x

x

L’esenzione dalla revocatoria fallimentare dei compensi corrisposti ai dipendenti e collaboratori

Legge Fallimentare, Articolo 67, comma 3 lettera f
Osservazioni generali.

Il terzo comma dell’art. 67 della legge fallimentare, modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n.35 conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, indica una serie di esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, che, in aggiunta al dimezzamento dei tempi del periodo sospetto, contribuiscono ad un significativo restringimento del campo operativo dell’istituto.

La riforma ha voluto assicurare stabilità e certezza ai rapporti giuridici e dare anche più speditezza alla procedura (in tema cfr. G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell’art. 67 l. fall., in Il Fallimento, 2009, 14; A.A. Dolmetta, sulla revocatoria fallimentare riformata: problemi applicativi su “termini” ed “esenzioni, doc. n. 92/2008, in www.ilcaso.it; D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm. 2007, I, 163).

Per il punto relativo alla lett. f) della norma suddetta, sono esenti da revocatoria “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.

L’esenzione da revocatoria, in tal caso, non si applica soltanto ai pagamenti di crediti liquidi ed esigibili di cui al comma 2 dell’art. 67, ma anche ai pagamenti di cui al comma 1 dello stesso articolo non effettuati con mezzi normali di pagamento ed anche all’ipotesi contemplata dall’art. 65 (cfr. G.B. Nardecchia, cit.,18).

Finalità della norma. Aspetti critici.

L’esenzione si giustifica col fine di assicurare la continuazione dell’attività di impresa in crisi, puntando al superamento della stessa, non escluso il ricorso a soluzioni giudiziali e stragiudiziali alternative al fallimento.

L’incombenza della revocatoria costituisce infatti un disincentivo alla prestazione di lavoro nell’imminenza di fallimento (cfr. Pajardi – Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, 7 ed., Milano, 2008, 440), soprattutto da parte dei lavoratori qualificati che potrebbero essere indotti ad interrompere la collaborazione, accettando l’offerta di impiego di concorrenti, contribuendo così a rendere ancora più critica la situazione. La corresponsione delle retribuzioni è condizione necessaria per assicurare l’operatività aziendale.

L’intento è parimenti quello di dare protezione a soggetti socialmente deboli, come in genere vengono considerati i lavoratori dipendenti e figure affini. Diversamente gli stessi potrebbero essere costretti a restituire alla curatela le retribuzioni percepite per il lavoro svolto, pur godendo le medesime del privilegio di primo grado di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c..

Anche se le ragioni dell’esenzione sono sicuramente condivisibili, non si può comunque sottacere il pericolo che in tal modo possa essere lesa la par condicio creditorum. L’imprenditore potrebbe pagare in misura diversa ed in tempi diversi lavoratori muniti dello stesso privilegio. Così chi ha ricevuto il pagamento lo trattiene in via definitiva, perché lo stesso non è revocabile, a danno dei creditori di pari grado a cui nulla è stato dato. Si pensi al caso limite che venga corrisposta la retribuzione ai dirigenti, non invece agli operai ed impiegati.

In circostanze particolari, se sussistono i presupposti di cui all’ art. 2901 c.c., non si può escludere che il curatore possa chiedere la restituzione dei pagamenti, agendo con la revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fallim..

Ambito di applicazione della tutela.

L’esenzione di cui si tratta si fonda sulla rilevanza soggettiva di chi riceve i pagamenti e riguarda sia i dipendenti del fallito, sia i lavoratori parasubordinati, come sono ad esempio i collaboratori a progetto, secondo l’accezione che deriva anche dall’art. 409 n. 3 del codice di procedura civile in tema di controversie di lavoro.

La categoria dei dipendenti è configurata dagli artt. 2094 e 2095 c.c., tenendo anche conto delle nuove figure lavorative introdotte dalla legge Biagi (d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276).

La genericità del testo crea comunque problemi interpretativi nel delineare l’ambito di applicazione della norma, che possono trovare soluzione se si considerano le finalità della tutela.

