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Avvocato Generale UE: utilizzo della denominazione salame felino o salame di tipo felino

Regolamento CEE n. 2081/92 –Direttiva 2000/13/CE – Denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo, non registrata come denominazione d’origine o indicazione geografica protette – Uso in modo costante ed in buona fede prima dell’entrata in vigore del Regolamento CEE n. 2081/92
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON

presentate il 7 maggio 2009 1(1)

Causa C‑446/07

Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della

Cavazzuti e figli SpA, ora Grandi Salumifici Italiani SpA

contro

Regione Emilia Romagna

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Civile di Modena]

1. Qualora la denominazione di un prodotto alimentare evocativa del luogo di provenienza sia stata registrata da un gruppo di produttori locali come marchio collettivo (nazionale) e ne sia stata anche richiesta la registrazione (comunitaria) come denominazione d’origine protetta (DOP) o indicazione geografica protetta (IGP), entro quali limiti un altro produttore che usi una denominazione analoga per un prodotto alimentare simile possa invocare, a fronte della contestazione che l’etichettatura dei propri prodotti potrebbe indurre in errore i consumatori, il fatto che, da un lato, l’esame delle domande per ottenere il DOP e l’IGP non abbia ancora consentito di stabilire che la denominazione sia divenuta generica e/o, dall’altro, che egli ne abbia fatto uso in buona fede per molto tempo.

2. Tale è, sostanzialmente, la questione posta alla Corte nel caso di specie dal Tribunale Civile di Modena.

La normativa comunitaria

3. Il presente rinvio pregiudiziale riguarda l’interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (2), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (3) e della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (4).

Il regolamento n. 2081/92

4. Il regolamento n. 2081/92 definisce un quadro normativo per la protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche registrate (5). Ai sensi di tale regolamento, le denominazioni di taluni prodotti agricoli e alimentari possono essere protette dalla Comunità quali DOP o IGP qualora esista un nesso fra le caratteristiche dei prodotti di cui trattasi e la loro origine geografica (6).

5. Il quinto ‘considerando’ del detto regolamento dispone che l’etichettatura dei prodotti agricoli e alimentari è soggetta alle norme generali fissate nella direttiva 79/112/CEE (7) e che, tenuto conto della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di disposizioni particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica. L’art. 1, n. 2, nel definire l’ambito di applicazione del regolamento, indica espressamente che esso si applica senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie particolari.

6. Il successivo art. 2 prevede che la protezione comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche è ottenuta conformemente al regolamento e definisce i requisiti necessari affinché un nome costituisca una «denominazione d’origine» o un’«indicazione geografica».

7. A tal fine, l’art. 2, n. 2, lett. a), stabilisce che per «denominazione d’origine» si intende il nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare da cui questo proviene, la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata. L’art. 2, n. 2, lett. b), definisce l’«indicazione geografica» come il nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare da cui questo proviene, di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata.

8. L’art. 3 indica poi due casi in cui i nomi particolari non possono essere registrati.

9. In particolare, l’art. 3, n. 1, prevede quanto segue:

«Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.

Ai fini del presente regolamento, si intende per “denominazione divenuta generica” il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare.

Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

– della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

– della situazione esistente in altri Stati membri,

– delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.

Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7, venga respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione è divenuta generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».

10. L’art. 5 descrive la procedura che gli Stati membri devono seguire qualora venga inoltrata una domanda di registrazione di un nome. Le pertinenti disposizioni dell’art. 5, n. 5, sono formulate come segue (8):

«Lo Stato membro verifica che la domanda sia giustificata e, qualora ritenga che i requisiti del presente regolamento siano soddisfatti, trasmette alla Commissione la domanda.

Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla denominazione così trasmessa una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della trasmissione; (…).

La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla data in cui è adottata una decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento. Al momento di tale decisione può essere fissato un periodo di adeguamento non superiore a 5 anni, a condizione che le imprese interessate abbiano legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando in modo continuativo tali denominazioni per almeno i cinque anni che precedono la data di pubblicazione prevista all’articolo 6, paragrafo 2».

11. L’art. 13 specifica la protezione accordata ai nomi registrati. I passi rilevanti di tale articolo così recitano:

‘1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali (…) “tipo”(…);

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza (…) dei prodotti (…) che possono indurre in errore sull’origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.

(…)

3. Le denominazioni protette non possono diventare generiche.

(…)».

La direttiva 2000/13/CE

12. La direttiva 2000/13/CE ravvicina le legislazioni degli Stati membri relativamente, inter alia, all’etichettatura dei prodotti alimentari. Il sesto ‘considerando’ di tale direttiva stabilisce che «[q]ualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e tutelare i consumatori».

13. Le pertinenti disposizioni dell’art. 2 così dispongono:

«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

e) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (…) l’origine o la provenienza (…).

(…)

3. I divieti o le limitazioni di cui a[l] paragraf[o] 1 (…) valgono anche per:

a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o l’aspetto conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il materiale utilizzato per l’imballaggio, il modo in cui sono disposti e l’ambiente nel quale sono esposti;

b) la pubblicità».

14. Le disposizioni rilevanti dell’art. 5 prevedono quanto segue:

«1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista per tale prodotto dalle disposizioni comunitarie ad esso applicabili.

a) In mancanza di disposizioni comunitarie, la denominazione di vendita è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività.

In assenza di queste ultime, la denominazione di vendita è costituita dal nome sancito dagli usi dello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività o da una descrizione del prodotto alimentare e, all’occorrenza, della sua utilizzazione, che sia sufficientemente precisa da consentire all’acquirente di conoscerne l’effettiva natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso».

La direttiva 89/104/CEE

15. La direttiva 89/104/CEE costituisce un primo ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa.

16. L’art. 3, n. 1, è formulato nei seguenti termini:

«Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(…)

c) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) [i] marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

(…)».

17. L’art. 15, n. 2, così recita:

«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) gli Stati membri possono stabilire che i segni o indicazioni che, in commercio, possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi possano costituire marchi collettivi, oppure marchi di garanzia o di certificazione. Un marchio siffatto non autorizza il titolare a vietare ai terzi l’uso, in commercio, di detti segni o indicazioni, purché li usi conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale; in particolare un siffatto marchio non può essere fatto valere nei confronti di un terzo abilitato ad usare una denominazione geografica».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

18. Il comune di Felino è situato in Emilia Romagna. La Cavazzuti S.p.a., ora Grandi Salumifici Italiani S.p.a (in prosieguo, la «GSI»), produce un salame commercializzato come ‘Salame Felino’ e/o ‘Salame tipo Felino’ (9). Essa produce tale salame a Modena (città situata nella stessa regione, a circa 50 km di distanza da Felino), dal 1970 circa.

