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La nozione di “uso personale” di stupefacenti

Stupefacenti
Stupefacenti

La nozione di “uso personale” di stupefacenti

 

La ratio dell' “uso personale”

Nella Giurisprudenza di legittimità, si è compresa la notevole indeterminatezza del lemma “quantità” in tema di stupefacenti. Secondo un primo orientamento, inaugurato da Cass., SS.UU., 10 luglio 2008, n. 28605, Di Salvia, non è reato o, meglio, è reato impossibile spacciare o coltivare una dose di sostanza priva di tenore drogante, ovverosia con un principio attivo “che non può modificare l'assetto neuropsichico dell'utilizzatore”. Dunque, per Sezioni Unite Di Salvia 2008, il criterio qualitativo prevale sempre su quello quantitativo. Tale è pure il parere di Cass., sez. pen. IV, 12 maggio 2010, n. 21814, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674 e Cass., sez. pen. IV, 19 novembre 2008, n. 6207. Esiste pure un secondo filone esegetico, iniziato da Sezioni Unite Kremi 1998, ovverosia “il quantitativo della sostanza non ha alcuna rilevanza, dovendosi piuttosto fare riferimento ai beni giuridici tutelati ed alla tipologia di sostanza indicata nelle tabelle”. Questa interpretazione è seguita anche da Cass., sez. pen. V, 26 ottobre 2010, n. 3354, Cass., sez. pen. IV, 3 luglio 2009, n. 32317 nonché da Cass., sez. pen. VI, 24 gennaio 2007. Del pari, in Dottrina, Bartoli (1999)[1] invita anch'egli l'Operatore giuridico ad abbandonare la ratio della mera “quantità”, per concentrarsi, invece, sull'apprezzamento del grado di offensività della singola sostanza nei confronti del bene della salute collettiva ed individuale tutelata ex comma 1 Art. 32 Cost. .

Negli Anni Duemila, specialmente in Cass., sez. pen. IV, 15 aprile 2014, n. 18504, la Suprema Corte ha sposato le tesi di Bartoli (ibidem)[2] e di Sezioni Unite Kremi 1998; per conseguenza, la “quantità” non è più un criterio assoluto, bensì essa va qualitativamente interpretata soprattutto ed innanzitutto alla luce della “pericolosità” sanitaria dello stupefacente. Similmente, Cass., sez. pen. IV, 21 maggio 2008, n. 22643 esorta il Magistrato del merito a contestualizzare gli Artt. 73 e 75 TU 309/90 all'interno del parametro “qualitativo” della “tossicità” del preparato psicotropo, la cui “pericolosità” dipende non da valutazioni quantitativo-ponderali, bensì dalla minaccia arrecata nei confronti della “salute” dell'assuntore ex comma 1 Art. 32 Cost. . In effetti, Cass., sez. pen. 20 settembre 2013, n. 43184 e Cass., sez. pen. IV, 5 aprile 2013, n. 29891 rimarcano che non ha senso ipostatizzare la “quantità”, giacché, come nella fattispecie del fentanyl, anche una dose infima può recare a gravi danni psicofisici. Pertanto, prevale quasi sempre il principio della “qualità”, pur se ciò non tange il valore dell'aggravante eventuale della “ingente quantità”. Oppure ancora, si pensi a Cass., sez. pen. VI, 21 novembre 2013, n. 2652, ove la Suprema Corte ha aspramente criticato “il ricorso al solo dato ponderale della sostanza detenuta”.

