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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: anonimato nella dichiarazione di nascita e diritto di conoscere la propria ascendenza

La ricorrente lamenta che il segreto della sua nascita e la conseguente impossibilità per lei di conoscere le sue origini costituiscono una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Tale questione è affrontata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con sentenza del 25 settembre 2012 - Ricorso n.33783/09.

LA DECISIONE DELLA CORTE

Nella fattispecie, la Corte osserva che la ricorrente non chiede di rimettere in questione l’esistenza della sua filiazione adottiva, ma di conoscere le circostanze della sua nascita e del suo abbandono, che comprendono la conoscenza dell’identità dei suoi genitori biologici. Nella causa, la Corte non è chiamata a determinare se la procedura che riguarda il legame di filiazione tra la ricorrente e la madre rientri nella «vita famigliare» ai sensi dell’articolo 8, poiché in ogni caso il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione della nozione di «vita privata» che comprende aspetti importanti dell’identità personale di cui fa parte l’identità dei genitori.

La Corte ricorda al riguardo che «l’articolo 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale e quello di allacciare e approfondire relazioni con i propri simili e il mondo esterno». A tale sviluppo contribuiscono la scoperta dei dettagli relativi alla propria identità di essere umano e l’interesse vitale, tutelato dalla Convenzione, a ottenere delle informazioni necessarie alla scoperta della verità riguardante un aspetto importante dell’identità personale, ad esempio l’identità dei propri genitori. La nascita, e in particolare le circostanze di quest’ultima, rientra nella vita privata del bambino, e poi dell’adulto, sancita dall’articolo 8 della Convenzione che trova così applicazione nel caso di specie.

La Corte ricorda che, se l’articolo 8 tende fondamentalmente a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata. Essi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita privata fino alle relazioni degli individui tra loro. La linea di separazione tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell’articolo 8 non si presta ad essere definita con precisione; i principi applicabili sono comunque assimilabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concorrenti; parimenti, in entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di discrezionalità.

La ricorrente accusa lo Stato convenuto di non garantire il rispetto della sua vita privata per mezzo del proprio sistema giuridico che ostacola, in modo assoluto, l’azione di ricerca della maternità quando la madre biologica ha chiesto il segreto e che, soprattutto, non permette la comunicazione di dati non identificativi su quest’ultima, né per il tramite dei servizi di assistenza sociale all’infanzia né di altri organi che le diano accesso a tali informazioni.

La Corte ricorda di avere già sottolineato che la questione dell’accesso alle proprie origini e della conoscenza dell’identità dei propri genitori biologici è di natura diversa rispetto a quella dell’accesso al fascicolo personale creato su un minore preso in carico o quella della ricerca delle prove di una presunta paternità. Nella causa la Corte si trova, infatti, in presenza di una persona dotata di una filiazione adottiva che cerca un’altra persona, la madre biologica, che l’ha abbandonata fin dalla nascita chiedendo espressamente il segreto di quest’ultima.

La Corte osserva che l’espressione «ogni persona» dell’articolo 8 della Convenzione si applica al figlio come alla madre. Da una parte vi è il diritto del figlio a conoscere le proprie origini che trova fondamento nella nozione di vita privata. L’interesse vitale del minore nel suo sviluppo è altresì ampiamente riconosciuto nell’economia generale della Convenzione. Dall’altra, non si può negare l’interesse di una donna a conservare l’anonimato per tutelare la propria salute partorendo in condizioni sanitarie adeguate.

L’interesse generale sussiste anche nella misura in cui la legge italiana risponde alla preoccupazione di tutelare la salute della madre e del minore durante la gravidanza e il parto e di evitare aborti clandestini o abbandoni «selvaggi».

La Corte ricorda che la scelta delle misure idonee a garantire il rispetto dell’articolo 8 della Convenzione nei rapporti interpersonali rientra in linea di principio nel margine di discrezionalità degli Stati contraenti. Esistono a tale proposito vari modi di assicurare il rispetto della vita privata e la natura dell’obbligo dello Stato dipende dall’aspetto della vita privata che viene messo in discussione. L’ampiezza di tale margine di discrezionalità dello Stato dipende non solo dal o dai diritti interessati ma anche, per ciascun diritto, dalla natura stessa di ciò che viene messo in causa. La Corte considera il diritto all’identità, da cui deriva il diritto di conoscere la propria ascendenza, come parte integrante della nozione di vita privata. In tal caso, è necessario un esame ancora più approfondito per valutare gli interessi concorrenti.

