport su strada (in tema di responsabilità dell’organizzatore per la morte di un partecipante durante una gara di go-kart, cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 21664 del 08.11.2005, in Foro It., 2006, I, pag. 1459 ss.) o gli sport nautici (su cui, cfr. Cass. Pen., n. 6478 del 21.02.1995, sub nota 26 infra);

[25] basti porre a mente tutte quelle regole che interessano le distanze degli spettatori dal terreno di giuoco, o i mezzi di separazione (recinzioni, reti, rivestimenti vari, ecc.) tra questi ultimi e gli atleti (sui cui v. par. 4 infra);

[26] in tal senso, Cass. Pen., n. 6478 del 21.02.1995 (cit.), in Riv. dir. sport., 1996, pag. 302 ss. (in tema di responsabilità della Lega Navale Italiana per omicidio colposo per decesso di un gareggiante a seguito del naufragio dell’imbarcazione nel coso di una regata);

[27] così in motivazione Cass. Pen., n. 6478/95 cit.. In dottrina, cfr. S. GALLIGANI - A. PISCINI, “Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo”, in Riv. dir. ec. sport., 2007, vol. III, n. 3, che pongono l’accento sulla necessità di predisporre un’attività di specifica e complessa programmazione, in grado di prevedere “tutto il prevedibile, al di là delle prescrizioni statuali e regolamentari di settore, e con una valutazione in concreto di ogni strumento volto a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva” (pag. 118).

[28] per una disamina dei profili di responsabilità dell’organizzatore sportivo, si veda anche B. BERTINI, “La responsabilità sportiva”, collana ‘Il Diritto Privato Oggi”, a cura di P. Cendon, Giuffrè, Milano, 2002, pag. 119 ss.;

[29] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 749 del 24.01.2000 (in Foro It., 2000, I, 2861; Giust. Civ, 2000, I, 1391; e Riv. dir. sport., 2001, 192);

[30] Cass. Pen., Sez. IVª, n. 34620 del 27.05.2003 (in Riv. Pen., 2003, pag. 959), fattispecie in tema di responsabilità penale per omicidio colposo del gestore di un impianto di go-kart per la morte di un minorenne cui era stato consentito l’uso di uno di tali mezzi e che, per un errore di manovra, era uscito dalla pista, abbattendo la recinzione e finendo contro un ostacolo fisso, riportando le lesioni dalle quali era derivato il decesso;

[31] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 3528 del 13.02.2009, secondo cui: “l'attività di organizzazione di una competizione sportiva può essere qualificata come pericolosaqualoracomporti, per fatto degli organizzatori, un aumento del rischio di danno per gli atleti”;

[32] così Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 17216 del 22.07.2010 (in senso conforme: n. 6888 del 01.04.2005; e n. 16637 del 19.06.2008). Per quanto riguarda, invece, profili di responsabilità relativi a danni nei confronti di soggetti che, invece, non rientrano nelle categorie ‘principianti’ o giovanissimi, si applica la normativa speciale di cui all’art. 2052 cod. civ. (danno cagionato da animali: Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5664 del 09.03.2010);

[33] Trib. Pescara (sezione civile), 10.07.1999;

[34] cfr. Trib. Reggio Emilia (sezione civile), n. 1890 del 08.11.2012,. Più di recente, cfr. Cass. Pen., Sez. IVª, n. 31734 del 18.07.2014 (in tema di responsabilità penale dell’allenatore per la lesione alla testa occorsa ad un atleta in occasione di un allenamento svolto senza casco, in virtù della posizione di garanzia da questi rivestita);

[35] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12900 del 24.07.2012 (in Foro It., 2012, vol. 137, n. 11, tomo I, pag. 3002 ss., con nota di PALMIERI, “Attività senza fine di lucro, pericolosità e responsabilità oggettiva: ragioni economiche e protezione rafforzata degli interessi di rilievo costituzionale”), anche in virtù del particolare regime di autorizzazione cui essa è soggetta;

[36] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 19449 del 15.07.2008;

[37] e ciò sia per definizione normativa (l’attività è infatti disciplinata dalla legge 157 del 1992, che detta particolari norme in tema di assicurazione per i danni ai terzi ed istituisce, tra l’altro, un apposito fondo di garanzia a ciò dedicato) sia per qualificazione giurisprudenziale (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5222 del 30.11.1977, in Rep. Giust. civ., 1978; Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 12109 del 19.08.2003, in Mass. Giust. civ., 2003, n. 7-8);

