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Tutela del lavoro minorile: evoluzione legislativa e attività di vigilanza

[Il presente contributo, ai sensi della Circolare Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004, ha natura personale e non impegnativa per la Pubblica Amministrazione di appartenenza, in quanto le considerazioni in esso esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autrice.]

Sommario

1) Uno sguardo di insieme: la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’OIL

2) La tutela del lavoro minorile in Italia: breve prospettiva storica

3) Evoluzione legislativa italiana: dalla legge 653/34 alla legge 286/2006

4) Gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali e ruolo dell’ispettore

1) Uno sguardo di insieme: la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’OIL

Il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo nelle società dei paesi in via di sviluppo, data la situazione economica ed i livelli elevati di povertà, ma anche nei paesi industrializzati, dove il lavoro dei bambini è molto diffuso, solo che vi è tendenza a nasconderlo, stigmatizzarlo ed a parlarne quando vengono denunciate situazioni limite.

Quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile, a causa della naturale tendenza di questo fenomeno a rimanere nell’ombra. In mancanza di cifre esatte, l’OIL[1] stima che siano coinvolti nel fenomeno circa 218 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni. Di questi circa 126 milioni sono impiegati in forme di lavoro pericoloso per il loro sviluppo psico-fisico. Il settore agricolo continua a essere quello con la maggior presenza di piccoli lavoratori (69%), nell’industria la quota si attesta al 9% e nei servizi al 22%. La regione Asia/Pacifico è quella con il più alto numero di bambini lavoratori con oltre 122 milioni di minori che lavorano. Questi costituiscono il 20% del totale dei bambini asiatici della stessa età.

Minori lavoratori sul totale della popolazione (%), fonte: Data and Statistics, Unicef, 2007

RegioniPopolazione totale espressa in milioni Popolazione di minori che lavorano espressa in milioni % di lavoratori minori sul totale della popolazione
Asia e Pacifico 3.902.404.193122.300.00031,17
Africa sub sahariana 770.300.00049.300.0006,4
America Latina e Caraibi 569.133.4745.700.0001,1
Altre regioni 1.358.162.33313.400.00061,3
Totale 6.600.000.000190.700.000100

Le cifre relative al fenomeno del lavoro minorile, come è noto, sono discordanti, per l’estrema difficoltà di rinvenire dati omogenei e completi, ascrivibile anche alla diffusa presenza del lavoro dei minori nell’ambito della cosiddetta economia “sommersa” o informale.

Non si può infine trascurare il fatto che il termine “lavoro minorile” comprende un insieme eterogeneo di attività: sotto tale definizione sono stati infatti inquadrati, soprattutto dai dati forniti dall’OIL, diversi fenomeni, che vanno dalle attività domestiche e di cura (o comunque svolte in un contesto familiare), al lavoro esterno o forzato, sino all’impiego di minori in attività illecite o allo sfruttamento sessuale.

Nel dibattito internazionale viene utilizzata la distinzione tra child labour e child work: la prima espressione indica il lavoro sfruttato, svolto solitamente all’esterno del nucleo familiare con modalità tali da impedire la frequenza scolastica e caratterizzato da basso salario e mansioni pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo psicofisico del minore; la seconda invece si riferisce a lavori non lesivi, realizzati dal bambino per la propria famiglia, non impeditivi in genere della frequenza scolastica.

Il testo fondamentale in materia è la Convenzione[2] sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, (CRC, Convention on the Rights of the Child), approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel Novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 novembre 1990. Per attuare gli scopi e gli impegni previsti, vengono delineate diverse tipologie di misure: legislative, amministrative, sociali ed educative, nel presupposto che una sinergia di interventi in settori differenti, ma interdipendenti, sia necessaria per il raggiungimento di risultati soddisfacenti. La Convenzione, in particolare, chiede agli Stati l’utilizzo di almeno tre strumenti minimi di tutela: 1. La fissazione di un’età minima di ammissione al lavoro; 2. La regolamentazione adeguata all’orario di lavoro e delle condizioni di impiego; 3. La previsione di appropriate sanzioni per garantire che la Convenzione venga applicata a tutela del diritto del fanciullo di essere preservato dallo sfruttamento economico.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, fin dalla sua nascita nel 1919, ha svolto un ruolo di rilievo nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile: d’altra parte, già nella sua Costituzione è affermato solennemente l’impegno a proteggere l’infanzia, riconoscendo tale obiettivo come essenziale al perseguimento della giustizia sociale e della pace universale[3]. L’OIL rappresenta il punto di riferimento e il promotore delle azioni promosse a livello internazionale sul lavoro minorile. Esso in particolare promuove e segue la redazione di documenti internazionali che, aperti alla firma degli Stati, individuino specifici standard minimi di protezione, diversi a seconda del settore dell’economia considerato.

Nel 2004 il primo studio mondiale dell’ILO sui costi e benefici dell’eliminazione del lavoro minorile afferma che i benefici economici sono sicuramente sei volte superiori ai costi. Nel 2006 il secondo rapporto mondiale dell’ILO sul lavoro minorile sostiene che il lavoro minorile sta diminuendo in tutto il mondo. L’ILO dunque esorta i suoi Stati membri ad impegnarsi per abolire le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016. Il piano d’azione si basa su tre pilastri: supportare le risposte nazionali al lavoro minorile; approfondire e rafforzare il movimento mondiale contro il lavoro minorile; promuovere l’integrazione della questione del lavoro minorile nelle strategie dell’ILO a favore del lavoro dignitoso per tutti.

2) La tutela del lavoro minorile in Italia: breve prospettiva storica

Le prime iniziative in Italia sono da ricondurre prima dell’unità d’Italia, agli stati più industrializzati della penisola: così il governo austriaco prima (1844) e lo stato Sardo poi (1859) adottarono i primi provvedimenti e vietarono ai minori di 9 anni il lavoro nelle miniere.

Il problema dello sfruttamento stentava però ad essere risolto, le proposte avanzate si limitavano ad una riduzione dei carichi di lavoro dei bambini, ad una alternanza ai macchinari o all’introduzione di momenti educativi nell’arco della giornata lavorativa.

Nel 1866 venne promulgata la prima legge organica dello Stato italiano (n. 3657 dell’11 febbraio), con questa normativa si ribadiva il limite di 9 anni da elevare a 10 per cave e miniere e a 15 anni per i lavori insalubri o pericolosi. Per i minori di età compresa tra i 9 e i 14 anni, l’ammissione al lavoro era subordinata al possesso di certificati d’idoneità. Tuttavia, già allora vi era la consapevolezza della gravità del problema e nel 1869 il ministro Minghetti dispose un’inchiesta governativa sul lavoro di donne e minori. Gli stessi industriali, si resero conto che un miglioramento delle condizioni di vita era necessario per poter contare su una forza lavoro robusta ed efficiente. Anche i progressi in campo tecnologico imponevano una manodopera più specializzata, riducendo così l’interesse per il lavoro infantile. D’altro canto risultava ancora diffuso l’impiego di bambini nel settore tessile e chimico, oltre che, naturalmente, nelle campagne e nelle miniere.

Da segnalare il tentativo del ministro Lanza nel 1870, fallito miseramente, di far passare una nuova legge che sanzionasse lo sfruttamento del lavoro infantile riconducendolo al reato di “tratta dei fanciulli”.

