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Il “fatto di lieve entità” nel Testo Unico sugli stupefacenti

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Il “fatto di lieve entità” nel Testo Unico sugli stupefacenti

 

Art. 73 comma 5 cpv. 1 TU 309/90

“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo, che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 ad euro 10.329”

 

La Giurisprudenza in tema di comma 5 Art. 73 TU 309/90

Secondo Palazzo (2014)[1], il comma 5 Art. 73 TU 309/90 sarebbe “discrezionalmente vuoto ed avulso dalla realtà” se le Sezioni Unite non avessero provveduto a riempire di significato i generici lemmi “fatto di lieve entità”. Pertanto, anche il tal caso, la Corte Suprema ha dovuto intervenire al fine di sopperire alle lacune di un Legislatore pigro ed ermetico. Come, da sempre, è quello italiano. In effetti, Cass., sez. pen. VI, 17 gennaio 2013, n. 9723 precisa che, nel comma 5 Art. 73 TU 309/90, manca “una valutazione nel concreto di tutti [i cinque] criteri citati dal quinto comma”. Parimenti, Cass., sez. pen. VI, 9 maggio 2017, n. 29132 osserva che, prima dell'intervento della Corte di Cassazione, non era nitida la “specificità” concreta delle rationes della qualità della quantità, dei mezzi, delle modalità e delle circostanze dell'azione. Ovvero, come sempre, il dato de jure condito era eccessivamente lato e generico, dunque indeterminato sotto il profilo empirico.

Da subito, in Dottrina, Insolera & Spangher & Della Ragione (2019)[2] hanno invitato gli Operatori ad una visione complessiva delle cinque variabili ex comma 5 Art. 73 TU 309/90; detto in altri termini, “la valutazione deve assumere carattere complessivo e globale, senza che ad alcuno dei criteri menzionati possa attribuirsi un aprioristico rango prevalente. Ciò non implica […] che ogni singolo criterio debba poter essere qualificato in positivo come lieve: infatti, la dove uno tra gli indici rivesta carattere negativo, la sua presenza potrà essere controbilanciata e neutralizzata da indici di segno opposto, che facciano propendere per il riconoscimento del quinto comma”. A tal proposito, nella Giurisprudenza di legittimità, anche Cass., SS.UU., 27 settembre 2018, n. 51063 evidenzia che nessuna variabile della lieve entità dev'essere assolutizzata rispetto alle altre, giacché “è possibile che, tra i criteri di cui al quinto comma, si instaurino rapporti di compensazione e neutralizzazione in grado di consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto, anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie in tal senso”.

Dunque, come si nota, tanto Insolera & Spangher & Della Ragione (ibidem)[3] quanto Cass., SS.UU., 27 settembre 2018, n. 51063 contestano un'eventuale ipostatizzazione della negatività di uno dei cinque indici, che vanno contestualizzati di volta in volta ai fini della concessione, o meno, del reato “di lieve entità”. Senza dubbio, in ogni caso, la prevalenza in senso negativo di una sola variabile può verificarsi, ossia, come specificato da Sezioni Unite Rico, 35737/2010, “può accadere che uno [solo] tra i [cinque] criteri indicati rivesta un valore negativo tanto pregnante da porsi come assorbente, e, dunque, prevalere su tutti gli altri [quattro] al fine di escludere l'ipotesi di lieve entità”. Siffatta potenziale assolutezza negativa di un solo indicatore della “non lieve entità” è confermata pure da Cass., sez. pen. VI, 28 gennaio 2014, n. 9892, Cass., sez. pen. III, 19 marzo 2014, n. 27064 nonché da Cass., sez. pen. III, 21 luglio 2020, n. 25044.