L'appello a non dogmatizzare esclusivamente la “quantità” è contenuto pure in Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082, Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459, Cass., sez, pen. IV, 20 settembre 2013, n. 43184, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 e Cass., sez. pen. III, 2 marzo 2010, n. 12381. Anche in Cass., sez. pen. VI, 20 giugno 2007 (ripresa da Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120) la Suprema Corte evidenzia che il dato ponderale è insufficiente, in tanto in quanto “il giudice deve prendere in considerazione pure i mezzi, le circostanze e le modalità del fatto”. Di nuovo, la Corte di Cassazione ribadisce l'inutilità del solo criterio quantitativo. Anzi, in Dottrina, Ruga Riva (2007)[3] giunge a parlare di “eventuale irrilevanza del dato quantitativo”. La variabile della “nocività per la salute” prevale sulla “quantità” anche in Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, Cass., sez. pen. VI, 12 febbraio 2009, n. 12146, Cass., sez. pen. Vi, 18 settembre 2008, n. 39017, Cass., sez. pen. IV, 16 aprile 2008, n. 31103, Cass., sez. pen. VI, 2 aprile 2008, n. 27330 ed in Cass., sez. pen. VI, 29 gennaio 2008, n. 17899. Interessante, nella Giurisprudenza di merito, sono state Trib. Perugia, 5 agosto 2009 e Trib. Rovereto, 5 dicembre 2006, nelle quali gli imputati sono stati prosciolti perché la quantità ingente di stupefacenti non consentiva di predicare la pericolosità tossicologica delle sostanze “oltre ogni ragionevole dubbio”. Di nuovo, la Giurisprudenza indice il Magistrato a contestualizzare la ratio suprema ex comma 1 Art. 32 Cost. nell'ottica  di una visione d'insieme che non tiene conto del solo “fattore ponderale”.

Cass., sez. pen. IV, 6 aprile 2011, n. 33301 ha affermato che “la Giurisprudenza deve abbandonare la preminenza del criterio quantitativo e deve elaborare ulteriori elementi indiziari della destinazione di spaccio [ex Art. 73 TU 309/90], i quali, sebbene non tipizzati [de jure condito] possono essere particolarmente significativi”. P.e., Cass., sez. pen. IV, 8 luglio 2014, n. 36263 ha esortato l'interprete a valutare “le caratteristiche qualitative della sostanza stupefacente o psicotropa, il che assume un valore peculiare in tema di coltivazione”; in effetti, spesso accade che la canapa coltivata sia “quantitativamente ingente”, ma priva di un “concreto tenore drogante”. Oppure ancora, Cass., sez. pen. IV, 4 luglio 2014, n. 36356 attribuisce valore alle “condizioni economiche dell'agente”, mentre reputa secondaria la “quantità” di droga alienata. Utile è pure Cass., sez. pen. IV, 17 luglio 2014, n. 36931, che sottolinea la basilarità delle “modalità di detenzione” della sostanza, sempre a prescindere dalla troppo abusata e semplicistica variabile “quantitativa”. Analogo, presso la Giurisprudenza di legittimità, è il parere di Cass., sez. pen. IV, 1 luglio 2014, n. 34250, Cass., sez. pen. VI, 6 marzo 2013, n. 11025, Cass., sez. pen.  VI, 11 aprile 2002 nonché di Sezioni Unite Iacolare 1997.

Egualmente, la ratio del “dato ponderale” è messa in secondo piano, nella Giurisprudenza di merito, da Trib. Napoli, 27 aprile 2009, GIP Trib. Perugia, 24 novembre 2005, Trib. Milano, 25 ottobre 2006, Trib. La Spezia, 12 luglio 2001 nonché da Trib. Roma, 25 gennaio 2000. Oppure, basti pensare a Cass., sez. pen. VI, 18 settembre 2002, n. 2791 (anticipata da Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1999), in cui il “consumo di gruppo”, dunque personale, è stato valutato come tale non con riguardo alla “quantità” della provvista, bensì alla luce “ della dimensione sociale del consumo, ovverosia del rapporto di amicizia tra l'acquirente e gli altri consumatori”. Come si nota, anche in tal caso la precettività dell'Art. 73 TU 309/90 è stata esclusa indipendentemente dal parametro numerico-ponderale. Parimenti, Sezioni Unite Iacolare 1997, sulla scia di Consulta 296/1996, sostengono che l'Art. 73 TU 309/90, nel consumo di gruppo, non è applicabile “in presenza di una omogeneità teleologica, [ossia] quando l'acquisto avviene per il consumo di ciascun componente del gruppo, e, quindi, quando il procacciatore ha agito, fin dall'inizio, per conto anche degli altri soggetti, di cui sia certa l'identità e sia manifesta la volontà di procurarsi la sostanza destinata al consumo di gruppo [dunque personale ex Art. 75 TU 309/90]”.