Nel 1876, a seguito della pubblicazione di un’inchiesta sulle solfatare siciliane, fu avanzata una proposta per la riduzione dell’orario e per l’innalzamento della soglia dell’età minima di ammissione. Successivamente, la legge n. 242 del 19 giugno 1902, elevò il limite di età a dodici anni (tredici per cave e miniere), confermò il massimo di otto ore lavorative per bambini fino ai dodici anni e di undici ore per quelli dai 12 ai 15 anni ed infine vietò il lavoro notturno per i minori di anni sedici.

Solo nel 1904 si pensò di contrastare il fenomeno mediante l’elevamento dell’obbligo scolastico, che passò dai 9 ai 12 anni. Questa legge tuttavia fu disattesa sia dagli imprenditori che dalle famiglie, troppo interessate alla ulteriore fonte di reddito garantita dall’impiego dei bambini.

Così nel 1907 fu emanato un Testo Unico che, modificando il testo precedente, introduceva numerose deroghe al divieto di impiego dei minori. Su tale scia nel 1914 fu anche annullato il divieto di lavoro notturno. Ci vollero alcuni anni prima di reintrodurre l’obbligo del conseguimento della licenza del primo triennio elementare per l’ammissione al lavoro.

In seguito alla Conferenza di Washington nel 1919 e soprattutto in considerazione della Convenzione n. 33 del 1932 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, fu formulata la legge n. 653 del 1934, con la quale il limite di età fu elevato a 15 anni in conformità alla legislazione internazionale.

Le intenzioni erano ottime, ma le eccezioni rimanevano comunque troppo numerose: la legge non trovava applicazione per i lavori domestici, nel caso di impiego presso parenti o affini, per i lavori a domicilio e per il lavoro agricolo nel quale il fenomeno era molto diffuso. Inoltre l’ispettorato scolastico poteva, con una semplice dichiarazione di inidoneità alla scuola, esonerare i minori lavoratori dall’obbligo scolastico ed anticipare, quindi, il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Con la nascita della Repubblica, l’Assemblea Costituente, conscia dell’importanza della materia e pressata dai numerosi impegni assunti a livello internazionale, sanciva nell’art. 37 della Costituzione: “La repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione” ed ancora “la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”.

Tuttavia solo nel 1967 viene promulgata la legge n. 977 (Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti), ancora vigente, che fissa a 15 anni l’età minima di ammissione al lavoro e, in ottemperanza al disposto costituzionale (art. 37), segna il distacco della disciplina legale del lavoro dei minori da quello femminile fino ad allora equiparati ed accomunati a livello normativo.

3) Evoluzione legislativa italiana: dalla legge 653/34 alla legge 286/2006

La legge 653/34 già prima della Costituzione disciplinava la tutela delle condizioni di lavoro di donne e fanciulli, successivamente l’art. 37 della Cost. ha previsto una tutela speciale per il lavoro di donne e minori, si sono poi susseguite diverse norme, fra cui la Legge 977/67, quindi il D.lgs 345/99 che ha stabilito l’età minima per l’accesso all’impiego coincidente con quella di cessazione degli obblighi scolastici.

La legge 977/67 tollerava il più basso limite di 14 anni per i lavori agricoli e famigliari distinguendo un doppio livello di protezione, graduato a seconda che si trattasse di bambini inferiori a quindici anni e soggetti all’obbligo scolastico oppure di adolescenti tra i 15 e i 18 anni con obbligo scolastico assolto. Attualmente l’art. 5 del D.lgs 345/99 fissa l’età minima a 15 anni, salvo deroghe previste in attività di carattere artistico, sportivo, culturale, in tal caso è necessaria l’autorizzazione del genitore e della DPL territoriale.

Pertanto i giovani di 15 anni compiuti possono decidere di assolvere il percorso di studi obbligatorio nel sistema della formazione professionale o apprendistato che è quindi l’unico contratto di lavoro stipulabile a tempo pieno da chi abbia meno di 18 anni e non sia in possesso di qualifica professionale[4]. Ne consegue che sono stati ammessi all’instaurazione di un contratto di lavoro i quindicenni in possesso del diploma di scuola media[5].

In ogni caso anche i minori di 15 anni occupati hanno diritto comunque alle prestazioni assicurative[6] e lo stesso Ministero del Lavoro con lettera circolare n. 8906 del 04/07/2007 ha affermato che si deve procedere all’irrogazione di maxisanzione prevista dall’art. 36 bis della legge 248/2006 anche nell’ipotesi di impiego di lavoratori minorenni privi del requisito minimo per l’ammissione al lavoro. Da ultimo il Ministero del lavoro con nota del 20/07/2007 n. 9799 ha disposto che l’innalzamento a 16 anni dell’età di ingresso al lavoro dei minori decorre dal 01/09/2007, come disposto dalla legge finanziaria n. 296/2006 entrata in vigore dal 1 gennaio 2007.

Si ricorda inoltre che l’art. 6 della legge 977/67 e s.m.i. stabilisce il divieto di adibire gli adolescenti alle lavorazioni ed ai lavori potenzialmente pregiudizievoli per il pieno sviluppo fisico del lavoratore. In particolare la valutazione dei rischi cui è obbligato il datore di lavoro, deve essere effettuata considerando gli specifici rischi per i lavoratori minori.

L’art. 2 del D.lgs 262/2000 stabilisce visite mediche preassuntive e periodiche per il minore a carico del datore di lavoro, in caso di inidoneità il giudizio fa sorgere l’obbligo immediato di sospensione del minore dall’attività lavorativa. Tali visite sanitarie devono svolgersi presso un medico del SSN[7].

In sintesi quindi, nel caso in cui il minore non sia adibito a sorveglianza sanitaria ai sensi del TU 81/2008, l’accertamento dell’idoneità deve avvenire presso una struttura pubblica, nel caso invece in cui il minore sia adibito anche a sorveglianza sanitaria, sussistono due obblighi di controllo, uno derivante dalle L. 977/67 e s.m.i. (struttura pubblica), l’altro dal TU 81/2008 (medico competente anche privato).

Per quanto concerne l’orario di lavoro per i bambini, questo non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 settimanali, per gli adolescenti le 8 giornaliere e 40 settimanali. Ai minori deve poi essere assicurato il riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile consecutivi e comprendenti la domenica. La pausa giornaliera è prevista almeno ogni 4 ore e mezzo. E’ vietato adibire i minori al lavoro notturno, con il termine notte si intende il periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo tra le 22 e le 6 o tra le 23 e le 7.

4) Le Convenzioni ILO n. 5, 81, 138, 182, le Raccomandazioni n. 146, 190

Le Convenzioni sul lavoro minorile dell’ILO n. 138 e n. 182 illustrano le peggiori forme di lavoro minorile ed auspicano una sinergia fra ispettori e operatori dell’istruzione, dei servizi sociali e della sanità, al fine di eliminare la piaga del lavoro minorile. Il programma internazionale sull’eliminazione del lavoro minorile (IPEC 1992) e il programma di lavoro sicuro dell’ILO si concentrano su molteplici aspetti del fenomeno: schiavitù, prostituzione minorile, utilizzo dei minori nella guerra, sfruttamento; attraverso azioni locali l’IPEC assiste oltre 60 paesi nella formulazione di politiche e programmi nazionali esaustivi, mirati all’eliminazione dello sfruttamento, creando alleanze efficaci con le organizzazioni dei datori, dei lavoratori.

Già con la nascita dell’ILO nel 1919 le prime convenzioni vietavano il lavoro svolto da minori negli stabilimenti industriali (Convenzione n. 5), cui seguirono le Raccomandazioni n. 146 e n. 190, le Convenzioni n. 81 sull’ispezione in industria e la n. 129 sulle ispezioni in agricoltura.

