x

x

Art. 118

Decreto ingiuntivo

1. Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, si applica il Capo I del Titolo I del Libro IV del codice di procedura civile. Per l’ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato. L’opposizione si propone con ricorso.

Bibliografia. Rosanna De Nictolis, Codice del processo amministrativo commentato, IV edizione, Wolters Kluwer, 2016; Eugenio Picozza, Manuale di diritto processuale amministrativo, Giuffrè Editore, 2016; Caringella - Protto, Codice del nuovo processo amministrativo, Dike, 2013; Roberto Chieppa, Il codice del processo amministrativo, commento a tutte le novità del giudizio amministrativo, Giuffrè Editore, 2010; Mario Sanino, Codice del processo amministrativo, Utet, 2011; F. Caringella, La tutela sommaria dei diritti patrimoniali davanti al Giudice amministrativo in sede giurisdizionale esclusiva, in www.giustizia-amministrativa.it; Fabrizio D’Alessandri, Il giudizio di ottemperanza delle pronunce del giudice ordinario (specificità e limiti), in www.giustizia-amministrativa.it; Vincenzo Salamone, I riti speciali nel nuovo processo amministrativo, 2010, in www.giustizia-amministrativa.it.

 

Sommario. 1. Genesi e inquadramento della norma; 2. Il procedimento di ingiunzione: ambito di applicazione; 3. La competenza; 4. La fase monitoria: i presupposti; 5. Il decreto ingiuntivo; 6. La notificazione del decreto; 7. Il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo; 8. L’opposizione.

 

1. Genesi e inquadramento della norma

Ai fini di un corretto inquadramento dell’istituto del decreto ingiuntivo è necessario premettere brevi cenni sulle motivazioni che hanno indotto il legislatore alla sua introduzione nell’ambito della giustizia amministrativa.

Con il progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si iniziò ad avvertire, sempre più, l’esigenza di mutuare dal processo civile dei rimedi di natura anticipatoria che permettessero al ricorrente di richiedere una tutela sommaria (distinta dalla tutela di natura cautelare) del proprio diritto soggettivo.

Sul punto vi fu un vivace dibattito dottrinale incentrato sulla possibilità o meno di importare e, dunque, applicare anche al processo amministrativo gli articoli 633 ss., 186- ter e 186 – quater del codice di procedura civile. 

A porre fine a tale dibattito intervenne il legislatore che, con la legge del 21 luglio 2000, n. 205, introdusse nel tessuto della giustizia amministrativa un vero e proprio processo monitorio.

L’articolo 8 della l. n. 205/2000 prevedeva, infatti, che “1. Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale, si applica il capo I del titolo I del libro IV del codice di procedura civile. Per l’ingiunzione è competente il presidente o un magistrato da lui delegato. L’opposizione si propone con ricorso.

2. Nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, aventi ad oggetti diritti soggettivi di natura patrimoniale, il tribunale amministrativo regionale, su istanza di parte, dispone in via provvisionale, con ordinanza provvisoriamente esecutiva, la condanna al pagamento di somme di denaro quando, in ordine al credito azionato, ricorrono i presupposti di cui agli articoli 186-bis e 186-ter del codice di procedura civile.

3. Al fine di cui al comma 2, il presidente del tribunale amministrativo regionale, ovvero il presidente della sezione interna o della sezione distaccata, fissa su istanza di parte la discussione nella prima camera di consiglio utile, e quando ciò non sia possibile, entro un termine di trenta giorni successivo al deposito del ricorso o dell’istanza di parte se separata.

4. Il procedimento di cui ai commi 1 e 2 si applica anche al giudizio innanzi al Consiglio di Stato in sede di appello”.

Con la previsione di cui al menzionato articolo è stato operato un rinvio espresso alle norme del codice di procedura civile sul decreto ingiuntivo con la previsione di solo due specifiche inerenti alla competenza del giudice per l’ingiunzione e alla modalità di proposizione dell’opposizione.

Per quanto riguarda, invece, le ordinanze di cui agli articoli 186-bis e 186-ter c.p.c., il legislatore si è limitato, in questo caso, a richiamare i soli presupposti di tali disposizioni, essendo il procedimento autonomamente delineato ai commi 2 e 3 dell’articolo 8, l. n. 205/2000.