Come intuitivo e come asserito da Cass., sez. pen. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982, “il dato ponderale [nel comma 5 Art. 73 TU 309/90] rappresenta l'indice che, in concreto, riveste più di frequente valore assorbente [negativo o positivo che sia] rispetto agli altri”. Analogamente, in Dottrina, Miazzi (2014)[4] mette in risalto che “nei processi per stupefacenti, la pena finisce per ancorarsi, di solito, al tipo di droga ed alla quantità, essendo questi gli unici dati significativi conosciuti al momento della determinazione della pena”, D'altronde, anche a livello di “senso comune”, il quantitativo è e rimane il parametro maggiormente intuitivo e visibile. P.e., in Giurisprudenza, Cass., sez. pen. VI, 16 ottobre 2008, n. 39931 reputa che “laddove [la quantità] sia particolarmente esorbitante, non risulta neppure necessario vagliare la sussistenza degli ulteriori [quattro] indici. [Ad esempio] […] ci sono molti casi nei quali il quantitativo di sostanza è così elevato da configurare un pericolo di accumulo”.

In maniera simile, Cass., sezione feriale, 18 agosto 2015, n. 35666 nota che, spesso, l'ingente quantità “è considerata sicuramente ostativa rispetto alla lieve entità, perché il quantitativo detenuto può recare a centinaia di dosi singole”. E' interessante, “a contrario”, pure Cass., sez. pen. VI, 13982/2018, a norma della quale un “quantitativo particolarmente esiguo” fa senz'altro scattare la precettività pressoché scontata ed automatica del comma 5 Art. 73 TU 309/90. Sempre con afferenza a tale tematica, Gambardella (2019)[5] sostiene che “nella detenzione di un numero limitatissimo di dosi di marjuana destinate alla cessione a persona maggiorenne […] il dato ponderale è decisivo al fine della valutazione della [infima] offensività della condotta”. Anzi, taluni, in Dottrina, hanno proposto di applicare sempre il comma 5 Art. 73 TU 309/90 a qualunque fattispecie processuale avente ad oggetto quantità scarse o scarsissime di cannabis. Pertanto, di nuovo, nella “lieve entità”, il criterio ponderale primeggia sugli altri quattro parametri valutativi.

Per quanto attiene alla ratio “qualitativa”, nel comma 5 Art. 73 TU 309/90, giustamente Insolera & Spangher & Della Ragione (ibidem)[6] puntualizzano che “anche la qualità della sostanza riveste un'importanza fondamentale, nella misura in cui il grado di purezza più elevato dello stupefacente può costituire un dato indicativo della maggiore pericolosità dell'attività di spaccio. Una minore percentuale di principio attivo, al contrario, garantendo un minor numero di dosi ricavabili, determina una più limitata diffusione della sostanza e, dunque, un minore pericolo per la salute pubblica [ex comma 1 Art. 32 Cost.], unitamente a poter essere considerata come indicativo dell'assenza dell'inserimento del soggetto in un organizzato contesto di spaccio”.

Pure le rationes dei “mezzi” e delle “modalità dell'azione” sono collegate alla tutela costituzionale della “salute pubblica” di cui al comma 1 Art. 32 Cost. . Infatti, nella Giurisprudenza della Suprema Corte, mezzi “limitati […] scarsi […] o rudimentali” diminuiscono la gravità qualitativa e quantitativa dello spaccio ed aprono la strada al riconoscimento della “lieve entità”. Similmente, “modalità” non professionali attenuano anch'esse la pericolosità socio-sanitaria della cessione dello stupefacente. Viceversa, Cass., sez. pen. VI, 13982/2018 asserisce che “sono ostativi alla qualificazione del fatto come di lieve entità […] la creazione di una rete di compartecipi in posizione subordinata rispetto all'autore […]. [Confliggono con il riconoscimento del comma 5 Art. 73 TU 309/90] anche la [elevata] capacità di penetrazione nel mercato e le modalità [professionali] di occultamento della sostanza”. In breve, Cass., sez. pen. VI, 13982/2018 postula l'antinomia tra la concessione della “lieve entità” e la eventuale “professionalità” dei “mezzi” e delle “modalità” dello spaccio. Oppure ancora, in Dottrina, si considerano “lievi” mezzi e modalità dettati dallo stato di tossicodipendenza dell'imputato, il quale, se tossicomane cronico, ha come fine “non grave” soltanto quello di mantenersi la dose quotidiana personale.

