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Facebook - Cassazione Penale: la diffusione di messaggi offensivi tramite Facebook costituisce diffamazione aggravata

Facebook - Cassazione Penale: la diffusione di messaggi offensivi tramite Facebook costituisce diffamazione aggravata
Facebook - Cassazione Penale: la diffusione di messaggi offensivi tramite Facebook costituisce diffamazione aggravata

La Corte di Cassazione, con Sentenza del 2 gennaio, ha ribadito che screditare una persona tramite l’uso della bacheca di Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata.

Nel caso in esame, il Tribunale di Pescara, con Sentenza del 3 luglio 2014, ha dichiarato la propria incompetenza per materia a giudicare i reati di minacce e diffamazione aggravata, ex articolo 595 del codice penale, comma 3, relativamente alla questione oggetto del giudizio che vedeva come protagonista un soggetto che, attraverso il social network Facebook, aveva diffuso messaggi minatori e offensivi nei confronti di un altro soggetto.

Il citato Tribunale ha ritenuto che i reati sopra descritti siano di competenza del Giudice di Pace, mentre quest’ultimo ha sollevato conflitto negativo di competenza, rimettendo gli atti alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, pronunciandosi sulla questione, ha dato continuità al principio di diritto, affermato nella Sentenza del 28 aprile del 2015, n. 24431, dalla Sezione I della stessa Corte, secondo cui: “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

Poi continua la Cassazione affermando che: “La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione - peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque - non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia, in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale della Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 595 del codice penale, comma 3 nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari”.

Pertanto, la Cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale di Pescara, annullando la Sentenza del 3 luglio 2014 dichiarativa di incompetenza del suddetto Tribunale.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Penale, Sentenza 2 gennaio 2017, n. 50)

La Corte di Cassazione, con Sentenza del 2 gennaio, ha ribadito che screditare una persona tramite l’uso della bacheca di Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata.

Nel caso in esame, il Tribunale di Pescara, con Sentenza del 3 luglio 2014, ha dichiarato la propria incompetenza per materia a giudicare i reati di minacce e diffamazione aggravata, ex articolo 595 del codice penale, comma 3, relativamente alla questione oggetto del giudizio che vedeva come protagonista un soggetto che, attraverso il social network Facebook, aveva diffuso messaggi minatori e offensivi nei confronti di un altro soggetto.

Il citato Tribunale ha ritenuto che i reati sopra descritti siano di competenza del Giudice di Pace, mentre quest’ultimo ha sollevato conflitto negativo di competenza, rimettendo gli atti alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte, pronunciandosi sulla questione, ha dato continuità al principio di diritto, affermato nella Sentenza del 28 aprile del 2015, n. 24431, dalla Sezione I della stessa Corte, secondo cui: “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone”.

Poi continua la Cassazione affermando che: “La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione - peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque - non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia, in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale della Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 595 del codice penale, comma 3 nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari”.

Pertanto, la Cassazione ha dichiarato la competenza del Tribunale di Pescara, annullando la Sentenza del 3 luglio 2014 dichiarativa di incompetenza del suddetto Tribunale.

(Corte di Cassazione - Prima Sezione Penale, Sentenza 2 gennaio 2017, n. 50)