L’ultimo comma dell’articolo 8 della citata l. n. 205/2000 estendeva, infine, l’applicazione del procedimento monitorio anche dinanzi al Consiglio di Stato.

Quest’ultima previsione è stata, fin da subito, ritenuta dalla dottrina come un errore in fase di coordinamento della disposizione. 

Secondo la dottrina, infatti, la sua applicazione avrebbe determinato la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione.

Di qui, la scelta del legislatore di non riproporre tale disposizione nel testo del nuovo Decreto Legislativo n. 104/2010.

Con l’introduzione del Codice del processo amministrativo il legislatore ha confermato, dunque, il disposto dell’articolo 8, c. 1, l. n. 205/2000, senza riproporre, tuttavia, oltre al già menzionato comma 4, i commi 2 e 3 sulle ordinanze ingiuntive.

La ragione dell’espunzione di tali previsioni, peraltro di scarsa utilizzazione pratica, è stata rintracciata da parte della dottrina nella diversa struttura del processo amministrativo, suscettibile di essere definito nel merito attraverso una serie di strumenti acceleratori.

Altra parte ritiene, invece, che la mancata riproposizione delle ordinanze ingiuntive nel CPA debba rinvenirsi nella possibilità, del giudice amministrativo competente, di plasmare la tutela cautelare atipica anche a tali tipi di rimedi. Si pensi all’articolo 55, c. 1, CPA, che prevede tra le misure cautelari anche l’ingiunzione a pagare una somma in via provvisoria. 

Probabilmente la ragione, aldilà delle suesposte teorie di carattere tecnico, può essere rintracciata, più semplicemente, nella scarsa efficacia che tali previsioni hanno avuto in un’ottica deflattiva del contenzioso che ne aveva giustificato l’introduzione.

 

2. Il procedimento di ingiunzione: ambito di applicazione

Dopo aver tracciato brevemente l’evoluzione storica del procedimento ingiuntivo nell’ambito del processo amministrativo, è necessario adesso tracciarne il suo ambito applicativo.

La norma in commento prevede espressamente che il decreto ingiuntivo possa essere emesso esclusivamente nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo involgenti diritti soggettivi di natura patrimoniale.

L’ambito di operatività della norma è stato, tuttavia, ridotto drasticamente dalla sentenza della Corte costituzionale del 6 luglio 2004 n. 204, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33 c. 1, d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 (ora trasfuso nell’articolo 133, c. 1, lett. c, CPA).

Così facendo il Giudice delle leggi ha mutato il precedente assetto in tema di “indennità, canoni ed altri corrispettivi” relativi a servizi pubblici, di tal che attualmente “la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia non comprende più le controversie, riguardanti diritti di credito, nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, ancorché scaturenti da rapporti afferenti ad un pubblico servizio” (Tar Campania, sez. V, 23 febbraio 2018, n. 1210; Cons. St., sez. V, 20 marzo 2007, n. 1337; Tar Abruzzo, sez. I, 13 luglio 2009, n. 501).

Nonostante il forte ridimensionamento apportato dalla Corte costituzionale, il giudice amministrativo conserva la competenza ad emanare decreti ingiuntivi nelle controversie tuttora attribuite alla propria giurisdizione, quali ad esempio, quelle in materia di pubblico impiego non privatizzato.

Ai sensi dell’articolo 3 del Decreto Legislativo 165/2001si continua ad applicare, infatti, il regime di diritto pubblico ai magistrati ordinari, amministrativi e contabili, agli avvocati e procuratori dello Stato, al personale militare e delle forze di polizia di Stato, al personale della carriera diplomatica e prefettizia, ai  dipendenti CONSOB e delle autorità autonome, al personale del “Dipartimento delle informazioni per la sicurezza”, al personale del Corpo Nazionale dei vigili del fuoco ed al personale dirigenziale penitenziario.

