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Videosorveglianza e servitù: legittima anche senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio

Videosorveglianza
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Videosorveglianza e servitù: legittima anche senza il permesso di chi ha la servitù di passaggio

 

La Corte di Cassazione, Sez. Prima Civile, pronunciandosi con ordinanza n. 7289 del 19.03.2024 statuiva la legittimità della videosorveglianza esercitata senza il consenso di chi dispone della servitù di passaggio su un fondo, allorquando necessaria e proporzionata a difendere l’interesse privato di un terzo.

 

Videosorveglianza e servitù: la vicenda

Il ricorso presentato dinanzi alla Suprema Corte, avverso una sentenza della Corte di Appello di Napoli, muoveva dall’assunto secondo cui non fosse lecito disporre un impianto di videosorveglianza sulla facciata esterna della propria abitazione poiché riprendeva il tratto di strada privata antistante il cancello d'ingresso della proprietà e quindi avrebbe anche filmato il momento di passaggio dell’attore, che vantava una servitù sul predetto fondo.

Quest’ultimo, infatti, asseriva la chiara violazione del proprio diritto alla privacy e riservatezza.

In un primo momento, tale doglianza trovò accoglimento dinanzi la Corte di Appello di Napoli, la quale ravvisava una manifesta violazione della disciplina della tutela dei dati personali, rilevando che l'installazione e lo svolgimento di riprese video era avvenuta senza la prestazione del preventivo consenso dei soggetti coinvolti.

Pertanto, il proprietario del fondo veniva condannato al risarcimento del danno in favore dell’altra parte.
 

Videosorveglianza e servitù: la decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso del proprietario del fondo e rinviava la causa alla Corte di Appello di Napoli. 

Le motivazioni addotte dalla Suprema Corte riguardavano  primariamente l’erronea applicazione della normativa in materia di privacy.

In effetti, il Secondo Giudice aveva accolto il gravame basandosi unicamente su un'interpretazione dell’ art.4 del d.lgs. 196/2003 come modificato e rafforzato dal d.lgs. n.101/2018; entrato in vigore  successivamente alla fattispecie in argomento, iniziata nell'anno 2011, dunque applicando una norma inesistente all'epoca dei fatti.

Appare, ictu oculi, evidente come la disciplina de qua non avrebbe potuto essere applicata se fosse stato valutato un importante elemento accertato durante l’esame peritale disposto dal Giudice di Primo grado:  le telecamere del ricorrente collocate a tutela della propria abitazione, avevano esclusivamente un fine personale, le immagini momentaneamente rilevate infatti, non venivano conservate, riprodotte a terzi, né comunicate o diffuse.

Invero, come chiaramente determinato dall’art. 4 del suindicato decreto legislativo l”'uso di sistemi di videosorveglianza determina il trattamento dei dati personali comportando la raccolta, la registrazione, la conservazione e in generale l'utilizzo di immagini e può incidere sulla riservatezza del domicilio”, la cui tutela ha un preciso rilievo  costituzionale nelle disposizioni degli artt. 2 e 14 della Costituzione

Tali asserzioni sono state puntualmente rafforzate dalla predisposizione delle “Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video [versione 2.0.]" in data 29 gennaio 2020, a seguito dell'entrata in vigore del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio (GDPR).

Tuttavia, nonostante la circostanza che la video sorveglianza possa essere utilizzata per molteplici fini meritevoli di perseguimento, ciò non esclude l’incontrovertibile obbligo di garantire un elevato livello di protezione dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali, di tal ché la possibilità di utilizzare sistemi di video registrazione è consentita purché ciò non determini un ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati.

In effetti - sottolinea con forza la Suprema Corte-  è da considerarsi dato personale qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione.

In particolare, l'installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali ma anche delle altre disposizioni dell'ordinamento, quali le vigenti norme dell'ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, tanto quando essa avvenga ad opera di soggetti pubblici, quanto di privati.

La Corte di Cassazione rileva, altresì, l’indispensabilità che il trattamento dei dati personali si eserciti nel rispetto di uno dei "presupposti di liceità" che il Codice prevede a chiare lettere per i soggetti pubblici,  per soggetti privati ed enti pubblici economici ed anche del  "principio di necessità", il quale prevede una attenta configurazione di sistemi informativi e di programmi informatici per ridurre al minimo l'utilizzazione di dati personali.

Riconosce, vieppiù, come imprescindibile anche l’osservanza del "principio di proporzionalità" nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione degli apparecchi, nonché nelle varie fasi del trattamento di dati pertinenti ed ovviamente non eccedenti rispetto alle finalità perseguite.

Nel caso in esame, tuttavia, l’applicazione del predetto Codice della Privacy non trova integrale riscontro poiché, come anticipato, non vi è stata alcuna diffusione delle registrazioni de quibus ed inoltre, le stesse venivano utilizzate dal proprietario del fondo solo ed esclusivamente per sorvegliare il cancello della propria abitazione; specificatamente, le stesse - effettuate su una strada privata- avevano un angolo visuale limitato solo alla pertinenza de qua.

Alla luce di quanto premesso, dunque, non era necessario ed indispensabile il rilascio di alcun consenso da parte del titolare della servitù di passaggio.

Pertanto, non si ravvisa alcuna violazione né del diritto alla privacy od alla riservatezza di quest’ultimo e ancora, neppure è ascrivibile nessuna responsabilità civile a carico del ricorrente atteso come abbia attuato le garanzie previste dagli articoli 15 e 31 del codice della Privacy, i quali rispettivamente disciplinano  la risarcibilità del danno, anche non patrimoniale, ai sensi dell'art. 2050 c.c.  e gli obblighi di sicurezza nel trattamento e nella custodia dei dati.