La Corte deve cercare di stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio nella ponderazione dei diritti e degli interessi concorrenti ossia, da una parte, quello della ricorrente a conoscere le proprie origini e, dall’altro, quello della madre a mantenere l’anonimato.

La Corte ha affermato che gli Stati possono scegliere i mezzi che ritengono più idonei ad assicurare in modo equo la conciliazione tra la protezione della madre e la richiesta legittima dell’interessata di avere accesso alle sue origini nel rispetto dell’interesse generale.

Nella fattispecie, la Corte osserva che la ricorrente non ha avuto accesso a nessuna informazione sulla madre e la famiglia biologica che le permettesse di stabilire alcune radici della sua storia nel rispetto della tutela degli interessi dei terzi. Senza un bilanciamento dei diritti e degli interessi presenti e senza alcuna possibilità di ricorso, la ricorrente si è vista opporre un rifiuto assoluto e definitivo di accedere alle proprie origini personali.

Se è vero che la ricorrente è riuscita a costruire la propria personalità anche in assenza di informazioni relative all’identità della madre biologica, si deve ammettere che l’interesse che può avere un individuo a conoscere la sua ascendenza non viene meno con l’età, anzi avviene il contrario. La ricorrente ha del resto dimostrato un interesse autentico a conoscere l’identità della madre, poiché ha tentato di acquisire una certezza al riguardo. Un tale comportamento presuppone delle sofferenze morali e psichiche, anche se queste non vengono accertate da un punto di vista sanitario.

La normativa italiana non tenta di mantenere alcun equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa. In assenza di meccanismi destinati a bilanciare il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli interessi della madre a mantenere l’anonimato, viene inevitabilmente data una preferenza incondizionata a questi ultimi.

Nel caso di specie la Corte osserva che, se la madre biologica ha deciso di mantenere l’anonimato, la normativa italiana non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini o la reversibilità del segreto.

In queste condizioni, la Corte ritiene che l’Italia non abbia cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa e abbia dunque oltrepassato il margine di discrezionalità che le è stato accordato.

Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

La Corte considera che l’interessata debba avere provato un certo stress emotivo e un senso di angoscia a causa dell’impossibilità di accedere a informazioni relative alle sue origini, e ritiene opportuno accordare 5.000 EUR per il danno morale.

EXCURSUS LEGISLATIVO

L’articolo 250 del codice civile accorda a uno dei genitori la possibilità di non riconoscere il figlio. Per questo la madre deve domandare all’ospedale di preservare l’anonimato al momento del parto. In questo caso viene formato un fascicolo sanitario che contiene le informazioni mediche sulla madre e sul suo bambino. Soltanto il medico curante del bambino può avervi accesso previa autorizzazione del tutore del minore.

L’affiliazione fu istituita nel 1942 per portare assistenza ai bambini abbandonati o senza genitori di età inferiore ai diciotto anni. L’affiliazione poteva essere richiesta o dalla persona alla quale il bambino era stato affidato, o dall’istituto di pubblica assistenza, o dal cittadino che lo cresceva di propria iniziativa.

Gli articoli del codice civile che prevedevano l’affiliazione sono stati abrogati per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 184 del 4 maggio 1983 (rivista in seguito dalla legge n. 149 del 2001 e dal decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003).

L’articolo 28, comma 7, della legge n. 184/1983 consente alla madre, che decide di non tenere il figlio, di partorire in un ospedale e di mantenere allo stesso tempo l’anonimato nella dichiarazione di nascita. Questo anonimato dura cento anni. Trascorso questo tempo, è possibile avere accesso all’atto di nascita.

La decisione di adozione, una volta presa dal tribunale, è comunicata ai servizi dello stato civile per essere menzionata a margine dell’atto di nascita. Le copie degli atti dello stato civile dell’adottato devono essere rilasciate soltanto con l’indicazione del suo nuovo nome, senza menzione della paternità o della maternità di origine né dell’annotazione relativa all’adozione. Tuttavia, l’ufficiale dello stato civile può comunicare queste informazioni se espressamente autorizzato dal tribunale.

L’adottato può avere accesso alle informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei suoi genitori di sangue quando ha raggiunto l’età di 25 anni. Può ottenere queste stesse informazioni raggiunta la maggior età se esistono gravi e comprovati motivi concernenti la sua salute fisica e mentale. La domanda è presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza che emette la sua decisione previa valutazione della situazione particolare e audizione delle persone che ritiene opportuno ascoltare.