Si pensi ancora alle controversie relative agli accordi ex articolo 11, l. n. 241/90. In questo caso la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è prevista espressamente dall’articolo 133, c. 1, lett. a), n. 2) del CPA

Sul punto le Sezioni unite della Cassazione (ord. 14 giugno 2005, n. 12725) hanno precisato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - per tutte le controversie nascenti da questa tipologia di accordi - trae il proprio fondamento dal fatto che con questo modello convenzionale l’amministrazione «esercita una funzione pubblica», e che tutte le pretese nascenti da tali accordi devono essere concentrate presso un unico ordine giurisdizionale, ai sensi dell’allora vigente articolo 11, c. 5, l. n. 241 del 1990 ed ora ai sensi del citato articolo 133, c. 1, lett. a), n. 2, CPA (cfr. Cons. St., sez. V, 16 marzo 2016, n. 1053).

La Suprema Corte ha escluso, inoltre, la possibilità di pervenire a diverse conclusioni, in termini di giurisdizione, per il caso in cui all’accordo partecipino privati, nella veste di attuatori dell’accordo di programma (Corte Cass., Sez. Un., sent. 7 gennaio 2016, n. 64; Corte Cass., Sez. Un., ord. 29 luglio 2013, n. 18192; Corte Cass., Sez. Un., sent. 21 maggio 2007, n. 11667).

Anche le controversie in materia di ripetizione di oneri di urbanizzazione, sono state ritenute dalla giurisprudenza amministrativa rientranti nella giurisdizione esclusiva del g.a. ai sensi dell’articolo 133, c. 1. lett. f) del CPA

È stato evidenziato, in particolare, che le controversie in materia di oneri di urbanizzazione “devono ritenersi tuttora attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica e di edilizia … non avendo tra l’altro detti oneri natura tributaria, bensì natura di corrispettivo di diritto pubblico avente la funzione di partecipazione ai costi delle opere di urbanizzazione; invero, atteso che le controversie che hanno ad oggetto la legittimità o meno del contributo relativo a concessione edilizia vertono sull’esistenza o sulla misura di una obbligazione direttamente stabilita dalla legge, l’atto con cui l’Amministrazione comunale provvede in merito alla determinazione del contributo concessorio non ha natura autoritativa e la posizione del soggetto nei cui confronti è richiesto il pagamento, è di diritto soggettivo e non di interesse legittimo; conseguentemente la giurisdizione del giudice amministrativo in materia ha per oggetto tutte le controversie inerenti all’an e al quantum della pretesa contributiva del comune” (ex multis Tar Lazio, sez. II bis, 10 novembre 2015, n. 12693).

Deve ritenersi ammissibile, inoltre, l’utilizzo del decreto ingiuntivo per il recupero delle tariffe incentivanti corrisposte in ragione della produzione di energia da fonte rinnovabile in quanto rientranti nella giurisdizione esclusiva del g.a. ai sensi dell’articolo 133, c. 1, lett. o), CPA (Sul punto Cass. civ., Sez. Un., ord. 13 dicembre 2017, n. 29922).

È stata invece esclusa la giurisdizione del g.a. in materia di pagamento di corrispettivi nei rapporti tra ASL e strutture sanitarie private. Sul punto è stato precisato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte che “sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie, concernenti «indennità, canoni o altri corrispettivi», nelle quali sia contestata l’applicazione della cosiddetta «regressione tariffaria» nei rapporti, qualificabili come concessione di pubblico servizio, tra le ausl e le case di cura o le strutture minori, quali laboratori o gabinetti specialistici, laddove la controversia abbia ad oggetto soltanto l’effettiva debenza dei corrispettivi in favore del concessionario, senza coinvolgere la verifica dell’azione autoritativa della p.a., posto che, nell’attuale sistema sanitario, il pagamento delle prestazioni rese dai soggetti privati accreditati viene effettuata nell’ambito di appositi accordi contrattuali, ben potendo il giudice ordinario direttamente accertare e sindacare le singole voci costitutive del credito fatto valere dal privato” (Cass. civ., sez. un., 20 giugno 2012, n. 10149);

Ed ancora spetterà “al giudice ordinario la cognizione delle controversie relative al pagamento di crediti per prestazioni sanitarie erogate dalle strutture accreditate, anche nei casi in cui sia necessario accertare la legittimità di provvedimenti amministrativi (nella specie sui tetti di spesa e le conseguenti regressioni tariffarie), la cui efficacia sia stata eccepita in via di eccezione dalla amministrazione resistente quale fatto impeditivo o modificativo della pretesa creditoria” (Corte Cass., Sez. Un., sent. 2 novembre 2018, n. 28053).