[38] tutte le volte in cui questa venga svolta in sfavorevoli condizioni ambientali e metereologiche (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5971 del 18.03.2005, in Mass. Giust. civ., 2005, n. 4; ed in Dir. Mar., 2005, n. 4, pag. 1127), o in condizioni di anomalia del velivolo (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 10551 del 19.02.2002, in Giust. civ., 2003, I, pag. 104, e in Danno resp., 2002, pag. 1215, con nota di AGNINO, “Navigazione aerea ed applicabilità dell’art. 2050 c.c.”);

[39] Trib. Pisa (sezione civile), 10 aprile 2001 (in Dir. trasp., 2003, pag. 929); Trib. Roma (sezione civile), 22 maggio 2002 (in Dir. trasp., 2003, pag. 953, con nota di ANTONINI, “Assicurazione della responsabilità della scuola di pilotaggio e azione diretta del danneggiato”, ivi, pag. 958); Trib. Torino (sezione civile), 18 febbraio 2002 (in Dir. trasp., 2003, pag. 941, con nota conforme di GAGGIA, “Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle scuole di volo da diporto o sportivo”, ivi, 945);

[40] proprio in virtù del “mancato impiego di strumenti particolari” (cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 5341 del 29.05.1998, in Giur. It., 1999, pag. 707 ss.; e Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 8095 del 06.04.2006, cit.);

[41] Trib. Firenze (sezione civile), 15.12.1989 (in Arch. civ., 1990, pag. 923);

[42] Trib. Monza (sezione civile), 16.04.2004;

[43] Trib. Chiavari (sezione civile), 17.01.1997 (in Giur. mer., 1998, pag. 448);

[44] Cass. Pen., Sez. IVª, n. 39619 del 11.07.2007 (in Riv. Pen., 2008, n. 7-8,  pag. 842); contra Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 7916 del 26.04.2004 (in Guida al Dir., 2004, n. 19, pag. 32) che, in tema di lesioni riportate da uno sciatore che abbia praticato volontariamente un “fuori pista” in un passaggio pericoloso, ha affermato la responsabilità penale del gestore e del responsabile della sicurezza dell’impianto sciistico a titolo di colpa (nella specie: mancanza di adeguata segnalazione di tale passaggio sulla pista), su base contrattuale (nella specie: contratto di skipass);

[45] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 2216 del 15.02.2001 (in Danno e resp., 2001, pag. 379). Oggi si ritiene che il rapporto tra lo sciatore ed il gestore di un impianto di risalita sia regolato da un contratto di trasporto, pur se con qualche connotato di ‘atipicità’ (Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 4343 del 23.02.2009, in Dir. trasp., 2009, vol. I, pag. 153, con nota di B. BIANCHINI, “Sulla ripartizione degli oneri probatori e sull’accertamento della causa del danno alla persona nel trasporto terrestre”, pag. 157);

[46] da M. PITTALIS, “La responsabilità sportiva”, 2013, Giuffrè, Milano, 185 ss.;

[47] cfr. G. STIPO, “La responsabilità civile nell’esercizio dello sport”; in Riv. dir. sport., 1961, 44 ss.;

[48] in giurisprudenza, cfr. Trib. Milano (sezione civile), 21.03.1988 (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 68 ss., ed in Resp. Civ., 1988, pag. 766 ss.);

[49] da G. PONZANELLI, “Responsabilità civile e attività sportiva”, in Danno e resp., 2009, n. 6, pag. 603 ss.;

[50] rappresentati, fondamentalmente, dal rispetto delle regole tecniche e dei principi di lealtà e correttezza sportiva (il c.d. “fair play”);

[51] salvo pochissime eccezioni, che tengono sempre conto delle peculiarità dello sport praticato, e comunque valide solo nei confronti di terzi soggetti, ausiliari nell’attività di organizzazione e svolgimento della competizione (cfr. Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 20908 del 27.10.2005, in Foro It., 2006, 5, pag. 1465 ss.; in Danno e resp., 2006, n. 1, pag. 633, con nota di FERRARI; ed in Rass. dir. econ. sport., 2006, pag. 508 ss., con nota di LEPORE). Fattispecie in tema di danno cagionato dallo sbandamento di uno sciatore nel corso di una gara agonistica di sci [nella specie: slalom gigante] nei confronti di un addetto alla regolarità del percorso [‘guardiaporte’]. L’esclusione della responsabilità dell’organizzatore è stata - in tale caso - motivata dalla normale ‘alea’ che caratterizza tali competizioni, essendo sufficiente che costui abbia predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto dei vigenti regolamenti sportivi);