L’esenzione dovrebbe anche applicarsi al socio d’opera delle società personali, quando l’attività sia in concreto esercitata con modalità tali da configurare lo stato di dipendenza economica che costituisce l’elemento essenziale della parasubordinazione (Cass. lav. 3 giugno 1997, n. 4928, in Arch. civ. 1997, 970) ed anche ai soci lavoratori di cooperativa se il rapporto di lavoro prevale su quello societario (Bertacchini, Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio, Bologna, 2007, 1005).

Pagamenti non revocabili dovrebbero essere considerati anche gli emolumenti corrisposti all’agente di commercio, dato che questa figura sotto i profili delle tutele è per molti aspetti equiparabile a quella del dipendente ed alla stessa si applica il citato art. 409 n. 3 c.p.c..

Devono considerarsi esclusi dall’esenzione i compensi pagati a liquidatori ed amministratori di società, stante l’attività di natura gestoria svolta dagli stessi, che fa venir meno il requisito della subordinazione. Nel merito è pensabile che il curatore possa in molti casi avere buon gioco a dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte di questi soggetti, considerato la loro cognizione diretta dell’andamento economico della società e quindi revocare i pagamenti.

L’esenzione da revocatoria di cui alla lettera f) non dovrebbe riguardare i compensi percepiti dai liberi professionisti e dai lavoratori autonomi occasionali (in senso contrario, cfr. Bertacchini, cit., 1006). Agli stessi andrebbe invece accordata tutela in base alla lett. a) dell’art. 67, co. 3. Quindi anche il tal caso il pagamento non sarebbe revocabile, purché avvenuto nei “termini d’uso”.

Visto che l’esenzione riguarda i “corrispettivi per prestazioni di lavoro”, conseguentemente saranno da considerarsi oggetto di revocatoria l’indennità di preavviso ed i rimborsi spese non avendo tale natura (Pajardi – Paluchowsky, cit., 440).

Osservazioni generali.

Il terzo comma dell’art. 67 della legge fallimentare, modificato dal D.L. 14 marzo 2005, n.35 conv. in L. 14 maggio 2005, n. 80, indica una serie di esenzioni dall’azione revocatoria fallimentare, che, in aggiunta al dimezzamento dei tempi del periodo sospetto, contribuiscono ad un significativo restringimento del campo operativo dell’istituto.

La riforma ha voluto assicurare stabilità e certezza ai rapporti giuridici e dare anche più speditezza alla procedura (in tema cfr. G.B. Nardecchia, Le nuove esenzioni del terzo comma dell’art. 67 l. fall., in Il Fallimento, 2009, 14; A.A. Dolmetta, sulla revocatoria fallimentare riformata: problemi applicativi su “termini” ed “esenzioni, doc. n. 92/2008, in www.ilcaso.it; D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm. 2007, I, 163).

Per il punto relativo alla lett. f) della norma suddetta, sono esenti da revocatoria “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti e altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”.

L’esenzione da revocatoria, in tal caso, non si applica soltanto ai pagamenti di crediti liquidi ed esigibili di cui al comma 2 dell’art. 67, ma anche ai pagamenti di cui al comma 1 dello stesso articolo non effettuati con mezzi normali di pagamento ed anche all’ipotesi contemplata dall’art. 65 (cfr. G.B. Nardecchia, cit.,18).

Finalità della norma. Aspetti critici.

L’esenzione si giustifica col fine di assicurare la continuazione dell’attività di impresa in crisi, puntando al superamento della stessa, non escluso il ricorso a soluzioni giudiziali e stragiudiziali alternative al fallimento.

L’incombenza della revocatoria costituisce infatti un disincentivo alla prestazione di lavoro nell’imminenza di fallimento (cfr. Pajardi – Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, 7 ed., Milano, 2008, 440), soprattutto da parte dei lavoratori qualificati che potrebbero essere indotti ad interrompere la collaborazione, accettando l’offerta di impiego di concorrenti, contribuendo così a rendere ancora più critica la situazione. La corresponsione delle retribuzioni è condizione necessaria per assicurare l’operatività aziendale.

