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Rapporti tra donazione, donazione indiretta e promessa disinteressata

Donazione
Donazione

Indice:

1. Premessa

2. I negozi gratuiti e la donazione

3. L’atipicità delle donazioni indirette

4. Le promesse atipiche e disinteressate

5. Rapporti fra promesse disinteressate e donazione indiretta

 

1. Premessa

Negli ultimi decenni si è assistito ad un ripensamento degli istituti civilistici a causa della globalizzazione e dell’evoluzione tecnologica che hanno condotto i privati all’utilizzo di nuovi schemi negoziali. Del resto, proprio l’esigenza di una più pregnante tutela dell’autonomia privata e la celerità dei rapporti giuridici condusse la giurisprudenza e dottrina a elaborare nuove teorie sulla causa del contratto, sull’atipicità delle promesse e sul negozio indiretto.

In particolare, a seguito dell’avvento della c.d. causa in concreto, si sono manifestati accesi dibattiti sull’ammissibilità delle promesse disinteressate e il loro confine con la donazione indiretta in quanto entrambi negozi connotati da spirito di liberalità ma elusivi della disciplina dettata in tema di donazione. È evidente che la tematica in questione non abbia connotati strettamente teorici, ma anche importanti ricadute pratiche in ordine ad altri istituti del diritto civile, in particolare successorio, quali la collazione, la revocazione.

Sicché, al fine di dare chiarezza dell’ammissibilità e confini applicativi dei sopra accennati istituti, sarà necessario analizzare la loro ratio e disciplina dando conto delle loro affinità e differenze sostanziali.

 

2. I negozi gratuiti e la donazione

In primo luogo, è necessario sottolineare che il diritto civile suole distinguere i negozi a titolo oneroso da quelli a titolo gratuito.

I primi, sono connotati dalla presenza in capo alle parti di obbligazioni a carattere patrimoniale consistente indifferentemente in un dare, facere, non facere, garantire; tipici negozi a carattere oneroso sono il mutuo, la locazione, la compravendita.

Viceversa, i negozi a titolo gratuito presuppongono una prestazione a carico di una delle parti senza una controprestazione. Un esempio classico di negozio essenzialmente gratuito è il comodato ovvero quel contratto mediante il quale una parte consegna all’altra un bene mobile o immobile, al fine di servirsene per un determinato periodo di tempo, con l’obbligo di consegnarla alla scadenza. Appare evidente, quindi, la gratuità del contratto in quanto una parte consegna il bene all’altra senza che questa dia nulla in cambio salvo restituirla alla scadenza del termine fissata nel contratto.

Se allora la differenza fra negozi onerosi e gratuiti sembra essere chiara, altrettanto non si può affermare tra i negozi gratuiti e liberali poiché, fra questi, esiste un rapporto di genus a species dai confini piuttosto labili. Difatti, in entrambi i casi si riscontra l’assenza di una controprestazione ma, ciò che muta, è la causa che nel caso di negozio gratuito è “interessata” ovvero è riferibile ad un interesse patrimoniale della parte.

Viceversa, i contratti con spirito di liberalità sono destinati a soddisfare un interesse non patrimoniale del disponente. Del resto, lo spirito di liberalità viene definito come quel sentimento solidaristico\altruistico della parte che esegue una prestazione animata dalla volontà di arricchire il prossimo senza avere nulla in cambio nemmeno un vantaggio a carattere patrimoniale seppur indiretto. Quest’ultimo aspetto è proprio, invece, nei contratti a titolo gratuito nei quali viene soddisfatto un interesse patrimoniale di chi effettua la prestazione. In giurisprudenza si è soliti collocare nei casi di negozi a titolo gratuito il contratto di sponsorizzazione o di pubblicità nei quali il soggetto sponsorizzato, pur non ricevendo un vantaggio diretto, riceve indirettamente un’utilità inquadrabile nella sua fama, prestigio e visibilità suscettibile di valutazione economica.

Nei negozi con spirito di liberalità, invece, si suole distinguere tra liberalità donative, che seguono la specifica disciplina della donazione, e liberalità non donative ovvero quei negozi unilaterali o plurilaterali, diversi dalla donazione, che celano un’attribuzione patrimoniale disinteressata.

