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Art. 390 - Richiesta di convalida dell’arresto o del fermo

1. Entro quarantotto ore dall’arresto o dal fermo il pubblico ministero, qualora non debba ordinare la immediata liberazione dell’arrestato o del fermato, richiede la convalida al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito.

2. Il giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive dandone avviso, senza ritardo, al pubblico ministero e al difensore.

3. L’arresto o il fermo diviene inefficace se il pubblico ministero non osserva le prescrizioni del comma 1.

3-bis. Se non ritiene di comparire, il pubblico ministero trasmette al giudice, per l’udienza di convalida, le richieste in ordine alla libertà personale con gli elementi su cui le stesse si fondano.

Rassegna giurisprudenziale

Richiesta di convalida dell’arresto o del fermo (art. 390)

Funzione primaria e indefettibile del procedimento incidentale di convalida dell’arresto è quella di verificare la legalità dell’operato della polizia giudiziaria che ha effettuato l’arresto dell’indagato, anche quando la misura precautelare sia venuta meno.

Funzione che, alla luce della sentenza 109/1999 della Corte Costituzionale (sulla estensione applicativa dell’art. 314), incide anche sul diritto dell’arrestato ad un’equa riparazione per il tempo durante il quale è rimasto detenuto, nel caso in cui sia accertata l’insussistenza (per ragioni attinenti all’accusa di reato mossagli) delle condizioni per la convalida del suo arresto (Sez. 6, 38791/2014).

Il giudizio di convalida del fermo o dell’arresto deve essere eseguito anche nel caso in cui il PM abbia rimesso in libertà il fermato o l’arrestato per una qualsiasi ragione, non essendo egli esonerato dall’obbligo di sottoporre al controllo giurisdizionale l’operato della PG (Sez. 6, 42685/2018).

Anche nei casi in cui il PM non richieda misure coercitive, l’udienza di convalida non costituisce un’inutile formalità in quanto, pur non essendo imposta dall’art. 13 comma 3 Cost. (avendo il soggetto già riacquistato la libertà), la sua previsione risponde all’interesse del cittadino per l’accertamento giudiziale della legittimità del provvedimento restrittivo adottato nei suoi confronti dall’autorità di pubblica sicurezza, anche quando la liberazione sia stata determinata da vizi procedura (Sez. 6, 42685/2018).

Il difensore del fermato ha diritto, nel procedimento di convalida, di esaminare ed estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta di convalida e di applicazione della misura cautelare. Il denegato accesso agli atti da parte del PM determina una nullità di ordine generale a regime intermedio dell’interrogatorio e del provvedimento di convalida; la nullità deve ritenersi sanata se non eccepita nel corso dell’udienza di convalida.

Il difensore ha diritto di prendere conoscenza degli atti che costituiscono la base tanto del giudizio di convalida che della decisione sulla eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti dell’arrestato o del fermato ma solo in funzione dell’esercizio di difesa nell’ambito del giudizio di convalida operato dal GIP.

Il diritto di difesa, infatti, deve essere inteso come potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti, così da far assumere a tale diritto un’importanza essenziale nel dinamismo della funzione giurisdizionale.

La possibilità di conoscere direttamente, da parte del difensore, l’integralità degli elementi e degli atti che formano oggetto della richiesta di convalida e di applicazione della misura rappresenta la base ineludibile sulla quale poter configurare un contraddittorio effettivo e, con esso, un effettivo soddisfacimento della funzione difensiva che l’interrogatorio in sede di convalida è destinato a realizzare.

Per altro verso, però, essendo l’accesso agli atti previsto come disposizione di carattere generale in favore di chiunque vi abbia interesse (art. 116), e poiché gli atti di indagine sono coperti dal segreto, a norma dell’art. 329, fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, il diritto del difensore di prendere visione ed estrarre copia degli atti relativi alla udienza di convalida è precluso prima dell’esercizio del potere del PM di chiedere la convalida (SU, 36212/2010).

In sede di convalida dell’arresto, il giudice, oltre a verificare l’osservanza dei termini previsti dall’art. 386 comma 3 e 390 comma 1, deve controllare la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, ossia valutare la legittimità dell’operato della PG sulla base di un controllo di ragionevolezza, in relazione allo stato di flagranza ed all’ipotizzabilità di uno dei reati richiamati dagli artt. 380 e 381, in una chiave di lettura che non deve riguardare la gravità indiziaria e le esigenze cautelari (valutazione questa riservata all’applicabilità delle misure cautelari coercitive), né l’apprezzamento sulla responsabilità (riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito).

In particolare, la verifica che il giudice deve compiere attiene alla configurabilità in astratto del reato per cui si è proceduto all’arresto e la sua attribuibilità alla persona arrestata, quali condizioni legittimanti la privazione della libertà personale (Sez. 3, 8422/2018).