 

Corte di Cassazione vs. comma 5 Art. 73 TU 309/90

Piaccia o non piaccia, la ratio suprema del comma 5 Art. 73 TU 309/90 consta nella tutela della salute pubblica ex comma 1 Art. 32 Cost. (“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, [...]”). Dunque, la finalità di fondo del proibizionismo del TU 309/90 è quello di preservare gli assuntori, specialmente se in età adolescenziale, dai danni psicofisici inevitabilmente cagionati dalle sostanze stupefacenti. A tal proposito, anche Consulta 40/2019 si basa sul comma 1 Art. 32 Cost., ovverosia “la fattispecie di lieve entità può essere riconosciuta [solamente] la dove la condotta sia caratterizzata da una minima portata offensiva del bene giuridico della salute pubblica, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, sia in relazione alla qualità e quantità di principio attivo, sia con riguardo agli altri [tre] indici individuati dalla norma ed indicativi della capacità di diffusione della sostanza stupefacente tra i possibili assuntori”. Sempre Consulta 40/2019 ribadisce, entro la medesima ottica della protezione della salute, che “la fattispecie della lieve entità di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/90 può essere riconosciuta solo nell'ipotesi di una minima offensività penale della condotta [nei confronti del comma 1 Art. 32 Cost.]. [Tale minima offensività verso il citato valore costituzionale] è deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri [tre] parametri richiamati dalla disposizione”.

Tuttavia, nel corso dei decenni, si è assistito ad un auto-temperamento istituzionale di stampo riduzionista, in tanto in quanto, come rimarcato da Di Giovine (2020)[7], “[negli ultimi anni] si è assistito ad un progressivo ampliamento delle maglie della lieve entità da parte della Giurisprudenza, la quale - mossa dalla ratio di riequilibrio del trattamento sanzionatorio che connota il quinto comma – ha ricondotto a tale fattispecie anche ipotesi caratterizzate da una maggiore capacità offensiva dei beni giuridici tutelati”. Più in generale, Di Giovine (ibidem)[8] ha messo in risalto la vocazione (iper)garantista del comma 5 Art. 73 TU 309/90, nel senso che, come affermato da questa Dottrinaria, “in materia di sostanze stupefacenti, la Giurisprudenza tende ad esercitare un effetto cuscinetto, ossia ammortizzatore, del rigore legislativo […]. Forse, in nessun altro ambito del Diritto Penale l'interpretazione giurisprudenziale appare così garantista”. D'altra parte, a parere di chi redige, la Suprema Corte ha deciso di attenuare il rigore proibizionista dell'Art. 73 TU 309/90 alla luce della diffusione ormai capillare dell'assunzione giovanile di sostanze illecite. Detto in altri termini, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 attenua un apparato sanzionatorio che non poteva rimanere immutabile di fronte alle libertine, nonché traumatofiliache mode adolescenziali. Di tal tenore è pure l'opinione di Bray (2019)[9], secondo cui “la [troppo] ampia differenza sanzionatoria tra l'Art. 73 comma 5 TU 309/90 e la fattispecie non lieve di cui al comma 1 Art. 73 TU 309/90 induce la Giurisprudenza, nei casi di confine, ad operare delle forzature interpretative per ampliare l'ambito applicativo della fattispecie della lieve entità”. Volgarmente tradotto, il meno severo comma 5 Art. 73 TU 309/90 adegua “ai tempi” il comma 1 Art. 73 TU 309/90, troppo rigoroso in un tessuto sociale ove la tossicomania non cronica costituisce la normalità nella vita quotidiana dei/delle ragazzi/e.