19. Il 16 maggio 2006 la Regione Emilia Romagna irrogava una sanzione amministrativa alla GSI per aver utilizzato in etichetta la menzione ‘Salame tipo Felino’ in modo da indurre in errore i consumatori. La Regione era del parere che la GSI avesse violato l’art. 2 del D.lgs. 109/92, che ha trasposto l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE nell’ordinamento nazionale italiano.

20. All’epoca dell’irrogazione della sanzione la denominazione ‘Salame Felino’ non era registrata né come DOP né come IGP. L’ordinanza di rinvio stabilisce che, secondo le affermazioni dell’Associazione per la Tutela del Salame Felino (in prosieguo: l’«APTSF») e dell’Associazione delle Industrie delle Carni (in prosieguo: l’«Assica») era stata inoltrata una domanda volta al riconoscimento del ‘Salame Felino’ come IGP ai sensi del regolamento n. 2081/92. Comunque, all’epoca del rinvio, alla domanda non aveva ancora fatto seguito la registrazione della denominazione.

21. La GSI proponeva quindi dinanzi al Tribunale Civile di Modena un ricorso volto ad ottenere l’annullamento della sanzione amministrativa irrogatale, sostenendo che la denominazione ‘Salame Felino’ sarebbe generica e sarebbe stata utilizzata per diverso tempo ed in buona fede al di fuori del Comune di Felino, anche in rispetto di un marchio d’impresa collettivo. Il Tribunale Civile sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento CE n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) in riferimento all’art. 2 del Decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la quale vi sia stato in sede nazionale un “rigetto” o comunque un blocco dell’inoltro della richiesta alla Commissione europea di registrazione come denominazione d’origine protetta (DOP) o indicazione d’origine protetta (IGP) ai sensi dei citati regolamenti, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui pendono gli effetti del suddetto “rigetto” o blocco;

2. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento CE n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) in riferimento all’art. 2 del Decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo non registrata come DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, possa essere legittimamente utilizzata nel mercato europeo dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in vigore del regolamento CEE n. 2081/92 (ora regolamento CE n. 510/06) e nel periodo successivo a tale entrata in vigore;

3. se l’art. 15, n. 2, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa, debba essere interpretato nel senso che al soggetto titolare di un marchio collettivo di prodotto alimentare, contenente un riferimento geografico, non è consentito impedire ai produttori di un prodotto, avente le stesse caratteristiche, di designarlo con una denominazione simile a quella contenuta nel marchio collettivo, qualora detti produttori abbiano usato tale denominazione in buona fede, in modo costante per un tempo molto anteriore alla data di registrazione del suddetto marchio collettivo».

22. La GSI, la regione Emilia Romagna, l’APTSF, i governi greco e italiano nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e, successivamente, osservazioni orali in udienza.

Osservazioni preliminari

23. La sanzione amministrativa irrogata alla GSI riguarda la violazione dell’art. 2 del D. lgs. 109/92. Il giudice nazionale deve dunque pronunciarsi chiaramente su un’unica questione: se la GSI abbia indotto in errore i consumatori utilizzando nella sua etichettatura la denominazione ‘Salame tipo Felino’. Il Tribunale di Modena ha chiesto alla Corte di chiarire l’effetto che taluni elementi possono produrre su tale valutazione.

24. Uno di tali elementi è il valore da attribuire alla denominazione stessa. La prima questione sottoposta alla Corte è volta a chiarire in quali casi e con quali modalità una denominazione possa essere considerata generica. Per dare risposta a tale questione occorre unicamente esaminare il regime di registrazione previsto dal regolamento n. 2081/92. In ogni caso, nel contesto della controversia dinanzi al giudice del rinvio, la Corte deve anche esaminare l’effetto che produrrebbe la constatazione che una denominazione è generica sulla valutazione da parte del giudice nazionale dell’uso della denominazione stessa in un’etichetta.

25. A tal fine la Corte deve pronunciarsi chiaramente sulle modalità di interazione tra il regolamento n. 2081/92 e la direttiva 2000/13/CE. Tratterò tale argomento nella mia soluzione della seconda questione, prima di considerare l’impatto che possono avere la buona fede di un produttore e la durata dell’uso di una denominazione sulla valutazione operata dal giudice in merito ad una pretesa etichetta ingannevole.

Sulla prima questione

26. Il giudice del rinvio chiede, con la sua prima questione, se una denominazione geografica, per la quale la richiesta di registrazione come DOP o IGP sia stata rigettata o comunque bloccata, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui pendono gli effetti di tale rigetto o blocco.

Sull’irricevibilità

27. Sono state sollevate separatamente due eccezioni d’irricevibilità.

28. In primo luogo, l’APTSF e il governo italiano hanno contestato i fatti su cui si fonda la questione. Il governo italiano deduce che non vi sia stato alcun rigetto o blocco della registrazione. L’APTSF sostiene che la domanda di registrazione della denominazione sia attualmente soggetta solo alla formalità della pubblicazione.

29. Non ritengo condivisibili tali argomenti a sostegno dell’irricevibilità della prima questione.

30. L’art. 234 CE si basa su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia. I fatti rientrano nell’ambito della competenza dei giudici nazionali mentre il ruolo della Corte di giustizia consiste nel fornire un orientamento quanto all’interpretazione del diritto comunitario. Ne consegue che la Corte di giustizia deve pronunciarsi in un rinvio pregiudiziale sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale nell’ordinanza di rinvio (10).

31. L’ordinanza di rinvio illustra che, all’epoca dei fatti, la domanda ai sensi del regolamento n. 2081/92 era pendente e la denominazione ‘Salame Felino’ non era iscritta nel registro. Le ragioni per cui ciò si è o si sarebbe verificato sono piuttosto irrilevanti ai fini dell’esame delle questioni pregiudiziali.

32. In secondo luogo, il governo italiano e la Commissione argomentano che la prima questione è irricevibile in quanto fondata sul erroneo presupposto che la portata dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE possa essere delimitata dal regolamento. Inoltre, secondo la Commissione, non sarebbe determinante per la soluzione della controversia dinanzi al giudice nazionale accertare anzitutto se una denominazione sia generica durante la procedura di registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92. La Commissione ritiene che il giudice nazionale debba risolvere la controversia sottopostagli unicamente in riferimento alle disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva 2000/13/CE .

33. Sebbene le osservazioni della Commissione siano pertinenti, è configurabile che la registrazione di una denominazione (o la sua classificazione come generica) ai sensi del regolamento n. 2081/92, pur non delimitando la portata dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE, influisca sulla determinazione da parte del giudice del carattere ingannevole di un’etichettatura che utilizzi tale denominazione, ai sensi della direttiva 2000/13/CE. La soluzione della prima questione costituisce, dunque, una condizione preliminare potenzialmente necessaria per fornire un’adeguata risposta alla seconda questione.