La disciplina della donazione si rinviene nel Libro II, Titolo V, del codice civile in tema di successioni. Essa viene definita dall’articolo 769 Codice Civile come quel contratto mediante il quale una parte arricchisce l’altra, attribuendole un diritto o assumendo un’obbligazione, per spirito di liberalità.

La collocazione sistematica dell’istituto ne evidenzia l’intrinseco legame con le successioni ed in particolare con la quota dovuta ai legittimari; difatti, le donazioni, se eccedenti la quota disponibile del patrimonio del de cuius, ledono la c.d. quota di legittima spettante a determinati soggetti, c.d. legittimari, e tali attribuzioni possono essere oggetto di azione di riduzione ex articolo 555 Codice Civile

L’istituto della donazione viene anche richiamato dall’articolo 737 Codice Civile, in tema di collazione, secondo cui i figli, i loro discendenti e il coniuge che concorrono nella successione devono conferire ai coeredi quanto hanno ricevuto dal defunto per donazione diretta o indiretta salvo che questi non li abbia espressamente dispensati.

Oltre ad i particolari legami esistenti con la successione, la donazione presenta una disciplina particolareggiata e molto puntuale concernente i beni oggetto del negozio, la capacità di donare e la sua forma.

Possono essere oggetto di donazione beni mobili, universalità di cose, e beni immobile purché siano venute ad esistenza pena la nullità del contratto ex articolo 771 Codice Civile; tuttavia, può essere donato anche un bene esistente ma appartenente ad un terzo purché il donante sappia dell’altruità della cosa e ne dia espressa menzione nel contratto. Quest’ultima ipotesi viene definita come donazione obbligatoria e, secondo la giurisprudenza e dottrina maggioritaria è ammessa in quanto l’assunzione di un’obbligazione in maniera consapevole e spontanea non snatura lo spirito di liberalità. Del resto, l’indirizzo interpretativo in questione si basa anche sul dato letterale dell’articolo 769 Codice Civile che definisce donazione, non solo quando venga attribuito un diritto, ma anche venga assunta un’obbligazione.

Il codice fornisce anche una serie di ipotesi tipizzate di donazioni come:

la donazione remuneratoria ex articolo 770 Codice Civile ovvero l’attribuzione fatta per riconoscenza o per i meriti del donatario;

la donazione periodica ex articolo 772 Codice Civile che ha per oggetto prestazioni periodiche che si estinguono alla morte del donante salvo non sia diversamente stabilito;

la donazione obnunziale ex articolo 785 Codice Civile ovvero quella prestazione\attribuzione effettuata in ragione di un matrimonio la cui efficacia e validità è strettamente dipendente dalle sorti dello stesso.

Un’ipotesi peculiare è la donazione modale regolata dall’articolo 793 Codice Civile secondo cui la donazione può essere gravata da un onere in capo al donatario che, per beneficiare dell’attribuzione, è tenuto all’adempimento nei limiti della cosa donata pena la risoluzione per inadempimento ex articolo 1453 Codice Civile.

L’aspetto più pregnante che differenzia la donazione dagli altri contratti è la sua forma regolata dall’articolo 782 Codice Civile secondo cui questa deve essere effettuata mediante atto pubblico alla presenza di due testimoni, ex articolo 2699 Codice Civile, a pena di nullità. Inoltre, prima del perfezionamento dell’atto, che avviene nel momento in cui l’accettazione del donatario perviene al donante, questi possono revocare la loro dichiarazione ex articolo 1328 Codice Civile Tuttavia, l’articolo 783 Codice Civile tipizza una deroga alla regola generale per le donazioni di modico valore le quali possono essere fatte anche senza l’atto pubblico purché vi sia la traditio.

In definitiva, la donazione è un contratto con spirito di liberalità, a forma solenne, revocabile dalla disciplina particolarmente puntuale, poiché la causa liberale rappresenta la giustificazione e la meritevolezza del depauperamento patrimoniale a tutela dello stesso donante. Inoltre, il gravoso sistema pubblicitario viene anche imposto in ossequio del principio di certezza dei traffici giuridici e della tutela dei terzi e di certi aspetti successori.