L’accesso alle informazioni non è consentito quando la madre biologica non ha riconosciuto il bambino alla nascita e quando uno dei genitori biologici ha dichiarato di non voler essere nominato nell’atto di nascita o ha dato il suo consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

Con sentenza del 16 novembre 2005, la Corte Costituzionale si è espressa positivamente sulla questione di sapere se l’impossibilità di accedere alle informazioni riguardanti le origini, senza aver verificato il perdurare della volontà della madre di non essere nominata, fosse compatibile con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

In particolare, l’alta giurisdizione ha sottolineato che l’articolo 28, comma 7, della legge n. 184/1983 mira a tutelare la madre, che - in circostanze difficili - decide di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in un ospedale e di mantenere al contempo l’anonimato nella dichiarazione di nascita. In tal modo, secondo la Corte Costituzionale, si intende assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, distogliendo la donna dal prendere decisioni irreparabili. Ciò sarebbe più difficile se la disposizione prevedesse la possibilità per la madre di sapere che un giorno potrebbe essere chiamata dall’autorità giudiziaria a confermare o revocare la sua decisione.

L’articolo 111, comma 7, della Costituzione italiana prevede che: "Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge".

Dal 2008 è all’esame del Parlamento italiano un progetto di legge in materia di accesso alle origini personali.

Secondo questo progetto di legge, all’età di 25 anni ogni persona adottata e non riconosciuta alla nascita può domandare al tribunale per i minorenni l’accesso alle sue origini, fatto salvo il consenso della madre. Al momento della ricerca delle proprie origini da parte del figlio, il tribunale per i minorenni si farà carico di ricercare la madre e di ottenere il suo consenso per la revoca del segreto, e ciò nel rispetto della sua vita privata. Se la madre è deceduta e se il padre è deceduto o non è identificabile, il tribunale raccoglie gli elementi relativi alla loro identità nonché i dati sanitari che permettono di reperire eventuali patologie ereditarie trasmissibili.

La ricorrente lamenta che il segreto della sua nascita e la conseguente impossibilità per lei di conoscere le sue origini costituiscono una violazione del diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, garantito dall’articolo 8 della Convenzione. Tale questione è affrontata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo con sentenza del 25 settembre 2012 - Ricorso n.33783/09.

LA DECISIONE DELLA CORTE

Nella fattispecie, la Corte osserva che la ricorrente non chiede di rimettere in questione l’esistenza della sua filiazione adottiva, ma di conoscere le circostanze della sua nascita e del suo abbandono, che comprendono la conoscenza dell’identità dei suoi genitori biologici. Nella causa, la Corte non è chiamata a determinare se la procedura che riguarda il legame di filiazione tra la ricorrente e la madre rientri nella «vita famigliare» ai sensi dell’articolo 8, poiché in ogni caso il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione della nozione di «vita privata» che comprende aspetti importanti dell’identità personale di cui fa parte l’identità dei genitori.

La Corte ricorda al riguardo che «l’articolo 8 tutela un diritto all’identità e allo sviluppo personale e quello di allacciare e approfondire relazioni con i propri simili e il mondo esterno». A tale sviluppo contribuiscono la scoperta dei dettagli relativi alla propria identità di essere umano e l’interesse vitale, tutelato dalla Convenzione, a ottenere delle informazioni necessarie alla scoperta della verità riguardante un aspetto importante dell’identità personale, ad esempio l’identità dei propri genitori. La nascita, e in particolare le circostanze di quest’ultima, rientra nella vita privata del bambino, e poi dell’adulto, sancita dall’articolo 8 della Convenzione che trova così applicazione nel caso di specie.

La Corte ricorda che, se l’articolo 8 tende fondamentalmente a difendere l’individuo da ingerenze arbitrarie dei pubblici poteri, esso non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da ingerenze di questo tipo: a questo impegno piuttosto negativo possono aggiungersi obblighi positivi inerenti a un rispetto effettivo della vita privata. Essi possono implicare l’adozione di misure volte al rispetto della vita privata fino alle relazioni degli individui tra loro. La linea di separazione tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato a titolo dell’articolo 8 non si presta ad essere definita con precisione; i principi applicabili sono comunque assimilabili. In particolare, in entrambi i casi, si deve avere riguardo al giusto equilibrio da mantenere tra gli interessi concorrenti; parimenti, in entrambe le ipotesi lo Stato gode di un certo margine di discrezionalità.

La ricorrente accusa lo Stato convenuto di non garantire il rispetto della sua vita privata per mezzo del proprio sistema giuridico che ostacola, in modo assoluto, l’azione di ricerca della maternità quando la madre biologica ha chiesto il segreto e che, soprattutto, non permette la comunicazione di dati non identificativi su quest’ultima, né per il tramite dei servizi di assistenza sociale all’infanzia né di altri organi che le diano accesso a tali informazioni.