 

3. La competenza

Il codice di procedura civile individua quale giudice competente per l’ingiunzione il giudice di pace o il tribunale, in composizione monocratica, che sarebbe competente per la domanda proposta in via ordinaria.

Prima dell’introduzione del codice del processo amministrativo la dottrina si interrogò sulla possibilità di applicare o meno - ai fini dell’individuazione del giudice competente ad emanare il decreto ingiuntivo - gli articoli 2 e 3 della legge TAR.

L’applicabilità di tali norme lasciava aperta, infatti, la problematica di individuare la competenza ogni qual volta non vi fossero atti amministrativi su cui ancorare la competenza.

Alla luce di tale problematica la dottrina ha ritenuto preferibile l’applicazione dei criteri di cui agli articoli 19 e 20 c.p.c. vale a dire del luogo in cui è sorta o avrebbe dovuto eseguirsi l’obbligazione e del luogo in cui ha sede la persona giuridica convenuta.

Con l’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo sembra doversi escludere definitivamente l’applicabilità delle disposizioni processualcivilistiche a favore della competenza territoriale inderogabile individuata dagli articoli 13 e ss. CPA

Con specifico riferimento al pubblico impiego, l’articolo 13, c. 2, CPA prevede espressamente, inoltre, che “per le controversie riguardanti pubblici dipendenti è inderogabilmente competente il tribunale nella cui circoscrizione territoriale è situata la sede di servizio”.

Deve evidenziarsi, inoltre, che in tema di controversie relative al recupero di tariffe incentivanti corrisposte in ragione della produzione di energia da fonte rinnovabile la giurisprudenza ha precisato che “il riconoscimento o non dell’incentivazione e dell’integrazione della stessa, pur riguardando l’energia prodotta in un determinato stabilimento, non ha effetti localizzabili nell’ambito regionale in cui è ubicato lo stabilimento stesso, incidendo sull’intero sistema nazionale energetico, con riferimento sia alla energia prodotta che ai relativi incentivi […] con conseguente riconoscimento della competenza territoriale al Tar del Lazio con sede in Roma per le definizione di eventuali controversie nella materia de qua” (ex multis, Tar Lazio, sez. III Ter, 25 febbraio 2020, n. 2460; Cons. Stato, sez. IV, ord. 21 luglio 2016, n. 3309).

Per ciò che riguarda, invece, la possibilità di sollevare l’incompetenza del giudice amministrativo emanante l’ingiunzione, questa prima dell’introduzione del codice non poteva essere rilevata ex officio ma solo eccepita dalla parte in sede di opposizione con istanza di regolamento di competenza innanzi al Consiglio di Stato. Il giudizio di opposizione non poteva essere concluso, pertanto, fintanto che i giudici di palazzo spada non si fossero pronunciati sulla competenza.

L’introduzione del Codice del processo amministrativo ha ovviato a tale problematica. Dalla lettura del combinato disposto tra gli articoli 13 e 15 CPA si evince, infatti, la rilevabilità d’ufficio del difetto di competenza.

 

4. La fase monitoria: i presupposti

Come è noto il procedimento d’ingiunzione è scandito da un iter procedimentale costituito da due fasi: una necessaria (detta fase monitoria) ed una eventuale (c.d. fase di ingiunzione piena).

La fase monitoria si svolge in assenza di contraddittorio ed è introdotta attraverso il deposito del ricorso e dei relativi documenti presso la segreteria del giudice competente.

Ai sensi dell’articolo 633, c. 1, c.p.c., affinché possa esser esperito il ricorso per decreto ingiuntivo è necessario che l’attore vanti il credito di una somma di denaro liquida ed esigibile o di una determinata quantità di cose fungibili o ancora il diritto alla consegna di una cosa mobile determinata.

Ai fini della ammissibilità della domanda di ingiunzione l’attore dovrà dimostrare, inoltre, il proprio diritto di credito mediante il rilascio di apposita prova scritta.

