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Nuove tutele per il socio delle public companies nel diritto inglese. La derivative action

Il tema della tutela dei diritti dei soci assume particolare rilevanza con riferimento alle public companies, società ad azionariato diffuso, caratterizzate da una netta separazione tra la proprietà, rappresentata da molteplici azionisti, e la gestione, in mano a pochi manager. In tali modelli di corporate governance è evidente il rischio che gli amministratori orientino le proprie scelte esclusivamente sulla base delle indicazioni della maggioranza, ovvero, nei casi più estremi, degli interessi personali.

Per scongiurare una gestione impropria da parte degli amministratori, i principali sistemi giuridici di civil law e di common law hanno previsto lo strumento dell’azione sociale di responsabilità. Diversamente da quanto disposto nel nostro ordinamento, il diritto societario inglese, così come recentemente riformato dal Companies Act 2006, prevede la possibilità per il singolo socio di promuovere, per conto della società, l’azione sociale di responsabilità. Seguendo il percorso tracciato da altre giurisdizioni di common law (quali il Canada, la Nuova Zelanda, l’Australia, Hong Kong e Singapore), il legislatore inglese ha dunque provveduto ad introdurre e a disciplinare, nell’ambito della riforma del diritto societario, un nuovo strumento a tutela degli azionisti di minoranza, la derivative action. In particolare, il Companies Act 2006 ha codificato una serie di norme, sino ad allora oggetto di pronunce giurisprudenziali, utilizzando metodi di produzione legislativa analoghi a quelli adottati nei sistemi di civil law.

Tra le nuove disposizioni normative si evidenzia sia la definizione dei doveri degli amministratori, ora dettagliatamente indicati nel capitolo 2, parte 10 del Companies Act 2006, che la previsione della derivative action, azionabile, ai sensi degli articoli da 260 a 264, capitolo 1, parte 11, in caso di inadempimento dei doveri da parte degli stessi amministratori (letteralmente “negligence, default, beach of duty and beach of trust”).

Nello specifico la derivative action consente ad uno o più soci, opportunamente autorizzati dal tribunale, di poter chiamare in giudizio gli amministratori in nome della società, senza dover preventivamente stringere complicate alleanze. Il tribunale, nel formulare la propria decisione, è tenuto a rispettare gli aspetti procedurali ed i criteri disposti nella stessa normativa, svolgendo la propria attività a garanzia di tutti i soggetti coinvolti, impedendo azioni pretestuose o ricattatorie dei singoli soci dirette unicamente a paralizzare l’attività imprenditoriale, ovvero a scoraggiare gli amministratori dall’assolvimento dei propri doveri. Ove ne ricorrano le condizioni, la nuova normativa dispone che il socio possa continuare un’azione sociale di responsabilità iniziata dalla società, ovvero da un altro socio. L’attenzione alla tutela del singolo socio garantita dalla derivative action ha introdotto un’importante eccezione ai principi generali di common law, che prevedono che l’amministratore sia chiamato a rispondere unicamente nei confronti della società, intesa come complesso degli azionisti, e che i suoi comportamenti scorretti possano essere ratificati dalla maggioranza, a discapito della tutela degli interessi del singolo azionista.

L’effettiva tutela garantita ai soci dalla derivative action è di difficile valutazione, in quanto potrà essere verificata solo nel tempo, quando le norme disposte dal Companies Act 2006 verranno interpretate delle Corti inglesi nel rispetto dei principi di common law e di equity. Gli elevati costi di giudizio associati alla promozione dell’azione sociale di responsabilità da una parte, e le rilevanti conseguenze sull’attività degli amministratori e della società dall’altra, potrebbero rendere preferibile alla derivative action specifiche transazioni tra i soci di minoranza e gli amministratori, ovvero tra i soci di minoranza e quelli di maggioranza.

Resta in ogni caso da rilevare come l’intensa produzione legislativa attuata in sede di riforma del diritto societario inglese testimonia l’evoluzione del diritto inglese che, sebbene legato ancora al principio del precedente, sembra avvicinarsi progressivamente ai sistemi di civil law che influenzano e caratterizzano la legislazione dell’Europa unita.