Il child labour di cui parlano le Convenzioni ONU sui diritti del fanciullo e la Convenzione ILO n. 182[8] identificano i requisiti fondamentali del lavoro minorile, ovvero: sfruttamento, privazione dell’istruzione, pericolo per la salute e lo sviluppo psico-fisico del bambino, allontanamento dalla famiglia.

Lo sfruttamento minorile è presente specie nei paesi in via di sviluppo, là dove l’istruzione per i bambini poveri risulta costosa, inaccessibile, di bassa qualità ed irrilevante, un bambino infatti può essere pagato meno di un adulto, ubbidisce senza recriminare, non ha pretese sindacali e può essere facilmente licenziato. L’azienda che sfrutta il child labour non deve affrontare investimenti in termini previdenziali o assicurativi, quindi produce a basso costo e riesce ad essere competitiva nell’economia globale.

Molti bambini lavorano in attività pericolose e in condizioni a rischio come l’edilizia, le miniere, le cave, la pesca sottomarina, altri sono venduti a saldo dei debiti contratti dai genitori, oppure sono oggetto di traffico internazionale di organi o di sfruttamento sessuale. Atri ancora possono essere obbligati a lavorare in condizioni anguste e privi di periodi di riposo adeguati. I bambini possono prestare la loro attività in gruppi, si pensi al lavoro nelle sartorie, laboratori, officine, cantieri, supermercati, campi, cave, fabbriche, miniere, oppure possono prestare il loro lavoro isolati, si pensi all’attività dei fattorini, fiorai, pastori, lustrascarpe, domestici, attività che sconfinano nella illiceità, come per i mendicanti, ladri, prostitute, soldati.

Già negli anni ’70 l’ILO aveva ribadito che il lavoro minorile per sua natura e per le circostanze in cui viene svolto, rischia di compromettere le possibilità del minore di diventare un adulto produttivo, nel 1973 infatti è stata adottata la Convenzione n. 138 sull’età minima e nel 1992 l’Ilo ha varato l’IPEC, ovvero il programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile che ha offerto ampia assistenza politica a quei paesi che stavano affrontando la questione, quindi nel 1999 l’Ilo adotta un’ulteriore Convenzione, la n. 182 che ha ulteriormente affrontato la materia.

La Convenzione[9] n. 138/73 continua ad essere il riferimento fondamentale a livello internazionale per l’età minima di accesso al lavoro, essa stabilisce l’età minima generale di 15 anni[10], 13 anni per il lavoro leggero e 18 per quello pericoloso[11]. La Raccomandazione n. 146 pone l’accento sull’intensificazione dell’attività di vigilanza e dei servizi relativi mediante la speciale formazione di ispettori che siano in grado di individuare eventuali abusi commessi su minori e auspica il potenziamento di servizi statali per migliorare i programmi di formazione all’interno delle aziende.

La Convenzione n. 182/99[12] impone un divieto immediato alle forme peggiori di lavoro minorile con l’adozione di leggi e regolamenti volti a contrastare l’impiego dei minori nei conflitti armati, ai fini di prostituzione o per il traffico di stupefacenti.

La Raccomandazione n. 190/99 si occupa, sulla scia della Convenzione precedente, della progettazione e attuazione dei programmi d’azione nazionali mirati ad individuare e denunciare le forme peggiori di lavoro minorile, nonché di individuare e lavorare con le comunità nelle quali i minori sono esposti a rischi.

Le norme che guidano le ispezioni in materia minorile derivano dalle disposizioni della Convenzione n. 81/47, il Protocollo del 1995 e la Convenzione 129/69 per l’agricoltura, queste normative offrono un quadro indispensabile ai fini del funzionamento dell’ispezione del lavoro e costituiscono un valido strumento per l’abolizione del lavoro minorile.[13]

La Convenzione ILO n. 81 illustra i principi per un’efficace ispezione che così possono sintetizzarsi: organizzare sistemi di ispezione che si applicheranno a tutti gli ambienti per garantire l’applicazione uniforme delle disposizioni sulle condizioni di lavoro; prendere in considerazione un insieme di elementi base quali: orario, salari, sicurezza, impiego di fanciulli e adolescenti e altri aspetti connessi. Secondo la Convenzione n. 81 gli ispettori dovranno fornire informazioni e consigli tecnici ai datori di lavoro e ai lavoratori sui mezzi più efficaci per osservare le disposizioni di legge, all’art. 11 della stessa si ribadisce che gli stessi funzionari dovranno essere dotati di adeguati uffici locali e mezzi di trasporto.

4) Gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali e ruolo dell’ispettore

In realtà gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali possono essere numerosi: fattori politici, legali, economici, strutturali e culturali, che possono sorgere a qualunque livello, sia esso nazionale o locale. Dove le leggi nazionali non vengono modificate o adottate, gli ispettori non avranno alcun riferimento cui attenersi, in alcuni paesi infatti, la legislazione sul lavoro minorile si è instaurata su un’economia fragile, all’interno di un’economia che non aveva ancora assorbito i concetti di base delle convenzioni internazionali e dei trattati volti alla tutela dell’infanzia.

Oltre alla mancanza di volontà politica dimostrata dalla mancata attuazione delle convenzioni internazionali, un ulteriore ostacolo al lavoro ispettivo è rappresentato dalla inadeguatezza delle risorse economiche. Tuttavia il costo a carico dello Stato per la scarsa tutela del lavoro che si traduce in infortuni, malattia e sfruttamento abusivo, è spesso superiore al 5% del PIL di un Paese. La prova più tangibile dell’impegno politico si ha con una remunerazione adeguata e condizioni lavorative in grado di attrarre, formare e motivare ispettori competenti ed indipendenti, fornendo quanto necessario, dai trasporti ai costi di gestione, per lo svolgimento delle attività. Laddove il sostegno tecnico ed amministrativo agli ispettori sul campo risulti inadeguato, questi si sentiranno isolati e il loro operato non potrà dare i risultati auspicati. E’ frustrante da un lato avere il compito di far applicare la normativa e dall’altro, ricevere il messaggio non detto/sotterraneo implicito di farlo senza sconvolgere l’economia.

Un problema riscontrato con frequenza dagli ispettori è il fatto che gli stessi bambini lavoratori oppongono spesso forte resistenza ad ogni sforzo volto ad allontanarli dal lavoro che da ai bambini la sensazione di essere adulti e quindi degni del rispetto della famiglia e dell’intera comunità.

Vi è di fatto un circolo vizioso tra sottosviluppo e lavoro minorile, il sottosviluppo economico è infatti associato ad una bassa produttività che, a sua volta, crea bassi standard di vita, bassi redditi e alimentazione inadeguata, tali condizioni riducono la capacità di lavorare e contribuiscono a infortuni, malattie ed assenteismo.

In questo senso diviene essenziale creare una cultura della prevenzione, in modo che i costi ed i benefici appaiano sempre più chiari non solo ai datori e ai lavoratori, ma anche all’opinione pubblica. L’impulso a questo cambiamento di atteggiamento si è andata imponendo fin dagli anni ’90 ed è poi stato ribadito in tempi recenti, si sta cioè creando l’idea che per produrre cambiamenti sostanziali nel mondo del lavoro, è necessario che gli ispettorati studino nuovi metodi per far rispettare le norme, ovvero lavorare con i datori, i sindacati, le comunità scientifiche per ottenere consenso sugli standard di tutela, risparmiando e così agevolando il processo di adeguamento alle norme.

