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Art. 331 - Interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità

1. Chi, esercitando imprese di servizi pubblici o di pubblica necessità, interrompe il servizio, ovvero sospende il lavoro nei suoi stabilimenti, uffici o aziende, in modo da turbare la regolarità del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a un anno e con la multa non inferiore a euro 516 (1).

2. I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da tre a sette anni e con la multa non inferiore a euro 3.098 (1).

Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

In riferimento alla fattispecie di interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità, di cui all’art. 331, deve escludersi che il privato, il quale lamenti di essere leso da una turbativa del servizio, possa assumere la qualità di persona offesa. Ed infatti, il delitto in questione tutela un bene sopraindividuale, costituito dalla regolare prestazione di servizi pubblici in favore della collettività.

Questa conclusione è desumibile dagli elementi costitutivi della fattispecie, e, in particolare da quello del turbamento della regolarità del servizio come conseguenza della condotta di interruzione o di sospensione dello stesso. Se, intatti, la condotta deve consistere nell’interruzione o nella sospensione del servizio e deve inoltre, turbarne la regolarità, essa non può che attenere all’erogazione complessiva del medesimo; di conseguenza, l’omessa o irregolare prestazione in favore di un singolo utente non può assumere rilievo di per sé, ma solo quale segmento di una più ampia fattispecie. Corollario di questo assunto è che il bene giuridico tutelato ha natura sopraindividuale, e non può essere di pertinenza di singoli utenti.

La conclusione indicata sembra in linea con le convergenti ricostruzioni della dottrina e della giurisprudenza in materia. In dottrina, l’opinione tradizionale tende ad inquadrare la fattispecie di cui all’art. 331 nell’ambito della serrata, come forma speciale di questa. Di recente, poi, autorevoli studiosi, muovendo dalla previsione del turbamento della regolarità del servizio quale effetto necessario della condotta, hanno sottolineato che «non ogni interruzione del servizio, e non ogni sospensione dell’attività lavorativa nello stabilimento, ufficio o azienda, assumerà rilevanza, ma solo quella che, avuto riguardo al momento in cui intercorrono, alla loro durata, al numero degli utenti su cui i disagi (e i rischi) sono destinati a riverberarsi, ecc., siano in grado, per la loro consistenza, di alterare significativamente le prestazioni dovute».

In giurisprudenza, è consolidata l’affermazione secondo cui «per la configurabilità del reato [di cui all’art. 331] è necessario che il turbamento della regolarità del servizio sia idoneo ad alterare il funzionamento del servizio stesso nel suo complesso e non di una singola prestazione» (Sez. 6, 30749/2009, anche richiamando l’elaborazione formatasi con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 340).

In applicazione di questo principio, anzi, è stata espressamente esclusa dall’area della fattispecie incriminatrice in esame la condotta limitata a singole utenze che incida solo marginalmente sul volume dell’attività svolta e che non sia in grado di comprometterne in modo apprezzabile il funzionamento (così Sez. 6, 37083/2007, in fattispecie concernente l’interruzione di un’utenza telefonica, comprese le chiamate verso i numeri di emergenza, a seguito di controversia sorta a seguito di mancato pagamento di una fattura).

Di conseguenza, ove ricorra la fattispecie di cui all’art. 331, attesa la natura sopraindividuale del bene giuridico tutelato, il singolo utente, o aspirante utente, può essere al più titolare di una pretesa di contenuto patrimoniale che lo legittima a costituirsi parte civile. Il medesimo, però, non potendo assumere la qualità di persona offesa del reato, non è legittimato a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, nonché, eventualmente, ricorso per cassazione contro la decisione di archiviazione (Sez. 6, 17590/2017).

L’attività di smaltimento di rifiuti è da considerare un "servizio di pubblica necessità" e, pertanto, integra il reato di interruzione di un servizio di pubblica necessità l’inadempimento di tale attività che alteri il funzionamento del servizio nel suo complesso (Sez. 6, 30749/2009).

Ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 331 è necessario che sia interrotto o turbato nel suo complesso il servizio pubblico o di pubblica necessità, restando esclusa dalla previsione normativa la condotta limitata a singole utenze che incida solo marginalmente sul volume dell’attività svolta e che non sia in grado di comprometterne in modo apprezzabile il funzionamento (Sez. 6, 37083/2007).

Il reato di interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità di cui all’art. 331 è reato proprio che si qualifica per il soggetto che lo può realizzare (imprenditore, in senso lato); quando manchi tale requisito soggettivo (titolarità di un’impresa esercente il suddetto servizio) non è configurabile il reato in questione, bensì quello meno grave previsto dall’art. 340 (Sez. 6, 5994/1997).