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Pausa caffè: è reato?

Albarella, tramonto, agosto 2021
Ph. Francesca Russo / Albarella, tramonto, agosto 2021

Pausa caffè e sosta in tabaccheria senza timbrare il tesserino per la pausa. Azione fraudolenta o semplice consuetudine tutta italiana? La sentenza 3 giugno 2021 n.29674 della Sezione Terza della Corte di Cassazione propende la prima e rinvia alla Corte d’appello solo per la valutazione circa l’eventuale non punibilità per particolare tenuità del fatto (articolo 131-bis Codice Penale).

Il caso su cui sono intervenuti i giudici della Corte di Cassazione riguardava due lavoratori del settore pubblico che erano risultati assenti dall’ufficio in seguito ai controlli dei Carabinieri. Uno dei due si era allontanato dalla scrivania per una pausa caffè, mentre il secondo si era recato dal tabaccaio per acquistare le sigarette. Entrambi non avevano timbrato il cartellino per uscire.

 

La pausa caffè “necessaria” e la sfortuna: le difese dei lavoratori

Ciò che sembra aver realmente penalizzato i due lavoratori è stata in realtà la loro linea difensiva.

Il lavoratore che si era recato al bar per la pausa caffè aveva considerato questa sua azione come “necessaria”, in quanto nell’ufficio comunale non vi è un distributore automatico delle bevande e aveva sostenuto che questa fosse un’abitudine seguita in tutti i luoghi di lavoro.
Il dipendente che si era recato dal tabaccaio si era invece riferito alla “sfortuna” nella quale era incorso, in quanto durante la sua carriera non gli era capitato precedentemente di incorrere in una situazione simile.

Il Tribunale territorialmente competente ed il Pubblico Ministero hanno desunto dalle parole degli imputati che la pausa caffè e la sosta in tabaccheria fossero comportamenti abituali e che i lavoratori avessero sminuito l’azione per assecondare «bisogni della vita del tutto accessori». Le Corti hanno infatti definito questi comportamenti come condotte idonee «a incrementare un diffuso malumore verso la categoria dei pubblici dipendenti e cagionare un danno all’immagine della casa Comunale».

Su questo punto la Cassazione si è espressa in contrasto con le Corti “minori”. La Corte di legittimità ha infatti ritenuto che le espressioni utilizzate dai lavoratori non fossero sintomo di abitualità e che bisognasse, nel giudizio, riferirsi semplicemente ai fatti accaduti.

 

Il ricorso al principio di tassatività e alla fraudolenza dell’azione

Secondo la difesa, l’eccessiva ampiezza della formula legislativa del Decreto Legislativo n. 150 del 2009 (c.d. legge Brunetta), articolo 55-quinquies, utilizzata per descrivere la condotta incriminata, contrasta con il principio di tassatività in quanto fa riferimento a “qualunque modalità venga usata per far risultare in servizio chi è assente”.

Inoltre, secondo la difesa, i lavoratori non avrebbero realizzato nessuna condotta da cui desumere una fraudolenza, in quanto essendosi trattato di un’assenza occasionale e di pochi minuti non ha leso, anche solo in astratto, alcun bene giuridico.

Su questo punto la Corte di Cassazione ha chiarito che la disposizione non viola il principio di tassatività, poiché sanziona chi attesta falsamente la presenza in servizio, utilizzando svariate modalità fraudolente non a priori predeterminate dal legislatore. Ed infatti, secondo consolidata giurisprudenza, il delitto in contestazione si consuma con la realizzazione da parte dei pubblici dipendenti di un comportamento fraudolento consistente nell’irregolare utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenze (ex plurimis Sez. 3, n. 45696 del 2015; Sez. 3, n. 47043 del 27/10/2015).

La registrazione effettuata attraverso l’utilizzo del sistema di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro è falsa e fraudolentemente attestata nei casi in cui miri a far emergere, in contrasto con il vero, che il lavoratore è presente in ufficio dal momento della timbratura in entrata a quello della timbratura in uscita. Condotta che sembra essere di per sé punibile e non richiede continuità o abitualità.

In particolare, secondo la Cassazione: “Non possono, pertanto, nutrirsi dubbi sul fatto che, dal punto di vista oggettivo, il comportamento contestato agli odierni ricorrenti è sussumibile entro la fattispecie astratta prevista dalla disposizione sopra richiamata. Attraverso la mancata segnalazione dell’uscita nel sistema di rilevazione della presenza in servizio, da effettuarsi attraverso il sistema di “timbratura”, risulta, infatti, attestata falsamente, e con l’elusione del sistema di rilevamento, una circostanza non vera e cioè la presenza in servizio dei due ricorrenti. Inoltre, la maggiore o minore ampiezza della falsità, della divergenza, cioè, tra la prestazione lavorativa reale e quella apparente, che secondo i ricorrenti si traduce in una differenza di soli al massimo quindici minuti, non ha incidenza. Anche una falsità di siffatta dimensione, infatti, è suscettibile di apprezzamento Corte di Cassazione perché altera l’originario valore probatorio del documento che diviene rappresentativo di una verità diversa, nei rapporti interni, tra ente pubblico e dipendente che deve sempre rispettare specifici doveri di lealtà e di buona amministrazione, sanzionabili anche in via disciplinare, indipendentemente dal tempo sottratto al lavoro.”.

 

La particolare tenuità del fatto

Pur riconoscendo questo comportamento come fraudolento, la Corte ritiene fondato il ricorso circa il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per tenuità del fatto proposta dai lavoratori.

I giudici di primo e secondo grado avevano motivato la non applicazione della non punibilità in considerazione della futilità dei motivi (caffè e sigarette), per cui gli autori hanno agito con comportamenti idonei a diffondere malumore verso dipendenti pubblici cagionando un danno all’immagine della Casa Comunale.

Il riferimento alla futilità del motivo, ai fini della configurabilità della presunzione di non tenuità del fatto prevista dal comma secondo l’articolo 131-bis Codice Penale, non basta per la Cassazione.

La Corte ha infatti sancito che è sempre necessario che sussista la contestazione, quantomeno in fatto, della corrispondente aggravante dell’abitualità del comportamento o del danno rilevante alla P.A.. In caso contrario, si attribuirebbe al giudice il potere di ritenere di non particolare tenuità qualsivoglia condotta, in virtù dell’apprezzamento soggettivo e personale del giudice, come ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità.

I giudici di legittimità, quindi, pur confermando il reato previsto dalla cosiddetta legge Brunetta e la condanna al risarcimento del danno nei confronti delle P.A., rinviano alla Corte d’appello di Napoli (altra sezione) per un nuovo giudizio sulla applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’articolo 131-bis Codice Penale, e verificare se gli illeciti siano espressivi di una tendenza o inclinazione al crimine o piuttosto ad un affidamento ad usi e prassi comuni e alla tolleranza dei superiori.

La pausa caffè nel nostro paese è quasi un rito, pur durando pochi minuti aiuta a rigenerarsi e dare una carica per mente e corpo, a lavorare meglio e migliorare i rapporti tra colleghi, pertanto è giusto concederla ma è sicuramente sbagliato approfittarne.

Ora tocca alla Corte d’appello, chiamata a valutare la tenuità dei fatti, decidere la sorte dei due lavoratori.