Il monitoraggio sul lavoro minorile è nato con una serie di progetti facenti capo all’IPEC e portati avanti per anni in diversi settori e aree geografiche, in ogni caso però è proprio dalla combinazione di incentivi positivi e dalla maggior sensibilizzazione da parte dell’opinione pubblica che si può far molto per stimolare il rispetto delle norme anche laddove i datori o i genitori non siano aperti ad una collaborazione con gli organi ispettivi.

La migliore dimostrazione di impegno politico è l’esistenza di una politica nazionale volta all’abolizione del lavoro minorile, politica che impegni il governo ad eliminare lo sfruttamento dei minori e parimenti ad operare una distinzione razionale fra lavoro pericoloso e non pericoloso e tra lavoro che possa essere svolto da una persona maggiorenne oppure da un quindicenne. Lo sviluppo di una politica di ispezioni del lavoro richiede capacità tecniche, conoscenza del mercato industriale e commerciale, conoscenza delle operazioni di ispezione, sensibilità politica e capacità di negoziare accordi.

Studi di mappatura e/o profilo sono particolarmente utili per identificare luoghi e settori dove si concentrano i bambini lavoratori. Questi studi facilitano l’identificazione degli obiettivi e la raccolta di informazioni fondamentali sui minori e i settori nei quali sono impiegati. Altro processo di raccolta dati di importanza non trascurabile riguarda le informazioni fornite dai diversi servizi preposti a intervenire tra cui i servizi educativi, i servizi sociali e i tribunali.

In quest’ottica, in tema di lotta al lavoro minorile, l’ispettorato dovrebbe identificare in quali settori occupazionali o aree geografiche soffermarsi, stabilire se concentrarsi su categorie specifiche, identificare e raccogliere dati sul lavoro minorile, chiarire il ruolo della consulenza e decidere come collaborare con gli altri partner.

Dall’approccio preventivo utilizzato nei primi contatti, parlare con i bambini lavoratori significa creare il giusto contesto ambientale e psicologico cercando di mettere il minore a suo agio, tenendo conto del fatto che i bambini sono combattuti tra la pressione economica e quella dei genitori a lavorare e il desiderio e la necessità di imparare e stabilire rapporti umani. È utile distinguere tra pericolo e rischio nel valutare la gravità di una situazione e nel decidere quale deve essere la priorità. Combinando i due tipi di dati, si riuscirà a stabilire le priorità su cui intervenire con misure preventive, poiché gli elementi con le valutazioni più alte rappresentano un potenziale di pericolo elevato ed hanno maggiori probabilità di verificarsi, l’ispettore dovrà dunque valutare pericoli di natura biologica, fisica, chimica, ergonomica e psicologica, tenendo conto del fatto che i minori si stancano più facilmente degli adulti e possono distrarsi andando soggetti ad infortuni ed inoltre ciò che è pericoloso per gli adulti lo è a maggior ragione per i bambini. La scelta più problematica nel caso di lavoro minorile pericoloso, consiste proprio nel decidere se allontanare il bambino da quella situazione o se la situazione è tale che il minore possa rimanere purché venga rimosso il pericolo, in altri casi ancora sarà il buon senso individuale a suggerire la soluzione migliore.



[1] I bambini che lavorano, Comitato italiano per l’UNICEF Onlus, Roma, seconda edizione marzo 2007.

[2] Amsterdam Child Labour Conference, 86 Session, Targeting the Intolerable, Geneva 1998. Di particolare importanza è l’art. 32 contro lo sfruttamento economico e contro il lavoro che lede la salute e l’educazione dei minori, che enuncia: “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento del lavoro economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.

[3] L’evoluzione delle politiche dell’OIL in materia di lavoro di minori si può suddividere in tre fasi, caratterizzate da un progressivo sviluppo ed ampliamento degli strumenti e delle strategie d’azione: 1. Fino alla seconda metà degli anni Sessanta, l’Organizzazione opera mediante la predisposizione di testi di convenzioni e raccomandazioni, con l’obiettivo di incidere sulla regolamentazione del lavoro minorile ad opera degli Stati membri, tramite l’individuazione dei principi e delle regole minime di protezione, in grado di costituire modello e stimolo per gli ordinamenti nazionali. 2. A partire dagli anni Ottanta: il lavoro dei minori diventa uno dei temi centrali del rapporto del Direttore generale alla Conferenza internazionale del lavoro e, allo stesso tempo, si inizia a riconoscere il ruolo importante e sempre più incisivo giocato dalle attività dirette alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei Governi. 3. Dagli anni Novanta con la creazione, nel 1992, del Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC).

[4] Circolare del Ministero del lavoro 40/2004.

[5] Interpello del Ministero del lavoro del 02/05/2006 n. 25/I0003772.

[6] Legge 17 Ottobre 1967 n. 977 art. 24, secondo cui gli istituti assicuratori hanno diritto di esercitare azione d rivalsa nei confronti del datore di lavoro per l’importo complessivo delle prestazioni corrisposte al minore, detratta la somma corrisposta a titolo di contributi omessi. Si veda anche circolare INPS n. 248 del 1984 secondo cui il lavoro svolto dagli infraquindicenni comporta comunque l’instaurazione di un vero rapporto assicurativo e contributivo.

[7] Ministero del lavoro, interpello 19/07/2006 n. 25/I000186.

[8] Entrambi i documenti fissano a quindici anni l’età minima per poter lavorare, così come ribadito dalla Convenzione ILO n. 138 del 1973 sull’età minima per il lavoro.

[9] Il testo della Convenzione n. 138 non lascia dubbi quanto ad un approccio “abolizionista”, infatti, obiettivo dichiarato è la “totale abolizione del lavoro minorile”; opzione che però finisce per produrre degli effetti controproducenti: se da un punto di vista legale i minori al lavoro al di sotto di un certo limite di età non debbono esistere, ciò comporta che tali minori, ove di fatto lavorino, si vedano confinare in una clandestinità che preclude loro ogni rete protettiva.

[10] Ma non inferiore all’età di adempimento dell’obbligo scolastico.

[11] L’età ora fissate devono essere spostate in 14, 12 e 18 anni per quei paesi la cui economia e le cui istituzioni non sono sufficientemente sviluppate.

[12] La Convenzione n. 182 dell’OIL relativa alla proibizione delle forme più gravi e intollerabili di sfruttamento del lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione è stata adottata dalla Conferenza dell’OIL, svoltasi a Ginevra nel giugno 1999, ed è entrata in vigore il 19 novembre 2000. Il nuovo strumento adottato dall’OIL si compone di sedici articoli, di cui i primi otto regolano gli aspetti sostanziali della materia considerata, mentre i successivi dettano regole procedurali relative alle modalità di ratifica, all’entrata in vigore, alla denuncia e alla revisione della Convenzione.

[13] Un legame tra lavoro minorile e ispezione è sancito dall’articolo 3 a della Convenzione n. 81 che comprende fra le funzioni principali del sistema di ispezioni, quella di garantire l’applicazione delle disposizioni di legge relative alle condizioni di lavoro e alla tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro professione.

[Il presente contributo, ai sensi della Circolare Ministero del Lavoro del 18 marzo 2004, ha natura personale e non impegnativa per la Pubblica Amministrazione di appartenenza, in quanto le considerazioni in esso esposte sono frutto esclusivo del pensiero dell’Autrice.]

