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Art. 738 - Esecuzione conseguente al riconoscimento

1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell’esecuzione della sentenza straniera, le pene e la confisca conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. La pena espiata nello Stato di condanna è computata ai fini dell’esecuzione.

2. All’esecuzione provvede di ufficio il procuratore generale presso la corte di appello che ha deliberato il riconoscimento. Tale corte è equiparata, a ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario.

Rassegna giurisprudenziale

Esecuzione conseguente al riconoscimento (art. 738)

Il beneficio della liberazione anticipata può essere applicato anche con riferimento al periodo di detenzione espiato in uno Stato estero dell’UE quando l’espiazione venga poi completata nello Stato italiano (Sez. 1, 21373/2013).

L’art. 54 Ord. pen. non distingue se la detenzione da considerare sia quella inflitta da un giudice italiano ovvero da un giudice straniero e non formula eccezioni di principio per l’ipotesi in cui la stessa sia stata in parte espiata in struttura carceraria estera; opera il principio della fungibilità delle detenzioni espiate in Stati diversi, fissato normativamente dall’art. 738, principio che trova particolare e significativa espressione nel processo di integrazione giuridica tra Stati della Unione europea; specialmente rileva la previsione dell’art. 16, comma 1,D. Lgs. 161/2010, che, nel dare esecuzione nel diritto interno alla decisione quadro 2008/909/GAI, volta all’armonizzazione dei sistemi esecutivi e a una loro sostanziale fungibilità, ha stabilito che “la pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini della esecuzione”; vanno considerati altresì i principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo nella parte in cui, all’art. 10, comma 2, in riferimento alla continuazione della esecuzione, dispone che “se la sua legge lo esigelo Stato di esecuzione “può, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato”; operano altresì i principi costituzionali in forza dei quali deve darsi pratica concretizzazione degli istituti normativi nazionali ai fini della risocializzazione del detenuto e deve garantirsi la parità di trattamento del detenuto quanto alla valutazione della pena, a prescindere dal luogo della espiazione della stessa o delle sue parti, anche in rapporto ad altri detenuti che non hanno espiato all’estero parte della pena.

Lo stesso orientamento è stato espresso con riferimento a fattispecie riguardante un cittadino straniero, condannato in Italia, arrestato all’estero in esecuzione di mandato di arresto internazionale e lì rimasto detenuto, in attesa dell’estradizione, per un periodo valutato poi come presofferto rispetto alla pena in espiazione in Italia (Sez. 1, 7917/2013).

Non è superfluo considerare altresì che nel caso oggetto del presente vaglio, non si verte in tema di pena, divenuta esecutiva, espiata parzialmente all’estero, bensì di detenzione patita all’estero nel corso dell’esecuzione del procedimento di estradizione nell’attesa della consegna del detenuto dallo Stato canadese allo Stato italiano, fermo restando che il periodo di detenzione all’estero afferisce ad un titolo compreso nel provvedimento di determinazione delle pene concorrenti ora in esecuzione.

E non può obliterarsi che il periodo di detenzione sofferta all’estero, sotto molteplici aspetti, va ricompreso nella species della custodia cautelare.

Posto ciò e considerati gli argomenti che, in modo del tutto persuasivo, fondano tale indirizzo, occorre riflettere come diversi di questi argomenti rimandano a norme suscettibili di orientare l’interprete anche al di fuori dell’ambito dell’Unione europea.

Diviene allora, caso per caso, necessaria, nella cornice tracciata, anche la verifica della disciplina convenzionale operante, se operante, nei rapporti fra lo Stato di esecuzione della detenzione oggetto di verifica e lo Stato italiano e rileva altresì la disciplina regolatrice del trattamento dei detenuti propria di quello Stato, onde stabilire, nel quadro di tutti gli elementi in concreto acquisibili, se dalla relativa applicazione possano desumersi, o meno, elementi rilevanti ai fini dell’applicazione  che non può escludersi in via di principio  dell’art. 54 Ord. pen. ed anche per accertare se, per converso, il soggetto che poi abbia richiesto la liberazione anticipata abbia già goduto, nel periodo di detenzione all’estero, di benefici incompatibili con l’applicazione della suddetta misura premiale propria del diritto interno. In questa prospettiva, gli elementi di controindicazione che hanno, in modo aprioristico, nutrito il discorso giustificativo alla base dell’ordinanza impugnata non concretano insormontabili ostacoli di principio, bensì costituiscono l’oggetto, per un verso, della verifica di compatibilità normativa fra l’istituto del diritto interno e la disciplina della detenzione sofferta dall’interessato nello Stato estero e, per altro verso, della specifica acquisizione da parte dei giudici di sorveglianza  realizzabile anche attraverso l’attivazione dei poteri istruttori ufficiosi già ricordati  degli elementi di conoscenza necessari in relazione ai parametri valutativi che rilevano per l’applicazione, in un senso o nell’altro, della disciplina regolatrice dell’istituto di cui all’art. 54 Ord. pen., mediante la valorizzazione di ogni elemento utile.