Il concetto di prova scritta, durante la fase monitoria, deve essere inteso in senso più ampio rispetto all’ordinario giudizio di cognizione.

La giurisprudenza ha affermato, infatti, che ai fini dell’emanazione del decreto ingiuntivo, per prova scritta, deve intendersi “qualsiasi documento che, sebbene privo di efficacia probatoria assoluta, risulti attendibile in ordine all’esistenza del diritto di credito azionato” (ex multis Corte Cass., sez. VI, ord. 29 gennaio 2019, n. 2490).

 Tra questi la giurisprudenza è solita ricomprendere anche la fattura commerciale posto che, nell’eventuale giudizio di opposizione, la stessa non costituirà prova dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova dall’opposto (cfr. Corte Cass., sez. VI, ord. 29 gennaio 2019, n. 2490; Corte Cass., sez. VI, 11 marzo 2011, n. 5915).

Il successivo articolo 634 c.p.c. prevede, inoltre, che nell’ambito del procedimento ingiuntivo devono considerarsi come idonee prove scritte anche “le polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal Codice civile.

Il secondo comma dell’articolo 634 c.p.c. prevede, altresì, che per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, sono considerate prove scritte idonee anche “gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l’osserva”.

 

5. Il decreto ingiuntivo

Se non sussistono motivi per respingere il ricorso, il giudice emette il decreto con il quale ingiunge all’altra parte di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose richieste nel termine di quaranta giorni, con l’espresso avvertimento che nello stesso termine può essere fatta opposizione e che, in mancanza di questa, si procederà ad esecuzione forzata (articolo 641 c.p.c.).

L’articolo 641, c. 2, c.p.c. prevede, inoltre, che nel caso in cui concorrano giusti motivi, il termine di quaranta giorni possa essere “ridotto fino a dieci giorni oppure aumentato a sessanta . Se l’intimato risiede in uno degli altri Stati dell’Unione europea, il termine è di cinquanta giorni e può essere ridotto fino a venti giorni. Se l’intimato risiede in altri Stati, il termine è di sessanta giorni e, comunque, non può essere inferiore a trenta né superiore a centoventi”.

Ad ogni buon conto, il giudice può concedere, a norma dell’articolo 642 c.p.c., la provvisoria esecuzione del decreto nel caso in cui il credito sia fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato.

L’esecuzione provvisoria può essere concessa, inoltre, anche se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, ovvero se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere (642, c. 2, c.p.c.).

 

6. La notificazione del decreto

Il decreto deve essere notificato, per copia autentica, unitamente al ricorso a norma degli articolo 137 e ss. c.p.c. (articolo 643, c. 2, c.p.c.).

Il decreto diviene inefficace qualora non sia notificato nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia, se deve avvenire nel territorio della Repubblica e di novanta giorni negli altri casi, ma la domanda può essere riproposta (articolo 644 c.p.c.).

Sul punto è stato evidenziato dalla giurisprudenza che “l’inefficacia del decreto ingiuntivo è riconducibile alla sola ipotesi in cui manchi (o sia giuridicamente inesistente) la notifica nel termine stabilito dalla norma predetta, e non anche nel caso di nullità od irregolarità della notifica eseguita nel predetto termine, potendo in tale ipotesi il debitore far valere le proprie ragioni a mezzo dell’opposizione tardiva prevista dal successivo articolo 650 c.p.c.: la notificazione del decreto ingiuntivo comunque effettuata, di fatti, anche se nulla, è pur sempre indice della volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso, ed esclude, conseguentemente, ogni presunzione di abbandono del titolo, ciò che costituisce il fondamento della previsione d’inefficacia di cui all’articolo 644 c.p.c." (così Cassazione civile sez. III, 28 agosto 2009 n. 18791; cfr. anche sez. I, 31 ottobre 2007 n. 22959). La notifica del decreto ingiuntivo e non anche del ricorso è dunque sufficiente per esprimere la volontà del creditore di avvalersi del decreto stesso e dunque impedisce il verificarsi dell’inefficacia ex articolo 644 c.p.c.” (Tar Toscana, sez. II, ord. 17 luglio 2018, n. 1044).