Sommario

1) Uno sguardo di insieme: la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’OIL

2) La tutela del lavoro minorile in Italia: breve prospettiva storica

3) Evoluzione legislativa italiana: dalla legge 653/34 alla legge 286/2006

4) Gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali e ruolo dell’ispettore

1) Uno sguardo di insieme: la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e l’OIL

Il lavoro minorile è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo nelle società dei paesi in via di sviluppo, data la situazione economica ed i livelli elevati di povertà, ma anche nei paesi industrializzati, dove il lavoro dei bambini è molto diffuso, solo che vi è tendenza a nasconderlo, stigmatizzarlo ed a parlarne quando vengono denunciate situazioni limite.

Quantificare con precisione il lavoro minorile nel mondo è assai difficile, a causa della naturale tendenza di questo fenomeno a rimanere nell’ombra. In mancanza di cifre esatte, l’OIL[1] stima che siano coinvolti nel fenomeno circa 218 milioni di bambini tra i 5 e i 17 anni. Di questi circa 126 milioni sono impiegati in forme di lavoro pericoloso per il loro sviluppo psico-fisico. Il settore agricolo continua a essere quello con la maggior presenza di piccoli lavoratori (69%), nell’industria la quota si attesta al 9% e nei servizi al 22%. La regione Asia/Pacifico è quella con il più alto numero di bambini lavoratori con oltre 122 milioni di minori che lavorano. Questi costituiscono il 20% del totale dei bambini asiatici della stessa età.

Minori lavoratori sul totale della popolazione (%), fonte: Data and Statistics, Unicef, 2007

RegioniPopolazione totale espressa in milioni Popolazione di minori che lavorano espressa in milioni % di lavoratori minori sul totale della popolazione
Asia e Pacifico 3.902.404.193122.300.00031,17
Africa sub sahariana 770.300.00049.300.0006,4
America Latina e Caraibi 569.133.4745.700.0001,1
Altre regioni 1.358.162.33313.400.00061,3
Totale 6.600.000.000190.700.000100

Le cifre relative al fenomeno del lavoro minorile, come è noto, sono discordanti, per l’estrema difficoltà di rinvenire dati omogenei e completi, ascrivibile anche alla diffusa presenza del lavoro dei minori nell’ambito della cosiddetta economia “sommersa” o informale.

Non si può infine trascurare il fatto che il termine “lavoro minorile” comprende un insieme eterogeneo di attività: sotto tale definizione sono stati infatti inquadrati, soprattutto dai dati forniti dall’OIL, diversi fenomeni, che vanno dalle attività domestiche e di cura (o comunque svolte in un contesto familiare), al lavoro esterno o forzato, sino all’impiego di minori in attività illecite o allo sfruttamento sessuale.

Nel dibattito internazionale viene utilizzata la distinzione tra child labour e child work: la prima espressione indica il lavoro sfruttato, svolto solitamente all’esterno del nucleo familiare con modalità tali da impedire la frequenza scolastica e caratterizzato da basso salario e mansioni pregiudizievoli per la salute e lo sviluppo psicofisico del minore; la seconda invece si riferisce a lavori non lesivi, realizzati dal bambino per la propria famiglia, non impeditivi in genere della frequenza scolastica.

Il testo fondamentale in materia è la Convenzione[2] sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, (CRC, Convention on the Rights of the Child), approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel Novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 novembre 1990. Per attuare gli scopi e gli impegni previsti, vengono delineate diverse tipologie di misure: legislative, amministrative, sociali ed educative, nel presupposto che una sinergia di interventi in settori differenti, ma interdipendenti, sia necessaria per il raggiungimento di risultati soddisfacenti. La Convenzione, in particolare, chiede agli Stati l’utilizzo di almeno tre strumenti minimi di tutela: 1. La fissazione di un’età minima di ammissione al lavoro; 2. La regolamentazione adeguata all’orario di lavoro e delle condizioni di impiego; 3. La previsione di appropriate sanzioni per garantire che la Convenzione venga applicata a tutela del diritto del fanciullo di essere preservato dallo sfruttamento economico.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro, fin dalla sua nascita nel 1919, ha svolto un ruolo di rilievo nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile: d’altra parte, già nella sua Costituzione è affermato solennemente l’impegno a proteggere l’infanzia, riconoscendo tale obiettivo come essenziale al perseguimento della giustizia sociale e della pace universale[3]. L’OIL rappresenta il punto di riferimento e il promotore delle azioni promosse a livello internazionale sul lavoro minorile. Esso in particolare promuove e segue la redazione di documenti internazionali che, aperti alla firma degli Stati, individuino specifici standard minimi di protezione, diversi a seconda del settore dell’economia considerato.

Nel 2004 il primo studio mondiale dell’ILO sui costi e benefici dell’eliminazione del lavoro minorile afferma che i benefici economici sono sicuramente sei volte superiori ai costi. Nel 2006 il secondo rapporto mondiale dell’ILO sul lavoro minorile sostiene che il lavoro minorile sta diminuendo in tutto il mondo. L’ILO dunque esorta i suoi Stati membri ad impegnarsi per abolire le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016. Il piano d’azione si basa su tre pilastri: supportare le risposte nazionali al lavoro minorile; approfondire e rafforzare il movimento mondiale contro il lavoro minorile; promuovere l’integrazione della questione del lavoro minorile nelle strategie dell’ILO a favore del lavoro dignitoso per tutti.

2) La tutela del lavoro minorile in Italia: breve prospettiva storica

Le prime iniziative in Italia sono da ricondurre prima dell’unità d’Italia, agli stati più industrializzati della penisola: così il governo austriaco prima (1844) e lo stato Sardo poi (1859) adottarono i primi provvedimenti e vietarono ai minori di 9 anni il lavoro nelle miniere.

Il problema dello sfruttamento stentava però ad essere risolto, le proposte avanzate si limitavano ad una riduzione dei carichi di lavoro dei bambini, ad una alternanza ai macchinari o all’introduzione di momenti educativi nell’arco della giornata lavorativa.

Nel 1866 venne promulgata la prima legge organica dello Stato italiano (n. 3657 dell’11 febbraio), con questa normativa si ribadiva il limite di 9 anni da elevare a 10 per cave e miniere e a 15 anni per i lavori insalubri o pericolosi. Per i minori di età compresa tra i 9 e i 14 anni, l’ammissione al lavoro era subordinata al possesso di certificati d’idoneità. Tuttavia, già allora vi era la consapevolezza della gravità del problema e nel 1869 il ministro Minghetti dispose un’inchiesta governativa sul lavoro di donne e minori. Gli stessi industriali, si resero conto che un miglioramento delle condizioni di vita era necessario per poter contare su una forza lavoro robusta ed efficiente. Anche i progressi in campo tecnologico imponevano una manodopera più specializzata, riducendo così l’interesse per il lavoro infantile. D’altro canto risultava ancora diffuso l’impiego di bambini nel settore tessile e chimico, oltre che, naturalmente, nelle campagne e nelle miniere.

Da segnalare il tentativo del ministro Lanza nel 1870, fallito miseramente, di far passare una nuova legge che sanzionasse lo sfruttamento del lavoro infantile riconducendolo al reato di “tratta dei fanciulli”.

Nel 1876, a seguito della pubblicazione di un’inchiesta sulle solfatare siciliane, fu avanzata una proposta per la riduzione dell’orario e per l’innalzamento della soglia dell’età minima di ammissione. Successivamente, la legge n. 242 del 19 giugno 1902, elevò il limite di età a dodici anni (tredici per cave e miniere), confermò il massimo di otto ore lavorative per bambini fino ai dodici anni e di undici ore per quelli dai 12 ai 15 anni ed infine vietò il lavoro notturno per i minori di anni sedici.