 

3. L’atipicità delle donazioni indirette

Se quindi la donazione rappresenta un negozio tipico al quale il legislatore ha fornito una peculiare disciplina, altrettanto non si può affermare per le liberalità non donative; esse sono definite dall’articolo 809 Codice Civile quali attribuzioni a carattere liberale diverse dalla donazione che, tuttavia, sono soggette alle norme in tema di revocazione ex articoli 801, 803 Codice Civile nonché alle disposizioni sulla riduzione delle donazioni per integrare la legittima ex articoli 553 ss. Codice Civile

L’articolo 809 Codice Civile, quindi, si limita ad ammettere la possibilità per i privati di utilizzare altri negozi unilaterali o plurilaterali per le attribuzioni a carattere liberale richiamando solo certe norme sulla donazione, escludendone però, il richiamo alla forma solenne. Quindi, appare evidente che le donazioni indirette rappresentano un modo atipico di arricchimento, che può assumere la veste di un qualsiasi contratto o altro atto unilaterale purché connotato dallo spirito di liberalità. In particolare, la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria tendono ad annoverare nelle liberalità non donative una vasta serie di negozi quali: l’adempimento del terzo ex articolo 1180 Codice Civile; la remissione del debito ex articolo 1236 Codice Civile; il contratto a favore di terzi ex articolo 1411 Codice Civile; la restituzione volontaria del titolo originale del credito ex articolo 1237 Codice Civile; la rinuncia traslativa o abdicativa; il negozio misto a donazione.

Tuttavia, la giurisprudenza ha precisato che questi negozi possono costituire donazione dirette ma anche atti a titolo gratuito o solutorio poiché strettamente dipendenti dalla ragione della loro attribuzione patrimoniale. In altri termini, è necessario vagliare la causa in concreto del contratto o dell’insieme dei negozi che hanno condotto all’attribuzione patrimoniale al fine di distinguere se si tratti di liberalità non donative, negozi indiretti o un fenomeno di collegamento negoziale.

In particolare, si ha negozio indiretto nel caso in cui le parti utilizzano lo schema tipico di un contratto ma, in realtà, perseguono un fine diverso; l’esempio classico è il negozio fiduciario “dinamico” mediante il quale, ad esempio, una parte trasferisce la proprietà di un immobile ad un soggetto, dietro corrispettivo, al fine di farlo amministrare per un periodo di tempo per poi ritrasferirlo. In questo caso, il negozio tipico è una compravendita ma il fine che si vuole raggiungere è quello del mandato.

Il negozio indiretto, quindi, può assumere diverse forme ed essere supportato da una giustificazione causale onerosa, se vi è una controprestazione, o gratuita nel caso in cui, nonostante la prestazione non vi sia, il negozio attribuisce un’utilità indiretta al disponente. Nel caso in cui, invece, il negozio indiretto sia sorretto dallo spirito di liberalità allora coinciderà con la fattispecie della donazione indiretta contemplata dall’articolo 809 Codice Civile.

Più complesso è il fenomeno del collegamento negoziale, il quale è stato definito dalla giurisprudenza come quel complesso di contratti o atti che, seppur autonomi e distinti nella loro individualità, sono intimamente collegati da una causa unitaria che abbracci l’insieme dei negozi. In questo caso, nonostante ogni singolo negozio abbia una propria causa, ciò che effettivamente rileva per comprendere se si tratti di una causa liberale, gratuita o onerosa è la causa delineata dall’intera operazione negoziale.

Si pensi al caso della remissione del debito effettuata dal creditore verso il debitore; di per sé il negozio può avere una giustificazione causale gratuita o di liberalità ma mai onerosa in quanto non vi è alcuna contro prestazione. Viceversa, se la remissione del debito viene fatta a seguito di un contratto a favore di terzo, posto in essere dal debitore al figlio del creditore, la situazione cambia. Difatti, se la remissione del debito trova la sua ragion d’essere nel contratto a favore di terzo, allora non vi è dubbio che saremo dinnanzi ad un fenomeno di collegamento negoziale; in tal caso, la causa dell’operazione negoziale ben potrà avere natura onerosa. Tuttavia, se tale legame fra i due negozi non sussiste, essi manterranno la loro autonomia e, di conseguenza, ognuno di essi avrà una propria causa.

In definitiva, il discrimen tra liberalità non donative, negozio indiretto e collegamento negoziale è tracciato dall’analisi della causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale; quindi, nel caso in cui la causa sia liberale allora si applicheranno le regole di forma del negozio prescelto in aggiunta ai tratti di disciplina dell’articolo 809 Codice Civile.

