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Videosorveglianza - Cassazione Penale: continuità normativa tra le norme penali prima e dopo il Jobs Act

Videosorveglianza - Cassazione Penale: continuità normativa tra le norme penali prima e dopo il Jobs Act
Videosorveglianza - Cassazione Penale: continuità normativa tra le norme penali prima e dopo il Jobs Act

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività del lavoratori, essendo intervenuto il Jobs Act solo al fine di adeguare il dettato normativo alle nuove tecnologie in uso nel mondo del lavoro.

La pronuncia offre la possibilità di ripercorrere i recenti sviluppi della normativa in materia di videosorveglianza nei luoghi di lavoro.

Il caso in esame

La decisione della Corte ha tratto origine dall’appello, convertito in ricorso per Cassazione, proposto dalla legale rappresentante di una società esercente l’attività di distribuzione di carburante avverso la sentenza del Tribunale che la riteneva penalmente responsabile del reato previsto dagli articoli 4, comma 2, e 38 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (“Statuto dei Lavoratori”), in relazione agli articoli 114 e 171 del decreto legislativo 20 giugno 2003 n. 196 (“Codice Privacy”), perché nella sua qualità di legale rappresentante di detta società consentiva, tollerava e, comunque, non impediva che venissero installate sei telecamere collocate nel piazzale nelle vicinanze delle pompe di erogazione del carburante, collegate ad un monitor sistemato nel proprio ufficio, permettendo il controllo di una lavoratrice, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e in mancanza di provvedimento della Direzione Territoriale del Lavoro.

Tra i vari motivi del ricorso, l’imputata lamentava l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale sul rilievo che l’impianto era stato installato anni prima, allorché titolare dell’impianto era un soggetto diverso, con la conseguenza che, per tale ragione, il Tribunale avrebbe dovuto assolvere l’imputata in quanto estranea alla condotta contestata, trattandosi di reato istantaneo la cui consumazione matura nel momento dell’installazione dell’impianto, in assenza delle modalità definite dalla legge, sicché la condotta tenuta dall’imputabile non sarebbe punibile con riferimento alle disposizioni richiamate.

La decisione della Suprema Corte

Preliminarmente, la Corte di Cassazione ha ricordato come sia cambiata, nel corso del tempo, la formulazione letterale delle disposizioni di legge richiamate e integranti il capo di imputazione per il quale vi è stata condanna.

Come noto, la materia in oggetto è, oggi come allora, disciplinata prevalentemente dall’articolo 4 della legge n. 300 del 1970.

L’articolo 4 dello Statuto del Lavoratori, nella sua originaria formulazione, stabiliva il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, consentendo, al suo secondo comma, l’uso degli stessi per esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro con l’obbligo di stipulare appositi accordi con le rappresentanze sindacali aziendali, le commissioni interne o previo provvedimento dell’Ispettorato del lavoro.

La violazione di detta disposizione era sanzionata dall’articolo 38 dello Statuto del Lavoratori, fino all’entrata in vigore del Codice Privacy, il cui articolo 179, comma secondo, ha disposto la soppressione, nel suddetto articolo 38, del riferimento all’articolo 4.

Tuttavia, l’articolo 114, comma primo, del Codice Privacy precisava che rimaneva fermo quanto disposto dall’articolo 4 dello Statuto, e l’articolo 171, comma primo, che “la violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, 300”. Ragion per cui, come precisato dalla stessa Corte in precedenti pronunce, sussisteva continuità normativa tra l’abrogata fattispecie e quella prevista dall’articolo 171 in relazione all’articolo 114 del Codice Privacy.

Il decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 151 ha modificato l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che nell’attuale formulazione dispone che: “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, potendo essere installati previo accordo con le rappresentanze sindacali o previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o del Ministro.

Alla predetta disciplina rimangono estranei gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, pur essendo in ogni caso necessario che al lavoratore sia fornita adeguata informativa ai sensi del Codice Privacy.

La rimodulazione dell’articolo 4 dello Statuto, resa necessaria dall’utilizzo nei luoghi di lavoro di tecnologie indispensabili per l’estrinsecazione dell’attività lavorativa ma in grado di assicurare al datore di lavoro un controllo sull’attività lavorativa dei propri dipendenti, ha solo apparentemente eliminato il divieto esplicito di controlli a distanza, che continua a sussistere nel nostro ordinamento, nonostante si autorizzi l’utilizzo di strumenti (idonei a realizzare un controllo sul lavoratore) in presenza di determinate esigenze aziendali e alle condizioni normativamente indicate, sussistendo un “regime protezionistico diretto a salvaguardare la dignità e la riservatezza dei lavoratori, la cui tutela rimane primaria nell’assetto ordinamentale e costituzionale, seppur bilanciabile sotto il profilo degli interessi giuridicamente rilevanti con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza del lavoro”.

