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Basta Covid! 10 dischi American roots music consigliati da Dr Feelgood

American roots music
American roots music

IRIS DeMENT

The Way I Should

Warner Brothers, 1996

Iris DeMent è una folk singer dalla voce sottile e grezza, apparentemente innocua. Il suo timbro e lo stile downhome te la fanno collegare all’immagine della casalinga del sud, famiglia e chiesa come voleva la tradizione rurale del profondo sud. Le sue canzoni sono rappresentative di quel mondo e il suo stile e voce sono credibili a tal punto da farti pensare sia ‘the real thing’. Quando una voce come questa affronta tematiche sociali, soffermandosi su come il mondo si sia spietatamente evoluto, la ascolti quindi con l’attenzione che merita.

Una voce che è stata in grado di risvegliare la coscienza della vecchia America dei sani valori, almeno di quell’America che ha la forza di guardarsi dentro, fermandosi a riflettere su dove questo grande paese stia andando e, soprattutto, su cosa sta perdendo per strada. Wasteland Of The Free è una canzone di denuncia senza mezzi termini verso quanto di peggio i moderni USA sono stati in grado di generare, Letter To Mom tratta il tema della violenza sessuale all’interno delle mura domestiche… ogni canzone di questo album pesa come un macigno e la gentile signora si dimostra coraggiosa come un guerriero Sioux. Vale la pena di conoscerla, partendo magari da questo disco.

 

JOHN PRINE

The Missing Years

Oh Boy Records, 1991

Uno dei tanti cantautori che si sono artisticamente formati sul solco tracciato da Bob Dylan nei primi anni ’60. John Prine si è distinto da subito già con un primo splendido album del 1971, seguito da una collana di perle interrotta dalla sua prematura scomparsa, che l’intero mondo musicale ha pianto con sincerità lo scorso 7 aprile 2020.

Originario del Kentucky, John Prine ha vissuto per molti anni a Los Angeles, per poi trasferirsi a Nashville, la città della musica country. Lì ha aperto gli uffici della Oh Boy Records per produrre musica in piena autonomia, sostenuto da una folta schiera di amici noti a livello internazionale che si sono resi disponibili ad arricchire i suoi splendidi lavori.

Questo disco è meraviglioso, non una canzone sbagliata, melodie e testi di grande spessore, registrato all’inizio degli anni ’90 con l’aiuto di John Jorgeson, David Lindley, Albert Lee, Jay Dee Manness, Steve Fishell, Phil Everly, Tom Petty, Bonnie Raitt, Bruce Springsteen e molti altri ancora.

 

BLASTERS

4-11-44

Evangeline Records, 2004

Giudicata, a buon ragione, la "miglior rock'n'roll band di tutti i tempi", i Blasters nel 2004 tornarono dopo vent'anni dal loro ultimo album a breve seguito dallo scioglimento della formazione, con questa esplosiva raccolta di canzoni.

Della line up originale rimase il bassista John Bazz e lui, il capo indiscusso, Phil Alvin. Il fratello Dave e Bill Bateman furono sostituiti da Jerry Angel (drums) e Keith Wyatt (guitar).

Mai ritorno fu così atteso, e mai fu tanto acclamato, riprendere l’attività come se il tempo (vent’anni!) non fosse trascorso non è da tutti, con la stessa potenza, stessa energia come ai vecchi tempi.

Roots rock che profuma di country, rock'n'roll grezzo e immediato, blues sanguigno che fa rivivere Howlin' Wolf.

In apertura si riascolta la Daddy Rollin' Stone che Phil aveva inserito in un suo vecchio LP solo, dopo di che una sequenza di nuove canzoni cantate e suonate con una tale grinta, eccitazione e passionalità da lasciare senza fiato.

 

BO DIDDLEY

The Story Of Bo Diddley: Very Best Of Bo Diddley

Chess-MCA, 2006

C’è chi per parlare di Bo Diddley comincia a farlo partendo dalla solita “Who Do You Love”, il pezzo che lo ha reso famoso nel mondo grazie alle cover dei Doors, Quicksilver Messenger, Ronnie Hawkins, Woolies e George Thorogood, c’è chi lo fa tornando a parlare dei suoi strani gusti per occhiali, abbigliamento, scooter e soprattutto chitarre, alcune delle quali da lui stesso ideate. C’è poi anche chi per farla breve lo inserisce nella lista dei tanti artisti che, per quanto geniali, si sono distinti realizzando un’idea, una sola, e hanno campato tutta la vita grazie ad essa, rigirandola, rinnovandola, reinterpretandola in vari modi.

