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Cassazione Civile: è onere di chi lo invoca provare il danno non patrimoniale (anche per violazione degli obblighi di assistenza familiare)

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ribadisce che il risarcimento di un danno non patrimoniale derivante da reato non può ritenersi sussistente di per se stesso. E’ infatti onere di chi ne pretende il risarcimento descrivere e spiegare nell’atto introduttivo del giudizio in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda ristoro.

Nel caso di specie, la ricorrente impugna la sentenza d’appello che, in senso opposto rispetto al giudice di prime cure, rigetta la domanda di risarcimento contro l’ex coniuge che aveva cessato di versare l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione a favore dei figli, posto che il Tribunale che la ricorrente aveva agito in nome proprio e non in nome dei figli minori, unici destinatari del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligo gravante sulla controparte.

La Cassazione, nell’analizzare il ricorso, si allinea alla posizione del giudice dell’Appello, ma  ravvisa erroneità in diritto della motivazione della sentenza impugnata.

Afferma, infatti, che il bene tutelato dalla previsione normativa del reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” non sia tanto l’interesse della persona avente diritto al sostentamento, quanto il più generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro la violazione di quegli obblighi giuridici posti a sua tutela. Per questa ragione, si può ritenere leso da tale reato qualsiasi membro della famiglia stessa e non solo l’avente diritto al sostentamento. Di conseguenza, il diritto al risarcimento del danno si può dire che sorga sia in capo alla vittima primaria che ai suoi familiari.

Contrariamente alla motivazione, la Suprema Corte valuta positivamente il dispositivo della sentenza impugnata. A suo avviso, il Tribunale correttamente rigettava il ricorso in quanto fondato su una domanda ultragenerica dell’attrice. Questa, infatti, non dava prova di alcuna “circostanza fattuale” a sostegno della propria richiesta, ma si limitava a descrivere la condotta del convenuto. Tali rilievi sono già di per sé idonei a dichiarare inammissibile la domanda, mancando la deduzione di fatti costitutivi della pretesa, quali l’esistenza e la natura del danno risarcibile. Non si può nemmeno parlare di dovere del giudice dell’appello di ordinare l’integrazione o sanatoria dell’atto di citazione in quanto onere dell’attore, che non è stato adempiuto nel caso di specie.

Per queste ragioni, gli Ermellini rigettano il ricorso per totale genericità della domanda formulata dalla ricorrente in primo grado.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 18 giugno 2015, n. 12614)

La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ribadisce che il risarcimento di un danno non patrimoniale derivante da reato non può ritenersi sussistente di per se stesso. E’ infatti onere di chi ne pretende il risarcimento descrivere e spiegare nell’atto introduttivo del giudizio in cosa sia concretamente consistito il pregiudizio di cui domanda ristoro.

Nel caso di specie, la ricorrente impugna la sentenza d’appello che, in senso opposto rispetto al giudice di prime cure, rigetta la domanda di risarcimento contro l’ex coniuge che aveva cessato di versare l’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione a favore dei figli, posto che il Tribunale che la ricorrente aveva agito in nome proprio e non in nome dei figli minori, unici destinatari del danno derivante dall’inadempimento dell’obbligo gravante sulla controparte.

La Cassazione, nell’analizzare il ricorso, si allinea alla posizione del giudice dell’Appello, ma  ravvisa erroneità in diritto della motivazione della sentenza impugnata.

Afferma, infatti, che il bene tutelato dalla previsione normativa del reato di “violazione degli obblighi di assistenza familiare” non sia tanto l’interesse della persona avente diritto al sostentamento, quanto il più generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro la violazione di quegli obblighi giuridici posti a sua tutela. Per questa ragione, si può ritenere leso da tale reato qualsiasi membro della famiglia stessa e non solo l’avente diritto al sostentamento. Di conseguenza, il diritto al risarcimento del danno si può dire che sorga sia in capo alla vittima primaria che ai suoi familiari.

Contrariamente alla motivazione, la Suprema Corte valuta positivamente il dispositivo della sentenza impugnata. A suo avviso, il Tribunale correttamente rigettava il ricorso in quanto fondato su una domanda ultragenerica dell’attrice. Questa, infatti, non dava prova di alcuna “circostanza fattuale” a sostegno della propria richiesta, ma si limitava a descrivere la condotta del convenuto. Tali rilievi sono già di per sé idonei a dichiarare inammissibile la domanda, mancando la deduzione di fatti costitutivi della pretesa, quali l’esistenza e la natura del danno risarcibile. Non si può nemmeno parlare di dovere del giudice dell’appello di ordinare l’integrazione o sanatoria dell’atto di citazione in quanto onere dell’attore, che non è stato adempiuto nel caso di specie.

Per queste ragioni, gli Ermellini rigettano il ricorso per totale genericità della domanda formulata dalla ricorrente in primo grado.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Civile, Sentenza 18 giugno 2015, n. 12614)