Se si tratta di arresto facoltativo, il giudice della convalida deve operare un controllo di mera ragionevolezza, ponendosi nella stessa situazione di chi ha operato l’arresto, per verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere all’arresto rimanga nei limiti della discrezionalità della PG e trovi quindi ragionevole motivo nella gravità del fatto ovvero nella pericolosità del soggetto, senza estendere il predetto controllo alla verifica dei presupposti per l’affermazione di responsabilità (Sez. 5, 1814/2016).

Non possono rilevare nell’ambito del giudizio da esprimersi all’atto della convalida dell’arresto, elementi non acquisiti, né acquisibili al momento del fatto, secondo una impostazione tipica che appartiene alla fase di merito o a quella cautelare (Sez, 4, 9184/2018).

In tema di convalida dell’arresto o del fermo l’art. 391, comma 7, nella parte in cui prevede che l’arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l’ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle quarantotto ore successive al momento in cui l’arrestato o il fermato è stato posto a disposizione del giudice, va interpretato nel senso che, quando l’ordinanza venga pronunciata senza soluzione di continuità all’esito dell’udienza camerale, il termine deve ritenersi rispettato anche se, per il protrarsi dell’interrogatorio, dovuto alla complessità del medesimo, all’atto della pronuncia siano passate oltre 48 ore dalla messa dell’arrestato o fermato a disposizione del giudice, atteso che una tale situazione non viola (avuto riguardo al principio per cui ad impossibilia nemo tenetur) la sostanza dell’art. 13, comma 2 Cost., ove si stabilisce il doppio limite delle novantasei ore (quarantotto più quarantotto) entro il quale l’autorità di pubblica sicurezza deve comunicare all’AG l’avvenuto arresto o fermo di una persona ed il giudice deve convalidarlo (Sez. 1, 35706/2001).

Quando l’ordinanza non venga pronunciata all’esito dell’udienza, ma venga depositata successivamente, tale deposito deve necessariamente essere effettuato entro le 48 ore decorrenti dal momento in cui l’arrestato o fermato è stato posto a disposizione del giudice, giacché l’intervenuta soluzione di continuità tra udienza di convalida e deposito del provvedimento, non presentando carattere di necessità ed essendo, quindi, evitabile, non giustificherebbe l’inosservanza del predetto termine perentorio (Sez. 6, 46063/2008).

Il giudice investito della convalida deve procedere, entro quarantotto ore, alla convalida della misura pre-cautelare e, contestualmente, all’adozione della misura cautelare richiesta dal PM, essendo tenuto, in mancanza di tale decisione, a disporre l’immediata scarcerazione del prevenuto. Il giudice investito della richiesta di applicazione della misura cautelare, pur quando sia previsto indirettamente un termine da una specifica disposizione di legge, la cui inosservanza imponga, come nel caso dell’art. 391, l’immediata liberazione dell’interessato, conserva comunque, anche dopo la scadenza del detto termine, il potere di provvedere sull’originaria richiesta del PM, non essendo, in ogni caso, previste sanzioni concernenti specificamente l’atto eventualmente assunto oltre il suddetto termine (Sez. 1, 10465/2017).

Il provvedimento con cui il giudice respinge la richiesta di convalida di arresto in flagranza per spaccio di sostanza stupefacente ravvisando l’ipotesi del fatto lieve di cui al quinto comma del predetto articolo non travalica le attribuzioni del giudice della convalida in quanto si basa su quanto già conoscibile dalla PG procedente e che doveva costituire oggetto di immediato apprezzamento concernendo i presupposti legittimanti la misura limitativa della libertà personale (Sez. 6, 413/1999).

Sussiste l’interesse del PM alla impugnazione della ordinanza di mancata convalida, sia al fine di far emergere l’illegittimità della situazione derivante dall’ordinanza che incide sullo stato di libertà personale dell’indagato, sia al fine di evitare che  in sede di fungibilità della detenzione (art. 657)  l’indagato possa costituirsi, per eventuali reati in precedenza commessi, un’impropria “riserva” di pena derivante dalla privazione della libertà personale senza titolo.

Va peraltro valorizzato altresì l’interesse pubblico all’eliminazione dei presupposti per l’esperibilità di eventuale domanda di riparazione per ingiusta detenzione. Sotto diverso profilo l’interesse del PM a ricorrere risiede altresì nella esigenza di vedere comunque riconosciute correttezza e legittimità dell’operato della PG che ha proceduto all’arresto non convalidato anche in relazione alla facoltà, proprio dell’ufficio della Procura in sede di verifica dei presupposti legittimanti la misura coercitiva, di procedere alla immediata liberazione dell’arrestato ai sensi dell’art. 389 comma 1 (Sez. 4, 109/2016).