 

7. Il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo

Il decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo per mancata opposizione nei termini di legge, è equiparabile al giudicato con conseguente ammissibilità del giudizio di ottemperanza (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 marzo 2015, n. 1609).

La giurisprudenza ha affermato, infatti, che è ammissibile il ricorso per l’ottemperanza di un decreto ingiuntivo, divenuto esecutivo per la mancata opposizione nei termini previsti normativamente in quanto lo stesso è equiparabile ai provvedimenti di cui all’articolo 112 del Decreto Legislativo n. 104/2010 (cfr. Tar Calabria, Reggio Calabria, 18 febbraio 2020, n. 115).

L’ottemperanza del decreto ingiuntivo non sarà ammissibile, invece, quando questo sia stato dichiarato solo provvisoriamente esecutivo al momento della sua emissione, ex articolo 642 c.p.c. 

Per quanto riguarda l’impugnazione del decreto ingiuntivo non opposto, questo una volta divenuto esecutivo, sarà impugnabile solo con la revocazione o con l’opposizione di terzo nei limitati casi di cui all’articolo 656 c.p.c. (cfr. Tar Basilicata, sez. I, 8 febbraio 2020, n. 128).

 

8. L’opposizione

L’opposizione avverso il decreto ingiuntivo introduce un ordinario giudizio di cognizione diretto ad accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto (che assume la posizione sostanziale di attore) e delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente (che assume la posizione sostanziale di convenuto) (cfr. Tar Piemonte, sez. I, 28 aprile 2016, n. 572).

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, infatti, solo da un punto di vista formale “l’opponente assume la posizione di attore e l’opposto quella di convenuto, perché è il creditore ad avere veste sostanziale di attore ed a soggiacere ai conseguenti oneri probatori. La posizione sostanziale delle parti riverbera invero sul piano del regime probatorio e delle facoltà processuali (v., da ultimo, Cass., 29 marzo 2004, n. 6202; Cass., 27 gennaio 2003, n. 1185). Mentre l’opposto, in relazione alla sua qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l’ingiunzione, da considerarsi nuove e inammissibili se l’opponente rifiuti il contraddittorio su di esse, l’opponente è il convenuto, cui compete di addurre e dimostrare eventuali fatti estintivi, impeditivi o modificativi del credito, sicché le difese con le quali miri ad evidenziare l’inesistenza, l’invalidità o comunque la non azionabilità del credito vantato ex adverso non integrano una domanda ma configurano altrettante eccezioni (v. Cass., 22/4/2003, n. 6421)” (Tar Piemonte, sez. I, 28 aprile 2016, n. 572).

Differentemente dalle forme previste dalla disciplina processualcivilistica, l’opposizione al decreto ingiuntivo dinanzi al giudice amministrativo non si propone con atto di citazione ma con ricorso per espressa previsione della norma in commento.

Di qui, l’applicabilità della disciplina del processo amministrativo, che prescrive, oltre alla notifica del ricorso all’Amministrazione resistente e ad almeno uno dei soggetti controinteressati, anche il successivo deposito del ricorso stesso.

Sul punto è stato affermato dai Giudici di Palazzo Spada che in relazione alla particolare natura del termine previsto per la proposizione del ricorso a decreto ingiuntivo e tenuto conto degli specifici effetti che comunque sono ricollegati alla notificazione del ricorso giurisdizionale amministrativo, è “da ritenere che soltanto la notificazione del ricorso debba avere luogo nel termine di quaranta giorni, mentre il successivo deposito va effettuato nell’osservanza degli ordinari termini processuali”. Invero, il mancato rispetto del termine per la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo determina “la definitiva esecutività del decreto, ossia una situazione processuale assimilabile alla formazione della cosa giudicata”. Si applicheranno, pertanto, in via analogica i principi generali del processo amministrativo concernenti “i termini processuali per la contestazione delle decisioni suscettibili di passare in giudicato, ed in particolare il principio per cui l’impugnazione è tempestiva qualora la notificazione del ricorso avvenga entro il relativo termine decadenziale, mentre il deposito dell’atto notificato può avere luogo anche in un momento successivo (purché nel rispetto dello specifico termine previsto per l’adempimento di tale incombente)”. Tale principio, ad avviso del Consiglio di Stato, deve ritenersi applicabile “anche al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, attesane l’identità di ratio rispetto alle sopraindicate previsioni e nonostante detto procedimento debba considerarsi un ordinario giudizio di cognizione, anziché un mezzo d’impugnazione. D’altra parte, anche in sede civile, dal combinato disposto degli articoli 641 e 645 c.p.c. – che si applicavano in via analogica anche davanti al giudice amministrativo prima della entrata in vigore del CPA nel 2010 – emerge senza possibilità di equivoco che “il termine per l’opposizione a decreto ingiuntivo riferisce alla notifica e non al successivo deposito dell’atto” (ex multis Cons. St., sez. III, 19 novembre 2012, n. 5866).