Questa impostazione riduzionistica è presente pure in Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, la quale ha consentito di sussumere entro il campo operativo del comma 5 Art. 73 TU 309/90 “anche uno spaccio organizzato e professionale […] [perché] può essere di lieve entità il piccolo spaccio che rivesta un carattere non meramente episodico od occasionale, ma che [invece] presenti una propria natura organizzata, estrinsecandosi in condotte comunque continuative e reiterate nel tempo, seppur di modesta portata offensiva”. A parere di chi scrive, Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 ha raggiunto livelli di abolizionismo troppo arditi ed inconciliabili con la ratio proibizionistica di fondo insita nell'Art. 73 TU 309/90. Provvidenzialmente, nelle Motivazioni, tale medesima Sentenza del 2013 precisa che, in ogni caso, la “lieve entità” può applicarsi esclusivamente ad un c.d. “piccolo spaccio” caratterizzato da un'organizzazione “di quartiere”. Ognimmodo, Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 ribadisce, a prescindere dai dettagli iperbolici, che la severità sanzionatoria dell'Art. 73 TU 309/90 non è più adeguata ad una società in cui le sostanze stupefacenti risultano sdoganate nei costumi dei giovani o giovanissimi assuntori. Nella Dottrina penalistica, Palazzo (ibidem)[10] ha commentato Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 precisando che “è interessante notare come [questa] pronuncia ponga a fondamento della propria argomentazione il principio di proporzionalità della pena, escludendo – alla luce della [abnorme] severità del trattamento sanzionatorio in materia di stupefacenti – che la fattispecie della lieve entità possa interpretarsi in senso restrittivo. Ciò spinge i giudici ad operare una relativizzazione del dato quantitativo, ammettendo, in primo luogo, il riconoscimento del fatto lieve anche a fronte di quantità non del tutto esigue di stupefacenti, e, in secondo luogo, una variabilità del dato ponderale a fronte del carattere individuale, ovvero associativo, dello spaccio e della diversa qualità delle sostanze”.

Senza dubbio, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 gode di piena precettività nei confronti del c.d. “piccolo spaccio”. Secondo Palazzo (ibidem)[11] tale requisito della “piccolezza” della vendita di stupefacenti si qualifica quando lo spacciatore “non accumula ricchezza, bensì […] riesce semplicemente a sostenere se stesso e la propria famiglia”. Dunque, lo spaccio è “piccolo” quando esso manifesti una “scarsa redditività”. Più dettagliatamente, la lieve entità si applica quando lo spacciatore abbia accumulato una “provvista per la vendita” dalla quale si potranno ricavare “poche decine” di dosi a prezzi moderati o, comunque, ordinari. Entro tale medesima ottica, Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 consacra il trionfo del riduzionismo, specificando che “essendo caratteristica del piccolo spaccio la sua scarsa redditività, necessariamente deve ritenersi compatibile con la lieve entità il commercio di un numero limitato di dosi”, pur se, di solito, la “pochità” delle dosi di canapa non sarà paragonabile a quelle che contraddistingue le dosi di cocaina o eroina. Nello specifico, Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013 reputa destinate al “piccolo spaccio” 50 o 100 dosi di marjuana, mentre, nel caso della cocaina, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 è applicabile a fronte di una cessione di non più di una trentina di dosi. Pertanto, la “lieve entità” va commisurata anche in relazione alla “qualità” della sostanza oggetto di vendita, in tanto in quanto la cannabis è meno psicoattiva, nel breve periodo, delle droghe pesanti.

In buona sostanza, Cass., sez. pen. VI, n.41090/2013 conclude che è “lieve” lo spaccio “anche di quantità non minimali”, purché sia dotato di una “organizzazione rudimentale”. Sulla scia di Cass., sez. pen. VI, n. 41090/2013, anche Cass., sez. pen. VI, 27 gennaio 2015, n. 15642 qualifica come “lieve” lo spaccio in cui “[vi sia] una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, [unitamente a] una ridotta circolazione di merce e di denaro, dei guadagni limitati e, infine, una possibilità di detenere anche una provvista per la vendita, [purché] non superiore a dosi conteggiate a poche decine”. La natura “lieve” di “poche decine” di dosi ricavabili o già ricavate per lo spaccio è ribadita anche da Cass., sez. pen. VI, 9 febbraio 2017, n. 28251 e da Cass., sez. pen. III, 3 dicembre 2021, n. 10733. Analogamente, Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018 ha sancito la “lieve entità” di un “piccolo spaccio” qualora le dosi vendute/pronte per la vendita “siano conteggiabili nell'ordine di poche decine”. Come si può notare, negli Anni Duemila,  la Giurisprudenza di legittimità si dimostra assai più “generosa” nella concessione dell'applicabilità del comma 5 Art. 73 TU 309/90. Probabilmente, la Suprema Corte si è resa conto della inadeguatezza ormai connotante la severità applicativa originaria dell'Art. 73 TU 309/90. Le mode giovanili, infatti, recano alla tossicomania, più o meno estemporanea, la maggior parte degli adolescenti europei. Per conseguenza, non ha più senso un proibizionismo eccessivamente rigido.

