x

x

Il contenzioso in campo medico e la medicina difensiva: la genesi dell’articolo 3 della Legge n. 189 del 2012

Il contenzioso in campo medico e la medicina difensiva: la genesi dell’articolo 3 della Legge n. 189 del 2012
Il contenzioso in campo medico e la medicina difensiva: la genesi dell’articolo 3 della Legge n. 189 del 2012

1. Il contenzioso in campo medico

I rapporti tra scienza medica e diritto sono caratterizzati, ormai da tempo, da un’accentuata complessità e dalla mancanza di un indirizzo univoco, il quale permetta ai vari operatori di potersi orientare nelle situazioni caratterizzate da una fisiologica incertezza.

E molto a lungo si è cercato di indagare la fenomenologia della responsabilità del medico e di definirne la struttura sistematica e dogmatica. Il progresso in campo medico costituisce una fonte di sicuro vantaggio per l’evoluzione del genere umano, ma comporta allo stesso tempo il proliferare di situazioni di rischio che le capacità cognitive non riescono in tutti i casi a prevenire e a gestire in modo corretto.

L’assenza di uno sviluppo parallelo tra scoperte scientifiche e cautele prognostico applicative caratterizza inevitabilmente l’avanzare del progresso. Nessun ambito, come quello medico, soffre di simili aporie che traggono origine proprio dalle peculiarità del settore.

Difatti, la scienza medica si moltiplica in un universo di discipline dotate di una propria specificità e costituisce il terreno per eccellenza della ricerca, della sperimentazione, della diagnostica e della chirurgia.

Tuttavia, ad un’analisi più accurata, si nota come la stessa si ricomponga ad unità laddove se ne valorizzino i tratti comuni, quali ad esempio, la soggezione a processi evolutivi costanti, la presenza di componenti di rischio connaturate ai diversi settori e la profonda incidenza che questa attività opera sulla salute e sulla vita dei pazienti.

A ben vedere, la crescita esponenziale del contenzioso di settore è stata dovuta anche al fatto che le moderne possibilità di diagnostica, sempre più sofisticate, permettono di evidenziare con sempre maggior precisione il campo di errore dell’operatore sanitario.

Il crollo di fiducia reciproco intercorso tra paziente e medico ha fatto il resto. Tutto ciò mentre si assisteva al superamento della visione paternalistica di tale rapporto, secondo la quale il medico avrebbe avuto il dovere di fare il bene del paziente ed il paziente di limitarsi a riceverlo, versando in uno stato di mera sudditanza.

E, allo stesso tempo, mentre si affermava il c.d. modello “contrattualistico”, frutto di una visione del tutto paritaria, fondata in particolar modo sulla libertà di autodeterminazione del paziente. Detto modello, viene denominato anche della “alleanza terapeutica”, costruita sulla doverosità dell’informazione resa al paziente (obbligo autonomo del medico), nonché sul consenso informato reso da quest’ultimo.

Il risultato patologico di questo mutamento di paradigma viene notoriamente descritto come “medicina difensiva”, ossia come una tendenza a tenere un comportamento che realizzi l’interesse del medico a non essere coinvolto in contenziosi in sede penale o civile, in relazione all’attività da questi svolta, a discapito della tutela della vita e dell’integrità fisica del paziente.

I comuni principi guida dell’arte medica, che rappresentano la sintesi astratta fra le istanze di cura ed il progresso scientifico, non sono in grado di per sé di abbattere quel consistente fattore di rischio proprio della suddetta attività, la quale, oggi più che mai, sembra necessitare di regole eminentemente prasseologiche.

2. La procedimentalizzazione della ricerca in campo medico

Ecco, dunque il sorgere della procedimentalizzazione come metodo di approccio alla ricerca, alla sperimentazione e alla cura sanitaria. Essa si traduce nella creazione di linee guida e protocolli volti a presidiare le varie fasi dell’operare medico e costituisce lo strumento più efficace dell’era moderna per affrontare, scongiurare e frammentare i rischi insiti nella maggior parte delle attività umane.

Ebbene, il fenomeno della medicina difensiva produce notevoli distorsioni all’interno della pratica medica, le quali conducono inevitabilmente, nella maggior parte dei casi, ad atteggiamenti astensionisti ovvero ridondanti da parte degli operatori sanitari.

Nella prima direzione si registra la preoccupante tendenza ad evitare a priori di instaurare un rapporto terapeutico con determinate tipologie di pazienti. Più specificamente, si registra la scarsa propensione ad eseguire interventi pionieristici ovvero interventi che comportino dei rischi.

Nella seconda ipotesi, invece, abbiamo come conseguenza l’appesantimento delle pratiche diagnostiche e terapeutiche. La medicina difensiva conduce alla prescrizione di farmaci inutili, nonché alla proliferazione di esami diagnostici, di ricoveri ospedalieri non necessari, di interventi risolutivi di una determinata problematica attuale, ma che non tengono conto dei possibili effetti sfavorevoli su altri piani.

A ciò si aggiunga un’altra distorsione prodotta dal sopraccitato fenomeno ossia l’intendere la stessa categoria del consenso non più come espressione di una consapevole libertà di cura, bensì come salvacondotto liberatorio per l’attività posta in essere dal sanitario.

A ben vedere, la medicina difensiva, sul piano della responsabilità risarcitoria, dal punto di vista civilistico, si giova dello strumento assicurativo.

Diversamente, sul versante della responsabilità penale che, ai sensi dell’articolo 27, I comma, Cost., è personale, occorre procedere con maggior cautela. Da qui, l’esigenza avvertita dal legislatore di intervenire con una norma che provvedesse a rimediare a siffatte incertezze.

L’articolo 3 della L. 189/2012, c.d. Legge “Balduzzi” prevede appunto che “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.”