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Fake news: viralità, virilità, voracità e dintorni

Fake news: viralità, virilità, voracità e dintorni
Fake news: viralità, virilità, voracità e dintorni

Bologna, 9 gennaio 2017

 

 

Confesso che devo ancora smaltire (elaborare per i dotti) la delusione per la vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale. Sono convinto che gravi lutti porta e porterà agli Achei. Pazienza, ne scriverò. Ora mi occupo della notizia delle ultime settimane, che interessa il mondo del diritto non tangenzialmente: la clamorosa scoperta dell’esistenza delle bufale on line (altrimenti dette fake news).

Dico la mia in ritardo (Filodiritto non ha mai avuto la pretesa di dare notizie in tempo reale, per mille ragioni, non ultima quella di evitare di contribuire a diffondere bufale) rivendicando la mia parzialità. Primo tema da appuntare: facoltà di essere parziale, che non vuol dire fazioso. Per favore astenersi dalla teoria fatti vs. opinioni.

Il Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, Pitruzzella, ha dichiarato al Financial Times: “We have reached a fork in the road: we have to choose whether to leave the internet like it is, the wild west, or whether it needs rules that appreciate the way communication has changed. I think we need to set those rules and this is the role of the public sector. Platforms like Facebook have created great benefits for people and customers: they are doing their part as an economic entity in adopting policies to modify their algorithms to reduce this phenomenon. But it is not the job of a private entity to control information. This is historically the job of public powers. They have to guarantee that information is correct. We cannot delegate this completely” (grassetto mio).

Grillo nel suo blog ha proposto “non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo” (grassetto di Grillo).

È seguito il tradizionale corollario composto da (in ordine sparso): precisazioni di Pitruzzella, denuncia di Mentana, preoccupazione del Presidente della Repubblica, rilievi sulla disintermediazione del Ministro Orlando, ecc. ecc. ecc.. Insomma, veramente uno spasso, agli orfani di Checco Zalone è parso un utile surrogato, perlomeno meglio dei cinepanettoni di quest’anno. Sto estremizzando per evidenziare il secondo tema: facoltà di enfatizzare e parlare per paradosso, per metafora, per allegoria o usando altre sconosciute figure letterarie (confinate tra le domande difficili dei quiz di Gerry Scotti).

Non so se sia peggio anche solo ipotizzare una o più autorità centrali per il controllo e la sanzione della verità delle notizie (non mi cimento nel molto facile richiamo a sinistre autorità di questo tipo partorite dalla rivoluzione francese e da quella comunista, che ignoriamo o di cui ci dimentichiamo con disarmante scioltezza) oppure una giuria popolare (con le pubbliche scuse finali che sembrano uscite dalla cronaca di un processo bolscevico). Ovunque si fermi il pendolo mi vengono i brividi e non per il freddo.

Terzo tema: è il caso di distinguere.

Di quali bufale stiamo parlando? ad esempio, bufale integrali, bufale parziali e bufale per lacuna, dolose o colpose? i titoli fuorvianti? i falsi virgolettati? le immagini associate alle news e le fotonotizie? i video? i servizi televisivi, le notizie esca? i publiredazionali? le citazioni malriportate e tagliate? e che dire della critica e della satira? Come funzionerebbe il meccanismo della promozione della verità? Quali sarebbero le notizie sanzionate e sulla base di quale parametro? un decalogo della notizia virtuosa con specifiche a seconda del medium? e chi esattamente dovrebbe essere sanzionato? gli autori, gli editori, i content provider, i social, i gestori di blog? e i propalatori, cioè tutti noi (del resto marketing e fake news si nutrono di viralità)? chi sarebbe il sanzionatore? e chi controllerebbe il sanzionatore?

Ancora: cosa ne sarà della bufala più pericolosa di tutte, il silenzio? Quella difficilmente potrebbe essere sanzionata. Ecco, è il silenzio che mi spaventa di più perché alimenta il mainstream del politicamente corretto.

Quarto tema: sviamento e confusione, con l’effetto, voluto o no, di dimenticare le priorità.

Non vorrei passare nella categoria dei benaltristi, di cui sono profondamente allergico. Mi permetto di ricordare che siamo nel Paese delle intercettazioni e della spensierata divulgazione dei relativi contenuti, per alimentare notizie e titoli dei media. A quale livello di gravità inseriamo la divulgazione delle intercettazioni rispetto alle bufale?

