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Nessun risarcimento se l’amministrazione incorre in un errore scusabile per incertezza del quadro normativo

Sentenza Consiglio di Stato, Sez. V^ n. 1087/2024
alba mistica
Ph. Giacomo Martini / alba mistica

Nessun risarcimento se l’amministrazione incorre in un errore scusabile per incertezza del quadro normativo
(Sentenza Consiglio di Stato, Sez. V^ n. 1087/2024)

 

Abstract

Non è dovuto il risarcimento qualora l’amministrazione incorra in un errore scusabile per incertezza del quadro normativo di riferimento. Lo ha affermato la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 1087/2024 confermando la sentenza del Tar Campania Sez. II, n. 2501 del 20 aprile 2021, che aveva rigettato il ricorso tendente ad ottenere la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivanti dal diniego di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.) da cui sarebbe derivata una consistente perdita economica.

La domanda risarcitoria, come si evince dalla motivazione del provvedimento, è stata ritenuta infondata sia per l’insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito che per l’inattendibilità dell’ammontare dei danni di cui si pretendeva il ristoro offrendo, a chi scrive, lo spunto per una disamina di alcuni principi a valenza generale in materia di responsabilità della PA per i danni da provvedimento illegittimo.

 

Sommario
 

Premessa

La questione posta a fondamento della domando risarcitoria

La controversia risarcitoria decisa dal TAR

L’appello al Consiglio di Stato

Le motivazioni del Consiglio di StatoConsiderazioni finali  

 

Premessa

Si verifica con sempre maggiore frequenza che, a seguito dell’acclarata illegittimità di un atto amministrativo, sia avanzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni, domanda risarcitoria finalizzata ad ottenere il ristoro dei pregiudizi patiti.

La giurisprudenza nazionale, in caso di dichiarata illegittimità di un atto amministrativo foriero di danno, sebbene non richieda al privato l’onere probatorio di ciò che attiene al profilo dell’elemento soggettivo della fattispecie è, però, orientata nel senso che la Pubblica amministrazione può esonerarsi da qualsiasi addebito a titolo di responsabilità civile dimostrando di essere incorsa in un errore “scusabile”.

Il Consiglio di Stato, Sez. V, con la recente sentenza n. 1087 del 2 febbraio 2024, si è pronunciato sulla questione, ritenendo scusabile l’errore ascrivibile all’incertezza del quadro normativo di riferimento, ed ha confermato la  decisione  con cui il  Tar Campania Sez. II, n.2501 del 20 aprile 2021 aveva  rigettato il  ricorso tendente ad ottenere il risarcimento dei danni  derivanti  dal  diniego di una Segnalazione Certificata di Inizio Attività (S.C.I.A.) presentata da una società per  avviare un’attività economica dal cui mancato inizio  si sosteneva fosse derivata una consistente perdita economica.

La domanda risarcitoria è stata ritenuta infondata per insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito ed inattendibilità dell’ammontare dei danni di cui si pretendeva il ristoro.

 

La questione posta a fondamento della domanda risarcitoria

Per una più chiara delineazione dei tratti tipizzanti il tema oggetto di analisi, occorre partire dall’inquadramento della controversia, che trae origine dal diniego opposto da un Comune alla presentazione di una S.C.I.A. preordinata all’avvio di un’attività di autolavaggio complementare ad un parcheggio già esistente, fondato, in particolare, sul rilievo che l’attività  in parola non era compatibile con la destinazione urbanistica dell’area di insistenza dell’impianto, in quanto la stessa era riservata ad attrezzature di esclusivo uso pubblico (istruzione, cultura e parcheggi complementari).

Avverso tale provvedimento la società proponeva ricorso ed il TAR Campania con Sentenza n. 1709 del 27 marzo 2019, che sarà poi posta a fondamento della domanda risarcitoria, oggetto di due successivi gradi di giudizio, accoglieva il gravame ed annullava, sulla scorta di una relazione esplicativa acquisita dal competente servizio del Comune, l’impugnata nota dirigenziale di diniego ravvisandone l’illegittimità per “violazione dell’art. 19 della legge n.241/1990 e per eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria, …… fatti salvi comunque, gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione”.

