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Pregiudizio occorso al viaggiatore ed onere della prova

Cassazione, Sezione Terza, 18 gennaio 2016, n. 681
Pregiudizio occorso al viaggiatore ed onere della prova
Pregiudizio occorso al viaggiatore ed onere della prova

Con il contratto di trasporto persone, ai sensi dell’articolo 1678 codice civile, il vettore si obbliga a realizzare, dietro il versamento di un corrispettivo, il trasferimento di persone da un luogo ad un altro; trattasi, nello specifico, di un contratto bilaterale, stipulato tra vettore e viaggiatore e fondato su prestazioni corrispettive di natura, essenzialmente, onerosa.

Dalla natura onerosa del succitato negozio consegue, da un lato, il diritto del vettore a vedersi pagare il corrispettivo e, dall’altro, il diritto del viaggiatore, giusto il rapporto sinallagmatico instauratosi, di essere trasportato nel luogo individuato in condizioni di sicurezza e tranquillità.

Il viaggiatore, pertanto, ha diritto ad un esatta esecuzione della obbligazione, dedotta in contratto, poiché, nella ipotesi di inesatto o ritardo adempimento, trovano applicazione le ordinarie norme in tema di inadempimento contrattuale ex articolo 1218 del codice civile; in tema, ampio risalto va data alla norma di cui all’articolo 1681 del codice civile secondo cui “salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Sono nulle le 
clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore. Le norme di questo articolo si osservano anche nei contratti di trasporto gratuito.

Nella ipotesi di sinistri riguardanti la persona del viaggiatore, tale responsabilità, ribadiamo (fondamentalmente) di natura negoziale, sorge nei casi in cui il vettore non faccia arrivare incolume il viaggiatore a destinazione; a tal proposito, la dottrina ha evidenziato che l’enunciazione dell’art. 1681 c.c. prevede una formulazione più rigorosa di quella prevista dal citato articolo 1218 del codice civile, richiedendosi al vettore la prova liberatoria afferente l’attuazione di tutte le misure idonee in concreto ad evitare il danno.

In caso di sinistri, a rafforzamento della tutela giuridica del passeggero, si ammette il concorso dell’azione contrattuale ex articolo 1681 del codice civile con quella extracontrattuale ex articoli 2043 e 2054 del codice civile; al riguardo, la dottrina prevalente (su tutti GRIGOLI e MIRABELLI) non esclude la giustiziabilità dell’evento dannoso della sfera giuridica del creditore mediante l’esperimento, nello stesso frangente, dell’azione contrattuale e di quella fondata sulla lex aquilia, con evidenti ricadute in tema di prescrizione (non un anno bensì due), sul riparto dell’onus probandi (che in quella ex articolo 2043 del codice civile incombe sul danneggiato) e del quantum a titolo di danni (posto che, a seguito dell’operatività dell’area della responsabilità extracontrattuale, possono essere pretesi dall’attore anche i danni non prevedibili, nel caso di colpa del vettore, al momento del sinistro stante la mancata applicazione dell’articolo 1225 del codice civile il quale dispone che: “se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione”).

Tanto evidenziato, una recente pronuncia della Sezione III della Corte di Cassazione, n. 681 delibata il 18 gennaio 2016, proferendosi su un ricorso presentato da un Comune avverso una sentenza resa in sede di appello che l’aveva condannato al risarcimento del danno, nella qualità di ente titolare del servizio di trasporto pubblico, sul presupposto della lesione dell’integrità e dell’incolumità fisica sofferta da un passeggero di un autobus all’atto della discesa dal mezzo, ha minuziosamente individuato e definito l’onere probatorio in capo a vettore e viaggiatore al fine di far valere le rispettive difese e pretese.

In particolare, i Giudici del Palazzaccio hanno statuito che “nel contratto di trasporto di persone regolato dal codice civile, il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi “durante il viaggio” anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate; e comprese la salita e la discesa: Cass., ord. 30 aprile 2011, n. 9593), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento, mentre incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ai sensi dell’articolo 1681 del codice civile, l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”.

Orbene, la sentenza di legittimità, oggetto del presente commento, ha ben delineato il riparto dell’onere probatorio relativo alla posizione (sostanziale e processuale) del viaggiatore/creditore e del vettore/debitore.