Sono pronto a scommettere che questa legislatura non affronterà la questione.

Quinto tema: voracità di regolamentazione.

Da una parte mi sembra che si sia tornati a quindici/venti anni fa quando si sosteneva che Internet fosse il far west (e io stupido che non me ne ero accorto e sostenevo il contrario) pretendendo pertanto che tutti i blog fossero registrati nei Tribunali come riviste.

Dall’altra si conferma che istituire un’autorità (in Italia o nella UE poco cambia) significa ipso facto aprire il vaso di Pandora delle proposte di aumento di compiti, organico, dotazioni, naturalmente sempre in buona fede e con l’obiettivo di fornire un servizio alla comunità.

In entrambi i casi la parola d’ordine è: gli strumenti e gli enti che abbiamo a disposizione non sono idonei, questi per lentezza, quelli perché non riescono a stare a passo con i tempi e le mutate esigenze. Insomma il processo mediatico finisce inesorabilmente per condurre alla convinzione che il diritto e le istituzioni sono sempre in ritardo rispetto alle evoluzioni della società.

Mi domando: prima di intervenire non possiamo attendere e verificare se le capacità di adattamento della rete non offrano soluzioni autonome?

Sesto tema: autoregolamentazione, codici di condotta e censura.

In questo contesto si colloca il dibattito tra autorità, motori di ricerca e social network. Mi riferisco all’autoregolamentazione di questi ultimi.

Da un lato ci stracciamo le vesti per i contenuti diffusi e pretendiamo un intervento immediato di cancellazione di quelli sgraditi, anche se non penalmente o civilmente rilevanti. Dall’altra ci stracciamo parimenti le vesti quando i social (leggi Facebook) impongono regole per il proprio utilizzo. In altre parole: entrare nel club, goderne dei benefici ma non rispettarne le norme. Mi sembra una prospettiva distorta di vedere le cose.

A Bologna e non solo, in questi giorni di festa si è parlato molto della censura ad opera di Facebook delle foto del Nettuno del Giambologna, temporaneamente ingabbiato in restauro. In effetti, il suo prorompente membro (soprattutto se visto da una angolatura particolare) oggi è demodé, perché parlare di virilità è molto poco politicamente corretto, e, d’altro canto, è pericolosissimo perché provoca (da secoli) legittime aspettative a mogli e fidanzate e paurosi sensi di inadeguatezza in mariti, amanti e fidanzati. Forse per questo andrebbe censurato, anzi propongo che una commissione riduca le dimensioni del pene del Nettuno, anche se a scapito di evidenti esigenze di proporzione. Mi sembra giusto che anche il nostro si rimetta al gusto del tempo.

Non so neanche se si tratti di una bufala rientrata. Mi interessa il processo mediatico che ha riempito i mass media a scapito di altro. Eccomi faticosamente arrivato al punto centrale e finale – per ora – del mio ragionamento.

Settimo tema: cosa ci stiamo a fare noi, ovvero degli editori e del self publishing.

Il ruolo di chi crea la notizia e il fatto che forse, al di là dei social, gli editori e i produttori di notizie non hanno perso del tutto il proprio ruolo a scapito di self publishing e dell’autonoma creazione e diffusione di notizie. Torna dalla finestra quello che pensavamo di aver fatto uscire dalla porta come polveroso e inutile retaggio del passato.

Scopriamo che il mercato delle notizie in un sistema aperto è volatile e segue, a lungo termine, la reputazione, grazie a noi e ai (per ora al) motori(e) di ricerca.

Mi piace pensare – forse sono un illuso – che la reputazione non sia un venticello come la calunnia, bensì un edificio fragilissimo fatto di perseveranza, competenza e innovazione. Chi lo riconosce, anche a distanza, vi si acquartiera con fiducia, sicuro di non essere tradito, ammesso che non cerchi proprio quello.

Comunque calma e gesso.

La discussione si quieterà in un attimo (lo ha già fatto), salvo tornare quando in qualche comma di un decreto legge saranno introdotte sanzioni in caso di violazione e naturalmente sarà giudicato “indispensabile” o “necessario” per adeguare l’Italia alla normativa di altri Paesi dell’UE.

Nell’attesa noi continueremo a ritagliarci il nostro modesto ruolo nell’informazione giuridica. Confinando i sensazionalismi nei miei editoriali. D’altro canto se no non mi diverto.