 

La controversia risarcitoria decisa dal TAR

La società, divenuto definitivo l’esito del predetto giudizio, proponeva, quindi, ricorso dinanzi al TAR, lamentando di aver subito consistenti danni patrimoniali per non aver potuto implementare l’attività di parcheggio già esercitata, con il servizio di autolavaggio, per effetto dell’illegittimo diniego opposto dal Comune, poi annullato dalla sopra citata sentenza del T.A.R. Campania n. 1709/2019.

I legali della società sostenevano che la stessa era titolare di un interesse legittimo pretensivo a che l’Amministrazione valutasse la propria richiesta secondo i parametri imposti dalla legge, essendo in possesso di tutti i requisiti per l’esercizio dell’attività ed alla luce della accertata insussistenza della supposta incompatibilità dell’attività di autolavaggio rispetto alle prescrizioni relative alla zona di intervento.

Chiedevano, pertanto, la condanna del Comune al risarcimento dei pregiudizi economici subiti, quantificandoli sulla base di calcoli risultanti da una specifica perizia estimativa, precisando che l’importo era stato stimato in base al fatturato realizzabile nel periodo intercorrente dalla data di entrata a regime dell’attività di autolavaggio (a seguito della presentazione della SCIA) a tutto l’anno 2019.

Il giudizio di primo grado veniva, quindi, definito dal TAR Campania con la sentenza n. 2501 del 20 aprile 2021 che respingeva il ricorso e condannava la società attrice alla rifusione delle spese di lite.

Il Collegio giudicante motivava il diniego del risarcimento dei danni ravvisando nella domanda i seguenti elementi di infondatezza:

  • insussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito;
  • inattendibilità della quantificazione dei danni di cui la società ricorrente chiedeva di ottenere il ristoro.

 

L’appello al Consiglio di Stato

Avverso la suddetta sentenza n. 2501/2021 veniva proposto appello al Consiglio di Stato per ottenerne la riforma deducendo i seguenti motivi di doglianza:

“error in judicando - error in procedendo - errata applicazione delle norme e dei principi generali in tema di responsabilità per colpa della pubblica amministrazione - errata applicazione dei principi generali in tema di determinazione e liquidazione del danno, sia con riferimento al danno emergente sia con riferimento al lucro cessante”.

L’erroneità della sentenza di primo grado, secondo le ragioni dell’appellante, consiste nell’aver ritenuto l’insussistenza dell’elemento della colpevolezza in capo al Comune  mentre, invece, le legittime ragioni della società  si desumono “dal tenore unanime dei precedenti pronunciamenti resi inter partes” e ciò si porrebbe in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza secondo cui “il privato danneggiato da un provvedimento  amministrativo illegittimo può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione provare la propria incolpevolezza”[1].

Nel caso di specie, secondo i legali appellanti, alla luce del quadro normativo di riferimento e degli elementi di fatto, sono configurabili tutti i presupposti della responsabilità civile della P.A. in quanto i danni rappresentano la diretta conseguenza di provvedimenti di cui è stata acclarata l’illegittimità e derivano da un “errore non scusabile” in merito al quale sussiste l’elemento soggettivo, quanto meno a titolo di colpa, in capo al Comune.

 

Le motivazioni del Consiglio di Stato

La V^ sezione del  Consiglio di Stato ha ritenuto infondato l’appello e confermando la correttezza delle statuizioni della sentenza di primo grado ha richiamato i consolidati principi ermeneutici indicati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità della PA per i danni da provvedimento illegittimo, partendo dal presupposto che la lesione dell’interesse legittimo rappresenta la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria, occorrendo, però, verificare che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole dell’amministrazione, l’interesse materiale al quale il soggetto aspira ed, in tal senso, ha  chiarito  che “il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non può prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo [2].

Di conseguenza, ai fini della configurabilità di una responsabilità dell’amministrazione per danni da provvedimento illegittimo, la valutazione non può basarsi sul  mero dato oggettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa e spetta, quindi, al giudice svolgere una più penetrante indagine, estesa anche alla valutazione dell’elemento soggettivo dell’amministrazione intesa come apparato sottoposto alla legge, che, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità, ha l’obbligo di operare “al servizio esclusivo della nazione”, assicurando la piena realizzazione dei diritti civili, sociali ed economici dei cittadini.