Una volta che il decreto è stato dichiarato esecutivo, l’opposizione non può esser più proposta né proseguita, salvo il disposto dell’articolo 650 c.p.c. che ammette la possibilità dell’opposizione tardiva, ove l’intimato dimostri di non avere avuto tempestiva conoscenza del decreto per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.

Tale norma, a carattere eccezionale, trova fondamento nella necessità di evitare che un provvedimento, emesso inaudita altera parte, e non conosciuto dal debitore per causa allo stesso non imputabile, possa arrecare a quest’ultimo conseguenze irreparabili (cfr. Cons. St., sez. III, 18 aprile 2020, n. 2482).

L’articolo 650, c. 3, c.p.c. prevede, infine che l’opposizione deve essere proposta, in ogni caso, nel termine di “dieci giorni dal primo atto di esecuzione”. 

Tale formulazione ha carattere perentorio e si basa sulla presunzione che il primo atto di esecuzione sia utile e sufficiente, secondo l’id quod plerumque accidit, a far conoscere al debitore l’esistenza del decreto ingiuntivo e l’incombente pregiudizio ad esso legato (cfr. Cons. St., sez. III, 18 aprile 2020, n. 2482).

Nel caso in cui l’opposizione venga rigettata, la sentenza una volta passata in giudicato (o con efficacia provvisoriamente esecutiva ovvero l’ordinanza con cui è stata dichiarata l’estinzione del giudizio) fa acquisire direttamente al decreto ingiuntivo efficacia esecutiva (articolo 653, c. 1, c.p.c.).

A norma dell’articolo 653, c. 2, c.p.c., inoltre, con la sentenza che “rigetta totalmente o in parte l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso sulla base dei titoli aventi efficacia esecutiva in base alle vigenti disposizioni, il giudice liquida anche le spese e gli onorari del decreto ingiuntivo”.

Qualora l’esecutorietà non sia disposta né con sentenza né con ordinanza con la quale è stata dichiarata l’estinzione del giudizio, questa sarà conferita con decreto, apposto in calce all’originale del decreto di ingiunzione, dal giudice che ha pronunciato l’ingiunzione (articolo 654, c. 1, c.p.c.).

Ai fini dell’esecuzione non sarà, infine, necessaria una nuova notificazione ma nel precetto dovrà farsi menzione del provvedimento con cui il giudice ha disposto l’esecutorietà e dell’apposizione della formula (articolo 654, c. 2, c.p.c.).

 

Il punto di vista degli Autori

Il procedimento d’ingiunzione ha oggi, nel processo amministrativo, un’applicazione limitata. 

L’istituto in commento era stato introdotto, infatti, soprattutto in ragione della tutela che poteva offrire nell’ambito di controversie di natura patrimoniale in materia di pubblici servizi.

Come illustrato, tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 204/2004, ha sostanzialmente ridisegnato la previsione di cui all’articolo 33 del Decreto Legislativo 80/1998, delimitando fortemente l’ambito di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel settore dei pubblici servizi.

Di qui, la drastica riduzione di tale istituto che potrebbe indurre oggi ad un ripensamento in ordine al mantenimento dello stesso nel tessuto della giustizia amministrativa che, come noto, conosce una adattabile tutela cautelare – per quanto diversa nei presupposti dalla tutela monitoria – ed una autonoma azione di condanna.