Invero, sulla scorta del combinato disposto di cui all’articolo 2697 del codice civile ed articoli 99 – 100 – 115 – 116 – 163 del codice di procedura civile, il viaggiatore, facendo leva anche sull’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, adottato successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite dell’ottobre del 2001, al fine di fare valere le proprie prerogative risarcitorie, deve provare la sussistenza del contratto di trasporto nella sua storica esistenza (fatto storico rilevante giuridicamente), il sinistro patito nel corso della esecuzione del contratto di trasporto, nonché la sussistenza del nesso di causalità intercorrente tra l’attività posta in essere dal vettore e il pregiudizio denunciato; sul punto la giurisprudenza ha evidenziato che non è necessaria l’individuazione della precisa anormalità del servizio che ha determinato il sinistro, essendo sufficiente comprovare che l’evento lesivo è stato cagionato in termini oggettivi dal vettore e, quindi, dall’attività del trasporto (ex plurimis Corte di Cassazione n. 7423/1999 e Tribunale Genova sentenza 18 gennaio 2006).

Da par suo, il vettore, stante la natura rigorosa della lettera contemplata dall’articolo 1681 del codice civile, per esimersi da responsabilità, che potremo definire presunta, dovrà dimostrare, ai sensi degli articoli 2697 del codice civile ed articoli 115 – 116 – 167 del codice di procedura civile,  che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza.

Trattasi di una forma di esenzione da responsabilità incisiva e consistente per la sfera giuridica del vettore/debitore il quale sarà tenuto a dimostrare che la mancata esecuzione della prestazione, o l’inesatta esecuzione della stessa (al riguardo per Cass. n. 10680/1993 deve tenersi in considerazione la “concreta situazione in cui il trasporto si è svolto”), sia dipesa da fatti e situazioni, quali il caso fortuito – la forza maggiore – il fatto del terzo – la medesima condotta del viaggiatore, capaci di recedere il nesso di causalità, anche ai sensi dell’articolo 41 comma 2 codice penale, tra condotta del vettore ed evento dannoso (ed annesse conseguenze negative) sofferto dal viaggiatore.

In tema, una recente sentenza della VI Sezione della Cassazione, n. 24347 del 14 novembre 2014, nel premettere che “in tema di trasporto persone la presunzione di responsabilità che l’articolo 1681 c.c. e l’articolo 409 codice navale, pongono a carico del vettore per i danni al viaggiatore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore e l’attività del vettore in esecuzione del trasporto”, ha statuito che “il vettore resta liberato dalla responsabilità presunta a suo carico, qualora provi che l’evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto….sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero non si sia potuto evitare nonostante l’uso della normale diligenza…”.

Ora, considerato che l’attuale orientamento della dottrina rinviene nel contratto di trasporto accanto alla obbligazione principale,c quale l’esecuzione del trasporto da un luogo ad altro, anche prestazioni accessorie, collegate all’adozione di date misure e accortezze funzionali alla tutela dell’incolumità, della sicurezza e dell’integrità del passeggero, non v’è chi non veda come sussista in capo al vettore un obbligo e/o dovere di diligenza, di prudenza, di attenzione e di cura incisivo e rilevante, alla stessa stregua di un agente modello idealmente collocato in una data situazione concreta.

Resta fermo, tuttavia, che lo stesso vettore, nel corso della esecuzione della prestazione, abbia il diritto di affidarsi “anche ad un minimo di prudenza e di senso di responsabilità del passeggero” (Corte di Cassazione n. 3285 del 2006), con l’ovvia considerazione che, nella ipotesi in cui il danno sia da ascrivere ad una condotta negligente ed imprudente dello stesso viaggiatore, idonea a recidere il nesso di causalità tra condotta (del vettore) ed evento dannoso, il debitore/vettore, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1227 del codice civile e dell’articolo 41 comma 2 del codice penale, non ne potrà rispondere.

Di fatti, il Supremo Consesso della giustizia ordinaria, sul punto, ha precisato che la presunzione di colpa stabilita dall’articolo 1681 del codice civile a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio, (comprese le operazioni accessorie, tra cui la salita o la discesa dal mezzo di trasporto) opera sul presupposto che sussista il nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto ed è perciò superata se il giudice di merito accerta invece, anche indirettamente, che tale nesso non sussiste, come nel caso in cui il comportamento imprudente del viaggiatore costituisca la causa esclusiva del sinistro(Corte di Cassazione, Sez. III, 5 novembre 2001, n. 13635).

Con il contratto di trasporto persone, ai sensi dell’articolo 1678 codice civile, il vettore si obbliga a realizzare, dietro il versamento di un corrispettivo, il trasferimento di persone da un luogo ad un altro; trattasi, nello specifico, di un contratto bilaterale, stipulato tra vettore e viaggiatore e fondato su prestazioni corrispettive di natura, essenzialmente, onerosa.