34. Ritengo, pertanto, che la Corte debba pronunciarsi sulla prima questione.

Nel merito

35. Il regolamento n. 2081/92 introduce un sistema in cui una denominazione indicativa della provenienza di un prodotto può essere registrata in un elenco di denominazioni protette a livello comunitario. La Commissione valuta i casi in cui tale protezione può essere ottenuta. Secondo l’art. 3, n. 1, la Commissione può rifiutarsi di registrare una denominazione qualora ritenga, inter alia, che essa sia generica.

36. Tuttavia, fintantoché la Commissione non respinga una domanda espressamente per tale motivo, non si può affermare che la denominazione sia stata considerata generica ai sensi del regolamento.

37. Non si può neanche fondatamente muovere dal presupposto che una denominazione geografica sia generica fintantoché non si sia stabilito il contrario. In molti casi, una siffatta denominazione è meramente informativa. In taluni casi essa merita protezione in forza del regolamento. Comunque, dagli atti di causa non emerge che il normale sviluppo di una denominazione geografica sia quella di divenire generica come denominazione di un prodotto alimentare.

38. Di conseguenza, e contrariamente a quanto sostenuto dalla GSI, un giudice nazionale non può muovere dal presupposto, qualora la procedura di registrazione di una denominazione sia in corso, che essa sia generica fintantoché la Commissione non lo decida.

39. Analogamente, non si può presumere che la denominazione non sia generica ai sensi del regolamento (11).

40. Nella specie, il giudice del rinvio deve determinare se l’uso da parte della GSI della denominazione controversa possa concretamente indurre in errore i consumatori ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13/CE. Per risolvere la questione, in assenza della decisione finale della Commissione ai sensi del regolamento n. 2081/92, il giudice del rinvio può dover tener conto delle caratteristiche della denominazione che verrebbero parimenti prese in considerazione dalla Commissione ai fini della decisione se tale denominazione meriti protezione o se sia generica ai sensi del regolamento. A tal fine si dovrebbe prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte sul regolamento.

41. La Corte ha dedotto dalla definizione dell’art. 3, n. 1, che una denominazione è generica qualora (pur collegato con il luogo o la regione in cui il prodotto alimentare sia stato inizialmente ottenuto o commercializzato) tale nome sia divenuto il nome comune di tale prodotto alimentare (12). Essa ha considerato che il carattere generico del nome deve essere determinato esaminando, inter alia, la situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo, quella esistente in altri Stati membri, e le pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie (13).

42. Alla luce di quanto suesposto, suggerisco alla Corte di risolvere la prima questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che una denominazione non possa essere considerata generica ai termini del regolamento n. 2081/92 fintantoché una domanda di protezione del nome non sia stata respinta dalla Commissione in base al rilievo che tale denominazione sia divenuta generica.

Sulla seconda questione

43. Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede se la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo non registrata come DOP o IGP possa essere legittimamente utilizzata dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2081/92.

Sulla ricevibilità

44. L’APTSF sostiene che la seconda questione sia irricevibile in quanto fondata su un errore di fatto. Per i motivi illustrati al paragrafo 30 occorre respingere tale argomento.

45. Il governo italiano afferma che la seconda questione è irricevibile in quanto né il diritto comunitario né il diritto nazionale prenderebbero in considerazione la buona fede nel disciplinare l’etichettatura. Si tratta di un motivo di merito. Lo analizzerò, pertanto, nell’ambito dell’esame nel merito della seconda questione.

Nel merito

L’interazione tra la direttiva 2000/13/CE e il regolamento n. 2081/92

46. La direttiva 2000/13/CE e il regolamento n. 2081/92 operano su piani diversi e sono stati predisposti dal legislatore comunitario al perseguimento di scopi diversi.

47. La direttiva 2000/13/CE ravvicina le legislazioni degli Stati membri sull’etichettatura dei prodotti alimentari, contribuendo in tal modo al corretto funzionamento del mercato interno. Il primo fondamento di qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura, come indicato nel suo sesto ‘considerando’, deve essere anzitutto la necessità d’informare e tutelare i consumatori. Come osservato correttamente dal governo italiano, a tal fine, la direttiva 2000/13/CE obbliga i produttori a fornire nell’etichetta informazioni sufficienti a consentire ai consumatori di scegliere con piena cognizione di causa. Ciò comprende l’obbligo di fornire informazioni sulla natura e sulle caratteristiche esatte del prodotto, inclusa la sua origine o provenienza.

48. Per contro, l’obiettivo del regolamento è più complesso. Esso muove dal presupposto che la promozione di prodotti aventi determinate caratteristiche può rappresentare una carta vincente per il mondo rurale, in quanto garantirebbe il miglioramento dei redditi degli agricoltori (14), e che la ricerca dei consumatori di prodotti di qualità specifici comporta una domanda sempre più consistente di prodotti agricoli o di prodotti alimentari aventi un’origine geografica determinata (15). Il regolamento sostiene l’indicazione al consumatore di informazioni chiare e sintetiche sull’origine del prodotto al fine di consentirgli di operare una scelta ottimale (16), stabilendo disposizioni particolari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica (17). A tal fine, il regolamento ha istituito un quadro normativo comunitario che garantisce una protezione uniforme di denominazioni di origine ed indicazioni geografiche registrate, assicurando così condizioni di concorrenza uguali tra i produttori e aumentando la credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori (18). Di conseguenza, mentre la protezione della denominazione geografica produce indubbiamente effetti sulle scelte dei consumatori, gli obiettivi del regolamento hanno una portata più ampia della mera garanzia della tutela del consumatore.

49. A prescindere dalla differenza di obiettivi e ambiti d’intervento, l’uso di denominazioni geografiche nelle etichette di prodotti alimentari può rientrare nell’ambito di applicazione di entrambe le normative, il regolamento e la direttiva 2000/13/CE. Vi sono tre situazioni distinte nelle quali ciò si verifica: la prima, qualora la denominazione utilizzata sull’etichetta di un prodotto alimentare sia stata esaminata dalla Commissione e registrata ai sensi del regolamento; la seconda, qualora essa sia stata esaminata, ma considerata generica; la terza, qualora l’esame previsto dal regolamento non sia stato concluso. Il presente rinvio pregiudiziale riguarda unicamente la terza situazione. Comunque, in via ultronea, tratterò anzitutto brevemente le altre due situazioni.

– Una denominazione registrata

50. Quando una denominazione è stata esaminata dalla Commissione e iscritta nel registro istituito dal regolamento, il suo utilizzo può essere limitato.

51. Se tale denominazione è utilizzata in assenza delle condizioni per il suo uso o con modalità contrarie all’art. 13, n. 1, del regolamento, un tale uso è suscettibile di «indurre in errore l’acquirente, specialmente: i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (...) l’origine o la provenienza», ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i).

– Una denominazione generica

52. Come argomentato correttamente dalla Commissione nelle sue osservazioni sull’irricevibilità, anche quando una denominazione è stata esaminata e considerata generica in forza del regolamento, al giudice nazionale non è tuttavia preclusa la possibilità di determinare se l’uso di tale denominazione nell’etichetta di un prodotto alimentare sia ingannevole ai sensi delle norme di cui alla direttiva 2000/13/CE.