Sempre in tema di “uso collettivo”, la “teleologia” dell'acquisto predomina sul fattore “quantità” anche in Cass., sez. pen. VI, 26 gennaio 2011, n. 8366 nonché in Cass., sez. pen. II, 6 maggio 2009, n. 23574. La “finalità” dell'uso in gruppo è determinante pure in Sezioni Unite Iacolare 1997, in tanto in quanto, senza guardare al “quantitativo” di sostanza acquistata, “la consegna [finale] delle rispettive quote rappresenta l'esecuzione di un precedente accordo tra l'agente e gli altri soggetti, che non si pongono, quindi, in posizione estraneità rispetto al cedente, bensì come codetentori fin dall'acquisto, eseguito anche per conto loro. Occorre, dunque, la prova che la sostanza sia acquistata da uno dei partecipanti al gruppo su preventivo mandato degli altri, in vista della futura ripartizione [delle dosi], di talché possa affermarsi che l'acquirente agisca come longa manus degli altri, e che il successivo frazionamento della sostanza acquisita sia solo un'operazione materiale di divisione”. Tale interpretazione “finalistica” e non “quantitativa” dell'acquisto in vista di un “consumo di gruppo” è confermata pure da Cass., sez. pen. IV, 14 gennaio 2009, n. 7939, Cass., sez. pen. VI, 1 marzo 2007, Cass., sez. pen. VI, 10 marzo 2008, Cass., sez. pen. IV, 7 luglio 2008, n. 37989, Cass., sez. pen. IV, 10 luglio 2007, Cass., sez. pen. VI, 3 giugno 2004, Cass., sez. pen. VI, 18 settembre 2002 nonché da Cass., sez. pen. VI, 21 marzo 1997. Detti Precedenti di legittimità applicano l'Art. 75 TU 309/90 senza considerare il dettaglio della “quantità ingente” della provvista comperata in vista di un successivo frazionamento delle dosi tra i vari partecipanti al consumo di gruppo. Dunque, la “qualità” del fine supera il “parametro ponderale”.

Sempre in tema di uso collettivo e simultaneo di droghe, Cass., sez. pen. VI, 30 ottobre 1996, n. 215 ha notato, nelle Motivazioni, che “la codetenzione [per uso personale ex Art. 75 TU 309/90] riguarda una situazione di fatto unitaria, caratterizzata da un rapporto intimo che si stabilisce e si esaurisce fra i soggetti, codetentori [non ex Art. 73 TU 309/90] di singole quote ideali. Da siffatta situazione non può [dunque] farsi derivare – a priori – un concorso nel reato di codetenzione di droga al fine di spaccio, nel presupposto astratto di una presunta cessione reciproca di quote, oppure per effetto di una possibile disponibilità, da parte di ciascun codetentore, dell'intero quantitativo della sostanza drogante; ai fini della ipotizzabilità del concorso nel reato di codetenzione a fine di spaccio [ex Art. 73 TU 309/90] è necessaria l'acquisizione di una prova certa che, travalicando il fatto unitario e le ragioni specifiche della codetenzione della sostanza drogante, dimostri, in modo concreto e senza equivoci, che tale situazione – di per sé neutra – sia finalizzata all'attività di spaccio all'interno del gruppo dei codetentori, oppure nei confronti di terzi”. Entro tale medesima ottica, l'Art. 75 TU 309/90, nel consumo di gruppo, è applicato anche in Cass., sez. pen. IV, 27 maggio 1994, n. 776 ed in Cass., sez. pen. I, 6 novembre 1995, n. 5548. In particolare, Cass., sez. pen. I, 6 novembre 1995, n. 5548 mette in risalto che “la socializzazione della provvista detenuta” impedisce l'applicazione dell'Art. 73 TU 309/90, facendo prevalere le sole sanzioni amministrative di cui all'Art. 75 TU 309/90.

Purtroppo, il consumo di gruppo non è normato de jure condito ed è e rimane un costrutto giurisprudenziale e dottrinario. Ex comma 1 Art. 618 Cpp, Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401 ha asserito che “l'acquisto o la consumazione da parte di più assuntori – congiuntamente o su mandato – può essere equiparata all'ipotesi del consumo personale, integrando così l'illecito amministrativo di cui all'Art. 75 TU 309/90, qualora la codetenzione e la comunione del fine di consumo escludano la condotta di spaccio”. La non applicabilità dell'Art. 73 TU 309/90 all'uso collettivo e simultaneo è ribadita pure da Cass., sez. pen. IV, 23 gennaio 2014, n. 6782 nonché da Cass., sez. pen. VI, 27 febbraio 2012, n. 17396. In Dottrina, la suesposta posizione riduzionista è condivisa da Amarelli (2013[4], 2011[5]) e da Pisani (2000)[6].

