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Art. 442 - Decisione

1. Terminata la discussione, il giudice provvede a norma degli articoli 529 e seguenti.

1-bis. Ai fini della deliberazione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo di cui all’articolo 416, comma 2, la documentazione di cui all’articolo 419, comma 3, e le prove assunte nell’udienza.

2. In caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto.

3. La sentenza è notificata all’imputato che non sia comparso.

4. Si applica la disposizione dell’articolo 426 comma 2.

Rassegna giurisprudenziale

Decisione (442)

È nulla, ai sensi dell’art. 178 lett. c), la sentenza che utilizza documenti acquisiti, su richiesta dell’accusa, dopo le conclusioni delle parti, senza disporre la rinnovazione della discussione. Una volta interrotta, la discussione deve riprendere ab initio sia pur eventualmente concentrandosi sulle novità sopravvenute. L’art. 523, comma 1, infatti, stabilisce espressamente che la discussione si svolga “esaurita l’assunzione delle prove”. In caso di interruzione della discussione per la riapertura dell’istruttoria, la discussione non può essere semplicemente ripresa, ma deve essere rinnovata dall’inizio, perché le conclusioni delle parti vengono formulate solo dopo l’esaurimento della prova; con la conseguenza che, ove si presenti uno iato tra l’ordinanza emessa sulle richieste istruttorie e la chiusura del dibattimento, ne conseguirebbe la nullità della fase della discussione del processo in esame per violazione degli artt. 178 e 179, nullità estesa alla sentenza impugnata e che comporta la rinnovazione dell’intero processo. Con riferimento al rito abbreviato, la produzione di nuovi documenti non soggiace al limite temporale di cui all’art. 127, essendo ammissibile fino all’inizio della discussione, ai sensi dell’art. 421, comma 3; la produzione nel corso della discussione di documenti non viola il diritto di difesa quando si tratti di atti a disposizione permanente delle parti (Sez. 5, 14681/2020).

Benché siano utilizzabili nella fase procedimentale, e dunque nell’incidente cautelare e negli eventuali riti a prova contratta (quale il rito abbreviato), le dichiarazioni spontanee che la persona sottoposta alle indagini abbia reso - in assenza di difensore ed in difetto degli avvisi di cui all’art. 64 - alla PG ai sensi dell’art. 350, co. 7, purché emerga con chiarezza che la medesima abbia scelto di renderle liberamente, ossia senza alcuna coercizione o sollecitazione, va precisato che, in tema di giudizio abbreviato, le dichiarazioni spontanee rese alla polizia giudiziaria dalla persona sottoposta alle indagini non sono utilizzabili ove non inserite in un atto sottoscritto dal dichiarante (Sez. 5, 31528/2021).

Si segnala Sez. 6, 9435/2019 la quale ha devoluto alle Sezioni unite il seguente quesito: “se la previsione di cui agli artt. 442, comma 3 e 134 Att., secondo cui all’imputato a qualsiasi titolo non comparso deve essere notificata la sentenza resa all’esito di giudizio abbreviato, è da ritenersi implicitamente abrogata dalla L. 67/2014 che ha modificato l’art. 548, comma 3, eliminando l’obbligo di notifica dell’avviso di deposito della sentenza all’imputato contumace.” “se il termine per proporre impugnazione avverso la sentenza di giudizio abbreviato emessa nei confronti dell’imputato non comparso decorre dalla data della notificazione della sentenza prevista dall’art. 442 comma 3 o da quella in cui sia avvenuta la pubblicazione della sentenza”. Anche successivamente alla riforma della disciplina in absentia di cui alla L. 67/2014, l’estratto della sentenza emessa all’esito del rito abbreviato non deve essere notificato all’imputato non comparso (SU, udienza del 24 ottobre 2018, informazione provvisoria).

In tema di giudizio abbreviato, l’art. 442, comma 2, come novellato dalla L. 103/2017 – nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina – si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, comma 4, CP, in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 3, 391/2019).