A pieno diritto Bo Diddley rientra nella squadra che ha originato e popolarizzato il rock and roll offrendo tra l’altro una propria originalissima visione. È stato unico, un vero stilista, tra i più influenti rocker di tutti i tempi, pochi sono riusciti come Bo a produrre canzoni memorabili e, con geniale intuizione, applicare al rhythm’n’blues e rock and roll un ritmo, poi definito ‘jungle beat’, riproposto in seguito da mille altre band. Le sue canzoni, in particolare Mona, Crackin' Up, Road Runner, You Can't Judge A Book By It's Cover, Before You Accuse Me, Bo Diddley, Greatest Lover In The World trasmettono una tale energia da rinvigorire il più abbattuto stato d’animo, canzoni di trascinante fisicità, hanno un immediato sicuro impatto che induce al movimento. Bo Diddley era una forza. Le sue songs continuano a esserlo.

 

JOHNNY OTIS

The Johnny Otis Story (Vol.1: 1945-1957) (Vol.2: 1957-1974)

Ace Records 2011-2012

Cantante, compositore, autore, arrangiatore, musicista, disc jockey, produttore, pittore, scultore, conduttore televisivo, scrittore, giornalista, politico, promoter, attivista nella lotta per i diritti civili degli afroamericani e predicatore. Come talent scout scoprì e lanciò Little Esther Phillips, Etta James, Big Mama Thornton, Johnny Ace, Jackie Wilson, Little Willie John, Hank Ballard, e i The Robins (diventati poi Coasters).

In campo musicale fece un mucchio di cose e le fece tutte molto bene, eppure Johnny Otis non è uno dei nomi che emergono spesso quando si pensa al rhythm’n’blues di fine anni ’40 e al rock and roll degli anni ’50, il suo periodo di maggiore popolarità. Proprio per questo motivo ho ritenuto di inserirlo all’interno di questa breve panoramica di dischi consigliati per avvicinarsi ai suoni tradizionali e classici statunitensi. Queste due compilation contengono il meglio di Otis, coprono trent’anni di carriera e includono la presenza di buona parte degli artisti da lui lanciati.

 

ELVIS PRESLEY

Elvis The King

SONY BMG 2007

A quasi cinquanta anni dalla sua scomparsa Elvis continua ad essere una figura da celebrare. Una carriera che è stata testimonianza dell’evoluzione della musica rock and roll e pop, con le sue trasformazioni, contraddizioni, eccessi.

Il giovane ribelle dalle grandi ambizioni, ma incapace di gestire le sue potenzialità, trasformato da icona della Gioventù Bruciata nel migliore prodotto di massa che l’industria musicale statunitense abbia mai realizzato.

Si può amare Elvis per tutto ciò che ha realizzato o soltanto una parte della sua evoluzione, rappresentata da tre fasi, il rockabilly e il rock and roll degli anni ’50, la popstar degli anni ’60, il crooner di Las Vegas degli anni ’70.

Questa raccolta doppia venne pubblicata nel 2007 e faceva parte di una serie di iniziative e ristampe che celebravano il trentennale della sua morte avvenuta nell’agosto del 1977. Naturalmente in seguito sono stati pubblicati altri prodotti, tra i quali anche preziosi cd-box, ma ancora oggi questa compilation può rivelarsi un must per chi vuole possedere una panoramica rappresentativa del Re del Rock and Roll.

 

DOC WATSON

On Stage

Vanguard Records 1971

Doc Watson è stato uno dei più importanti artisti della tradizione popolare americana, un tesoro vivente, un infinito archivio e un grande artista, capace di dare continuità alla tradizione, facendola propria, evolvendola, celebrando i musicisti dai quali imparò e incoraggiando i giovani a fare lo stesso. Un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia accostarsi alla chitarra tradizionale flat e finger picking, a Doc Watson va riconosciuto il pionieristico lavoro di trasposizione su chitarra dei brani strumentali per violino, le fiddle tune a lungo ascoltate in ambiente familiare quando era bambino.

L’album ‘On Stage’, registrato a New York nel 1970 in coppia con il figlio Merle, rappresenta al meglio la grandezza di Doc Watson, la sua comunicativa e contagiosa positività. Il disco offre una panoramica completa delle tecniche chitarristiche e dei vari strumenti tradizionali utilizzati per infuocate fiddle tune e per accompagnarsi nell’esecuzione di vecchi blues, railroad song, standard country e murder ballad.