 

Altri indici della “personalità dell'uso”

Secondo Cass., sez. pen. VI, 21 novembre 2013, n. 2652 (assai simile alla pregressa Cass., sez. pen. VI, 3 giugno 2008, n. 28720) “molto significativa può risultare la condizione soggettiva dell'agente, con riguardo alle modalità comportamentali dello stesso”. P.e., Consulta 296/1996 (preceduta dall'analoga Consulta 133/1992) ha statuito che l'applicabilità, o meno, dell'Art. 75 TU 309/90 può dipendere dall'”eventuale stato di tossicodipendenza” del detentore. Oppure, Trib. Perugia 5 agosto 2009 reputa che la personalità, o meno, del consumo può dipendere “dal tipo di rapporto” intercorrente tra il pusher ed il tossicomane che acquista la sostanza illecita. Malaugurevolmente, de jure condito, il TU 309/90 non approfondisce più di tanto i requisti “soggettivi” che recano o non recano alla non-precettività dell'Art. 73 TU 309/90; sicché, tali parametri sono lasciati al lavoro integratorio della Giurisprudenza. P.e., Cass., sez. pen. VI, 10 marzo 2008, Cass., sez. pen. VI, 18 settembre 2002 e Cass., sez. pen. VI, 4 giugno 1999 evidenziano che, nell'ambito del consumo di gruppo, quasi sempre la valutazione del Magistrato di merito dipenderà dal “rapporto [soggettivo] di amicizia” tra l'acquirente e gli altri componenti del sodalizio tossicomaniacale.

Del pari, in Dottrina, Manes (2012)[7] reputa che l'Art. 75 TU 309/90 tende a prevalere all'interno di un raggruppamento connotato da profonda ed intima “amicizia”. Anzi, Manes (ibidem)[8] giunge addirittura ad asserire che, nella fattispecie del consumo di gruppo, non avrebbe nemmeno senso parlare di offesa alla ratio della salute ex comma 1 Art. 32 Cost., giacché il raduno tossicomanico di più assuntori manifesta un più che evidente carattere ludico-ricreativo sussumibile, tra l'altro, nel più debole campo applicativo dell'Art. 75 TU 309/90. D'altronde, anche la Giurisprudenza di legittimità, in Cass., sez. pen. VI, 29 ottobre 2013, n. 47523, ribadisce, in sintonia con Manes (ibidem)[9] che, nel contesto di un'assunzione collettiva e simultanea, non sussiste alcuna offensione di beni giuridicamente protetti, e ciò alla luce dell'intimo, reciproco e più che deliberato consenso delle persone costituenti il gruppo. Questa pericolosità astratta, dunque penalmente irrilevante, è ripetuta pure da Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459, Cass., sez. pen. VI, 12 febbraio 2009, n. 12146 e da Cass., sez. pen. VI, 2 aprile 2008, n. 27330. Similmente, Cass., sez. pen. VI, 11 ottobre 2007 dichiara non penalmente rilevante la coltivazione in gruppo di piante stupefacenti destinate ad essere fumate insieme da un gruppo unanime di tossicomani. Ove manca un bene leso, manca anche la rilevanza penale non astratta. Anche in Dottrina, non pochi Autori reputano contrario alla “ragionevolezza” del Diritto Penale sanzionare il consumo di gruppo a mezzo delle non lievi pene di cui all'Art. 73 TU 309/90.

 

Cessione e coltivazione nel TU 309/90

Sotto il profilo strettamente letterale, il comma 1 Art. 73 TU 309/90 qualifica come sempre “penalmente rilevanti” le condotte della cessione, della spedizione e della coltivazione. Eppure, nella Giurisprudenza, siffatte tre azioni talvolta, ovverosia in casi bagatellari, possono essere sussunte nel meno grave campo precettivo dell'Art. 75 TU 309/90. Analoga osservazione vale pure con afferenza a tutti gli altri verbi contemplati nel comma 1 Art. 73 TU 309/90 (“Chiunque […] produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo [...]”). Di nuovo, tuttavia, le condotte ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 non necessariamente escludono l'”uso personale” di cui all'Art. 75 TU 309/90.

