x

x

Dalla parte dei bambini

Acquario di Genova
Ph. Simona Balestra / Acquario di Genova

Bambino è etimologicamente “chi balbetta, chi parla inarticolatamente”, ma se gli si insegna il linguaggio dell’amore ne farà tesoro e dono per tutta la vita. Educare con l’esempio: rivelarsi ai bambini semplicemente per quello che si è nella quotidianità è il primo esempio che si possa dare ai piccoli, perché anche loro manifestino il meglio da adulti.

I bambini sono angeli custodi affidati agli adulti affinché costoro imparino a crescere con loro. Nei confronti dei bambini non ci si dovrebbe sentire in dovere, ma si dovrebbe sentire solo amore: delineare la pista della vita trasmettendo loro la gioia di percorrerla e arretrando alle loro spalle, quando necessario.

“La tua vita è tua. Solo a te spetta di decidere sulla tua vita, capisci? se lo fa qualche altro, è un abuso che si piglia. Per caso loro devono rendere conto a te di quello che fanno, eh?” (da “Il compagno proibito” di Sauro Marianelli). Far decidere (etimologicamente “tagliar via”) qualcuno e non decidere per qualcuno: compito difficile e doveroso di genitori e educatori. “[…] l’educazione del fanciullo deve tendere a […] preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera” (dalla lettera d dell’articolo 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). L’adulto (colui che è cresciuto) deve essere esempio e punto di riferimento, dopo di che la strada la deve percorrere il bambino crescendo e sviluppandosi.

Elisa Mazzola, psicologa e psicoterapeuta, spiega: “Dire di “no” non significa mai essere severi, ma vuol dire essere delle guide che consentono al bambino di crescere sereno”. I genitori e gli adulti in generale devono guidare il fanciullo (articolo 15 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989) ed essere guidati dall’interesse superiore del fanciullo (articolo 18 Convenzione), altrimenti il bambino diventa come “un’auto in corsa senza alcun autista” e passare un incrocio col semaforo rosso è pericoloso per sé e per gli altri. E. Mazzola aggiunge: “Dire di “no” non deve mai significare imporre al bambino qualcosa, ma deve invece significare far capire, attraverso la spiegazione del perché, i motivi che stanno alla base della negazione. Dire di “no” non deve mai significare alzare la voce ma spiegare con convinzione e fermezza le ragioni dimostrandosi sempre aperti al dialogo”. Attraverso i “no” accompagnati da spiegazione, che comporta tempo ed ascolto, si educa il bambino alla comprensione di cui si parla, tra l’altro, in maniera significativa due volte nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (Preambolo e articolo 29 lettera d).

Educare significa spiegare, dialogare, aprire alla vita, anche filosofare (e non filosofeggiare): “Questo non è solo il compito dei docenti universitari, ma di ognuno di noi, in quanto «filosofo» – precisa il bioeticista Paolo Marino Cattorini –. Ognuno di noi, a partire dalle proprie tradizioni, credenze, intuizioni, si pone domande e riflette sulla propria morale: chi sono gli altri? Che mondo è quello in cui abitiamo? Chi sono io e qual è il mio destino, la storia a cui sono chiamato e che voglio scrivere in prima persona? Qual è il principio delle mie speranze? Ha il volto di un Dio tenero oppure di un despota cinico, fascinoso ma tremendo? E come è possibile pregarlo ancora dopo la tragedia, la malattia, i campi di concentramento? Il compito di portare a maturazione la propria fede infantile, laica o secolare, va svolto con leale coerenza e innesca un viaggio non garantito, che può portare a impreviste trasformazioni morali”. Da qui la necessità della “philosophy for children” (filosofia per i bambini), di cui si parla dagli anni ’70: pensare è libertà di essere e rispetto del pensiero altrui.

Il canadese Oscar Brenifier, “filosofo dei bambini”, precisa: “I ragazzi sono convinti che, in fondo, quello che pensano non è così importante, perché non è quello che il sistema scolastico richiede. Molti professori credono che insegnare voglia dire trasmettere dei contenuti. Ma questo non basta: insegnare significa innanzitutto (insegnare) a pensare”. Educare al pensiero e alla libertà di pensiero, perché la libertà di pensiero è una delle massime espressioni della libertà personale. Anche per questo nella nostra Costituzione è disciplinata nell’ultimo articolo dell’elenco delle libertà costituzionali (articolo 21 Cost.) a coronamento della prima libertà costituzionale, la libertà personale (articolo 13 Cost.). Pensare è pesare: dare peso alla vita, alla propria vita e a quella altrui. Dalla libertà di pensiero discende pure il rispetto del pensiero altrui. Educare a pensare è educare a essere se stessi, che è l’obiettivo primario dell’educazione, come si ricava anche dalla lettera a dell’articolo 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Perché “[…] occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). La morte (da quella fisica a quella di un sentimento o causata da un tradimento), un grande mistero che avvolge col suo alone tutta la vita: ce se ne accorge ancor di più quando la si deve spiegare con le parole, e quelle giuste, ad un bambino che ha la più ampia fiducia nella vita. I bambini vanno preparati alla morte (intesa anche come negazione, cessazione, chiusura, fallimento) per essere preparati pienamente alla vita e per non sfidare o cercare la morte da adolescenti perché non si ha altro da provare o gustare. Lo si può fare empiricamente attraverso gli insetti morti o la morte o decomposizione di altri esseri viventi, con il metodo scientifico che cattura l’attenzione dei bambini.

Fulvio Scaparro, psicologo e psicoterapeuta, afferma: “Per nostra fortuna, non manca chi riesce ad avvicinarsi alla condizione infantile, chi sa che – prima che il bambino si adatti a noi – occorre che gli si vada incontro, assicurandogli ciò di cui l’essere umano di ogni tempo e luogo ha sempre avuto bisogno: nutrimento, contatto affettuoso, gioco, amore e storie, tante storie”. I bambini non hanno bisogno tanto di estranei animatori di feste di compleanno o di ludoteche organizzate o altre figure specializzate quanto di veri adulti che stiano con loro, che giochino con loro, che raccontino loro le storie del “c’era una volta” o le proprie storie che hanno molto da insegnare, senza aggiungere la pleonastica e sterile espressione “ai miei tempi”. Quella dimensione familiare che è riaffiorata durante l’emergenza sanitaria da Covid-19.

“Inoltre conclude Fulvio Scaparro –, faccio una raccomandazione a tutti coloro che hanno cura dei bambini: siate delle guide ferme quando è necessario, ma anche amorevoli. Fateli ridere, fateli giocare, fateli sognare, esprimete il vostro amore per loro sorridendo. Attrezzateli per affrontare le difficoltà della vita con, alle spalle, almeno un buon patrimonio di ricordi”. Lo sviluppo spirituale è trascurato nella legislazione e, ancor peggio, nella realtà. Nell’articolo 27 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di sviluppo spirituale (menzionato anche nell’articolo 23) prima di quello morale e sociale, perché preliminare per la propria personalità e per le relazioni con gli altri. “Spirituale” è ciò che si riferisce allo spirito, che è il soffio, l’alito d’aria: l’infanzia è il soffio, l’alito della vita.

Per tutelare i bambini bisogna mettersi dalla loro parte, nella loro parte e non metterli da parte.