 

4. Le promesse atipiche e disinteressate

Come poc’anzi detto, le donazioni indirette rappresentano un fenomeno variegato che può assumere le vesti di un qualsiasi negozio; tale atipicità ha portato la giurisprudenza e la dottrina ad interrogarsi sulla possibilità di ammettere nel nostro ordinamento la c.d. promessa disinteressata e se, questa, sia assorbita o meno dal disposto di cui all’articolo 809 Codice Civile.

Prima di entrare nel merito della questione, è necessario ricostruire il contrasto giurisprudenziale e dottrinale creatosi attorno alla tematica dell’ammissibilità di promesse atipiche; sul punto si sono confrontate la tesi negazionista\restrittiva e positivista\estensiva.

Un primo filone interpretativo tradizionale, maggioritario sino i primi anni Duemila, nega l’ammissibilità delle promesse atipiche alla luce di argomenti letterali e sistematici. In primo luogo, viene precisato che l’articolo 1987 Codice Civile sancisce l’inefficacia di tutte le promesse unilaterali fuori dai casi “ammessi dalla legge”; tale locuzione, quindi, viene interpretata in senso restrittivo ammettendo esclusivamente le ipotesi contemplate dagli articoli 1988, 1989 Codice Civile Difatti, le uniche promesse che tipizza il legislatore sono la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, che hanno l’unico effetto di dispensare dalla prova il rapporto fondamentale, e la promessa al pubblico che vincola il promittente a tenere ferma la prestazione promessa non appena questa viene resa pubblica.

A sostegno dell’argomento letterale veniva fornito un argomento sistematico, conforme alla teoria della causa in astratto, secondo cui l’ordinamento civilistico non ammette promesse unilaterali privi di causa se non quella tipica prevista dal legislatore nelle ipotesi degli articoli 1988, 1989 Codice Civile Inoltre, veniva precisato che principio consensualistico ha carattere generale e può essere derogato solo nei casi previsti tassativamente dal legislatore; sicché solo il contratto è lo strumento privilegiato per far raggiungere l’intento perseguito dalle parti.

La predetta impostazione fu criticata dalla dottrina e giurisprudenza che si consolidò dopo l’avvento della causa in concreto; in particolare, venne sottolineato che non vi erano ragioni per non ammettere delle promesse atipiche e, quindi, dalla causa variabile in ossequio del principio dell’autonomia contrattuale e dell’effetto pratico perseguito dalle parti. Invero, le ragioni che portarono all’ammissibilità delle c.d. promesse atipiche sono rinvenibili in una serie di argomentazioni teleologiche, sistematiche conformi ai principi dell’ordinamento. In primo luogo, veniva sottolineato che la locuzione “fuori dai casi ammessi dalla legge” dovesse essere interpretata in senso estensivo abbracciando altre ipotesi al di fuori da quelle previste dagli articoli 1988, 1989 Codice Civile.

Difatti, l’articolo 1987 Codice Civile andrebbe letto in combinato disposto sia con l’articolo 1333 Codice Civile in tema di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente, sia con l’articolo 1322 comma 2 Codice Civile secondo cui le parti possono concludere contratti aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.  In tal modo, si darebbe un fondamento normativo alle promesse atipiche che altro non sono che negozi unilaterali nei quali non manca il consenso fra le parti, come veniva sostenuto dalla tesi negazionista, ma è implicito derivante dal mancato rifiuto nel termine richiesto ex articoli 1333, 2964 Codice Civile. Sicché, se il destinatario non volesse approfittare della prestazione a suo favore gli basterebbe esprimere il suo dissenso.

Ancora, veniva precisato che il limite invalicabile della necessaria presenza dell’accordo è presente solo nei casi di effetti negativi per la parte e non anche per gli effetti positivi nei quali è bastevole il dissenso postumo.

Inoltre, sarebbe immotivato un trattamento differenziato tra contratti atipici e promesse atipiche, strumenti i quali sono funzionali a dare massima espressione al principio dell’autonomia contrattuale e della causa in concreto purché meritevole.

Sicché le ragioni della tesi negazionista altro non sono che frutto di un retaggio storico ancorato ai dogmi della causa in astratto e della preminenza del principio consensualistico, non più in linea con le esigenze dell’autonomia contrattuale e della celerità dei traffici giuridici.