Confrontando il comma 1 Art. 73 TU 309/90 con il comma 1 Art. 75 TU 309/90, Manes (ibidem)[10] rimarca che “l'incongruenza appare evidente, in primis per la mancanza di razionalità sistematica che emerge dal confronto con gli altri tipi di condotta di cui al comma 1 bis dell'Art. 73 TU 309/90 (come l'importazione o l'esportazione) che invece  potrebbero essere configurati coma una condotta destinata al consumo meramente personale”. Anche in Giurisprudenza, la teleologia “personale” delle azioni di cui al comma 1 Art. 73 TU 309/90 non è presuntivamente esclusa da Cass., sez. pen. IV, 15 novembre 2005. Del pari, Cass., sez. pen. IV, 30 maggio 2000 sottolinea che gli illeciti elencati nel comma 1 Art. 73 TU 309/90 possono essere rilevanti sotto il mero profilo amministrativo alla luce di un potenziale “uso esclusivamente personale” delle sostanze stupefacenti. D'altronde, Manes (2006)[11] ed Insolera (2006)[12] hanno fatto notare che una rilevanza tassativamente penale del comma 1 Art. 73 TU 309/90 è contraria alla ratio della “ragionevolezza” ed al comma 3 Cost., in tanto in quanto tutto dipende dalla personalità o meno dell'uso finale. Sempre Manes (ibidem)[13] ed Insolera (ibidem)[14] mettono in risalto, con attinenza agli illeciti della “cessione” e della “coltivazione”, che la rilevanza penale o, viceversa, quella amministrativa dipendono “dalla verifica, in concreto, degli elementi che concretizzano l'offesa al bene giuridico tutelato [ex comma 1 Art. 32 Cost.]”. P.e., la coltivazione di un tipo di canapa privo di tenore drogante è irrilevante sotto il profilo penalistico. Oppure ancora, può darsi che le piante non siano ancora mature. Oppure, può capitare che la cessione o la coltivazione siano finalizzate ad un consumo strettamente personale o di gruppo ex Art. 75 TU 309/90.

D'altra parte, anche Sezioni Unite Iacolare 1997 ha optato, nel caso di una finalizzazione “personale”, per l'applicabilità dell'Art. 75 TU 309/90 alla cessione o alla coltivazione; ovverosia “nell'area della cintura protettiva di irrilevanza penale [ex Art. 75 TU 309/90], riservata alle condotte di consumo personale, possono rientrare anche i comportamenti immediatamente precedenti all'assunzione, come la detenzione, l'acquisto o l'importazione. Da qui si può poi logicamente desumere che, anche nell'ipotesi di consumo di gruppo, l'acquisto congiunto e la codetenzione possono costituire antecedenti immediati e necessari al consumo stesso, inerendo, quindi, al rapporto del singolo assuntore con la sostanza […]. Più specificamente, in questi casi, non vi è alcuna cessione, ma una semplice divisione della sostanza tra coloro che ne erano già divenuti proprietari con un accordo, ancorché implicito”. L'Art. 75 TU 309/90 “copre” le condotte ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 anche nell'interpretazione di Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401, nel senso che “se il nucleo centrale dell'illecito amministrativo [ex Art. 75 TU 309/90] è costituito dal consumo personale, non si può non essere d'accordo sul corollario che ne deriva: non ha rilevanza penale quanto immediatamente precede il consumo personale, ossia l'antecedente dell'assunzione”. Ecco, di nuovo, in Cass., SS.UU., 31 gennaio 2013, n. 25401 la manifesta “irragionevolezza” della tassativa sussunzione della “cessione” e della “coltivazione” nel comma 1 Art. 73 TU 309/90. Tutto dipende dall'eventuale fine dell'uso esclusivamente personale. Anzi, per la verità, anche la “spedizione” di cui al comma 1 Art. 73 TU 309/90 può avere una teleologia “personale”, dunque anche tale condotta non è sempre e comunque penalmente rilevante.