Solo nel 1904 si pensò di contrastare il fenomeno mediante l’elevamento dell’obbligo scolastico, che passò dai 9 ai 12 anni. Questa legge tuttavia fu disattesa sia dagli imprenditori che dalle famiglie, troppo interessate alla ulteriore fonte di reddito garantita dall’impiego dei bambini.

Così nel 1907 fu emanato un Testo Unico che, modificando il testo precedente, introduceva numerose deroghe al divieto di impiego dei minori. Su tale scia nel 1914 fu anche annullato il divieto di lavoro notturno. Ci vollero alcuni anni prima di reintrodurre l’obbligo del conseguimento della licenza del primo triennio elementare per l’ammissione al lavoro.

In seguito alla Conferenza di Washington nel 1919 e soprattutto in considerazione della Convenzione n. 33 del 1932 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, fu formulata la legge n. 653 del 1934, con la quale il limite di età fu elevato a 15 anni in conformità alla legislazione internazionale.

Le intenzioni erano ottime, ma le eccezioni rimanevano comunque troppo numerose: la legge non trovava applicazione per i lavori domestici, nel caso di impiego presso parenti o affini, per i lavori a domicilio e per il lavoro agricolo nel quale il fenomeno era molto diffuso. Inoltre l’ispettorato scolastico poteva, con una semplice dichiarazione di inidoneità alla scuola, esonerare i minori lavoratori dall’obbligo scolastico ed anticipare, quindi, il loro ingresso nel mondo del lavoro.

Con la nascita della Repubblica, l’Assemblea Costituente, conscia dell’importanza della materia e pressata dai numerosi impegni assunti a livello internazionale, sanciva nell’art. 37 della Costituzione: “La repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione” ed ancora “la legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato”.

Tuttavia solo nel 1967 viene promulgata la legge n. 977 (Tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti), ancora vigente, che fissa a 15 anni l’età minima di ammissione al lavoro e, in ottemperanza al disposto costituzionale (art. 37), segna il distacco della disciplina legale del lavoro dei minori da quello femminile fino ad allora equiparati ed accomunati a livello normativo.

3) Evoluzione legislativa italiana: dalla legge 653/34 alla legge 286/2006

La legge 653/34 già prima della Costituzione disciplinava la tutela delle condizioni di lavoro di donne e fanciulli, successivamente l’art. 37 della Cost. ha previsto una tutela speciale per il lavoro di donne e minori, si sono poi susseguite diverse norme, fra cui la Legge 977/67, quindi il D.lgs 345/99 che ha stabilito l’età minima per l’accesso all’impiego coincidente con quella di cessazione degli obblighi scolastici.

La legge 977/67 tollerava il più basso limite di 14 anni per i lavori agricoli e famigliari distinguendo un doppio livello di protezione, graduato a seconda che si trattasse di bambini inferiori a quindici anni e soggetti all’obbligo scolastico oppure di adolescenti tra i 15 e i 18 anni con obbligo scolastico assolto. Attualmente l’art. 5 del D.lgs 345/99 fissa l’età minima a 15 anni, salvo deroghe previste in attività di carattere artistico, sportivo, culturale, in tal caso è necessaria l’autorizzazione del genitore e della DPL territoriale.

Pertanto i giovani di 15 anni compiuti possono decidere di assolvere il percorso di studi obbligatorio nel sistema della formazione professionale o apprendistato che è quindi l’unico contratto di lavoro stipulabile a tempo pieno da chi abbia meno di 18 anni e non sia in possesso di qualifica professionale[4]. Ne consegue che sono stati ammessi all’instaurazione di un contratto di lavoro i quindicenni in possesso del diploma di scuola media[5].

In ogni caso anche i minori di 15 anni occupati hanno diritto comunque alle prestazioni assicurative[6] e lo stesso Ministero del Lavoro con lettera circolare n. 8906 del 04/07/2007 ha affermato che si deve procedere all’irrogazione di maxisanzione prevista dall’art. 36 bis della legge 248/2006 anche nell’ipotesi di impiego di lavoratori minorenni privi del requisito minimo per l’ammissione al lavoro. Da ultimo il Ministero del lavoro con nota del 20/07/2007 n. 9799 ha disposto che l’innalzamento a 16 anni dell’età di ingresso al lavoro dei minori decorre dal 01/09/2007, come disposto dalla legge finanziaria n. 296/2006 entrata in vigore dal 1 gennaio 2007.

Si ricorda inoltre che l’art. 6 della legge 977/67 e s.m.i. stabilisce il divieto di adibire gli adolescenti alle lavorazioni ed ai lavori potenzialmente pregiudizievoli per il pieno sviluppo fisico del lavoratore. In particolare la valutazione dei rischi cui è obbligato il datore di lavoro, deve essere effettuata considerando gli specifici rischi per i lavoratori minori.

L’art. 2 del D.lgs 262/2000 stabilisce visite mediche preassuntive e periodiche per il minore a carico del datore di lavoro, in caso di inidoneità il giudizio fa sorgere l’obbligo immediato di sospensione del minore dall’attività lavorativa. Tali visite sanitarie devono svolgersi presso un medico del SSN[7].

In sintesi quindi, nel caso in cui il minore non sia adibito a sorveglianza sanitaria ai sensi del TU 81/2008, l’accertamento dell’idoneità deve avvenire presso una struttura pubblica, nel caso invece in cui il minore sia adibito anche a sorveglianza sanitaria, sussistono due obblighi di controllo, uno derivante dalle L. 977/67 e s.m.i. (struttura pubblica), l’altro dal TU 81/2008 (medico competente anche privato).

Per quanto concerne l’orario di lavoro per i bambini, questo non può superare le 7 ore giornaliere e le 35 settimanali, per gli adolescenti le 8 giornaliere e 40 settimanali. Ai minori deve poi essere assicurato il riposo settimanale di almeno 2 giorni, se possibile consecutivi e comprendenti la domenica. La pausa giornaliera è prevista almeno ogni 4 ore e mezzo. E’ vietato adibire i minori al lavoro notturno, con il termine notte si intende il periodo di almeno 12 ore consecutive comprendente l’intervallo tra le 22 e le 6 o tra le 23 e le 7.

4) Le Convenzioni ILO n. 5, 81, 138, 182, le Raccomandazioni n. 146, 190

Le Convenzioni sul lavoro minorile dell’ILO n. 138 e n. 182 illustrano le peggiori forme di lavoro minorile ed auspicano una sinergia fra ispettori e operatori dell’istruzione, dei servizi sociali e della sanità, al fine di eliminare la piaga del lavoro minorile. Il programma internazionale sull’eliminazione del lavoro minorile (IPEC 1992) e il programma di lavoro sicuro dell’ILO si concentrano su molteplici aspetti del fenomeno: schiavitù, prostituzione minorile, utilizzo dei minori nella guerra, sfruttamento; attraverso azioni locali l’IPEC assiste oltre 60 paesi nella formulazione di politiche e programmi nazionali esaustivi, mirati all’eliminazione dello sfruttamento, creando alleanze efficaci con le organizzazioni dei datori, dei lavoratori.