In definitiva, l’orientamento estensivo ammette la presenza di promesse sia tipiche che atipiche purché, quest’ultime, siano sorrette da una causa in concreto meritevole di tutela da vagliare caso per caso, pena la nullità del negozio.

 

5. Rapporti fra promesse disinteressate e donazione indiretta

Tuttavia, l’ammissibilità di promesse a causa variabile ha condotto la giurisprudenza ad interrogarsi sui rapporti fra promesse atipiche disinteressate e le donazioni indirette, in quanto, entrambe sorrette dallo spirito di liberalità; sul punto, si sono confrontate una tesi unitaria\negativa ed una separatista\positiva.

Secondo il primo orientamento, avallato da parte della giurisprudenza e della dottrina, non sarebbero ammissibili promesse disinteressate in base ad una interpretazione sistematica e teleologica.

Invero, una promessa connotata da spirito di liberalità eluderebbe la disciplina contenuta dall’articolo 809 Codice Civile che richiama le norme in tema di revocazione ex articoli 801, 803 Codice Civile nonché quelle concernenti l’azione di riduzione ex articoli 553 ss Codice Civile.

Del resto, una promessa con spirito di liberalità altro non sarebbe che una donazione indiretta nella forma di negozio unilaterale a cui, tuttavia, è necessario applicare non solo le norme concernenti la forma della promessa ex articoli 1987, 1322, 1333 Codice Civile ma anche i limiti dell’articolo 809 Codice Civile Di conseguenza, una promessa disinteressata non qualificabile come liberalità non donativa sarebbe ontologicamente immeritevole di tutela poiché in violazione dei limiti imposti dall’articolo 809 Codice Civile che presidiano l’interesse dei terzi e, in particolare, dei legittimari.

In secondo luogo, veniva ulteriormente precisato che verrebbe snaturata l’intera disciplina delle donazioni e delle liberalità non donative tali da renderle istituti dalla scarsa applicazione pratica in quanto, le promesse disinteressate sarebbero più appetibili in quanto prive dei vincoli predisposti per gli anzidetti istituti. Infine, lo schema della promessa potrebbe portare a negozi in frode alla legge data la mancanza di una puntuale disciplina.

In senso critico si è posta parte della dottrina, la quale critica l’impostazione negativa poiché incoerente con le ragioni che hanno portato all’ammissibilità delle promesse atipiche; invero, l’orientamento che ne ha dichiarato la loro ammissibilità non pone alcuna distinzione fra promesse interessate\gratuite e disinteressate\liberali. Proprio il principio dell’autonomia contrattuale e l’esigenza di celerità nei traffici giuridici impongono una massima estensione dell’ambito applicativo delle promesse purché meritevoli di tutela.

Inoltre, dato che già le donazioni indirette derogano alla disciplina della forma solenne, non si comprende perché il fenomeno della promessa disinteressata non possa disattendere gli ulteriori limiti dell’articolo 809 Codice Civile In ogni caso, l’affidamento dei terzi non verrebbe leso poiché per i negozi contemplati nell’articolo 1350 Codice Civile è sempre necessaria la forma scritta ad substantiam; di conseguenza, difficilmente la promessa disinteressata può rivelarsi elusiva di norme dell’ordinamento. Infine, viene precisato che sussiste sempre un controllo del giudice sulla meritevolezza della causa in concreto funzionale a prevenire abusi e comportamenti elusivi.

In definitiva, la portata applicativa dell’istituto della promessa disinteressata e della donazione indiretta è tuttora al centro di vivi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali che ne attestano la difficoltà di bilanciare il principio dell’autonomia privata con le guarentigie predisposte dall’ordinamento funzionali ad evitare abusi e comportamenti lesivi degli interessi dei terzi. Del resto, i medesimi problemi si sono posti anche fra la donazione, donazione indiretta, il negozio indiretto e il collegamento negoziale, tutti istituti frutto dell’autonomia privata e dell’esigenza di celerità e concretezza dei traffici giuridici. Sicché, inevitabilmente starà all’interprete vagliare il fenomeno negoziale alla luce della teoria della causa in concreto e dei principi fondamentali del diritto civile cercando di risalire alla effettiva volontà delle parti e alla causa dello spostamento patrimoniale.