In ogni caso, l'applicazione della “lieve entità” ad un contesto di spaccio “moderatamente organizzato” va contestualizzata caso per caso, poiché il criterio sostanziale prevale su quello  formale. La Corte di Cassazione mette in guardia da un approccio assolutizzante che non rechi ad un'accurata “concretizzazione” del comma 5 Art. 73 TU 309/90. P.e., può darsi che venga ceduta una sola dose, oppure si può verificare la fattispecie della vendita di quantitativi minimali. Inoltre, capita che il singolo episodio di spaccio sia “di lieve entità”, ma che esso nasconda, a monte, la detenzione domiciliare di una provvista “ingente”. Come si può notare, è indispensabile “contestualizzare”, di volta in volta, il comma 5 Art. 73 TU 309/90. Emblematiche, a tal proposito, sono Cass., sez. pen. III, 6 ottobre 2015, n. 6871 e Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018, le quali invitano il Magistrato del merito a “valutare le relazioni dell'agente con il mercato dello stupefacente, il quantitativo ceduto in un determinato lasso di tempo, il numero di assuntori riforniti e le modalità della condotta al fine di impedire od ostacolare i controlli delle forze dell'ordine”. In ultima analisi, quindi, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 ha la regola di “non avere regole” prestabilite, giacché tutto dipende dallo specifico contesto in cui è inserita la vendita di sostanze illecite. Non esistono postulati certi nell'applicazione della “lieve entità”, perché la pericolosità socio-giuridica dello spaccio varia al variare delle singole circostanze concrete. P.e., in Cass., sez. pen. VI, n. 13982/2018, delle “cessioni di minima quantità” sono state reputate “non lievi” alla luce dell'estrema professionalità organizzativa messa in campo dai responsabili della vendita delle droghe.

La certezza assoluta di non avere certezze assolute, in tema di comma 5 Art. 73 TU 309/90, è stata confermata pure da Sezioni Unite Murolo, 2018, ove si è predicata la lieve entità “nell'ipotesi della contemporanea detenzione, da parte del medesimo soggetto, di sostanze eterogenee, dunque di droghe sia leggere sia pesanti”. Con attinenza a tale tematica, Cass., sez. pen. III, 10 dicembre 2013, n. 4671 (ripresa da Cass., sez. pen. IV, 16 dicembre 2015, n. 6624) reputava “pericoloso” lo spaccio contestuale di sostanze sia pesanti sia leggere, poiché una tale offerta di sostanze variegate è/sarebbe “troppo capace di cagionare un [grave] danno al bene giuridico della salute pubblica [ex comma 1 Art. 32 Cost.] […] dunque tale condotta non è compatibile con la lieve entità”. Viceversa, come poi precisato da Sezioni Unite Murolo, 2018, Cass., sez. pen. IV, 13 luglio 2017, n. 49153 (ripresa due mesi dopo da Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2017, n. 46495) ha asserito che la lieve entità non è incompatibile con lo spaccio di “piccole dosi” di stupefacenti sia leggeri sia pesanti, “potendo l'ipotesi ex comma 5 Art. 73 TU 309/90 essere riconosciuta dopo aver proceduto ad una valutazione globale e concreta del fatto, dalla quale può emergere una complessiva lieve portata dell'attività svolta dallo spacciatore”. Ecco, di nuovo, l'esortazione della Suprema Corte ad una minuziosa “contestualizzazione” concreta del comma 5 Art. 73 TU 309/90; non esistono formule precostituite in grado di ammettere o, viceversa, negare la lieve entità a prescindere dagli epifenomeni oggettivi con cui si manifesta ciascun episodio di spaccio.