Da ciò, la Corte di Cassazione ha stabilito che “sussiste continuità di tipo d’illecito tra la previgente formulazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del d.lgs. n. 151 del 2015, nel senso che costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività del lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4 Stat. Lav. è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 della stessa legge”.

La fattispecie ex articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori non costituirebbe, per i giudici di legittimità, un reato necessariamente a consumazione istantanea, in quanto l’installazione dell’impianto per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori costituirebbe uno dei molteplici presupposti della condotta antigiuridica.

La ratio legis, ha chiarito la Corte, è quella di punire “l’uso, ossia l’impiego, illecito di impianti o strumenti di controllo perché installati dal datore di lavoro o utilizzati dal datore di lavoro fuori dal perimetro normativo disegnato dalla fattispecie incriminatrice ed in ciò consiste la condotta punibile. Il fatto tipico rientra, allora, nel paradigma del reato eventualmente abituale, potendo la fattispecie atteggiarsi tanto come reato istantaneo, quanto come reato di durata, [...] senza che questo comporti né concorso di reati, né continuazione ma diversa estrinsecazione di modalità della condotta, ovviamente valutabile ai fini della commisurazione della pena”.

Perciò, ritenuto penalmente rilevante sia la commissione del singolo episodio quanto la reiterazione della condotta, la ricorrente, pur non avendo installato gli strumenti di controllo a distanza dell’attività lavorativa, ha posto in essere il fatto tipico della norma incriminatrice prevista dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, per aver fatto utilizzo di tale apparecchiatura o averne, comunque, tollerato l’utilizzo, dunque, correttamente il giudice di merito ha dichiarato l’imputata colpevole del reato contestatole nel capo di imputazione.

La Corte di Cassazione ha, conseguentemente, rigettato il ricorso dell’imputata.

La pronuncia è integralmente consultabile sul sito della Corte di Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 6 dicembre 2016, n. 51897)

La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività del lavoratori, essendo intervenuto il Jobs Act solo al fine di adeguare il dettato normativo alle nuove tecnologie in uso nel mondo del lavoro.

La pronuncia offre la possibilità di ripercorrere i recenti sviluppi della normativa in materia di videosorveglianza nei luoghi di lavoro.

Il caso in esame

La decisione della Corte ha tratto origine dall’appello, convertito in ricorso per Cassazione, proposto dalla legale rappresentante di una società esercente l’attività di distribuzione di carburante avverso la sentenza del Tribunale che la riteneva penalmente responsabile del reato previsto dagli articoli 4, comma 2, e 38 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (“Statuto dei Lavoratori”), in relazione agli articoli 114 e 171 del decreto legislativo 20 giugno 2003 n. 196 (“Codice Privacy”), perché nella sua qualità di legale rappresentante di detta società consentiva, tollerava e, comunque, non impediva che venissero installate sei telecamere collocate nel piazzale nelle vicinanze delle pompe di erogazione del carburante, collegate ad un monitor sistemato nel proprio ufficio, permettendo il controllo di una lavoratrice, in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e in mancanza di provvedimento della Direzione Territoriale del Lavoro.

Tra i vari motivi del ricorso, l’imputata lamentava l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale sul rilievo che l’impianto era stato installato anni prima, allorché titolare dell’impianto era un soggetto diverso, con la conseguenza che, per tale ragione, il Tribunale avrebbe dovuto assolvere l’imputata in quanto estranea alla condotta contestata, trattandosi di reato istantaneo la cui consumazione matura nel momento dell’installazione dell’impianto, in assenza delle modalità definite dalla legge, sicché la condotta tenuta dall’imputabile non sarebbe punibile con riferimento alle disposizioni richiamate.

La decisione della Suprema Corte

Preliminarmente, la Corte di Cassazione ha ricordato come sia cambiata, nel corso del tempo, la formulazione letterale delle disposizioni di legge richiamate e integranti il capo di imputazione per il quale vi è stata condanna.

Come noto, la materia in oggetto è, oggi come allora, disciplinata prevalentemente dall’articolo 4 della legge n. 300 del 1970.

L’articolo 4 dello Statuto del Lavoratori, nella sua originaria formulazione, stabiliva il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, consentendo, al suo secondo comma, l’uso degli stessi per esigenze organizzative e produttive o di sicurezza del lavoro con l’obbligo di stipulare appositi accordi con le rappresentanze sindacali aziendali, le commissioni interne o previo provvedimento dell’Ispettorato del lavoro.