Già con la nascita dell’ILO nel 1919 le prime convenzioni vietavano il lavoro svolto da minori negli stabilimenti industriali (Convenzione n. 5), cui seguirono le Raccomandazioni n. 146 e n. 190, le Convenzioni n. 81 sull’ispezione in industria e la n. 129 sulle ispezioni in agricoltura.

Il child labour di cui parlano le Convenzioni ONU sui diritti del fanciullo e la Convenzione ILO n. 182[8] identificano i requisiti fondamentali del lavoro minorile, ovvero: sfruttamento, privazione dell’istruzione, pericolo per la salute e lo sviluppo psico-fisico del bambino, allontanamento dalla famiglia.

Lo sfruttamento minorile è presente specie nei paesi in via di sviluppo, là dove l’istruzione per i bambini poveri risulta costosa, inaccessibile, di bassa qualità ed irrilevante, un bambino infatti può essere pagato meno di un adulto, ubbidisce senza recriminare, non ha pretese sindacali e può essere facilmente licenziato. L’azienda che sfrutta il child labour non deve affrontare investimenti in termini previdenziali o assicurativi, quindi produce a basso costo e riesce ad essere competitiva nell’economia globale.

Molti bambini lavorano in attività pericolose e in condizioni a rischio come l’edilizia, le miniere, le cave, la pesca sottomarina, altri sono venduti a saldo dei debiti contratti dai genitori, oppure sono oggetto di traffico internazionale di organi o di sfruttamento sessuale. Atri ancora possono essere obbligati a lavorare in condizioni anguste e privi di periodi di riposo adeguati. I bambini possono prestare la loro attività in gruppi, si pensi al lavoro nelle sartorie, laboratori, officine, cantieri, supermercati, campi, cave, fabbriche, miniere, oppure possono prestare il loro lavoro isolati, si pensi all’attività dei fattorini, fiorai, pastori, lustrascarpe, domestici, attività che sconfinano nella illiceità, come per i mendicanti, ladri, prostitute, soldati.

Già negli anni ’70 l’ILO aveva ribadito che il lavoro minorile per sua natura e per le circostanze in cui viene svolto, rischia di compromettere le possibilità del minore di diventare un adulto produttivo, nel 1973 infatti è stata adottata la Convenzione n. 138 sull’età minima e nel 1992 l’Ilo ha varato l’IPEC, ovvero il programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile che ha offerto ampia assistenza politica a quei paesi che stavano affrontando la questione, quindi nel 1999 l’Ilo adotta un’ulteriore Convenzione, la n. 182 che ha ulteriormente affrontato la materia.

La Convenzione[9] n. 138/73 continua ad essere il riferimento fondamentale a livello internazionale per l’età minima di accesso al lavoro, essa stabilisce l’età minima generale di 15 anni[10], 13 anni per il lavoro leggero e 18 per quello pericoloso[11]. La Raccomandazione n. 146 pone l’accento sull’intensificazione dell’attività di vigilanza e dei servizi relativi mediante la speciale formazione di ispettori che siano in grado di individuare eventuali abusi commessi su minori e auspica il potenziamento di servizi statali per migliorare i programmi di formazione all’interno delle aziende.

La Convenzione n. 182/99[12] impone un divieto immediato alle forme peggiori di lavoro minorile con l’adozione di leggi e regolamenti volti a contrastare l’impiego dei minori nei conflitti armati, ai fini di prostituzione o per il traffico di stupefacenti.

La Raccomandazione n. 190/99 si occupa, sulla scia della Convenzione precedente, della progettazione e attuazione dei programmi d’azione nazionali mirati ad individuare e denunciare le forme peggiori di lavoro minorile, nonché di individuare e lavorare con le comunità nelle quali i minori sono esposti a rischi.

Le norme che guidano le ispezioni in materia minorile derivano dalle disposizioni della Convenzione n. 81/47, il Protocollo del 1995 e la Convenzione 129/69 per l’agricoltura, queste normative offrono un quadro indispensabile ai fini del funzionamento dell’ispezione del lavoro e costituiscono un valido strumento per l’abolizione del lavoro minorile.[13]

La Convenzione ILO n. 81 illustra i principi per un’efficace ispezione che così possono sintetizzarsi: organizzare sistemi di ispezione che si applicheranno a tutti gli ambienti per garantire l’applicazione uniforme delle disposizioni sulle condizioni di lavoro; prendere in considerazione un insieme di elementi base quali: orario, salari, sicurezza, impiego di fanciulli e adolescenti e altri aspetti connessi. Secondo la Convenzione n. 81 gli ispettori dovranno fornire informazioni e consigli tecnici ai datori di lavoro e ai lavoratori sui mezzi più efficaci per osservare le disposizioni di legge, all’art. 11 della stessa si ribadisce che gli stessi funzionari dovranno essere dotati di adeguati uffici locali e mezzi di trasporto.

4) Gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali e ruolo dell’ispettore

In realtà gli ostacoli all’effettivo adeguamento alle norme internazionali possono essere numerosi: fattori politici, legali, economici, strutturali e culturali, che possono sorgere a qualunque livello, sia esso nazionale o locale. Dove le leggi nazionali non vengono modificate o adottate, gli ispettori non avranno alcun riferimento cui attenersi, in alcuni paesi infatti, la legislazione sul lavoro minorile si è instaurata su un’economia fragile, all’interno di un’economia che non aveva ancora assorbito i concetti di base delle convenzioni internazionali e dei trattati volti alla tutela dell’infanzia.

Oltre alla mancanza di volontà politica dimostrata dalla mancata attuazione delle convenzioni internazionali, un ulteriore ostacolo al lavoro ispettivo è rappresentato dalla inadeguatezza delle risorse economiche. Tuttavia il costo a carico dello Stato per la scarsa tutela del lavoro che si traduce in infortuni, malattia e sfruttamento abusivo, è spesso superiore al 5% del PIL di un Paese. La prova più tangibile dell’impegno politico si ha con una remunerazione adeguata e condizioni lavorative in grado di attrarre, formare e motivare ispettori competenti ed indipendenti, fornendo quanto necessario, dai trasporti ai costi di gestione, per lo svolgimento delle attività. Laddove il sostegno tecnico ed amministrativo agli ispettori sul campo risulti inadeguato, questi si sentiranno isolati e il loro operato non potrà dare i risultati auspicati. E’ frustrante da un lato avere il compito di far applicare la normativa e dall’altro, ricevere il messaggio non detto/sotterraneo implicito di farlo senza sconvolgere l’economia.

Un problema riscontrato con frequenza dagli ispettori è il fatto che gli stessi bambini lavoratori oppongono spesso forte resistenza ad ogni sforzo volto ad allontanarli dal lavoro che da ai bambini la sensazione di essere adulti e quindi degni del rispetto della famiglia e dell’intera comunità.

Vi è di fatto un circolo vizioso tra sottosviluppo e lavoro minorile, il sottosviluppo economico è infatti associato ad una bassa produttività che, a sua volta, crea bassi standard di vita, bassi redditi e alimentazione inadeguata, tali condizioni riducono la capacità di lavorare e contribuiscono a infortuni, malattie ed assenteismo.

In questo senso diviene essenziale creare una cultura della prevenzione, in modo che i costi ed i benefici appaiano sempre più chiari non solo ai datori e ai lavoratori, ma anche all’opinione pubblica. L’impulso a questo cambiamento di atteggiamento si è andata imponendo fin dagli anni ’90 ed è poi stato ribadito in tempi recenti, si sta cioè creando l’idea che per produrre cambiamenti sostanziali nel mondo del lavoro, è necessario che gli ispettorati studino nuovi metodi per far rispettare le norme, ovvero lavorare con i datori, i sindacati, le comunità scientifiche per ottenere consenso sugli standard di tutela, risparmiando e così agevolando il processo di adeguamento alle norme.