[52] com’è stato puntualmente rilevato da G. PONZANELLI, op. cit., 603;

[53] Giudice di Pace di Napoli, 31.12.2003 (in Giur. It., 2004, vol. I, n. 2, pag. 2324 ss., con nota di LUCARELLI);

[54] Trib. Perugia (sezione civile), 15.07.2005 (in Resp. civ. e prev., 2006, pag. 1297 ss., con nota di ZUDDAS);

[55] così sempre in motivazione l’orientamento in esame (punto 3.3);

[56] in particolare, la legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”), con tutte le sue successive modificazioni (ed i numerosi richiami alla normativa speciale di settore in essa contenuti);

[57] si allude, in particolare, agli artt. 4 (“Responsabilità delle società”), 11 (“Responsabilità per comportamenti discriminatori”), 12 (“Prevenzione di fatti violenti”) e 14 (“Responsabilità delle società per fatti violenti dei propri sostenitori”), contenuti nel Titolo I-bis (“Norme di comportamento”) del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC (reperibile on-line presso il seguente indirizzo web:  http://www.figc.it/it/99/3815/Norme.shtml);

[58] si allude al discusso istituto della responsabilità oggettiva delle società di calcio, di cui all’art. 4, 3° co., del citato CGS (che pone a carico di queste ultime le conseguenze derivanti dall’operato e dal comportamento “delle persone comunque addette ai servizi della società e dei propri sostenitori, sia sul proprio campo.. sia su quello delle società ospitanti..”);

[59] cfr. artt. 18 (“Sanzioni a carico delle società”) e 19 (“Sanzioni a carico di dirigenti, soci e tesserati delle società”) del CGS della FIGC, cit.;

[60] cfr. l’art. 6 della legge n. 401 del 1989 (cit.), e le varie ipotesi di “Daspo” da esso previste;

[61] cfr. il d. m. 06.06.2005 (“Modalità per l'installazione di sistemi di videosorveglianza negli impianti sportivi di capienza superiore alle diecimila unità, in occasione di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio”, in G.U. n. 150 del 30.06.2005);

[62] cfr. il d m. 06.06.2005 (“Modalità per l'emissione, distribuzione e vendita dei titoli di accesso agli impianti sportivi di capienza superiore alle diecimila unità (oggi 7.500, ndr.), in occasione di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio”, in G.U. n. 150 del 30.06.2005);

[63] cfr. il d. m. 06.06.2005 (“Modifiche ed integrazioni al decreto ministeriale 18 marzo 1996, recante norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi”, in G. U. n. 150 del 30.06.2005). Nell’ambito delle norme che prevedono i sistemi di separazione tra le zone riservate agli spettatori, vengono in rilievo, in particolare, quelle che prevedono la suddivisione in settori “di cui uno dedicato agli ospiti.. (1° co.) con sistemi di separazione idonei ad impedire che i sostenitori delle due compagini in gara vengano in contatto tra loro.. (2° co. dell’art. 7 del d.m. 18 marzo 1996, come modificato dal d. m. 06.06.2005, cit.)”;

[64] così l’art. 1-quater del decreto-legge n. 28 del 2003 (“Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive”, in G.U. n. 45 del 24.02.2003,convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, in G.U. 24.04.2003, n.95);

[65] in tutti quei casi in cui «non è possibile procedere immediatamente all’arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica», sino alle «48 ore successive» al fatto contestato (così il comma 1-ter dell’art. 8, l. 401/89, come modificato dal decreto legge 24 febbraio 2003 n. 28, cit.);

[66] il citato (sub nota 63) art. 1-quater del decreto-legge n. 28 del 2003;

[67] a differenza - invece - di quanto ritenuto dalla Corte d’Appello (e condiviso, invero, anche dai giudici di legittimità) in merito alla «facile occultabilità» ed alla «non pericolosità» dell’oggetto medesimo;

[68] cfr. Cass. Civ., n. 4337 del 07.08.1982 (in Resp. civ. e prev., 1984, pag. 78 ss.);

[69] cfr. Cass. Civ. Sez. Iª, n. 2577 del 06.03.1995 (in Mass. Giur. it., 1995, 527; in DI, 1995, pag. 649 ss. con nota di ANDREOLINI).