53. La GSI sostiene che se una denominazione è stata considerata generica, essa non può essere protetta dal regime del regolamento. Anche se ciò è ben vero, non posso condividere la conclusione cui la GSI intende giungere, vale a dire che l’uso di una tale denominazione in etichetta non può essere considerato ingannevole in applicazione della direttiva 2000/13/CE.

54. Al contrario, sembra evidente che vi sono circostanze in cui un consumatore può ben essere indotto in errore dall’uso di una denominazione generica nell’etichettatura di un prodotto (si potrebbe, a titolo di esempio, immaginare un prodotto alimentare etichettato con una denominazione generica che però non abbia in comune nessuna delle caratteristiche che il consumatore comunemente associa a tale denominazione).

55. Ne consegue che, anche laddove una denominazione venga considerata generica, il giudice nazionale può comunque ancora decidere se l’etichetta di un prodotto alimentare particolare sia ingannevole ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

56. A tale proposito il giudice nazionale dovrebbe avere presente il fatto che la determinazione da parte della Commissione della genericità di una denominazione si basa su una valutazione delle caratteristiche di tale denominazione. Ne consegue che tali caratteristiche, nonché la relativa constatazione da parte della Commissione che la denominazione è generica, saranno elementi determinanti di cui un giudice nazionale dovrà tenere conto nel decidere se il consumatore sia stato o meno indotto in errore dall’uso della denominazione nell’etichettatura del prodotto alimentare (19).

– Una denominazione non esaminata

57. Come ho già indicato nella mia soluzione della prima questione, qualora la denominazione non sia stata esaminata dalla Commissione, essa non può essere considerata generica ai sensi del regolamento n. 2081/92.

58. Dall’altro lato, fintantoché la Commissione non abbia preso una decisione, una denominazione che sia stata sottoposta alla sua valutazione non è protetta dal regolamento salvo che lo Stato membro decida di fruire della possibilità ad esso concessa dall’art. 5, n. 5, di garantire una protezione in via transitoria.

59. In assenza di una tale protezione transitoria, il giudice nazionale deve unicamente accertare se l’uso della denominazione nell’etichettatura induca in errore secondo le disposizioni legislative nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

60. Tali disposizioni non dovrebbero, comunque, essere utilizzate quale fondamento per istituire un sistema di protezione parallelo di una denominazione geografica non registrata. Nel contesto della presente fattispecie i giudici nazionali, sebbene possano considerare che la denominazione ‘Salame Felino’soddisfi i requisiti per la registrazione prevista dal regolamento(20), devono valutare il suo uso unicamente alla luce delle disposizioni che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

61. Pertanto, la questione da risolvere per il giudice nazionale è, puramente e semplicemente, quella di sapere se l’etichettatura utilizzata per il salame prodotto dalla GSI possa indurre in errore un consumatore italiano normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto(21).

62. Nel risolvere tale questione il giudice nazionale dovrebbe chiedersi se il consumatore possa essere indotto in errore sulla provenienza del prodotto, considerando il collegamento tra il prodotto stesso e l’area geografica indicata dalla denominazione. Secondo l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE, un’etichetta che utilizzi una denominazione che invochi o indichi una provenienza può essere prima facie ritenuta ingannevole se il prodotto è completamente ottenuto altrove e non ha alcun nesso con il territorio geografico indicato in una delle fasi del processo di produzione.

63. Il giudice nazionale dovrebbe dunque prendere parimenti in considerazione la questione se il consumatore possa essere indotto in errore su qualsivoglia altra caratteristica del prodotto. A tal fine, il giudice dovrebbe valutare se la denominazione, come appare nell’etichettatura, sia specifica di una regione o sia divenuta il nome comune utilizzato per designare un prodotto con caratteristiche particolari (22). Nel procedere a tale valutazione, sarebbe opportuno che il giudice nazionale prenda in considerazione elementi e argomenti analoghi a quelli che sarebbero sollevati dinanzi alla Commissione in una domanda di protezione ai sensi del regolamento, o in una dichiarazione di opposizione proposta avverso tale domanda.

64. Per quanto riguarda le menzioni contenute nell’etichetta, l’uso del termine ‘tipo’ può costituire la prova del fatto che il nome viene utilizzato per richiamare le caratteristiche del prodotto piuttosto che la sua origine. Tuttavia, come sottolineato dalla Commissione, l’uso di tale termine non garantisce che l’etichetta non sia ingannevole.

65. Il giudice nazionale dovrebbe anche tener conto della presentazione dell’imballaggio, in particolare della posizione e della dimensione di un nome geografico e la descrizione del luogo di produzione (23). L’art. 3, n. 8, della direttiva 2000/13/CE stabilisce che, fatte salve le deroghe previste nella stessa direttiva, è obbligatorio indicare nell’etichettatura dei prodotti alimentari il luogo d’origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. In pratica, ciò deve significare che l’etichettatura, anche se l’indicazione geografica sia volta a pubblicizzare le caratteristiche di un prodotto alimentare, deve ‘dire l’intera verità’ in modo da non indurre in errore un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.

La rilevanza della buona fede e la durata dell’uso

66. La direttiva 2000/13/CE non menziona né la buona fede né la durata dell’uso. In particolare, essa non stabilisce che l’uso di una denominazione in buona fede, o in modo costante per molto tempo, possa costituire un argomento di difesa contro l’asserito carattere ingannevole dell’etichettatura.

67. I giudici nazionali devono valutare le asserite violazioni delle norme nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE alla luce dell’impressione che l’uso di una denominazione nell’etichettatura di un prodotto alimentare suscita in un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.

68. Mi sembra che, logicamente, se uno specifico elemento può modificare le aspettative del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (come sottolineato dal governo italiano), sarebbe del tutto ragionevole che un giudice nazionale consideri tale elemento nel valutare se un’etichetta di un prodotto alimentare possa indurre in errore un consumatore.

69. La durata dell’uso di una denominazione costituisce un elemento obiettivo che può influenzare le aspettative del consumatore ragionevole. Al contrario, non riesco a comprendere in qual modo (soggettivo) la buona fede di un produttore o rivenditore possa incidere sull’impressione (oggettiva) suscitata nel consumatore dall’uso di una denominazione geografica in un’etichetta.

70. Alla luce di quanto suesposto, suggerisco alla Corte di risolvere la seconda questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che la denominazione, non registrata come DOP o IPG, di un prodotto alimentare che evochi un luogo può legittimamente essere usata a condizione che lo sia in modo da non indurre in errore il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Ai fini dell’accertamento se ciò si verifichi, il giudice nazionale deve tener conto della durata del periodo di uso della denominazione. Resta comunque irrilevante la questione se il produttore abbia agito o meno in buona fede.