Il monitoraggio sul lavoro minorile è nato con una serie di progetti facenti capo all’IPEC e portati avanti per anni in diversi settori e aree geografiche, in ogni caso però è proprio dalla combinazione di incentivi positivi e dalla maggior sensibilizzazione da parte dell’opinione pubblica che si può far molto per stimolare il rispetto delle norme anche laddove i datori o i genitori non siano aperti ad una collaborazione con gli organi ispettivi.

La migliore dimostrazione di impegno politico è l’esistenza di una politica nazionale volta all’abolizione del lavoro minorile, politica che impegni il governo ad eliminare lo sfruttamento dei minori e parimenti ad operare una distinzione razionale fra lavoro pericoloso e non pericoloso e tra lavoro che possa essere svolto da una persona maggiorenne oppure da un quindicenne. Lo sviluppo di una politica di ispezioni del lavoro richiede capacità tecniche, conoscenza del mercato industriale e commerciale, conoscenza delle operazioni di ispezione, sensibilità politica e capacità di negoziare accordi.

Studi di mappatura e/o profilo sono particolarmente utili per identificare luoghi e settori dove si concentrano i bambini lavoratori. Questi studi facilitano l’identificazione degli obiettivi e la raccolta di informazioni fondamentali sui minori e i settori nei quali sono impiegati. Altro processo di raccolta dati di importanza non trascurabile riguarda le informazioni fornite dai diversi servizi preposti a intervenire tra cui i servizi educativi, i servizi sociali e i tribunali.

In quest’ottica, in tema di lotta al lavoro minorile, l’ispettorato dovrebbe identificare in quali settori occupazionali o aree geografiche soffermarsi, stabilire se concentrarsi su categorie specifiche, identificare e raccogliere dati sul lavoro minorile, chiarire il ruolo della consulenza e decidere come collaborare con gli altri partner.

Dall’approccio preventivo utilizzato nei primi contatti, parlare con i bambini lavoratori significa creare il giusto contesto ambientale e psicologico cercando di mettere il minore a suo agio, tenendo conto del fatto che i bambini sono combattuti tra la pressione economica e quella dei genitori a lavorare e il desiderio e la necessità di imparare e stabilire rapporti umani. È utile distinguere tra pericolo e rischio nel valutare la gravità di una situazione e nel decidere quale deve essere la priorità. Combinando i due tipi di dati, si riuscirà a stabilire le priorità su cui intervenire con misure preventive, poiché gli elementi con le valutazioni più alte rappresentano un potenziale di pericolo elevato ed hanno maggiori probabilità di verificarsi, l’ispettore dovrà dunque valutare pericoli di natura biologica, fisica, chimica, ergonomica e psicologica, tenendo conto del fatto che i minori si stancano più facilmente degli adulti e possono distrarsi andando soggetti ad infortuni ed inoltre ciò che è pericoloso per gli adulti lo è a maggior ragione per i bambini. La scelta più problematica nel caso di lavoro minorile pericoloso, consiste proprio nel decidere se allontanare il bambino da quella situazione o se la situazione è tale che il minore possa rimanere purché venga rimosso il pericolo, in altri casi ancora sarà il buon senso individuale a suggerire la soluzione migliore.



[1] I bambini che lavorano, Comitato italiano per l’UNICEF Onlus, Roma, seconda edizione marzo 2007.

[2] Amsterdam Child Labour Conference, 86 Session, Targeting the Intolerable, Geneva 1998. Di particolare importanza è l’art. 32 contro lo sfruttamento economico e contro il lavoro che lede la salute e l’educazione dei minori, che enuncia: “Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo di essere protetto contro lo sfruttamento del lavoro economico e di non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale”.

[3] L’evoluzione delle politiche dell’OIL in materia di lavoro di minori si può suddividere in tre fasi, caratterizzate da un progressivo sviluppo ed ampliamento degli strumenti e delle strategie d’azione: 1. Fino alla seconda metà degli anni Sessanta, l’Organizzazione opera mediante la predisposizione di testi di convenzioni e raccomandazioni, con l’obiettivo di incidere sulla regolamentazione del lavoro minorile ad opera degli Stati membri, tramite l’individuazione dei principi e delle regole minime di protezione, in grado di costituire modello e stimolo per gli ordinamenti nazionali. 2. A partire dagli anni Ottanta: il lavoro dei minori diventa uno dei temi centrali del rapporto del Direttore generale alla Conferenza internazionale del lavoro e, allo stesso tempo, si inizia a riconoscere il ruolo importante e sempre più incisivo giocato dalle attività dirette alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei Governi. 3. Dagli anni Novanta con la creazione, nel 1992, del Programma internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile (IPEC).

[4] Circolare del Ministero del lavoro 40/2004.

[5] Interpello del Ministero del lavoro del 02/05/2006 n. 25/I0003772.

[6] Legge 17 Ottobre 1967 n. 977 art. 24, secondo cui gli istituti assicuratori hanno diritto di esercitare azione d rivalsa nei confronti del datore di lavoro per l’importo complessivo delle prestazioni corrisposte al minore, detratta la somma corrisposta a titolo di contributi omessi. Si veda anche circolare INPS n. 248 del 1984 secondo cui il lavoro svolto dagli infraquindicenni comporta comunque l’instaurazione di un vero rapporto assicurativo e contributivo.

[7] Ministero del lavoro, interpello 19/07/2006 n. 25/I000186.

[8] Entrambi i documenti fissano a quindici anni l’età minima per poter lavorare, così come ribadito dalla Convenzione ILO n. 138 del 1973 sull’età minima per il lavoro.

[9] Il testo della Convenzione n. 138 non lascia dubbi quanto ad un approccio “abolizionista”, infatti, obiettivo dichiarato è la “totale abolizione del lavoro minorile”; opzione che però finisce per produrre degli effetti controproducenti: se da un punto di vista legale i minori al lavoro al di sotto di un certo limite di età non debbono esistere, ciò comporta che tali minori, ove di fatto lavorino, si vedano confinare in una clandestinità che preclude loro ogni rete protettiva.

[10] Ma non inferiore all’età di adempimento dell’obbligo scolastico.

[11] L’età ora fissate devono essere spostate in 14, 12 e 18 anni per quei paesi la cui economia e le cui istituzioni non sono sufficientemente sviluppate.

[12] La Convenzione n. 182 dell’OIL relativa alla proibizione delle forme più gravi e intollerabili di sfruttamento del lavoro minorile e all’azione immediata per la loro eliminazione è stata adottata dalla Conferenza dell’OIL, svoltasi a Ginevra nel giugno 1999, ed è entrata in vigore il 19 novembre 2000. Il nuovo strumento adottato dall’OIL si compone di sedici articoli, di cui i primi otto regolano gli aspetti sostanziali della materia considerata, mentre i successivi dettano regole procedurali relative alle modalità di ratifica, all’entrata in vigore, alla denuncia e alla revisione della Convenzione.

[13] Un legame tra lavoro minorile e ispezione è sancito dall’articolo 3 a della Convenzione n. 81 che comprende fra le funzioni principali del sistema di ispezioni, quella di garantire l’applicazione delle disposizioni di legge relative alle condizioni di lavoro e alla tutela dei lavoratori nell’esercizio della loro professione.