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Art. 531 - Dichiarazione di estinzione del reato

1. Salvo quanto disposto dall’articolo 129 comma 2, il giudice, se il reato è estinto, pronuncia sentenza di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo.

2. Il giudice provvede nello stesso modo quando vi è dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato.

Rassegna giurisprudenziale

Dichiarazione di estinzione del reato (art. 531)

Su una causa di estinzione può prevalere una più ampia formula di proscioglimento solo alla condizione che le circostanze che la giustificano emergano con evidenza, cioè in modo incontestabile, così che la valutazione appartenga al concetto di constatazione, immediata, «ictu oculi», piuttosto che a quello di apprezzamento, tale da necessitare di approfondimenti; inoltre deve escludersi l’ammissibilità della deduzione di un vizio di motivazione, che non potrebbe dare luogo a rinvio, stante la necessità di dare prevalenza all’immediata declaratoria della causa di estinzione, anche a fronte di una causa di nullità di ordine generale (SU, 35490/2009).

Questa soluzione è imposta dalla convergente analisi dell’art. 129, comma 2 e dell’art. 531, comma 1, dai quali si desume sia il limite alla prevalenza della causa estintiva sia, d’altro canto, l’operatività del criterio in ogni stato e grado del processo, pur nell’ambito di una sede processuale funzionale all’esercizio della giurisdizione.

Convergono nella medesima direzione sia le ragioni di economia processuale sia la salvaguardia del diritto di difesa, alla luce di quanto rilevato dalla Consulta (Corte costituzionale, sentenza 275/1990) in ordine alla riconducibilità al diritto di difesa della stessa facoltà di rinunciare alla prescrizione.

Non vi è peraltro ragione di introdurre alcuna distinzione tra le fasi processuali, a seconda che sia o meno intervenuta la sentenza di primo grado, dovendosi aver riguardo allo stringente significato dell’art. 129, letto alla luce dell’art. 531. Inoltre non sussistono ostacoli di ordine sistematico con riguardo al tema della rinuncia alla prescrizione.

È vero in effetti che la rinuncia può validamente intervenire solo dopo che è maturato il relativo termine (Sez. 4, 48272/2017) e che la prescrizione, una volta dichiarata, non può formare oggetto di rinuncia, valutabile nei gradi successivi (Sez. 5, 40499/2017): senonché, deve rilevarsi (Sez. 6, 5333/1993) che l’operatività della rinuncia va verificata con riferimento all’azione penale esercitata per il reato che – nelle sue componenti essenziali ed accessorie – abbia ricevuto la qualifica definitiva; non, quindi  ove intervengano statuizioni innovative dell’accusa genetica, rilevanti ai fini del tempo necessario al maturarsi della prescrizione  con riguardo al fatto storico che ha determinato la formulazione dell’imputazione, derivandone che il compimento del termine di prescrizione di un reato in data anteriore alla emissione del decreto di citazione a giudizio non può mai considerarsi un fatto sopravvenuto alla condanna, trattandosi di un evento ad essa anteriore che la decisione di merito si limita a verificare utilizzando gli strumenti più articolati e complessi propri della fase del giudizio, il cui epilogo si sostanzia, per il profilo riguardante la valutazione retrospettiva delle vicende cronologiche, in un atto di accertamento costitutivo.

Su tali basi risulta del tutto irrilevante, ai fini della validità della rinuncia, che penda la valutazione sulla definitiva qualificazione del fatto, posto che tale valutazione è destinata, come sottolineato, a verificare la pregressa maturazione del presupposto, alla luce della qualificazione definitiva, cosicché non può dirsi impedita la valida rinuncia alla prescrizione, correlata alla qualificazione accertata o prospettata, ove la stessa risulti definitivamente suffragata (Sez. 6, 20775/2018).

La clausola di salvezza contenuta nell’art. 531 comma 1 (salvo quanto disposto dall’art. 129, comma 2) comporta che, in presenza di una causa estintiva del reato, quale, ad esempio, la prescrizione, il giudice, prima di prosciogliere con la corrispondente formula, deve accertare se sussistano o meno le condizioni per il proscioglimento nel merito in termini di “evidenza”, che prevale solo nel caso in cui tali condizioni siano, per l’appunto, “evidenti” (Sez. 5, 26594/2018).

L’effetto estensivo ex art. 587 della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non opera in favore del coimputato concorrente nello stesso reato non impugnante se detta causa estintiva è maturata dopo la irrevocabilità della sentenza emessa nei confronti del medesimo (SU, 3391/2018).

Con riguardo alla prescrizione, l’onere di provare con precisione la data di commissione del reato non grava sull’imputato ma sull’accusa, con la conseguenza che, in mancanza di prova certa sulla data di consumazione, il termine di decorrenza vada computato secondo il maggior vantaggio per l’imputato e il reato vada ritenuto consumato alla data più risalente (Sez. 2, 35662/2014).

Nessuna efficacia, in positivo o in negativo, può esplicare la sentenza che dichiara l’estinzione del reato per prescrizione in giudizi extra penali o extra giudiziari (Sez. 7, 36228/2018).

Nel caso in cui venga pronunciata sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, a norma dell’art. 531, al giudice non è consentito inserire nel dispositivo alcuna indicazione assertiva della responsabilità penale dell’imputato, essendovi incompatibilità logica fra l’affermazione di responsabilità e la statuizione di non doversi procedere; mentre, qualora alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione si giunga dopo la concessione di circostanze attenuanti, la sentenza di proscioglimento deve contenere in motivazione l’accertamento incidentale della responsabilità penale (Sez. 7, 36228/2018).

La genetica inammissibilità del ricorso per cassazione, impedendo l’instaurarsi di un valido rapporto impugnatorio, preclude la possibilità di rilevare di ufficio l’estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia nel giudizio di appello ovvero ad essa sopravvenuta (SU, 32/2001; SU, 23428/2005).

La regola di giudizio secondo cui il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere anche quando vi è dubbio sull’esistenza di una causa di estinzione del reato presuppone una situazione di effettiva incertezza sul fatto che integra gli estremi della causa stessa, incertezza fondata anche soltanto su semplici indizi privi dei connotati richiesti dall’art. 192, comma 2, non essendo per contro sufficiente la mera, astratta, possibilità che quel fatto sussista (Sez. 3, 2291/2018).

Dal combinato disposto degli artt. 630, lett. c) e 631 emerge che la prova a fondamento della revisione deve essere nuova, sopraggiunta alla condanna definitiva e che gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere, a pena di inammissibilità della domanda, tali da dimostrare, se accertati, che il condannato debba essere prosciolto a norma degli artt. 529, 530 o 531 (Sez. 5, 16798/2018).