Sulla terza questione

Sulla ricevibilità

71. Il governo italiano sostiene che la terza questione sia irricevibile in quanto la causa dinanzi al giudice nazionale non riguarderebbe un marchio d’impresa collettivo. La Regione Emilia Romagna non è titolare del marchio, né allega che la GSI l’abbia violato. Inoltre, il governo italiano ha suggerito all’udienza che il giudice del rinvio deve accertare unicamente se l’etichettatura della GSI sia suscettibile di indurre in errore il consumatore, e, nonostante l’intervento dell’APTSF nel procedimento, nessuna censura relativa alla violazione di un marchio collettivo è stata sollevata dinanzi al giudice nazionale.

72. La Corte può esimersi dal rispondere alle questioni pregiudiziali qualora esse non abbiano alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale (24). La terza questione oggetto del rinvio è volta ad accertare se la direttiva 89/104/CEE possa costituire un diverso fondamento per impedire alla GSI di utilizzare la denominazione ‘Salame Felino’. Tuttavia, la sanzione amministrativa controversa nel procedimento principale si basava unicamente sull’asserita violazione delle disposizioni nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

73. Sebbene l’ordinanza d’ingiunzione abbia constatato che ‘Salame Felino’ è un marchio registrato, tale constatazione è stata effettuata nell’ambito dell’accertamento che l’uso da parte della GSI della denominazione ‘Salame tipo Felino’ induceva in errore i consumatori. Analogamente, la GSI si è richiamata all’uso in buona fede della denominazione ‘Salame Felino’ da parte di commercianti al di fuori del comune di Felino relativamente ad un marchio collettivo a sostegno dell’affermazione che il proprio utilizzo della denominazione nell’etichettatura non indurrebbe in errore i consumatori.

74. L’assenza di ogni contestazione relativa alla violazione di un marchio collettivo (25) indica che la questione se il titolare di un marchio collettivo possa opporsi all’uso in buona fede di una denominazione simile a quella contenuta nel marchio collettivo è irrilevante con riguardo all’oggetto essenziale della causa dinanzi al giudice nazionale, vale a dire l’accertamento dei casi in cui un produttore può indurre in errore i consumatori utilizzando una denominazione geografica nell’etichettatura dei propri prodotti.

75. La terza questione è pertanto irricevibile.

Conclusioni

76. Suggerisco pertanto alla Corte di risolvere le prime due questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunale Civile di Modena nei seguenti termini:

1) Gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la quale sia stata inoltrata una domanda di registrazione come denominazione d’origine protetta o indicazione d’origine protetta ai sensi dei citati regolamenti, non può essere considerata generica fintantoché la domanda non sia stata respinta dalla Commissione in base al rilievo che tale denominazione sia divenuta generica.

2) Le stesse disposizioni, in riferimento all’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretate nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo, non registrata come DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, può essere legittimamente utilizzata a condizione che non induca in errore un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Ai fini dell’accertamento se ciò si verifichi, il giudice nazionale deve tener conto della durata del periodo di uso della denominazione. E’ tuttavia irrilevante la questione se il produttore abbia agito o meno in buona fede.



1 – Lingua originale: l’inglese.

2 – GU L 208, pag. 1 (in prosieguo: il «regolamento n. 2081/92» o «il regolamento»).

3 – GU L 109, pag. 29 (in prosieguo: la «direttiva 2000/13/CEE»). Tale direttiva ha sostituito la direttiva del Consiglio, 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU L 33, pag. 1, in prosieguo: la «direttiva 79/112/CEE»).

4 – GU L 40, pag. 1 (in prosieguo: la «direttiva 89/104/CEE»). Questa direttiva è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25), ma era in vigore al momento in cui la controversia è stata sottoposta dinanzi al giudice nazionale.

5 – Tale regolamento è stato sostituito, con effetto a decorrere dal 31 marzo 2006, dal regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 93, pag. 12). Gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del precedente regolamento sono adesso riportati nel regolamento successivo rispettivamente negli artt. 3, n. 1, e 13, n. 2. Né tali disposizioni, né altre norme da me citate sono state modificate in modo da incidere sulla soluzione della questione sottoposta. Sebbene la sanzione controversa (v. supra, punto 21) sia stata irrogata dopo l’entrata in vigore del regolamento successivo, le asserite violazioni nel presente caso hanno avuto luogo nel 2002. Mi riferisco pertanto alle disposizioni del regolamento precedente e le mie affermazioni si applicano, mutatis mutandis, a quello successivo.

6 – Come sottolineato al nono ‘considerando’ del regolamento.

7 – Il primo ‘considerando’ della direttiva 2000/13/CE stabilisce che quest’ultima era volta a codificare le modifiche della direttiva 79/112/CEE. Di conseguenza, la direttiva 2000/13/CE è stata interpretata su tale fondamento [v., a titolo di esempio, le conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa C‑315/05, Lidl Italia, par. 53 (Racc. pag. I‑11181)].

8 – Si tratta dei primi tre commi di cui il secondo e il terzo sono riportati come modificati dal regolamento del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535/97 (GU L 83, pag. 3).

9 – La traduzione inglese della seconda denominazione è «Felino-type Salami».

10 – V. anche la recente sentenza 8 maggio 2008, causa C‑491/06, Danske Svineproducenter (Racc. pag. I‑3339, punto 23) e la giurisprudenza ivi citata.

11 – Non mi sembra che influisca in un senso o nell’altro su tale posizione il fatto che, in forza dell’art. 5, n. 5, del regolamento, qualora una domanda per la protezione di una denominazione sia stata inoltrata alla Commissione dalle autorità competenti di uno Stato membro, quest’ultimo può accordare entro i propri confini una protezione a titolo transitorio a tale denominazione durante la pendenza della domanda.

12 – Al par. 133 delle sue conclusioni nelle cause riunite C‑465/02 e C‑466/02, Germania e Danimarca/Commissione (Racc. pag. I‑9115), l’avvocato generale Ruíz-Jarabo Colomer afferma, nel quadro di un utile chiarimento della natura delle denominazioni generiche, che queste ultime sono state soggette ad un processo di volgarizzazione. A mio avviso tale definizione incapsula chiaramente il concetto.

13 – Sentenze 25 ottobre 2005, cause riunite C‑465/02 e C‑466/02, Germania e Danimarca/Commissione, cit., punti 75-100, e 26 febbraio 2008, causa C‑132/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑957, in particolare punto 53).

14 – Secondo ‘considerando’ del regolamento.

15 – Terzo ‘considerando’ del regolamento.

16 – Quarto ‘considerando’ del regolamento.

17 – Quinto ‘considerando’ del regolamento.

18 – Settimo ‘considerando’ del regolamento.

19 – V. anche punti 60 e segg.

20 – A tale proposito l’APTSF ha fatto riferimento a numerose sentenze nazionali. Tuttavia, un tale accertamento ai sensi del regolamento dev’essere effettuato dalla Commissione e solo da essa.