La Corte ricorda di avere già sottolineato che la questione dell’accesso alle proprie origini e della conoscenza dell’identità dei propri genitori biologici è di natura diversa rispetto a quella dell’accesso al fascicolo personale creato su un minore preso in carico o quella della ricerca delle prove di una presunta paternità. Nella causa la Corte si trova, infatti, in presenza di una persona dotata di una filiazione adottiva che cerca un’altra persona, la madre biologica, che l’ha abbandonata fin dalla nascita chiedendo espressamente il segreto di quest’ultima.

La Corte osserva che l’espressione «ogni persona» dell’articolo 8 della Convenzione si applica al figlio come alla madre. Da una parte vi è il diritto del figlio a conoscere le proprie origini che trova fondamento nella nozione di vita privata. L’interesse vitale del minore nel suo sviluppo è altresì ampiamente riconosciuto nell’economia generale della Convenzione. Dall’altra, non si può negare l’interesse di una donna a conservare l’anonimato per tutelare la propria salute partorendo in condizioni sanitarie adeguate.

L’interesse generale sussiste anche nella misura in cui la legge italiana risponde alla preoccupazione di tutelare la salute della madre e del minore durante la gravidanza e il parto e di evitare aborti clandestini o abbandoni «selvaggi».

La Corte ricorda che la scelta delle misure idonee a garantire il rispetto dell’articolo 8 della Convenzione nei rapporti interpersonali rientra in linea di principio nel margine di discrezionalità degli Stati contraenti. Esistono a tale proposito vari modi di assicurare il rispetto della vita privata e la natura dell’obbligo dello Stato dipende dall’aspetto della vita privata che viene messo in discussione. L’ampiezza di tale margine di discrezionalità dello Stato dipende non solo dal o dai diritti interessati ma anche, per ciascun diritto, dalla natura stessa di ciò che viene messo in causa. La Corte considera il diritto all’identità, da cui deriva il diritto di conoscere la propria ascendenza, come parte integrante della nozione di vita privata. In tal caso, è necessario un esame ancora più approfondito per valutare gli interessi concorrenti.

La Corte deve cercare di stabilire se sia stato mantenuto un giusto equilibrio nella ponderazione dei diritti e degli interessi concorrenti ossia, da una parte, quello della ricorrente a conoscere le proprie origini e, dall’altro, quello della madre a mantenere l’anonimato.

La Corte ha affermato che gli Stati possono scegliere i mezzi che ritengono più idonei ad assicurare in modo equo la conciliazione tra la protezione della madre e la richiesta legittima dell’interessata di avere accesso alle sue origini nel rispetto dell’interesse generale.

Nella fattispecie, la Corte osserva che la ricorrente non ha avuto accesso a nessuna informazione sulla madre e la famiglia biologica che le permettesse di stabilire alcune radici della sua storia nel rispetto della tutela degli interessi dei terzi. Senza un bilanciamento dei diritti e degli interessi presenti e senza alcuna possibilità di ricorso, la ricorrente si è vista opporre un rifiuto assoluto e definitivo di accedere alle proprie origini personali.

Se è vero che la ricorrente è riuscita a costruire la propria personalità anche in assenza di informazioni relative all’identità della madre biologica, si deve ammettere che l’interesse che può avere un individuo a conoscere la sua ascendenza non viene meno con l’età, anzi avviene il contrario. La ricorrente ha del resto dimostrato un interesse autentico a conoscere l’identità della madre, poiché ha tentato di acquisire una certezza al riguardo. Un tale comportamento presuppone delle sofferenze morali e psichiche, anche se queste non vengono accertate da un punto di vista sanitario.

La normativa italiana non tenta di mantenere alcun equilibrio tra i diritti e gli interessi concorrenti in causa. In assenza di meccanismi destinati a bilanciare il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini con i diritti e gli interessi della madre a mantenere l’anonimato, viene inevitabilmente data una preferenza incondizionata a questi ultimi.

Nel caso di specie la Corte osserva che, se la madre biologica ha deciso di mantenere l’anonimato, la normativa italiana non dà alcuna possibilità al figlio adottivo e non riconosciuto alla nascita di chiedere l’accesso ad informazioni non identificative sulle sue origini o la reversibilità del segreto.

In queste condizioni, la Corte ritiene che l’Italia non abbia cercato di stabilire un equilibrio e una proporzionalità tra gli interessi delle parti in causa e abbia dunque oltrepassato il margine di discrezionalità che le è stato accordato.

Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

La Corte considera che l’interessata debba avere provato un certo stress emotivo e un senso di angoscia a causa dell’impossibilità di accedere a informazioni relative alle sue origini, e ritiene opportuno accordare 5.000 EUR per il danno morale.

EXCURSUS LEGISLATIVO

L’articolo 250 del codice civile accorda a uno dei genitori la possibilità di non riconoscere il figlio. Per questo la madre deve domandare all’ospedale di preservare l’anonimato al momento del parto. In questo caso viene formato un fascicolo sanitario che contiene le informazioni mediche sulla madre e sul suo bambino. Soltanto il medico curante del bambino può avervi accesso previa autorizzazione del tutore del minore.

L’affiliazione fu istituita nel 1942 per portare assistenza ai bambini abbandonati o senza genitori di età inferiore ai diciotto anni. L’affiliazione poteva essere richiesta o dalla persona alla quale il bambino era stato affidato, o dall’istituto di pubblica assistenza, o dal cittadino che lo cresceva di propria iniziativa.

Gli articoli del codice civile che prevedevano l’affiliazione sono stati abrogati per effetto dell’entrata in vigore della legge n. 184 del 4 maggio 1983 (rivista in seguito dalla legge n. 149 del 2001 e dal decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003).

L’articolo 28, comma 7, della legge n. 184/1983 consente alla madre, che decide di non tenere il figlio, di partorire in un ospedale e di mantenere allo stesso tempo l’anonimato nella dichiarazione di nascita. Questo anonimato dura cento anni. Trascorso questo tempo, è possibile avere accesso all’atto di nascita.

La decisione di adozione, una volta presa dal tribunale, è comunicata ai servizi dello stato civile per essere menzionata a margine dell’atto di nascita. Le copie degli atti dello stato civile dell’adottato devono essere rilasciate soltanto con l’indicazione del suo nuovo nome, senza menzione della paternità o della maternità di origine né dell’annotazione relativa all’adozione. Tuttavia, l’ufficiale dello stato civile può comunicare queste informazioni se espressamente autorizzato dal tribunale.

L’adottato può avere accesso alle informazioni che riguardano le sue origini e l’identità dei suoi genitori di sangue quando ha raggiunto l’età di 25 anni. Può ottenere queste stesse informazioni raggiunta la maggior età se esistono gravi e comprovati motivi concernenti la sua salute fisica e mentale. La domanda è presentata al tribunale per i minorenni del luogo di residenza che emette la sua decisione previa valutazione della situazione particolare e audizione delle persone che ritiene opportuno ascoltare.

L’accesso alle informazioni non è consentito quando la madre biologica non ha riconosciuto il bambino alla nascita e quando uno dei genitori biologici ha dichiarato di non voler essere nominato nell’atto di nascita o ha dato il suo consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo.

Con sentenza del 16 novembre 2005, la Corte Costituzionale si è espressa positivamente sulla questione di sapere se l’impossibilità di accedere alle informazioni riguardanti le origini, senza aver verificato il perdurare della volontà della madre di non essere nominata, fosse compatibile con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.

In particolare, l’alta giurisdizione ha sottolineato che l’articolo 28, comma 7, della legge n. 184/1983 mira a tutelare la madre, che - in circostanze difficili - decide di non tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in un ospedale e di mantenere al contempo l’anonimato nella dichiarazione di nascita. In tal modo, secondo la Corte Costituzionale, si intende assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali, distogliendo la donna dal prendere decisioni irreparabili. Ciò sarebbe più difficile se la disposizione prevedesse la possibilità per la madre di sapere che un giorno potrebbe essere chiamata dall’autorità giudiziaria a confermare o revocare la sua decisione.

L’articolo 111, comma 7, della Costituzione italiana prevede che: "Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge".

Dal 2008 è all’esame del Parlamento italiano un progetto di legge in materia di accesso alle origini personali.

Secondo questo progetto di legge, all’età di 25 anni ogni persona adottata e non riconosciuta alla nascita può domandare al tribunale per i minorenni l’accesso alle sue origini, fatto salvo il consenso della madre. Al momento della ricerca delle proprie origini da parte del figlio, il tribunale per i minorenni si farà carico di ricercare la madre e di ottenere il suo consenso per la revoca del segreto, e ciò nel rispetto della sua vita privata. Se la madre è deceduta e se il padre è deceduto o non è identificabile, il tribunale raccoglie gli elementi relativi alla loro identità nonché i dati sanitari che permettono di reperire eventuali patologie ereditarie trasmissibili.