In dottrina, C. CASTRONOVO, “Le due specie della responsabilità civile e il problema del concorso”, in Eur. e dir. priv., 2004, pag. 69 ss.;

[70] cfr. Trib. Milano (sezione civile) 19.10.1972 (in Riv. dir. sport., 1973, pag. 81 ss., che ha negato il risarcimento del danno al tifoso colpito da un petardo in quanto «il danno non appariva prevedibile ai sensi dell’art. 1225 c.c.»); Trib. Milano (sezione civile) 21.03.1988 (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 68 ss., che ha qualificato i comportamenti dei tifosi, pur se non imprevedibili, tuttavia «non in concreto fronteggiabili»); App. Milano 30.03.1990 (in Resp. civ. e prev., 1990, pag. 590 ss.); e Trib. Firenze, 15.12.1989 (in Riv. dir. sport., 1991, pag. 95 ss.);

[71] così Trib. Milano (sezione civile), n. 10037 del 21.09.1998, (in Riv. dir. sport., 1999, pag. 556 ss.; ed in Danno e resp., 1999, pag. 234 ss.), successivamente confermata da App. Milano, 18.05.2001;

[72] Trib. Ascoli Piceno (sezione penale), 13.05.1989, (in Riv. dir. sport., 1989, pag. 496 ss., con nota di A. MANFREDI, “Responsabilità del Presidente della società sportiva e dei dipendenti della società stessa per danni subiti da alcuni spettatori a causa della condotta illecita di altri tifosi”), successivamente confermata da App. Ancona, 18.06.1990 (in Società, 1990, pag. 1625), ove è stato affermato che «il presidente della società di calcio è penalmente e civilmente responsabile di tali fatti se non dimostra di avere predisposto una rigorosa, specifica e puntuale divisione di mansioni e di avere delegato la vigilanza ed il controllo sugli impianti sportivi a persone idonee a svolgere i compiti»;

[73] significativa al riguardo è stata la sentenza del Trib. Torino (sezione civile) 11.11.2004, in una fattispecie di danno cagionato allo spettatore da lancio di un ‘fumogeno’ proveniente da un settore occupato dalla tifoseria avversaria, ove si è affermato che «il comportamento di tifosi violenti ed ultras configura una prevedibile e costante fonte di danno per chi partecipi alla manifestazione in qualità di spettatore e spesso anche per gli stessi calciatori e per le Forze dell’ordine» (in Riv. dir. sport., 2005, 1, 134 ss., con nota di M. GRASSANI, “La Responsabilità risarcitoria dell’organizzatore dell’evento sportivo - il caso Juventus”; in Giur. It., 2005, IV, pag. 720 ss., con nota di VISINTINI; in Giur. merito, 2005, 12, pag. 2636 ss., con nota di ROCCHIO; ed in Danno e resp., 2006, pag. 767 ss., con nota di MAIETTA);

[74] così Trib. Bari (sezione civile), n. 2301 del 11.10.2007;

[75] cfr. il Rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive 2014, reperibile on-line presso il seguente indirizzo web: http://www.osservatoriosport.interno.gov.it/allegati/Dati/rapporto_osservatorio_2014.pdf;

[76] la legge 13 dicembre 1989, n. 401 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive”), richiamata sub nota 55;

[77] il d.m. 25 agosto 1989 (“Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio di impianti sportivi”), in G.U. n. 206 del 04.09.1989, e il d.m. 18 marzo 1996 (“Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi”), in G.U. n.  85 del 11.04.1996, coordinato con le modifiche e le integrazioni introdotte dal d. m. 6 giugno 2005, cit.;

[78] cfr. art. 19, d.m. 18 marzo 1996, cit.;

[79] così in motivazione l’orientamento in esame (punto 3.3);

[80] insieme a quella di instradamento degli spettatori nei posti ubicati nei settori loro riservati, e di assicurare da parte di questi ultimi il rispetto del regolamento d’uso dell’impianto (così l’art. 6-quater, l. 401/89 cit.);

[81] per un’analisi di quelli che sono i poteri e le mansioni, nonché le tutele penali, attribuiti a tali soggetti, sia consentito rinviare a P. GARRAFFA, “L´esperienza italiana nella sicurezza degl’impianti sportivi: gli ‘stewards’ degli stadi”, in Revista Brasileira de Direito Desportivo, 2011, San Paolo (Brasile), anno 10, n. 20 (Luglio-Dicembre);

[82] Cass. Civ., Sez. IIIª, n. 24530 del 20.11.2009 (ne La resp. civ., 2010, pag. 393; in Mass. Giur. It., 2009, 11, pag. 1614; ed in Guida al dir., 2010, n. 1, pag. 47);

[83] così Cass. Civ. Sez. IIIª, n. 1425 del 24.02.1983 (in Mass. Giur. It., 1983, n. 2);