Ogni caso va relativizzato alla luce di tutti i cinque parametri ex comma 5 Art. 73 TU 309/90. Anzi, in Dottrina, non è mancato chi ha fatto notare che, in epoca contemporanea, è “normale” imbattersi nella fattispecie di pusher in grado di cedere contestualmente eroina, cocaina, MDMA e cannabis. Ovverosia, Martin (2020)[12] evidenzia che “l'ipotesi della detenzione di più stupefacenti di natura diversa in capo al medesimo soggetto risulta [oggi], su un piano empirico, di sempre più frequente verificazione, a fronte del progressivo aumento della [normale] disponibilità delle sostanze, da cui la conveniente possibilità, per lo spacciatore, di soddisfare una gamma sempre più ampia e variegata di acquirenti”. Nuovamente, Sezioni Unite Murolo, 2018, in Giurisprudenza, e Martin (ibidem)[13], in Dottrina, lasciano intendere che un'eccessiva severità sanzionatoria, nell'Art. 73 TU 309/90, non ha più senso, di fronte al dilagare delle esperienze tossicomaniche. Per conseguenza, anche il comma 5 Art. 73 TU 309/90 dev'essere applicato con maggiore elasticità ed ampiezza. Di nuovo, la concretezza dei costumi prevale sull'astrattezza proibizionistica della norma.

Sezioni Unite Murolo, 2018 hanno ribadito, nelle Motivazioni, la necessità di “contestualizzare” l'applicabilità, o meno, del reato di lieve entità; ovverosia “è necessario effettuare una valutazione globale e concreta della condotta, [poiché] […] non esiste alcuna prova del fatto che la detenzione di sostanze stupefacenti di diversa natura [sia leggere sia pesanti] sia indicativa di un più forte e stabile inserimento del soggetto nell'attività di traffico di stupefacenti, potendo la valutazione di tutti [i cinque] parametri enunciati dal comma 5 [Art. 73 TU 309/90] condurre verso la direzione opposta […]. La necessità di una valutazione globale è imposta dalla stessa lettera del comma 5 Art. 73 TU 309/90, che enuclea [cinque] diversi criteri di valutazione [ma] senza attribuire ad alcuno di essi carattere prevalente”. Come si può notare, Sezioni Unite Murolo, 2018 sottrae il comma 5 Art. 73 TU 309/90 a qualsivoglia automatismo precettivo, in tanto in quanto deve sempre dominare la ratio del “contesto concreto”.

D'altra parte, sarebbe risibile l'immagine di un Magistrato-calcolatore elettronico che applichi, o meno, la “lieve entità” come se si trattasse di una formula algebrica precostituita in maniera deterministica ed apodittica. In effetti, pure Bologna & Bosco & Spitaleri (2021)[14] appoggiano l'orientamento di Sezioni Unite Murolo, 2018, dal momento che “dall'esperienza giudiziaria emergono con frequenza casi in cui la detenzione contestuale di sostanze stupefacenti di natura eterogenea è un aspetto sostanzialmente neutro […]. e' fin troppo agevole trarre dall'esperienza giudiziaria casi in cui il possesso contestuale di differenti tipi di stupefacente è un aspetto sostanzialmente neutro, come, ad esempio, quando i quantitativi detenuti risultano essere assai modesti, ovvero la condotta dell'agente risulta, per altro verso, meramente occasionale”. Nuovamente, anche in Bologna & Bosco & Spitaleri (ibidem)[15] prevale la ratio della “concretizzazione” del reato alla luce di tutti i cinque parametri di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/90. Detti tre Autori, d'altra parte, specificano che “occorre muoversi nel valutare se complessivamente il fatto possa qualificarsi come lieve”; decisivo, pertanto, è e rimane l'avverbio “complessivamente”, ossia bilanciando e controbilanciando tutti i cinque criteri enunziati nel comma 5 Art. 73 TU 309/90, anche in presenza del possesso, per fini di spaccio, di più di una qualità di droga. Anzi, in alcuni Precedenti della Corte Costituzionale, è stato evidenziato, giustamente, che, a livello letterale, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 utilizza il lemma “sostanze”, senza specificare un'eventuale differenza sanzionatoria tra droghe leggere e droghe pesanti.