Il tema della tutela dei diritti dei soci assume particolare rilevanza con riferimento alle public companies, società ad azionariato diffuso, caratterizzate da una netta separazione tra la proprietà, rappresentata da molteplici azionisti, e la gestione, in mano a pochi manager. In tali modelli di corporate governance è evidente il rischio che gli amministratori orientino le proprie scelte esclusivamente sulla base delle indicazioni della maggioranza, ovvero, nei casi più estremi, degli interessi personali.

Per scongiurare una gestione impropria da parte degli amministratori, i principali sistemi giuridici di civil law e di common law hanno previsto lo strumento dell’azione sociale di responsabilità. Diversamente da quanto disposto nel nostro ordinamento, il diritto societario inglese, così come recentemente riformato dal Companies Act 2006, prevede la possibilità per il singolo socio di promuovere, per conto della società, l’azione sociale di responsabilità. Seguendo il percorso tracciato da altre giurisdizioni di common law (quali il Canada, la Nuova Zelanda, l’Australia, Hong Kong e Singapore), il legislatore inglese ha dunque provveduto ad introdurre e a disciplinare, nell’ambito della riforma del diritto societario, un nuovo strumento a tutela degli azionisti di minoranza, la derivative action. In particolare, il Companies Act 2006 ha codificato una serie di norme, sino ad allora oggetto di pronunce giurisprudenziali, utilizzando metodi di produzione legislativa analoghi a quelli adottati nei sistemi di civil law.

Tra le nuove disposizioni normative si evidenzia sia la definizione dei doveri degli amministratori, ora dettagliatamente indicati nel capitolo 2, parte 10 del Companies Act 2006, che la previsione della derivative action, azionabile, ai sensi degli articoli da 260 a 264, capitolo 1, parte 11, in caso di inadempimento dei doveri da parte degli stessi amministratori (letteralmente “negligence, default, beach of duty and beach of trust”).

Nello specifico la derivative action consente ad uno o più soci, opportunamente autorizzati dal tribunale, di poter chiamare in giudizio gli amministratori in nome della società, senza dover preventivamente stringere complicate alleanze. Il tribunale, nel formulare la propria decisione, è tenuto a rispettare gli aspetti procedurali ed i criteri disposti nella stessa normativa, svolgendo la propria attività a garanzia di tutti i soggetti coinvolti, impedendo azioni pretestuose o ricattatorie dei singoli soci dirette unicamente a paralizzare l’attività imprenditoriale, ovvero a scoraggiare gli amministratori dall’assolvimento dei propri doveri. Ove ne ricorrano le condizioni, la nuova normativa dispone che il socio possa continuare un’azione sociale di responsabilità iniziata dalla società, ovvero da un altro socio. L’attenzione alla tutela del singolo socio garantita dalla derivative action ha introdotto un’importante eccezione ai principi generali di common law, che prevedono che l’amministratore sia chiamato a rispondere unicamente nei confronti della società, intesa come complesso degli azionisti, e che i suoi comportamenti scorretti possano essere ratificati dalla maggioranza, a discapito della tutela degli interessi del singolo azionista.

L’effettiva tutela garantita ai soci dalla derivative action è di difficile valutazione, in quanto potrà essere verificata solo nel tempo, quando le norme disposte dal Companies Act 2006 verranno interpretate delle Corti inglesi nel rispetto dei principi di common law e di equity. Gli elevati costi di giudizio associati alla promozione dell’azione sociale di responsabilità da una parte, e le rilevanti conseguenze sull’attività degli amministratori e della società dall’altra, potrebbero rendere preferibile alla derivative action specifiche transazioni tra i soci di minoranza e gli amministratori, ovvero tra i soci di minoranza e quelli di maggioranza.

Resta in ogni caso da rilevare come l’intensa produzione legislativa attuata in sede di riforma del diritto societario inglese testimonia l’evoluzione del diritto inglese che, sebbene legato ancora al principio del precedente, sembra avvicinarsi progressivamente ai sistemi di civil law che influenzano e caratterizzano la legislazione dell’Europa unita.