Tuttavia, non mancano pareri difformi. P.e., Cass., sez. pen. VI, 21 novembre 2013, n. 50112 ha precisato che “la cessione, ancorché a titolo gratuito, rientra tra quelle condotte particolarmente pericolose, poiché in grado di diffondere le sostanze stupefacenti e, per questo, ontologicamente incompatibile con il concetto di consumo personale”. Anche Cass., sez. pen. VI, 21 aprile 2009, n. 33422, Consulta 296/1996 nonché Cass., sez. pen. IV, 23 settembre 1996 hanno predicato che la cessione e la coltivazione sono (rectius: sarebbero) sempre penalmente rilevanti alla luce della grave offensione recata al bene della salute collettiva ed individuale ex comma 1 Art. 32 Cost. . In Dottrina, tuttavia, il summenzionato orientamento è stato smentito dalla fattispecie del “consumo di gruppo”, ove la sostanza, tranne nel caso di consumatori minorenni, non lede alcun bene giuridicamente tutelato, giacché l'accordo di gruppo trasforma la cessione e/o la coltivazione in un evento ludico-ricreativo che nulla ha a che fare con la protezione della salute di cui al comma 1 Art. 32 Cost. . Nel consumo di gruppo, la coltivazione e/o la cessione sono rilevanti ex Art. 75 TU 309/90 e non ex comma 1 Art. 73 TU 309/90. Diverso, invece, è il discorso se, nell'ambito di un consumo di gruppo, chi coltiva o chi cede la sostanza persegue una finalità di lucro; in tal caso, ritorna precettivo il comma 1 Art. 73 TU 309/90, poiché la teleologia dell'azione del cedente/coltivatore non è una condotta meramente ludico-ricreativa da svolgere insieme agli altri consumatori. Similmente, la coltivazione o la cessione per un consumo di gruppo è e rimane penalmente rilevante qualora rechi denaro ad organizzazioni criminali dedite al narcotraffico.

Ossia, l'Art. 75 TU 309/90 è applicabile nella sola ipotesi di un consumo bagatellare, personale e, comunque, non idoneo a diffondere sostanze stupefacenti sanitariamente pericolose per la collettività alla luce del comma 1 Art. 32 Cost. . Tant'è che, in Giurisprudenza, la finalità della “commercializzazione” della sostanza ceduta o coltivata esclude sempre la mera rilevanza amministrativa ex Art. 75 TU 309/90. Si vedano, a tal proposito, Cass., sez. pen. VI, 4 dicembre 2013, n.  51497, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082, Cass., sez. pen. IV, 14 aprile 2005, Cass., sez. pen. IV, 30 maggio 2000 nonché Cass., sez. pen. IV, 19 gennaio 2000. Analoga osservazione vale pure per la rilevanza penale di dosi “spedite” con finalità di lucro e senza un uso “strettamente personale”. Similmente, Cass., sez. pen. IV, 10 luglio 2007, n. 35682 precisa anch'essa che, nell'ambito del consumo di gruppo, la non rilevanza penale è subordinata alla “condivisione” di tutti i partecipanti senza alcun fine di “commercializzazione”. Inoltre, come prevedibile, la cessione per fini di gruppo è amministrativamente precettiva soltanto se non provoca un incremento delle sostanze stupefacenti circolanti sul mercato dello spaccio.

 

La coltivazione di stupefacenti non penalmente rilevante

Secondo una prima interpretazione, inaugurata da Cass., sez. pen. VI, 12 luglio 1994, n. 3353, “si può tracciare una distinzione tra la coltivazione in senso tecnico-agrario e quella domestica; mentre la prima costituisce un'attività imprenditoriale intrinsecamente destinata allo spaccio, la seconda va considerata come una species del più ampio genus della detenzione al fine di subordinare la rilevanza penale ai criteri indicati nell'Art. 73 comma 1 bis TU 309/90”. Tale ottica esegetica è confermata da Cass., sez. pen. VI, 2 maggio 2013, n. 22110, Cass., sez. pen. VI, 20 settembre 2007, Cass., sez. pen. VI, 21 settembre 2007, Cass., sez. pen. VI, 18 gennaio 2007 nonché da Cass., sez. pen. VI, 11 ottobre 2007.