21 – V. sentenze 6 luglio 1995, causa C‑470/93, Mars (Racc. pag. I‑1923, punto 24); 16 luglio 1998, causa C‑210/96, Gut Springenheide and Tusky (Racc. pag. I‑4657, punto 31) nonché 13 gennaio 2000, causa C‑220/98, Estée Lauder (Racc. pag. I‑117, punto 30). Al par. 54 delle sue conclusioni nella causa C‑239/02, Douwe Egberts (Racc. pag. I‑7007), l’avvocato generale Geelhoed ha aggiunto che da ciò si presume che un consumatore prima del (primo) acquisto di un certo prodotto prenderà atto delle informazioni riportate sull’etichetta e sia inoltre in grado di valutarne il valore.

22 – Fintantoché la denominazione di cui trattasi sia una semplice indicazione geografica e non sia volta a trasmettere al consumatore informazioni sulle caratteristiche del prodotto: v. sentenza 7 novembre 2000, causa C‑312/98, Warsteiner Brauerei (Racc. pag. I‑9187, punto 44).

23 – In tal senso considero che le informazioni riguardanti la sede della società non indichino necessariamente ai consumatori il luogo in cui un prodotto è veramente ottenuto.

24 – V. sentenza 19 aprile 2007, causa C‑295/05, Asemfo (Racc. pag. I‑2999, punto 31).

25 – In realtà, l’APTSF, titolare di due marchi figurativi collettivi, adduce che non è proprio possibile violare tali marchi attraverso l’uso di una denominazione geografica.

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE ELEANOR SHARPSTON

presentate il 7 maggio 2009 1(1)

Causa C‑446/07

Alberto Severi, in proprio nonché in qualità di legale rappresentante della

Cavazzuti e figli SpA, ora Grandi Salumifici Italiani SpA

contro

Regione Emilia Romagna

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale Civile di Modena]

1. Qualora la denominazione di un prodotto alimentare evocativa del luogo di provenienza sia stata registrata da un gruppo di produttori locali come marchio collettivo (nazionale) e ne sia stata anche richiesta la registrazione (comunitaria) come denominazione d’origine protetta (DOP) o indicazione geografica protetta (IGP), entro quali limiti un altro produttore che usi una denominazione analoga per un prodotto alimentare simile possa invocare, a fronte della contestazione che l’etichettatura dei propri prodotti potrebbe indurre in errore i consumatori, il fatto che, da un lato, l’esame delle domande per ottenere il DOP e l’IGP non abbia ancora consentito di stabilire che la denominazione sia divenuta generica e/o, dall’altro, che egli ne abbia fatto uso in buona fede per molto tempo.

2. Tale è, sostanzialmente, la questione posta alla Corte nel caso di specie dal Tribunale Civile di Modena.

La normativa comunitaria

3. Il presente rinvio pregiudiziale riguarda l’interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (2), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità (3) e della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (4).

Il regolamento n. 2081/92

4. Il regolamento n. 2081/92 definisce un quadro normativo per la protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche registrate (5). Ai sensi di tale regolamento, le denominazioni di taluni prodotti agricoli e alimentari possono essere protette dalla Comunità quali DOP o IGP qualora esista un nesso fra le caratteristiche dei prodotti di cui trattasi e la loro origine geografica (6).

5. Il quinto ‘considerando’ del detto regolamento dispone che l’etichettatura dei prodotti agricoli e alimentari è soggetta alle norme generali fissate nella direttiva 79/112/CEE (7) e che, tenuto conto della loro specificità, è opportuno stabilire una serie di disposizioni particolari complementari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica. L’art. 1, n. 2, nel definire l’ambito di applicazione del regolamento, indica espressamente che esso si applica senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie particolari.

6. Il successivo art. 2 prevede che la protezione comunitaria delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche è ottenuta conformemente al regolamento e definisce i requisiti necessari affinché un nome costituisca una «denominazione d’origine» o un’«indicazione geografica».

7. A tal fine, l’art. 2, n. 2, lett. a), stabilisce che per «denominazione d’origine» si intende il nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare da cui questo proviene, la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all’ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell’area geografica delimitata. L’art. 2, n. 2, lett. b), definisce l’«indicazione geografica» come il nome di una regione, di un luogo determinato o di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare da cui questo proviene, di cui una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica possa essere attribuita all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell’area geografica determinata.

8. L’art. 3 indica poi due casi in cui i nomi particolari non possono essere registrati.

9. In particolare, l’art. 3, n. 1, prevede quanto segue:

«Le denominazioni divenute generiche non possono essere registrate.

Ai fini del presente regolamento, si intende per “denominazione divenuta generica” il nome di un prodotto agricolo o alimentare che, pur collegato col nome del luogo o della regione in cui il prodotto agricolo o alimentare è stato inizialmente ottenuto o commercializzato, è divenuto, nel linguaggio corrente, il nome comune di un prodotto agricolo o alimentare.

Per determinare se una denominazione sia divenuta generica o meno, si tiene conto di tutti i fattori, in particolare:

– della situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo,

– della situazione esistente in altri Stati membri,

– delle pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie.

Nei casi in cui, secondo la procedura prevista agli articoli 6 e 7, venga respinta una domanda di registrazione in quanto una denominazione è divenuta generica, la Commissione pubblica la relativa decisione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee».

10. L’art. 5 descrive la procedura che gli Stati membri devono seguire qualora venga inoltrata una domanda di registrazione di un nome. Le pertinenti disposizioni dell’art. 5, n. 5, sono formulate come segue (8):

«Lo Stato membro verifica che la domanda sia giustificata e, qualora ritenga che i requisiti del presente regolamento siano soddisfatti, trasmette alla Commissione la domanda.

Tale Stato membro può, a titolo transitorio, accordare alla denominazione così trasmessa una protezione ai sensi del presente regolamento a livello nazionale, nonché, se del caso, un periodo di adeguamento, solo in via transitoria a decorrere dalla data della trasmissione; (…).

La protezione nazionale transitoria cessa di esistere a decorrere dalla data in cui è adottata una decisione sulla registrazione in virtù del presente regolamento. Al momento di tale decisione può essere fissato un periodo di adeguamento non superiore a 5 anni, a condizione che le imprese interessate abbiano legalmente immesso in commercio i prodotti in questione utilizzando in modo continuativo tali denominazioni per almeno i cinque anni che precedono la data di pubblicazione prevista all’articolo 6, paragrafo 2».

11. L’art. 13 specifica la protezione accordata ai nomi registrati. I passi rilevanti di tale articolo così recitano:

‘1. Le denominazioni registrate sono tutelate contro:

a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l’uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta;

b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l’origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali (…) “tipo”(…);

c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza (…) dei prodotti (…) che possono indurre in errore sull’origine;

d) qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti.

(…)

3. Le denominazioni protette non possono diventare generiche.

(…)».