 

LITTLE RICHARD

The Formative Years 1951-1953

Bear Family Records 2020

Little Richard è stato il penultimo della sua generazione, quella che ha lanciato il rock and roll a metà degli anni ’50, a lasciarci. È morto il 9 maggio 2020 a 87 anni. Le canzoni per cui viene ricordato sono racchiuse in una manciata di famosi titoli come “Tutti Frutti”, “Long Tall Sally”, “Good Golly Miss Molly”, “Slippin’ and Slidin’”, “Ready Teddy”, “Lucille”, “Keep A-Knockin’”, gli stessi che nelle 24 ore dopo la sua morte sono stati scaricati oltre 4 milioni di volte dal web. Anche la figura di Richard, come gran parte degli artisti del passato, è legata ai suoi maggiori successi mentre la prima parte della carriera, come la produzione che è seguita al picco della sua popolarità, restano oscuri ai più.

Questa raccolta contiene ben ventidue canzoni del primo periodo, una scorpacciata di delizioso rhythm’n’blues e rock and roll prima che venisse definito tale. Renderete giustizia a questo straordinario artista che ora, tra Sister Rosetta Tharpe, che lo scoprì quattordicenne, e Buster Brown (quello di “Fannie Mae” di American Graffiti) che lo inserì nella sua band diciassettenne, ci sta sorridendo da lassù, con i suoi splendidi scintillanti bianchissimi trentadue denti.

 

THE RED DEVILS

King King

Def American Records 1992

Impari tre accordi e lo suoni. Se hai talento puoi provare a cimentarti con le cose incredibili che facevano Stevie Ray Vaughan o T-Bone Walker. Se acquisisci buona tecnica, la semplice base su cui si lavora offre grandi possibilità espressive. Ma il cuore, la partecipazione emotiva, il sentimento ce lo devi mettere, per forza, è l’elemento chiave del Blues. Quello che non si può spiegare a parole, lo senti in ogni nota di questo disco, un live che trasuda passionalità, sofferenza, gioia, umanità, sangue e sudore.

Un raro debutto live, al live ci si arriva dopo qualche album, i losangeleni Red Devils cominciarono con un live, perché il palco di un locale come il King King di Hollywood era il loro habitat naturale. Non sappiamo cosa sarebbe uscito da registrazioni programmate in studio, perché questo debutto restò l’unica testimonianza sonora della band. Una forza della natura, un tiro spaventoso, da togliere il respiro. La musica di Howlin’ Wolf, Little Walter e dei loro fratelli, grezza, sporca, apparentemente priva di cura, un vero fiume in piena.

Blues che se accompagnato a del buon bourbon può rivoltarti come un guanto. Così ti senti alla fine dell’ascolto, stordito e inebriato. Dobbiamo farci bastare questo unico disco, colpa di Lester Butler e della droga che si iniettava. A 25 anni dalla sua pubblicazione la band si è rimessa insieme per un tour, Lester scomparso nel 1998 è stato sostituito da un altro cantante e buon armonicista, ma questo live non può essere superato. Dovrebbero averlo tutti.

 

SOLOMON BURKE

Soul Alive!

Rounder Records 2002

Il suo primo successo risale al lontano 1962, un pezzo soul grezzo mid tempo  con fiati e coretti nello stile del tempo. Non ricordo l’ultimo, ma si sa, spesso i colossi restano nella storia per le vecchie gloriose incisioni della prima parte della loro carriera, e la sua è durata tanto davvero, con un ritorno rilanciato anche grazie alla collaborazione con nuovi artisti coscienti di dover loro molto. Numerosi i duetti che hanno caratterizzato la seconda parte della carriera di Solomon Burke, anche in campo country e pop rock. In Italia Zucchero è stata la pop star che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Negli States persino bravi outsider del country come Gillian Welch. Non stupisca, il Re del Soul, come lui stesso amava autodefinirsi, i territori del country li ha frequentati per tutta la sua vita.

È stato uno dei principali rappresentanti del ‘Country Soul’, un adorabile mix di musica southern soul e melodic country, dove steel guitar e mandolini erano sostituiti da fiati e organi. Ma la grandezza di Burke, oltre che nella sua voce ‘larger than life’, risiedeva nel pathos delle parole che legavano le canzoni durante i live. Lo sa bene chi, come me, ha avuto la fortuna di assistere ad un suo concerto.

Era esattamente come partecipare ad una lunga funzione religiosa in una disadorna chiesa del sud, dove ancora oggi gli afroamericani alla domenica mattina provano a liberarsi del senso di oppressione e dalle vessazioni a cui sono costretti da 400 anni. Il doppio ‘Soul Alive!’ ci fa calare in quell’atmosfera, pregna di umanità, intensa, toccante.