Secondo i Giudici di Palazzo Spada la sentenza impugnata contiene una corretta applicazione dei suddetti principi ed, infatti, pur ammettendo che l’orientamento prevalente, nei giudizi per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, consenta al privato danneggiato di limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto, quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’Amministrazione l’onere di dimostrare di essere incorsa in un errore scusabile[3], resta, invero, inconfutabile che la presunzione di colpa dell’amministrazione è riconoscibile solo “nelle ipotesi di violazioni commesse in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento, giuridico e fattuale, tale da palesarne la negligenza e  l’imperizia”.

Occorre, cioè, che l’amministrazione abbia assunto il provvedimento viziato agendo intenzionalmente o in spregio alle regole di correttezza, imparzialità e buona fede.

La responsabilità sarà, quindi, esclusa allorché l’indagine conduca al riconoscimento di “un errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, per la complessità della situazione di fatto”; sussiste, invece, la responsabilità della pubblica amministrazione  se, tenuto conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento[4], la  grave violazione grave  viene  commessa “ in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesare la negligenza e l'imperizia dell’organo nell'assunzione del provvedimento viziato[5].

Secondo il CDS, ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’amministrazione, occorre, quindi, avere riguardo al carattere ed al contenuto della regola violata:

  • se si tratta di un canone univoco e dal chiaro senso cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico;
  • se il canone della condotta amministrativa è ambiguo e comunque, tipizzato in modo da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa sussisterà  nei casi in  cui  il potere sia esercitato in evidente spregio dei principi  di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con il risultato che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, ai sensi dell’art. 5 c.p. (cfr. CDS., n. 4050/2023 dianzi citata).

In sede di motivazione è stato chiarito che, nel caso di specie, l’elemento della colpevolezza in capo al comune non è stato ravvisato dal TAR nel primo grado del giudizio in considerazione della complessità della situazione di fatto, che, peraltro, era stata oggetto:

  1. di un precedente intricato contenzioso, relativo all’attività di parcheggio, definito con sentenza T.A.R. Campania, Napoli, n. 2641/2011;
  2. di un’intensa attività edilizia posta in essere sull’area interessata dalla ricorrente nel corso del 2013, non sempre dal Comune ritenuta conforme ai corrispondenti titoli edilizi, attività che comunque complicava il quadro di riferimento su cui si sarebbe innestata la SCIA produttiva, oggetto del provvedimento di diniego del 2014, poi annullato dalla sentenza n. 1709/2019.

Occorre, infatti, tenere conto, osservano i Giudici di appello, che il risarcimento del danno non costituisce un’automatica conseguenza dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo, ma necessita che sia verificata con esito positivo:

  1. l’avvenuta lesione del bene della vita sotteso all’interesse legittimo concretamente inciso;
  2. l’esistenza del nesso causale tra l’illecito e il danno subito;
  3. la sussistenza della colpevolezza dell’amministrazione.

In merito all’elemento soggettivo viene, inoltre, rilevato che l’illegittimità del provvedimento amministrativo, ove acclarata, costituisce solo uno degli indici presuntivi della colpevolezza, da considerare congiuntamente ad altri, e cioè:

  1. grado di chiarezza della normativa applicabile;
  2. semplicità degli elementi di fatto;
  3. carattere vincolato della situazione amministrativa;
  4. ambito più o meno ampio della discrezionalità dell'amministrazione.

Tanto è che la responsabilità è esclusa, qualora l’indagine conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per l’esistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto come nel caso in giudizio[6].

Ulteriore aspetto da prendere in considerazione è, secondo il CDS, è costituito dal fatto che la sentenza del TAR Campania n. 1709/2019 si limita ad annullare il provvedimento di diniego per una serie di motivi che vanno dalla tardività dell’intervento inibitorio, alla contraddittorietà con un’altra SCIA, mai rimossa neanche in sede di autotutela, all’insufficienza dell’istruttoria, senz’affermare che nell’area in questione potesse essere legittimamente avviata un’attività di autolavaggio.