Viceversa, in Dottrina, Gambardella (ibidem)[16] puntualizza, in maniera restrittiva e retribuzionista, che “la mancata distinzione, quanto al trattamento sanzionatorio, tra droghe leggere e droghe pesanti rende la disposizione di cui al comma 5 Art. 73 TU 309/90 in contrasto con l'Art. 3 Cost., per violazione del canone di ragionevolezza, non essendo coerente con l'attuale sistema penale degli stupefacenti”. Chi redige osserva, in ogni caso, che il TU 309/90, non solo nell'ambito della lieve entità, non distingue, de jure condito, tra hard drugs e soft drugs, il che, certamente, non impedisce poi delle integrazioni a livello giurisprudenziale. Dunque, il parere di Gambardella (ibidem)[17] rimane valido solamente alla stregua di una proposta realizzabile dalla Consulta o direttamente dal Legislatore. Dal loro punto di vista, Sezioni Unite Murolo, 2018 rilevano che era indispensabile applicare il comma 5 Art. 73 TU 309/90 anche allo spaccio contestuale di più di una qualità di sostanza, poiché “[bisognava] rendere la risposta repressiva, in materia di stupefacenti, compatibile con i principi di offensività e di proporzionalità, nella consapevolezza del carattere variegato e mutante del fenomeno criminale cui [l'Art. 73 TU 309/90] si rivolge”. Senza dubbio, ognimmodo, chi scrive, alla luce dell'Art. 3 Cost. e della ratio della proporzionalità, non può negare, come fa Gambardella (ibidem)[18], la differente pericolosità sanitaria tra le sostanze pesanti e quelle leggere. Forse, Sezioni Unite Murolo, 2018 hanno sottovalutato la ferma sacralità del comma 1 Art. 32 Cost. nel TU 309/90. Senza dubbio tuttavia, secondo Bernardoni (2018)[19], la detenzione contestuale di più tipi di sostanze non è lieve qualora l'apparato organizzativo dello spaccio sia “estremamente professionale”. A parere di chi commenta, comunque, vale la pena di sottolineare che il comma 5 Art. 73 TU 309/90 è una norma quasi interamente di natura giurisprudenziale, come accade nella tradizione common lawyer anglo-statunitense.

 

La “lieve entità” nella storia del Diritto degli stupefacenti

Nel 1990, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 recitava che “quando, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da lire 5.000.000 a lire 50.000.000 se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall'Art. 14, ovvero le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da lire 2.000.000 a lire 20.000.000 se si tratta di sostanze di cui alle tabelle II e IV”. Cass., sez. pen. IV, 16 aprile 1997, n. 4240 (ripresa da Cass., SS.UU., 24 giugno 2010, n. 35737, Rico) precisava che il comma 5 Art. 73 TU 309/90 non era, come oggi, un reato autonomo, bensì una “circostanza attenuante oggettiva e ad effetto speciale”. Inoltre, come asserito da Insolera & Spangher & Della Ragione (ibidem)[20], l'attenuante della lieve entità era estremamente utile al fine di “correggere” la severità dell'Art. 73 TU 309/90, che andava “ragionevolmente e proporzionalmente mitigato” alla luce della “normalità” delle esperienze tossicomaniche giovanili. In terzo luogo, Cass., sez. pen. IV, 21 dicembre 2004, n. 10211 (anticipata da Cass., sez. pen. VI, 17 aprile 1998, n. 8612) evidenzia che il comma 5 Art. 73 TU 309/90 è, di solito, applicabile alla fattispecie del “piccolo spaccio di minima offensività”, un'offensività decisamente minima in presenza di una modesta cessione di droghe leggere.

Nel 2006, la L. 4/2006 (c.d. “legge Fini-Giovanardi”) il nuovo impianto proibizionista limitò fortemente l'incidenza precettiva della “lieve entità”, soprattutto alla luce dell'abrogazione neo-retribuzionistica della categoria delle “sostanze leggere”

Tuttavia, il problema del sovraffollamento carcerario recò al DL 146/2013, convertito nella L. 10/2014, la quale faceva assurgere il comma 5 Art. 73 TU 309/90 alla dignità di “reato autonomo”. Il nuovo testo della norma novellata disponeva che “salvo che il fatto costituisca un più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, le modalità o le circostanze dell'azione, ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 ad euro 26.000”

Infine, l'ultima novella legislativa è stato il DL 36/2014, convertito nella L. 79/2014, che ha abbassato il limite edittale della pena da uno/cinque anni di reclusione a sei mesi/quattro anni di reclusione.