Evviva le fake news, abbasso la virtù e soprattutto evviva la virilità.

Bologna, 9 gennaio 2017

 

 

Confesso che devo ancora smaltire (elaborare per i dotti) la delusione per la vittoria del no al referendum sulla riforma costituzionale. Sono convinto che gravi lutti porta e porterà agli Achei. Pazienza, ne scriverò. Ora mi occupo della notizia delle ultime settimane, che interessa il mondo del diritto non tangenzialmente: la clamorosa scoperta dell’esistenza delle bufale on line (altrimenti dette fake news).

Dico la mia in ritardo (Filodiritto non ha mai avuto la pretesa di dare notizie in tempo reale, per mille ragioni, non ultima quella di evitare di contribuire a diffondere bufale) rivendicando la mia parzialità. Primo tema da appuntare: facoltà di essere parziale, che non vuol dire fazioso. Per favore astenersi dalla teoria fatti vs. opinioni.

Il Presidente dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, Pitruzzella, ha dichiarato al Financial Times: “We have reached a fork in the road: we have to choose whether to leave the internet like it is, the wild west, or whether it needs rules that appreciate the way communication has changed. I think we need to set those rules and this is the role of the public sector. Platforms like Facebook have created great benefits for people and customers: they are doing their part as an economic entity in adopting policies to modify their algorithms to reduce this phenomenon. But it is not the job of a private entity to control information. This is historically the job of public powers. They have to guarantee that information is correct. We cannot delegate this completely” (grassetto mio).

Grillo nel suo blog ha proposto “non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo” (grassetto di Grillo).

È seguito il tradizionale corollario composto da (in ordine sparso): precisazioni di Pitruzzella, denuncia di Mentana, preoccupazione del Presidente della Repubblica, rilievi sulla disintermediazione del Ministro Orlando, ecc. ecc. ecc.. Insomma, veramente uno spasso, agli orfani di Checco Zalone è parso un utile surrogato, perlomeno meglio dei cinepanettoni di quest’anno. Sto estremizzando per evidenziare il secondo tema: facoltà di enfatizzare e parlare per paradosso, per metafora, per allegoria o usando altre sconosciute figure letterarie (confinate tra le domande difficili dei quiz di Gerry Scotti).

Non so se sia peggio anche solo ipotizzare una o più autorità centrali per il controllo e la sanzione della verità delle notizie (non mi cimento nel molto facile richiamo a sinistre autorità di questo tipo partorite dalla rivoluzione francese e da quella comunista, che ignoriamo o di cui ci dimentichiamo con disarmante scioltezza) oppure una giuria popolare (con le pubbliche scuse finali che sembrano uscite dalla cronaca di un processo bolscevico). Ovunque si fermi il pendolo mi vengono i brividi e non per il freddo.

Terzo tema: è il caso di distinguere.

Di quali bufale stiamo parlando? ad esempio, bufale integrali, bufale parziali e bufale per lacuna, dolose o colpose? i titoli fuorvianti? i falsi virgolettati? le immagini associate alle news e le fotonotizie? i video? i servizi televisivi, le notizie esca? i publiredazionali? le citazioni malriportate e tagliate? e che dire della critica e della satira? Come funzionerebbe il meccanismo della promozione della verità? Quali sarebbero le notizie sanzionate e sulla base di quale parametro? un decalogo della notizia virtuosa con specifiche a seconda del medium? e chi esattamente dovrebbe essere sanzionato? gli autori, gli editori, i content provider, i social, i gestori di blog? e i propalatori, cioè tutti noi (del resto marketing e fake news si nutrono di viralità)? chi sarebbe il sanzionatore? e chi controllerebbe il sanzionatore?

Ancora: cosa ne sarà della bufala più pericolosa di tutte, il silenzio? Quella difficilmente potrebbe essere sanzionata. Ecco, è il silenzio che mi spaventa di più perché alimenta il mainstream del politicamente corretto.

Quarto tema: sviamento e confusione, con l’effetto, voluto o no, di dimenticare le priorità.

Non vorrei passare nella categoria dei benaltristi, di cui sono profondamente allergico. Mi permetto di ricordare che siamo nel Paese delle intercettazioni e della spensierata divulgazione dei relativi contenuti, per alimentare notizie e titoli dei media. A quale livello di gravità inseriamo la divulgazione delle intercettazioni rispetto alle bufale?

Sono pronto a scommettere che questa legislatura non affronterà la questione.