La violazione di detta disposizione era sanzionata dall’articolo 38 dello Statuto del Lavoratori, fino all’entrata in vigore del Codice Privacy, il cui articolo 179, comma secondo, ha disposto la soppressione, nel suddetto articolo 38, del riferimento all’articolo 4.

Tuttavia, l’articolo 114, comma primo, del Codice Privacy precisava che rimaneva fermo quanto disposto dall’articolo 4 dello Statuto, e l’articolo 171, comma primo, che “la violazione delle disposizioni di cui agli articoli 113, comma 1, e 114 è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, 300”. Ragion per cui, come precisato dalla stessa Corte in precedenti pronunce, sussisteva continuità normativa tra l’abrogata fattispecie e quella prevista dall’articolo 171 in relazione all’articolo 114 del Codice Privacy.

Il decreto legislativo 14 settembre 2015 n. 151 ha modificato l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che nell’attuale formulazione dispone che: “gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale”, potendo essere installati previo accordo con le rappresentanze sindacali o previa autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro o del Ministro.

Alla predetta disciplina rimangono estranei gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e gli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze, pur essendo in ogni caso necessario che al lavoratore sia fornita adeguata informativa ai sensi del Codice Privacy.

La rimodulazione dell’articolo 4 dello Statuto, resa necessaria dall’utilizzo nei luoghi di lavoro di tecnologie indispensabili per l’estrinsecazione dell’attività lavorativa ma in grado di assicurare al datore di lavoro un controllo sull’attività lavorativa dei propri dipendenti, ha solo apparentemente eliminato il divieto esplicito di controlli a distanza, che continua a sussistere nel nostro ordinamento, nonostante si autorizzi l’utilizzo di strumenti (idonei a realizzare un controllo sul lavoratore) in presenza di determinate esigenze aziendali e alle condizioni normativamente indicate, sussistendo un “regime protezionistico diretto a salvaguardare la dignità e la riservatezza dei lavoratori, la cui tutela rimane primaria nell’assetto ordinamentale e costituzionale, seppur bilanciabile sotto il profilo degli interessi giuridicamente rilevanti con le esigenze produttive ed organizzative o della sicurezza del lavoro”.

Da ciò, la Corte di Cassazione ha stabilito che “sussiste continuità di tipo d’illecito tra la previgente formulazione dell’art. 4 della legge n. 300 del 1970 e la rimodulazione del precetto intervenuta a seguito del d.lgs. n. 151 del 2015, nel senso che costituisce reato l’uso di impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività del lavoratori, avendo la normativa sopravvenuta mantenuto integra la disciplina sanzionatoria per la quale la violazione dell’art. 4 Stat. Lav. è penalmente sanzionata ai sensi dell’art. 38 della stessa legge”.

La fattispecie ex articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori non costituirebbe, per i giudici di legittimità, un reato necessariamente a consumazione istantanea, in quanto l’installazione dell’impianto per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori costituirebbe uno dei molteplici presupposti della condotta antigiuridica.

La ratio legis, ha chiarito la Corte, è quella di punire “l’uso, ossia l’impiego, illecito di impianti o strumenti di controllo perché installati dal datore di lavoro o utilizzati dal datore di lavoro fuori dal perimetro normativo disegnato dalla fattispecie incriminatrice ed in ciò consiste la condotta punibile. Il fatto tipico rientra, allora, nel paradigma del reato eventualmente abituale, potendo la fattispecie atteggiarsi tanto come reato istantaneo, quanto come reato di durata, [...] senza che questo comporti né concorso di reati, né continuazione ma diversa estrinsecazione di modalità della condotta, ovviamente valutabile ai fini della commisurazione della pena”.

Perciò, ritenuto penalmente rilevante sia la commissione del singolo episodio quanto la reiterazione della condotta, la ricorrente, pur non avendo installato gli strumenti di controllo a distanza dell’attività lavorativa, ha posto in essere il fatto tipico della norma incriminatrice prevista dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, per aver fatto utilizzo di tale apparecchiatura o averne, comunque, tollerato l’utilizzo, dunque, correttamente il giudice di merito ha dichiarato l’imputata colpevole del reato contestatole nel capo di imputazione.

La Corte di Cassazione ha, conseguentemente, rigettato il ricorso dell’imputata.

La pronuncia è integralmente consultabile sul sito della Corte di Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 6 dicembre 2016, n. 51897)