Si tratta, infatti, di una decisione che, sebbene annulli il provvedimento inibitorio gravato per violazione dell’art. 19 della legge n. 241/1990 ed eccesso di potere per contraddittorietà e difetto di istruttoria, fa salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione, ma non dimostra che, in mancanza dell’illegittimo provvedimento di diniego, l’appellante avrebbe avuto titolo ad avviare l’attività produttiva, dal momento che  le puntuali  deduzioni del Comune  relative alla documentata  non conformità urbanistico-edilizia degli impianti destinati all’attività di autolavaggio; alla mancanza di un’autorizzazione unica ambientale; alla circostanza  che la zona in questione, a seguito della decadenza del vincolo espropriativo, era ormai divenuta zona bianca, soggetta ai limiti edificatori di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 380/2001 ed essendo, quindi, rientrata  nel perimetro del centro urbano esistente, preclusa agli interventi a destinazione produttiva come è certamente un’attività di autolavaggio.

I suddetti rilievi, secondo i Giudici di secondo grado, non consentono neanche di ritenere raggiunta la prova circa l’esistenza del nesso di causalità tra il provvedimento di diniego annullato e gli asseriti danni di cui si domanda il ristoro, non potendo la relativa prova ridursi ad una semplice  valutazione della conformità urbanistico-edilizia dell’area su cui l’attività doveva essere insediata, in assenza di un’adeguata dimostrazione del possesso effettivo di tutti i requisiti occorrenti per  avviare l’attività produttiva incluso l’ottenimento dei  prescritti titoli autorizzatori.

Alla luce di quanto precede il Consiglio di Stato, confermando la sentenza del TAR in merito alla ritenuta inattendibilità della prova del quantum dei danni risarcibili, sia per quanto concerne la stima del fatturato che per la erronea parametrazione dell’ammontare, ha respinto l’appello per infondatezza della spiegata domanda risarcitoria.

 

Considerazioni finali

La  riflessione condotta lungo le direttrici indicate dalla Sentenza di cui ci siamo occupati e dalla  giurisprudenza nella stessa richiamata risalente ad ormai consolidati principi a valenza generale in materia di responsabilità della PA per i danni da provvedimento illegittimo, induce chi scrive “in primis” a sottolineare, che il risarcimento del danno non rappresenta una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo in quanto è subordinato ad una verifica, dal positivo esito, che oltre alla lesione del bene della vita sotteso all’interesse legittimo concretamente inciso, accerti l’esistenza del nesso causale tra l’illecito e il danno subito e, soprattutto, della colpevolezza dell’Amministrazione.

Per quanto riguarda l’elemento della colpevolezza sembra, quindi, prevalere una nozione di tipo oggettivo, che tenga conto dei vizi che inficiano il provvedimento ed, in linea con le indicazioni della giurisprudenza comunitaria, dell’entità della violazione commessa dall’Amministrazione, dell’ampiezza della discrezionalità di cui dispone, dei precedenti giurisprudenziali, delle condizioni concrete e dell’apporto dato dai privati nel procedimento.

La responsabilità, di conseguenza, andrà affermata nel caso in cui la violazione risulti grave e commessa in un contesto di normali circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento annullato per illegittimità. Andrà, invece, negata qualora l’indagine conduca al riconoscimento di un errore scusabile, per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto.

Sarà onere dell’Amministrazione produrre tutti gli elementi ascrivibili alla tipologia dell’errore scusabile, e compito del giudice apprezzarne e valutarne liberamente l’idoneità ad attestare o ad escludere la colpevolezza dell’Amministrazione.

Nel caso  sottoposto prima al TAR e poi al CDS , a fronte di un annullamento di un provvedimento avvenuto per  violazione dell’art. 19 della legge n.241/1990 (disciplina della SCIA), per eccesso di potere, contraddittorietà e difetto di istruttoria, le cui circostanze e dettagli sono state approfondite e chiarite dalla difesa dell’amministrazione negli atti di causa,  quest’ultima è stata in grado di fornire   utili ed apprezzabili elementi ai Giudici in merito alla scusabilità dell’errore e della non ravvisabilità dell’elemento soggettivo necessario a rendere il danno risarcibile, stante la complessità documentata degli elementi coinvolgenti la pianificazione urbanistica, i rapporti di questa con l’edilizia produttiva privata e degli orientamenti interpretativi non univoci in materia.

 

[1] C.d. S., sez. VI, 19 marzo 2018, n. 1815

[2] cfr. C.d.S., Sez. V, 21 aprile 2023,n. 4050

[3] cfr. C.d.S., Sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815

[4] C.d.S. sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464

[5] C.d. S., sez. III,11 marzo 2015, n. 1272

[6] cfr. ex multis C.d.S., Sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903; Sez. IV, 5 maggio 2020, n. 2848