Da menzionare è pure Consulta 32/2014, che, in maniera fin troppo concettuosa, ha fatto ritornare in vigore la legge “Iervolino-Vassalli”, ovverosia la primigenia stesura dell'Art. 73 TU 309/90. Provvidenzialmente, Consulta 32/2014 non ha abrogato né la costituzione della lieve entità come fattispecie autonoma (L.10/2014), né l'abbassamento delle pene introdotto dalla L. 79/2014. Ciononostante, Consulta 32/2014 distingueva tra doghe pesanti e droghe leggere, ma, paradossalmente, il comma 5 Art. 73 TU 309/90 non si fondava più su tale differenziazione. In secondo luogo, Consulta 32/2014 cagionava una illogica discrasia tra il troppo restrittivo comma 1 Art. 73 TU 309/90 ed il più elastico comma 5 della medesima norma; ciò a motivo dell'altalenante distinzione/non-distinzione tra cannabis e sostanze “dure”. A tal proposito, pure Consulta 23/2016, preceduta da Cass., sez. pen. IV, 28 febbraio 2014, n. 10514, evidenziava la necessità di una presa di posizione univoca, da parte del Legislatore, sulla tematica della differenziazione/non differenziazione tra sostanze leggere e sostanze pesanti. Per il vero, dal 2017 in poi, la Corte Costituzionale ha più volte auto-censurato la “irragionevolezza” normativa creata da Consulta 32/2014. P.e., Consulta 179/2017 (richiamata da Consulta 40/2019) auspicava un intervento del Legislatore per rimediare alla “sproporzione irragionevole” tra comma 1 e comma 5 Art. 73 TU 309/90.

 

[1]Palazzo, Il piccolo spaccio di stupefacenti può essere organizzato, in Diritto Penale e processo, 2014

 

[2]Insolera & Spangher & Della Ragione, I reati in materia di stupefacenti, Giuffrè, Milano, 2019

 

[3]Insolera & Spangher & Della Ragione, op. cit.
 

[4]Miazzi, Determinazione della pena in materia di stupefacenti: è possibile elaborare delle linee-guida ? In Diritto Penale contemporaneo, 2014

 

[5]Gambardella, Illeciti in materia di stupefacenti e riforma dei reati contro la persona: un antidoto contro le sostanze velenose, in Diritto Penale contemporaneo, 2019

 

[6]Insolera & Spangher & Della Ragione, op. cit.

 

[7]Di Giovine, Stupefacenti: meglio di tutta l'erba un fascio oppure un fascio per ogni erba ? In Legislazione penale, n. 2, 2020

 

[8]Di Giovine, op. cit.

 

[9]Bray, Stupefacenti: la Corte Costituzionale dichiara sproporzionata la pena minima di otto anni di reclusione per i fatti di non lieve entità aventi ad oggetto le droghe pesanti, in Diritto Penale contemporaneo, 2019

 

[10]Palazzo, op. cit.

 

[11]Palazzo, op. cit.
 

[12]Martin, Contemporanra detenzione di droghe pesanti e leggere: consentito inquadrare il fatto nella lieve entità, in Cammino Diritto, 2020

 

[13]Martin, op. cit.

 

[14]Bologna & Bosco & Spitaleri, La disciplina dei reati in materia di stupefacenti. Profili processuali e questioni giurisprudenziali, Maggioli, Milano, 2021

 

[15]Bologna & Bosco & Spitaleri, op. cit.

 

[16]Gambardella, op. cit.

 

[17]Gambardella, op. cit.

 

[18]Gambardella, op. cit.

 

[19]Bernardoni, Stupefacenti di qualità diversa e lieve entità: un passo avanti delle Sezioni Unite nel chiarimento dei rapporti tra le varie ipotesi di narcotraffico, in Diritto Penale contemporaneo, 2018

 

[20]Insolera & Spangher & Della Ragione, op. cit.