Dalla natura onerosa del succitato negozio consegue, da un lato, il diritto del vettore a vedersi pagare il corrispettivo e, dall’altro, il diritto del viaggiatore, giusto il rapporto sinallagmatico instauratosi, di essere trasportato nel luogo individuato in condizioni di sicurezza e tranquillità.

Il viaggiatore, pertanto, ha diritto ad un esatta esecuzione della obbligazione, dedotta in contratto, poiché, nella ipotesi di inesatto o ritardo adempimento, trovano applicazione le ordinarie norme in tema di inadempimento contrattuale ex articolo 1218 del codice civile; in tema, ampio risalto va data alla norma di cui all’articolo 1681 del codice civile secondo cui “salva la responsabilità per il ritardo e per l’inadempimento nell’esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
Sono nulle le 
clausole che limitano la responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore. Le norme di questo articolo si osservano anche nei contratti di trasporto gratuito.

Nella ipotesi di sinistri riguardanti la persona del viaggiatore, tale responsabilità, ribadiamo (fondamentalmente) di natura negoziale, sorge nei casi in cui il vettore non faccia arrivare incolume il viaggiatore a destinazione; a tal proposito, la dottrina ha evidenziato che l’enunciazione dell’art. 1681 c.c. prevede una formulazione più rigorosa di quella prevista dal citato articolo 1218 del codice civile, richiedendosi al vettore la prova liberatoria afferente l’attuazione di tutte le misure idonee in concreto ad evitare il danno.

In caso di sinistri, a rafforzamento della tutela giuridica del passeggero, si ammette il concorso dell’azione contrattuale ex articolo 1681 del codice civile con quella extracontrattuale ex articoli 2043 e 2054 del codice civile; al riguardo, la dottrina prevalente (su tutti GRIGOLI e MIRABELLI) non esclude la giustiziabilità dell’evento dannoso della sfera giuridica del creditore mediante l’esperimento, nello stesso frangente, dell’azione contrattuale e di quella fondata sulla lex aquilia, con evidenti ricadute in tema di prescrizione (non un anno bensì due), sul riparto dell’onus probandi (che in quella ex articolo 2043 del codice civile incombe sul danneggiato) e del quantum a titolo di danni (posto che, a seguito dell’operatività dell’area della responsabilità extracontrattuale, possono essere pretesi dall’attore anche i danni non prevedibili, nel caso di colpa del vettore, al momento del sinistro stante la mancata applicazione dell’articolo 1225 del codice civile il quale dispone che: “se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione”).

Tanto evidenziato, una recente pronuncia della Sezione III della Corte di Cassazione, n. 681 delibata il 18 gennaio 2016, proferendosi su un ricorso presentato da un Comune avverso una sentenza resa in sede di appello che l’aveva condannato al risarcimento del danno, nella qualità di ente titolare del servizio di trasporto pubblico, sul presupposto della lesione dell’integrità e dell’incolumità fisica sofferta da un passeggero di un autobus all’atto della discesa dal mezzo, ha minuziosamente individuato e definito l’onere probatorio in capo a vettore e viaggiatore al fine di far valere le rispettive difese e pretese.

In particolare, i Giudici del Palazzaccio hanno statuito che “nel contratto di trasporto di persone regolato dal codice civile, il viaggiatore, che abbia subito danni “a causa” del trasporto (quando cioè il sinistro è posto in diretta, e non occasionale, derivazione causale rispetto all’attività di trasporto), ha l’onere di provare il nesso eziologico esistente tra l’evento dannoso ed il trasporto medesimo (dovendo considerarsi verificatisi “durante il viaggio” anche i sinistri occorsi durante le operazioni preparatorie o accessorie, in genere, del trasporto e durante le fermate; e comprese la salita e la discesa: Cass., ord. 30 aprile 2011, n. 9593), essendo egli tenuto ad indicare la causa specifica di verificazione dell’evento, mentre incombe, invece, sul vettore, al fine di liberarsi della presunzione di responsabilità a suo carico gravante ai sensi dell’articolo 1681 del codice civile, l’onere di provare che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza”.

Orbene, la sentenza di legittimità, oggetto del presente commento, ha ben delineato il riparto dell’onere probatorio relativo alla posizione (sostanziale e processuale) del viaggiatore/creditore e del vettore/debitore.

