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Cassazione Penale: il medico che non comunica alle Autorità competenti il reato di cui è venuto a conoscenza risponde di omessa denuncia

La Corte di Cassazione ha stabilito che integra la fattispecie di reato di omessa denuncia la condotta del medico che, venuto a conoscenza in concomitanza o in ragione delle funzioni svolte, di una situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato, non la comunichi alle Autorità competenti.

In particolare, nel caso in oggetto, l’imputata, esercente la professione sanitaria, era accusata dei reati previsti agli articoli 362 (“Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio”) e 378 (“Favoreggiamento personale”) del Codice Penale perché, venuta a conoscenza per ragioni di servizio di una presunta violenza sessuale ai danni della sua paziente, minore di anni diciotto e affetta da una grave patologia psichica, ometteva di informare le Autorità competenti, aiutando nel contempo l’autore della violenza a eludere le investigazioni dell’autorità.

Ritenuta colpevole dal Tribunale e, dunque, condannata per i reati sopracitati, ricorreva in appello ma anche il giudice di seconda istanza riteneva sussistente la responsabilità penale del medico e confermava la sentenza impugnata.

Avverso tale ultima sentenza, il medico proponeva ricorso in Cassazione, lamentando vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge in relazione agli articoli del Codice Penale citati, per aver la Corte d’appello confermato il giudizio di penale responsabilità, nonostante l’assoluzione dall’accusa di abuso sessuale ai danni della minore.

I giudici della Suprema Corte hanno vagliato i motivi di gravame per entrambi i capi di accusa.

Tralasciamo le argomentazioni della Corte con riferimento al reato di favoreggiamento personale ex articolo 378 del Codice Penale, ritenuto non sussistente in seguito all’accertamento della insussistenza obiettiva del reato presupposto (la violenza sessuale), e passiamo alle argomentazioni circa la sussistenza del primo capo d’imputazione, l’omessa denuncia.

Con riferimento al reato previsto dall’articolo 362 (omessa denuncia), la Corte di legittimità ha rilevato che “affinché possa ritenersi integrata l’omissione di denuncia, è richiesto che l’esercente il pubblico ufficio venga a conoscenza, in concomitanza o a cagione delle funzioni espletate, di una situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato: deve trattarsi di elementi che appaiono sufficientemente affidabili e capaci di indurre una persona ragionevole a concludere che vi sono apprezzabili probabilità che un reato sia stato commesso.

Dunque, “è necessario e sufficiente – continua la Corte – che l’esercente un pubblico servizio ometta di denunciare un fatto di cui sia venuto a conoscenza che presenti le linee essenziali di un reato, mentre non è indispensabile che la notizia si riveli anche fondata. Il che si correla strettamente alla natura di reato di pericolo della incriminazione, dovendosi garantire che la notitia criminis pervenga comunque all’autorità giudiziaria, unica competente ad operare le valutazioni e ad assumere le decisioni in ordine all’ulteriore corso del procedimento penale.

I giudici di merito hanno correttamente ritenuto irrilevante ai fini della sussistenza del reato di omessa denuncia la circostanza che l’autrice del presunto reato di violenza sessuale ai danni della paziente del medico fosse stata assolta.

Da tale pronuncia si evince il seguente principio di diritto: ai fini dell’integrazione del reato di omissione di denuncia rileva soltanto se, all’epoca dei fatti, l’imputato avesse contezza degli estremi di un reato e, nonostante ciò, abbia contravvenuto all’obbligo di rapporto cui era tenuto in quanto esercente un pubblico servizio.

Ciò nonostante, pur ritenendo sussistente una condotta criminosa dell’imputata, ha accolto il ricorso, essendo il reato estintosi per prescrizione.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 27 febbraio 2015, n. 8937)

 

La Corte di Cassazione ha stabilito che integra la fattispecie di reato di omessa denuncia la condotta del medico che, venuto a conoscenza in concomitanza o in ragione delle funzioni svolte, di una situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato, non la comunichi alle Autorità competenti.

In particolare, nel caso in oggetto, l’imputata, esercente la professione sanitaria, era accusata dei reati previsti agli articoli 362 (“Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio”) e 378 (“Favoreggiamento personale”) del Codice Penale perché, venuta a conoscenza per ragioni di servizio di una presunta violenza sessuale ai danni della sua paziente, minore di anni diciotto e affetta da una grave patologia psichica, ometteva di informare le Autorità competenti, aiutando nel contempo l’autore della violenza a eludere le investigazioni dell’autorità.

Ritenuta colpevole dal Tribunale e, dunque, condannata per i reati sopracitati, ricorreva in appello ma anche il giudice di seconda istanza riteneva sussistente la responsabilità penale del medico e confermava la sentenza impugnata.

Avverso tale ultima sentenza, il medico proponeva ricorso in Cassazione, lamentando vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge in relazione agli articoli del Codice Penale citati, per aver la Corte d’appello confermato il giudizio di penale responsabilità, nonostante l’assoluzione dall’accusa di abuso sessuale ai danni della minore.

I giudici della Suprema Corte hanno vagliato i motivi di gravame per entrambi i capi di accusa.

Tralasciamo le argomentazioni della Corte con riferimento al reato di favoreggiamento personale ex articolo 378 del Codice Penale, ritenuto non sussistente in seguito all’accertamento della insussistenza obiettiva del reato presupposto (la violenza sessuale), e passiamo alle argomentazioni circa la sussistenza del primo capo d’imputazione, l’omessa denuncia.

Con riferimento al reato previsto dall’articolo 362 (omessa denuncia), la Corte di legittimità ha rilevato che “affinché possa ritenersi integrata l’omissione di denuncia, è richiesto che l’esercente il pubblico ufficio venga a conoscenza, in concomitanza o a cagione delle funzioni espletate, di una situazione che presenti gli elementi essenziali di un fatto costituente reato: deve trattarsi di elementi che appaiono sufficientemente affidabili e capaci di indurre una persona ragionevole a concludere che vi sono apprezzabili probabilità che un reato sia stato commesso.

Dunque, “è necessario e sufficiente – continua la Corte – che l’esercente un pubblico servizio ometta di denunciare un fatto di cui sia venuto a conoscenza che presenti le linee essenziali di un reato, mentre non è indispensabile che la notizia si riveli anche fondata. Il che si correla strettamente alla natura di reato di pericolo della incriminazione, dovendosi garantire che la notitia criminis pervenga comunque all’autorità giudiziaria, unica competente ad operare le valutazioni e ad assumere le decisioni in ordine all’ulteriore corso del procedimento penale.

I giudici di merito hanno correttamente ritenuto irrilevante ai fini della sussistenza del reato di omessa denuncia la circostanza che l’autrice del presunto reato di violenza sessuale ai danni della paziente del medico fosse stata assolta.

Da tale pronuncia si evince il seguente principio di diritto: ai fini dell’integrazione del reato di omissione di denuncia rileva soltanto se, all’epoca dei fatti, l’imputato avesse contezza degli estremi di un reato e, nonostante ciò, abbia contravvenuto all’obbligo di rapporto cui era tenuto in quanto esercente un pubblico servizio.

Ciò nonostante, pur ritenendo sussistente una condotta criminosa dell’imputata, ha accolto il ricorso, essendo il reato estintosi per prescrizione.

(Corte di Cassazione - Sesta Sezione Penale, Sentenza 27 febbraio 2015, n. 8937)