Quinto tema: voracità di regolamentazione.

Da una parte mi sembra che si sia tornati a quindici/venti anni fa quando si sosteneva che Internet fosse il far west (e io stupido che non me ne ero accorto e sostenevo il contrario) pretendendo pertanto che tutti i blog fossero registrati nei Tribunali come riviste.

Dall’altra si conferma che istituire un’autorità (in Italia o nella UE poco cambia) significa ipso facto aprire il vaso di Pandora delle proposte di aumento di compiti, organico, dotazioni, naturalmente sempre in buona fede e con l’obiettivo di fornire un servizio alla comunità.

In entrambi i casi la parola d’ordine è: gli strumenti e gli enti che abbiamo a disposizione non sono idonei, questi per lentezza, quelli perché non riescono a stare a passo con i tempi e le mutate esigenze. Insomma il processo mediatico finisce inesorabilmente per condurre alla convinzione che il diritto e le istituzioni sono sempre in ritardo rispetto alle evoluzioni della società.

Mi domando: prima di intervenire non possiamo attendere e verificare se le capacità di adattamento della rete non offrano soluzioni autonome?

Sesto tema: autoregolamentazione, codici di condotta e censura.

In questo contesto si colloca il dibattito tra autorità, motori di ricerca e social network. Mi riferisco all’autoregolamentazione di questi ultimi.

Da un lato ci stracciamo le vesti per i contenuti diffusi e pretendiamo un intervento immediato di cancellazione di quelli sgraditi, anche se non penalmente o civilmente rilevanti. Dall’altra ci stracciamo parimenti le vesti quando i social (leggi Facebook) impongono regole per il proprio utilizzo. In altre parole: entrare nel club, goderne dei benefici ma non rispettarne le norme. Mi sembra una prospettiva distorta di vedere le cose.

A Bologna e non solo, in questi giorni di festa si è parlato molto della censura ad opera di Facebook delle foto del Nettuno del Giambologna, temporaneamente ingabbiato in restauro. In effetti, il suo prorompente membro (soprattutto se visto da una angolatura particolare) oggi è demodé, perché parlare di virilità è molto poco politicamente corretto, e, d’altro canto, è pericolosissimo perché provoca (da secoli) legittime aspettative a mogli e fidanzate e paurosi sensi di inadeguatezza in mariti, amanti e fidanzati. Forse per questo andrebbe censurato, anzi propongo che una commissione riduca le dimensioni del pene del Nettuno, anche se a scapito di evidenti esigenze di proporzione. Mi sembra giusto che anche il nostro si rimetta al gusto del tempo.

Non so neanche se si tratti di una bufala rientrata. Mi interessa il processo mediatico che ha riempito i mass media a scapito di altro. Eccomi faticosamente arrivato al punto centrale e finale – per ora – del mio ragionamento.

Settimo tema: cosa ci stiamo a fare noi, ovvero degli editori e del self publishing.

Il ruolo di chi crea la notizia e il fatto che forse, al di là dei social, gli editori e i produttori di notizie non hanno perso del tutto il proprio ruolo a scapito di self publishing e dell’autonoma creazione e diffusione di notizie. Torna dalla finestra quello che pensavamo di aver fatto uscire dalla porta come polveroso e inutile retaggio del passato.

Scopriamo che il mercato delle notizie in un sistema aperto è volatile e segue, a lungo termine, la reputazione, grazie a noi e ai (per ora al) motori(e) di ricerca.

Mi piace pensare – forse sono un illuso – che la reputazione non sia un venticello come la calunnia, bensì un edificio fragilissimo fatto di perseveranza, competenza e innovazione. Chi lo riconosce, anche a distanza, vi si acquartiera con fiducia, sicuro di non essere tradito, ammesso che non cerchi proprio quello.

Comunque calma e gesso.

La discussione si quieterà in un attimo (lo ha già fatto), salvo tornare quando in qualche comma di un decreto legge saranno introdotte sanzioni in caso di violazione e naturalmente sarà giudicato “indispensabile” o “necessario” per adeguare l’Italia alla normativa di altri Paesi dell’UE.

Nell’attesa noi continueremo a ritagliarci il nostro modesto ruolo nell’informazione giuridica. Confinando i sensazionalismi nei miei editoriali. D’altro canto se no non mi diverto.

Evviva le fake news, abbasso la virtù e soprattutto evviva la virilità.