L’oggetto del primo motivo induce il Collegio a richiamare il tema della trasposizione dei principi della sentenza Dasgupta (SU, 27620/2016) – la preclusione in appello del ribaltamento di una sentenza di assoluzione senza una rinnovazione, anche di ufficio, dell’istruttoria dibattimentale attraverso l’esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado – al giudizio abbreviato non condizionato, in cui la prova dichiarativa non è stata raccolta in forma orale, immediata e nel contraddittorio delle parti, ma solo valutata ex actis dal giudice di primo grado che ha pronunciato l’assoluzione. In verità, la stessa sentenza Dasgupta adombrava l’automatica estensibilità dei principi di diritto elaborati per il rito ordinario al caso di una assoluzione seguita da condanna in appello nell’ambito del giudizio abbreviato non condizionato. Alla inequivoca presa di posizione delle Sezioni Unite si oppone altro orientamento, sia precedente (Sez. 3, 38786/2015) che successivo (Sez. 3, 43242/2016), il quale invece sostiene che il giudice di appello, qualora il primo grado si sia svolto con rito abbreviato non condizionato, non è tenuto alla rinnovazione dell’istruzione. Rilevata l’esistenza del menzionato contrasto interpretativo, SU, 18620/2017 ha affermato che il generale obbligo di rinnovazione istruttoria, delineato con principale riguardo all’appello seguente a giudizio dibattimentale, deve trovare spazio anche a fronte dell’impugnazione dell’accusa avverso una sentenza assolutoria pronunciata a seguito di un giudizio abbreviato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice ed il cui valore sia stato posto in discussione dal PM appellanteIn tale caso, il giudice di appello deve porre in essere i poteri di integrazione probatoria adottabili anche in questo speciale rito ed è irrilevante che gli apporti dichiarativi siano stati tratti in primo grado solo da atti di indagine o da integrazioni probatorie a norma degli artt. 438, comma 5, o 441, comma 5. Le Sezioni Unite hanno avuto cura di sottolineare che il dovere del giudice di appello, in vista di un ribaltamento del proscioglimento in condanna, di rinnovare, anche d’ufficio, l’esame delle fonti di prova dichiarative ritenute decisive in primo grado discende non tanto e non solo dalla necessità di una interpretazione adeguatrice rispetto ai principi della CEDU, come espressi dalla Corte di Strasburgo, ma, prima ancora, dal rispetto del generale criterio ispiratore della decisione del giudice penale, che implica l’obbligo di escludere che possa reputarsi superato il dubbio ogniqualvolta, di fronte ad una diversa valutazione della prova dichiarativa che conduca ad un risultato peggiorativo nei confronti dell’imputato, il giudice di appello non abbia provveduto, in attuazione dei canoni di oralità e immediatezza, alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale dinanzi a sé, nei casi di difforme valutazione delle dichiarazioni ritenute decisive dal primo giudice ai fini dell’assoluzione. Risulta, infatti, chiara la stretta correlazione tra il dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, il canone «al di là di ogni ragionevole dubbio», il dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale e i limiti alla reformatio in peius. In questa prospettiva è stata sostenuta, quale logica conseguenza del percorso ermeneutico sopra indicato, l’applicabilità di tali principi anche nel caso di impugnazione del pubblico ministero contro una pronuncia di assoluzione emessa nell’ambito del giudizio abbreviato, ove questa sia basata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive dal primo giudice e il cui valore sia posto in discussione dall’organo dell’accusa impugnante (Sez. 4, 37111/2018).

L’art. 442, comma 2, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, disciplinando la severità della pena da infliggere in caso di condanna secondo il rito abbreviato, per cui deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell’art. 25, comma 2, Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa (SU, 2977/1992).

La diminuente per il rito abbreviato ha certamente natura processuale, in virtù della scelta processuale che ne legittima l’applicazione ma detta scelta ha indubbi riflessi sostanziali perché incide sul trattamento penale di favore e, in quanto tale, in caso di modifica più favorevole all’imputato, trova applicazione retroattiva la norma più favorevole (Sez. 4, 54817/2018).

La novella legislativa che ha modificato l’art. 442 comma 2 si applica anche alle fattispecie anteriori salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2 comma 4 Cod. pen. in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 3, 50124/2018).

È ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali ed è, dunque, soggetto alla complessiva disciplina di cui all’art. 2 Cod. pen, pur restando tuttora confermato che la riduzione di pena prevista dall’art. 442 comma 2, essendo finalizzata alla produzione di effetti puramente premiali in funzione di una specifica scelta processuale operata dall’imputato, va applicata per ultima, sulla pena quantificata dal giudice, comprensiva anche dell’eventuale aumento per la ritenuta continuazione (Sez. 6, 9622/1992).

La pena dell’ergastolo inflitta all’esito del giudizio abbreviato, richiesto dall’interessato in base all’art. 30, comma 1, lett. b), L. 479/1999, ma conclusosi nel vigore della successiva e più rigorosa disciplina dettata dall’art. 7, comma 1, DL 341/2000 e in concreto applicata, non può essere ulteriormente eseguita, essendo stata quest’ultima norma ritenuta, successivamente al giudicato, non conforme al principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7, § 1, CEDU, come interpretato dalla Corte EDU, e dichiarata incostituzionale per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. Il giudice dell’esecuzione, investito del relativo incidente ad istanza di parte e avvalendosi dei suoi poteri di controllo sulla permanente legittimità della pena in esecuzione, è legittimato a sostituirla, incidendo sul giudicato, con quella di anni trenta di reclusione, prevista dalla più favorevole norma vigente al momento della richiesta del rito semplificato (SU, 18821/2014).

La necessaria retroattività della disposizione più favorevole, affermata nel caso Scoppola contro Italia (Corte EDU, sentenza del 17 settembre 2009), non è applicabile in relazione alla disciplina dettata da norme processualiDi conseguenza, è inammissibile il ricorso avverso il rigetto dell’istanza tesa ad ottenere, in sede esecutiva, la riduzione di pena ex art. 442 in favore del condannato a pena detentiva diversa dall’ergastolo al quale era stato negato l’accesso al rito abbreviato per mancato consenso del PM, in epoca precedente alla sostituzione del testo dell’art. 438, per effetto della L. 479/1999, in quanto la natura sostanziale della diminuente premiale per il rito abbreviato, predicata dalla CEDU nella sentenza Scoppola non implica la trasformazione della natura processuale di tutta la restante normativa concernente i presupposti, i termini e le modalità di accesso al rito, aspetti rimessi alla scelta del legislatore nazionale e non immutati dalla giurisprudenza comunitaria (Sez. 1, 48747/2012).

L’art. 442, comma 2, come novellato dalla L. 103/2017, nella parte in cui prevede che, in caso di condanna, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo, se si procede per una contravvenzione, pur essendo disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica come stabilisce l’art. 2, comma 4, Cod. Pen., anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile (Sez. 4, 832/2018, da ultimo anche Sez. 1, 19667/2021).

In tema di giudizio abbreviato, l’art. 442, comma 2, come novellato dalla L. 103/2017 - nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina, tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina - si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, c.p., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito (Sez. 2, 32097/2021).