La direttiva 2000/13/CE

12. La direttiva 2000/13/CE ravvicina le legislazioni degli Stati membri relativamente, inter alia, all’etichettatura dei prodotti alimentari. Il sesto ‘considerando’ di tale direttiva stabilisce che «[q]ualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura dei prodotti alimentari deve essere fondata anzitutto sulla necessità d’informare e tutelare i consumatori».

13. Le pertinenti disposizioni dell’art. 2 così dispongono:

«1. L’etichettatura e le relative modalità di realizzazione non devono:

e) essere tali da indurre in errore l’acquirente, specialmente:

i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (…) l’origine o la provenienza (…).

(…)

3. I divieti o le limitazioni di cui a[l] paragraf[o] 1 (…) valgono anche per:

a) la presentazione dei prodotti alimentari, in particolare la forma o l’aspetto conferito agli stessi o al rispettivo imballaggio, il materiale utilizzato per l’imballaggio, il modo in cui sono disposti e l’ambiente nel quale sono esposti;

b) la pubblicità».

14. Le disposizioni rilevanti dell’art. 5 prevedono quanto segue:

«1. La denominazione di vendita di un prodotto alimentare è la denominazione prevista per tale prodotto dalle disposizioni comunitarie ad esso applicabili.

a) In mancanza di disposizioni comunitarie, la denominazione di vendita è la denominazione prevista dalle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività.

In assenza di queste ultime, la denominazione di vendita è costituita dal nome sancito dagli usi dello Stato membro nel quale si effettua la vendita al consumatore finale o alle collettività o da una descrizione del prodotto alimentare e, all’occorrenza, della sua utilizzazione, che sia sufficientemente precisa da consentire all’acquirente di conoscerne l’effettiva natura e di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso».

La direttiva 89/104/CEE

15. La direttiva 89/104/CEE costituisce un primo ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa.

16. L’art. 3, n. 1, è formulato nei seguenti termini:

«Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

(…)

c) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) [i] marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

(…)».

17. L’art. 15, n. 2, così recita:

«In deroga all’articolo 3, paragrafo 1, lettera c) gli Stati membri possono stabilire che i segni o indicazioni che, in commercio, possono servire per designare la provenienza geografica dei prodotti o dei servizi possano costituire marchi collettivi, oppure marchi di garanzia o di certificazione. Un marchio siffatto non autorizza il titolare a vietare ai terzi l’uso, in commercio, di detti segni o indicazioni, purché li usi conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale; in particolare un siffatto marchio non può essere fatto valere nei confronti di un terzo abilitato ad usare una denominazione geografica».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

18. Il comune di Felino è situato in Emilia Romagna. La Cavazzuti S.p.a., ora Grandi Salumifici Italiani S.p.a (in prosieguo, la «GSI»), produce un salame commercializzato come ‘Salame Felino’ e/o ‘Salame tipo Felino’ (9). Essa produce tale salame a Modena (città situata nella stessa regione, a circa 50 km di distanza da Felino), dal 1970 circa.

19. Il 16 maggio 2006 la Regione Emilia Romagna irrogava una sanzione amministrativa alla GSI per aver utilizzato in etichetta la menzione ‘Salame tipo Felino’ in modo da indurre in errore i consumatori. La Regione era del parere che la GSI avesse violato l’art. 2 del D.lgs. 109/92, che ha trasposto l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE nell’ordinamento nazionale italiano.

20. All’epoca dell’irrogazione della sanzione la denominazione ‘Salame Felino’ non era registrata né come DOP né come IGP. L’ordinanza di rinvio stabilisce che, secondo le affermazioni dell’Associazione per la Tutela del Salame Felino (in prosieguo: l’«APTSF») e dell’Associazione delle Industrie delle Carni (in prosieguo: l’«Assica») era stata inoltrata una domanda volta al riconoscimento del ‘Salame Felino’ come IGP ai sensi del regolamento n. 2081/92. Comunque, all’epoca del rinvio, alla domanda non aveva ancora fatto seguito la registrazione della denominazione.

21. La GSI proponeva quindi dinanzi al Tribunale Civile di Modena un ricorso volto ad ottenere l’annullamento della sanzione amministrativa irrogatale, sostenendo che la denominazione ‘Salame Felino’ sarebbe generica e sarebbe stata utilizzata per diverso tempo ed in buona fede al di fuori del Comune di Felino, anche in rispetto di un marchio d’impresa collettivo. Il Tribunale Civile sospendeva il procedimento e sottoponeva alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento CE n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) in riferimento all’art. 2 del Decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la quale vi sia stato in sede nazionale un “rigetto” o comunque un blocco dell’inoltro della richiesta alla Commissione europea di registrazione come denominazione d’origine protetta (DOP) o indicazione d’origine protetta (IGP) ai sensi dei citati regolamenti, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui pendono gli effetti del suddetto “rigetto” o blocco;

2. se l’art. 3, n. l, e l’art. 13, n. 3, del regolamento CE n. 2081/92 (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) in riferimento all’art. 2 del Decreto legislativo 109/92 (art. 2 della direttiva 2000/13/CE) debbano essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo non registrata come DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, possa essere legittimamente utilizzata nel mercato europeo dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in vigore del regolamento CEE n. 2081/92 (ora regolamento CE n. 510/06) e nel periodo successivo a tale entrata in vigore;

3. se l’art. 15, n. 2, della Prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa, debba essere interpretato nel senso che al soggetto titolare di un marchio collettivo di prodotto alimentare, contenente un riferimento geografico, non è consentito impedire ai produttori di un prodotto, avente le stesse caratteristiche, di designarlo con una denominazione simile a quella contenuta nel marchio collettivo, qualora detti produttori abbiano usato tale denominazione in buona fede, in modo costante per un tempo molto anteriore alla data di registrazione del suddetto marchio collettivo».

22. La GSI, la regione Emilia Romagna, l’APTSF, i governi greco e italiano nonché la Commissione hanno presentato osservazioni scritte e, successivamente, osservazioni orali in udienza.

Osservazioni preliminari

23. La sanzione amministrativa irrogata alla GSI riguarda la violazione dell’art. 2 del D. lgs. 109/92. Il giudice nazionale deve dunque pronunciarsi chiaramente su un’unica questione: se la GSI abbia indotto in errore i consumatori utilizzando nella sua etichettatura la denominazione ‘Salame tipo Felino’. Il Tribunale di Modena ha chiesto alla Corte di chiarire l’effetto che taluni elementi possono produrre su tale valutazione.

24. Uno di tali elementi è il valore da attribuire alla denominazione stessa. La prima questione sottoposta alla Corte è volta a chiarire in quali casi e con quali modalità una denominazione possa essere considerata generica. Per dare risposta a tale questione occorre unicamente esaminare il regime di registrazione previsto dal regolamento n. 2081/92. In ogni caso, nel contesto della controversia dinanzi al giudice del rinvio, la Corte deve anche esaminare l’effetto che produrrebbe la constatazione che una denominazione è generica sulla valutazione da parte del giudice nazionale dell’uso della denominazione stessa in un’etichetta.