Tale necessaria analisi è mancata nel provvedimento impugnato e, prima ancora, nell’acquisizione dei dati cognitivi necessari per l’informata deliberazione sui punti influenti ai sensi dell’art. 54 cit., norma della quale, quindi, non è stata fatta retta applicazione, in rapporto all’ulteriore disciplina richiamata. Così, sotto il profilo normativo, non irrilevante era ed è considerare che il contenuto della Convenzione di Strasburgo del 1983 sul trasferimento delle persone condannate ha vigenza internazionale dal 10 luglio 1985, anno in cui è stata ratificata dal Canada.

Del pari era ed è da considerare, onde trarne ogni elemento utile per la valutabilità della detenzione in quello Stato ai fini di cui all’art. 54 Ord. pen., che è stato stipulato in Roma il 13 gennaio 2005 il nuovo Trattato bilaterale di estradizione tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo del Canada, entrato in vigore 17 novembre 2010 (contenente, fra l’altro, la disciplina dell’arresto provvisorio) (Sez. 1, 19447/2018).

Il regime del reato continuato non può essere considerato un “effetto penale” della condanna, in quanto presuppone un giudizio di merito (per cui non risulta pertinente neppure il richiamo difensivo all’art. 738) (Sez. 1, 3439/2018).

L’art. 738 è espressione del principio di base per cui l’esecuzione della sentenza straniera deve svolgersi secondo la legge italiana, ma non consente all’AG italiana di intervenire, mutandolo, sul complessivo trattamento sanzionatorio inflitto dall’Autorità straniera, salvi i limiti di compatibilità (Sez. 1, 12297/2014).

In virtù dell’art. 738, nei casi di riconoscimento ai fini dell’esecuzione della sentenza straniera, le pene sono eseguite secondo la legge italiana e la pena espiata nello Stato di condanna è computata ai fini dell’esecuzione. In applicazione del suddetto principio, l’indulto si applica anche alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena con la procedura stabilita dalla Convenzione di Strasburgo del 21.3.1983 sul trasferimento delle persone condannate (SU, 36527/2008).

L’art.738 prevede l’esecuzione di sentenze penali straniere conseguente al riconoscimento, stabilendo che le pene e la confisca conseguenti al riconoscimento sono eseguite secondo la legge italiana. La pena espiata nello Stato di condanna è computata ai fini dell’esecuzione.

All’esecuzione provvede di ufficio il procuratore generale presso la corte d’appello che ha deliberato il riconoscimento. Tale corte è equiparata, ad ogni effetto, al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario. Quindi, anche in ordine a sentenze penali straniere, se riconosciute in Italia, possono sorgere problemi concernenti l’esecuzione delle pene, come nel caso di specie con riguardo all’applicazione del condono.

Deve quindi, in base ai principi generali del nostro ordinamento, essere rispettato anche in caso di sentenza penale straniera, se riconosciuta in Italia, il principio dell’unitarietà dell’esecuzione, e, nell’evenienza in cui il soggetto sia raggiunto da più condanne di giudici diversi, il giudice competente a provvedere sulle questioni concernenti l’esecuzione è sempre quello che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, restando irrilevante l’assenza di un provvedimento di cumulo pene del pubblico ministero.

Nel caso in cui si debba porre in esecuzione in Italia una sentenza emessa da un giudice straniero, questa sentenza diviene esecutiva in Italia con la sentenza di riconoscimento emessa dalla corte d’appello, la quale, per il disposto dell’art. 738, è equiparata ad ogni effetto al giudice che ha pronunciato sentenza di condanna in un procedimento penale ordinario (Sez. 1, 45175/2014).