Secondo una seconda interpretazione inaugurata da Consulta 443/1993, “la coltivazione è illecita tout court, poiché essa è un reato di pericolo […] e non si può determinare a priori la quantità o la tossicità della sostanza stupefacente ricavabile, né la destinazione ad un uso personale, o meno […]. Comunque e nondimeno, il giudice ha il compito di verificare [ex comma 1 Art. 32 Cost.] l'idoneità offensiva della condotta. La condotta è inoffensiva soltanto se il bene tutelato [della salute] non è stato leso o messo in pericolo, anche se in grado minimo […], sicché […] l'offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile, ovvero quando la condotta sia priva della concreta attitudine ad influenzare in qualche, anche lieve, misura l'attività neuropsichica del consumatore”. La testé esposta tesi è condivisa da Cass.,sez. Pen. VI, 4 dicembre 2013, n. 51497, Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120, Cass., sez. pen. IV, 5 aprile 2013, n. 29891, Cass., sez. pen. IV, 17 febbraio 2011, n. 25674,  Cass., sez. pen. VI, 9 dicembre 2009, n. 49523, Cass., sez. pen. IV, 16 gennaio 2008, Cass., sez. pen. VI, 12 maggio 2008, Cass., SS.UU., 10 luglio 2008, n. 28605, Di Salvia, Cass., sez. pen. IV, 15 novembre 2005, Cass., sez. pen. VI, 9 giugno 2004, Cass., sez. pen. IV, 29 settembre 2004 e da Cass., sez. pen. IV, 10 marzo 2000. Siffatta seconda interpretazione, nella Giurisprudenza di merito, è seguita pure da Trib. Roma, 12 febbraio 2010, conforme, a sua volta, a Consulta 360/1995. La non rilevanza penale di una pianta “inidonea a provocare un effetto stupefacente” è ribadita pure da Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 e da Cass., sez. pen. VI, 2 maggio 2013, n. 22110. Analogamente, il concetto di non pericolosità penale della pianta priva o quasi priva di principio attivo è ripreso da Cass., sez. pen. IV, 20 settembre 2013, n. 43184 nonché da Cass., sez. pen. IV, 5 aprile 2013, n. 29891. In buona sostanza, l'Art. 75 TU 309/90 predomina sul comma 1 Art. 73 TU 309/90 allorquando la coltivazione presenta una pericolosità anti-giuridica ed anti-sociale “meramente astratta”, dunque non lesiva del bene della salute collettiva ed individuale ex comma 1 Art. 32 Cost. .

Dopo Sezioni Unite Di Salvia 2008, la Giurisprudenza ha reputato sanzionabili le sole coltivazioni in grado di ledere il bene della salute. P.e., Cass., sez. pen. VI, 22 gennaio 2013, n. 8393 ha sottolineato che è “socialmente pericolosa” una coltura da cui sia ricavabile uno stupefacente munito di un principio attivo non trascurabile. Diversamente, Cass., sez. pen. VI, 10 dicembre 2012, n. 12612 ha reputato anti-normativa una piantagione dalla quale siano ricavabili parecchie dosi fortemente droganti. In ogni caso, la coltivazione rimane penalmente rilevante anche se gli arbusti non sono ancora germogliati. A tal proposito, Cass., sez. pen. III, 31 gennaio 2013, n. 21120 evidenzia che “deve considerarsi inaccettabile qualsiasi automatismo interpretativo che escluda sempre e comunque l'offensività  per il solo fatto che, in concreto, il ricavato della coltivazione sia risultato non contenere principio attivo stupefacente. L'inidoneità offensiva della condotta, infatti, deve essere assoluta e non può dipendere da circostanze occasionali e contingenti, quale è quella della scoperta della piantagione da parte della PG. Diversamente opinando, si perverrebbe irrazionalmente ad affermare l'irrilevanza penale anche di una coltivazione di notevoli dimensioni per il numero di piante messe a dimora, per il solo fatto che essa sia stata scoperta all'inizio del processo di maturazione ed esclusivamente per tale circostanza fattuale sia risultata non caratterizzata dalla presenza di principio attivo”.

Del pari, la “pericolosità in via putativa” è asserita anche da Cass., sez. pen. VI, 9 gennaio 2014, n. 6753, in tanto in quanto “ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l'offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, né quando risulti l'assenza di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all'esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il coltivare [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90] è attività che si riferisce all'intero ciclo evolutivo dell'organismo biologico”. Tale “pericolosità potenziale” della pianta non ancora matura è confermata pure in Cass., sez. pen. IV, 8 ottobre 2008, n. 44287.