L’intento è parimenti quello di dare protezione a soggetti socialmente deboli, come in genere vengono considerati i lavoratori dipendenti e figure affini. Diversamente gli stessi potrebbero essere costretti a restituire alla curatela le retribuzioni percepite per il lavoro svolto, pur godendo le medesime del privilegio di primo grado di cui all’art. 2751 bis n. 1 c.c..

Anche se le ragioni dell’esenzione sono sicuramente condivisibili, non si può comunque sottacere il pericolo che in tal modo possa essere lesa la par condicio creditorum. L’imprenditore potrebbe pagare in misura diversa ed in tempi diversi lavoratori muniti dello stesso privilegio. Così chi ha ricevuto il pagamento lo trattiene in via definitiva, perché lo stesso non è revocabile, a danno dei creditori di pari grado a cui nulla è stato dato. Si pensi al caso limite che venga corrisposta la retribuzione ai dirigenti, non invece agli operai ed impiegati.

In circostanze particolari, se sussistono i presupposti di cui all’ art. 2901 c.c., non si può escludere che il curatore possa chiedere la restituzione dei pagamenti, agendo con la revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fallim..

Ambito di applicazione della tutela.

L’esenzione di cui si tratta si fonda sulla rilevanza soggettiva di chi riceve i pagamenti e riguarda sia i dipendenti del fallito, sia i lavoratori parasubordinati, come sono ad esempio i collaboratori a progetto, secondo l’accezione che deriva anche dall’art. 409 n. 3 del codice di procedura civile in tema di controversie di lavoro.

La categoria dei dipendenti è configurata dagli artt. 2094 e 2095 c.c., tenendo anche conto delle nuove figure lavorative introdotte dalla legge Biagi (d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276).

La genericità del testo crea comunque problemi interpretativi nel delineare l’ambito di applicazione della norma, che possono trovare soluzione se si considerano le finalità della tutela.

L’esenzione dovrebbe anche applicarsi al socio d’opera delle società personali, quando l’attività sia in concreto esercitata con modalità tali da configurare lo stato di dipendenza economica che costituisce l’elemento essenziale della parasubordinazione (Cass. lav. 3 giugno 1997, n. 4928, in Arch. civ. 1997, 970) ed anche ai soci lavoratori di cooperativa se il rapporto di lavoro prevale su quello societario (Bertacchini, Il nuovo diritto fallimentare, commentario diretto da A. Jorio, Bologna, 2007, 1005).

Pagamenti non revocabili dovrebbero essere considerati anche gli emolumenti corrisposti all’agente di commercio, dato che questa figura sotto i profili delle tutele è per molti aspetti equiparabile a quella del dipendente ed alla stessa si applica il citato art. 409 n. 3 c.p.c..

Devono considerarsi esclusi dall’esenzione i compensi pagati a liquidatori ed amministratori di società, stante l’attività di natura gestoria svolta dagli stessi, che fa venir meno il requisito della subordinazione. Nel merito è pensabile che il curatore possa in molti casi avere buon gioco a dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte di questi soggetti, considerato la loro cognizione diretta dell’andamento economico della società e quindi revocare i pagamenti.

L’esenzione da revocatoria di cui alla lettera f) non dovrebbe riguardare i compensi percepiti dai liberi professionisti e dai lavoratori autonomi occasionali (in senso contrario, cfr. Bertacchini, cit., 1006). Agli stessi andrebbe invece accordata tutela in base alla lett. a) dell’art. 67, co. 3. Quindi anche il tal caso il pagamento non sarebbe revocabile, purché avvenuto nei “termini d’uso”.

Visto che l’esenzione riguarda i “corrispettivi per prestazioni di lavoro”, conseguentemente saranno da considerarsi oggetto di revocatoria l’indennità di preavviso ed i rimborsi spese non avendo tale natura (Pajardi – Paluchowsky, cit., 440).