Invero, sulla scorta del combinato disposto di cui all’articolo 2697 del codice civile ed articoli 99 – 100 – 115 – 116 – 163 del codice di procedura civile, il viaggiatore, facendo leva anche sull’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, adottato successivamente alla sentenza delle Sezioni Unite dell’ottobre del 2001, al fine di fare valere le proprie prerogative risarcitorie, deve provare la sussistenza del contratto di trasporto nella sua storica esistenza (fatto storico rilevante giuridicamente), il sinistro patito nel corso della esecuzione del contratto di trasporto, nonché la sussistenza del nesso di causalità intercorrente tra l’attività posta in essere dal vettore e il pregiudizio denunciato; sul punto la giurisprudenza ha evidenziato che non è necessaria l’individuazione della precisa anormalità del servizio che ha determinato il sinistro, essendo sufficiente comprovare che l’evento lesivo è stato cagionato in termini oggettivi dal vettore e, quindi, dall’attività del trasporto (ex plurimis Corte di Cassazione n. 7423/1999 e Tribunale Genova sentenza 18 gennaio 2006).

Da par suo, il vettore, stante la natura rigorosa della lettera contemplata dall’articolo 1681 del codice civile, per esimersi da responsabilità, che potremo definire presunta, dovrà dimostrare, ai sensi degli articoli 2697 del codice civile ed articoli 115 – 116 – 167 del codice di procedura civile,  che l’evento dannoso costituisce fatto imprevedibile e non evitabile con la normale diligenza.

Trattasi di una forma di esenzione da responsabilità incisiva e consistente per la sfera giuridica del vettore/debitore il quale sarà tenuto a dimostrare che la mancata esecuzione della prestazione, o l’inesatta esecuzione della stessa (al riguardo per Cass. n. 10680/1993 deve tenersi in considerazione la “concreta situazione in cui il trasporto si è svolto”), sia dipesa da fatti e situazioni, quali il caso fortuito – la forza maggiore – il fatto del terzo – la medesima condotta del viaggiatore, capaci di recedere il nesso di causalità, anche ai sensi dell’articolo 41 comma 2 codice penale, tra condotta del vettore ed evento dannoso (ed annesse conseguenze negative) sofferto dal viaggiatore.

In tema, una recente sentenza della VI Sezione della Cassazione, n. 24347 del 14 novembre 2014, nel premettere che “in tema di trasporto persone la presunzione di responsabilità che l’articolo 1681 c.c. e l’articolo 409 codice navale, pongono a carico del vettore per i danni al viaggiatore opera quando sia provato il nesso causale tra il sinistro occorso al viaggiatore e l’attività del vettore in esecuzione del trasporto”, ha statuito che “il vettore resta liberato dalla responsabilità presunta a suo carico, qualora provi che l’evento dannoso, verificatosi a causa del trasporto….sia dovuto a fatto non prevedibile suo o dei suoi preposti o dipendenti, ovvero non si sia potuto evitare nonostante l’uso della normale diligenza…”.

Ora, considerato che l’attuale orientamento della dottrina rinviene nel contratto di trasporto accanto alla obbligazione principale,c quale l’esecuzione del trasporto da un luogo ad altro, anche prestazioni accessorie, collegate all’adozione di date misure e accortezze funzionali alla tutela dell’incolumità, della sicurezza e dell’integrità del passeggero, non v’è chi non veda come sussista in capo al vettore un obbligo e/o dovere di diligenza, di prudenza, di attenzione e di cura incisivo e rilevante, alla stessa stregua di un agente modello idealmente collocato in una data situazione concreta.

Resta fermo, tuttavia, che lo stesso vettore, nel corso della esecuzione della prestazione, abbia il diritto di affidarsi “anche ad un minimo di prudenza e di senso di responsabilità del passeggero” (Corte di Cassazione n. 3285 del 2006), con l’ovvia considerazione che, nella ipotesi in cui il danno sia da ascrivere ad una condotta negligente ed imprudente dello stesso viaggiatore, idonea a recidere il nesso di causalità tra condotta (del vettore) ed evento dannoso, il debitore/vettore, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1227 del codice civile e dell’articolo 41 comma 2 del codice penale, non ne potrà rispondere.

Di fatti, il Supremo Consesso della giustizia ordinaria, sul punto, ha precisato che la presunzione di colpa stabilita dall’articolo 1681 del codice civile a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio, (comprese le operazioni accessorie, tra cui la salita o la discesa dal mezzo di trasporto) opera sul presupposto che sussista il nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto ed è perciò superata se il giudice di merito accerta invece, anche indirettamente, che tale nesso non sussiste, come nel caso in cui il comportamento imprudente del viaggiatore costituisca la causa esclusiva del sinistro(Corte di Cassazione, Sez. III, 5 novembre 2001, n. 13635).