Viceversa, fa eccezione Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459, la quale nega la rilevanza penale dei soli germogli non formati, dunque “astrattamente pericolosi”. Di solito, la Giurisprudenza di legittimità, in ogni caso, invita il Magistrato del merito a contestualizzare, di volta in volta, lo specifico grado di “pericolosità” socio-sanitaria della pianta; siffatta “concretizzazione”  della singola fattispecie in esame è raccomandata, ad esempio, da Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082, Cass., sez. pen. VI, 2 maggio 2013, n. 22110 nonché da Cass., sez. pen. VI, 15 marzo 2013, n. 22459. In effetti, anche a parere di chi redige, ogni specifico caso va valutato alla luce delle proprie concrete ed irripetibili “circostanze”. P.e., Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 reputa sempre e comunque penalmente rilevante ex comma 1 Art. 73 TU 309/90 una piantagione molto estesa e “professionalmente organizzata”. Più nel dettaglio, nelle Motivazioni, Cass., sez. pen. III, 9 maggio 2013, n. 23082 asserisce che “ai fini dell'accertamento della concreta offensività della condotta, dovrà aversi riguardo non solo al quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, in relazione al loro grado di sviluppo, ma dovrà altresì tenersi conto della estensione e della struttura eventualmente organizzata della piantagione, da cui possa derivare una produzione di sostanze stupefacenti potenzialmente idonea ad incrementare il mercato”.

Molti Autori, in Dottrina, hanno criticato i Precedenti di legittimità suesposti, in tanto in quanto essi configurano la coltivazione come un “delitto di pericolo presunto”, poiché la non maturazione delle piante impedisce la formazione di un concreto tenore drogante offensivo nei confronti del bene della salute collettiva ed individuale di cui al comma 1 Art. 32 Cost. . Inoltre, non bisogna mai dimenticare che la finalità dell'uso esclusivamente personale fa prevalere l'applicabilità dell'Art. 75 TU 309/90 su quella del comma 1 Art. 73 TU 309/90. Di più, un germoglio privo di maturazione non reca quel principio attivo che determina la precettività della normativa penale in tema di stupefacenti, giacché una pianta non ancora matura non rientra nella categoria delle sostanze illecite. Pertanto, non ha senso nemmeno invocare la tutela ex comma 1 Art. 32 Cost.. Anzi, il consumo personale e quello di gruppo nemmeno sono idonei ad incrementare quantitativamente il mercato delle droghe. Infine, giova sottolineare che, nel contesto dell'Art. 75 TU 309/90, non trova spazio nemmeno la circostanza aggravante della presenza di una associazione per delinquere professionalmente organizzata.

 

[1]Bartoli, Sostanze stupefacenti prive di efficacia drogante e concezione realistica del reato, in Diritto Penale e Processuale Penale, 1999

 

[2]Bartoli, op. cit.

 

[3]Ruga Riva, Droga: il superamento dei limiti tabellari non costituisce prova della finalità di spaccio, e neppure integra di per sé un grave indizio di colpevolezza, in Corr. mer., n. 10/2007

[4]Amarelli, La controversa qualificazione giuridica del consumo di gruppo di stupefacenti dopo la riforma del 2006: le sezioni unite propendono per la irrilevanza penale, in Riv. nel diritto, 2013

 

[5]Idem, l'uso di gruppo tra modifiche normative e overruling, in Riv. it. dir. e proc. Pen., 2011

 

[6]Pisani, In tema di uso di gruppo di sostanze stupefacenti, in Cass. Pen., 2000

 

[7]Manes, La disciplina penale degli stupefacenti, a cura di Insolera & Manes, 2a edizione, Milano, 2012

 

[8]Manes, op. cit.

 

[9]Manes, op. cit.

 

[10]Manes, op. cit.

 

[11]Manes, La disciplina penale degli stupefacenti, a cura di Insolera & Manes, 2.a edizione, Milano, 2006

 

[12]Insolera, ibidem

 

[13]Manes, op. cit.

 

[14]Insolera, op. cit.