25. A tal fine la Corte deve pronunciarsi chiaramente sulle modalità di interazione tra il regolamento n. 2081/92 e la direttiva 2000/13/CE. Tratterò tale argomento nella mia soluzione della seconda questione, prima di considerare l’impatto che possono avere la buona fede di un produttore e la durata dell’uso di una denominazione sulla valutazione operata dal giudice in merito ad una pretesa etichetta ingannevole.

Sulla prima questione

26. Il giudice del rinvio chiede, con la sua prima questione, se una denominazione geografica, per la quale la richiesta di registrazione come DOP o IGP sia stata rigettata o comunque bloccata, debba essere considerata generica quantomeno per tutto il periodo in cui pendono gli effetti di tale rigetto o blocco.

Sull’irricevibilità

27. Sono state sollevate separatamente due eccezioni d’irricevibilità.

28. In primo luogo, l’APTSF e il governo italiano hanno contestato i fatti su cui si fonda la questione. Il governo italiano deduce che non vi sia stato alcun rigetto o blocco della registrazione. L’APTSF sostiene che la domanda di registrazione della denominazione sia attualmente soggetta solo alla formalità della pubblicazione.

29. Non ritengo condivisibili tali argomenti a sostegno dell’irricevibilità della prima questione.

30. L’art. 234 CE si basa su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte di giustizia. I fatti rientrano nell’ambito della competenza dei giudici nazionali mentre il ruolo della Corte di giustizia consiste nel fornire un orientamento quanto all’interpretazione del diritto comunitario. Ne consegue che la Corte di giustizia deve pronunciarsi in un rinvio pregiudiziale sulla base dei fatti indicati dal giudice nazionale nell’ordinanza di rinvio (10).

31. L’ordinanza di rinvio illustra che, all’epoca dei fatti, la domanda ai sensi del regolamento n. 2081/92 era pendente e la denominazione ‘Salame Felino’ non era iscritta nel registro. Le ragioni per cui ciò si è o si sarebbe verificato sono piuttosto irrilevanti ai fini dell’esame delle questioni pregiudiziali.

32. In secondo luogo, il governo italiano e la Commissione argomentano che la prima questione è irricevibile in quanto fondata sul erroneo presupposto che la portata dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE possa essere delimitata dal regolamento. Inoltre, secondo la Commissione, non sarebbe determinante per la soluzione della controversia dinanzi al giudice nazionale accertare anzitutto se una denominazione sia generica durante la procedura di registrazione ai sensi del regolamento n. 2081/92. La Commissione ritiene che il giudice nazionale debba risolvere la controversia sottopostagli unicamente in riferimento alle disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva 2000/13/CE .

33. Sebbene le osservazioni della Commissione siano pertinenti, è configurabile che la registrazione di una denominazione (o la sua classificazione come generica) ai sensi del regolamento n. 2081/92, pur non delimitando la portata dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE, influisca sulla determinazione da parte del giudice del carattere ingannevole di un’etichettatura che utilizzi tale denominazione, ai sensi della direttiva 2000/13/CE. La soluzione della prima questione costituisce, dunque, una condizione preliminare potenzialmente necessaria per fornire un’adeguata risposta alla seconda questione.

34. Ritengo, pertanto, che la Corte debba pronunciarsi sulla prima questione.

Nel merito

35. Il regolamento n. 2081/92 introduce un sistema in cui una denominazione indicativa della provenienza di un prodotto può essere registrata in un elenco di denominazioni protette a livello comunitario. La Commissione valuta i casi in cui tale protezione può essere ottenuta. Secondo l’art. 3, n. 1, la Commissione può rifiutarsi di registrare una denominazione qualora ritenga, inter alia, che essa sia generica.

36. Tuttavia, fintantoché la Commissione non respinga una domanda espressamente per tale motivo, non si può affermare che la denominazione sia stata considerata generica ai sensi del regolamento.

37. Non si può neanche fondatamente muovere dal presupposto che una denominazione geografica sia generica fintantoché non si sia stabilito il contrario. In molti casi, una siffatta denominazione è meramente informativa. In taluni casi essa merita protezione in forza del regolamento. Comunque, dagli atti di causa non emerge che il normale sviluppo di una denominazione geografica sia quella di divenire generica come denominazione di un prodotto alimentare.

38. Di conseguenza, e contrariamente a quanto sostenuto dalla GSI, un giudice nazionale non può muovere dal presupposto, qualora la procedura di registrazione di una denominazione sia in corso, che essa sia generica fintantoché la Commissione non lo decida.

39. Analogamente, non si può presumere che la denominazione non sia generica ai sensi del regolamento (11).

40. Nella specie, il giudice del rinvio deve determinare se l’uso da parte della GSI della denominazione controversa possa concretamente indurre in errore i consumatori ai sensi dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/13/CE. Per risolvere la questione, in assenza della decisione finale della Commissione ai sensi del regolamento n. 2081/92, il giudice del rinvio può dover tener conto delle caratteristiche della denominazione che verrebbero parimenti prese in considerazione dalla Commissione ai fini della decisione se tale denominazione meriti protezione o se sia generica ai sensi del regolamento. A tal fine si dovrebbe prendere in considerazione la giurisprudenza della Corte sul regolamento.

41. La Corte ha dedotto dalla definizione dell’art. 3, n. 1, che una denominazione è generica qualora (pur collegato con il luogo o la regione in cui il prodotto alimentare sia stato inizialmente ottenuto o commercializzato) tale nome sia divenuto il nome comune di tale prodotto alimentare (12). Essa ha considerato che il carattere generico del nome deve essere determinato esaminando, inter alia, la situazione esistente nello Stato membro in cui il nome ha la sua origine e nelle zone di consumo, quella esistente in altri Stati membri, e le pertinenti legislazioni nazionali o comunitarie (13).

42. Alla luce di quanto suesposto, suggerisco alla Corte di risolvere la prima questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che una denominazione non possa essere considerata generica ai termini del regolamento n. 2081/92 fintantoché una domanda di protezione del nome non sia stata respinta dalla Commissione in base al rilievo che tale denominazione sia divenuta generica.

Sulla seconda questione

43. Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede se la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo non registrata come DOP o IGP possa essere legittimamente utilizzata dai produttori che ne abbiano fatto uso in buona fede ed in modo costante per molto tempo prima dell’entrata in vigore del regolamento n. 2081/92.

Sulla ricevibilità

44. L’APTSF sostiene che la seconda questione sia irricevibile in quanto fondata su un errore di fatto. Per i motivi illustrati al paragrafo 30 occorre respingere tale argomento.

45. Il governo italiano afferma che la seconda questione è irricevibile in quanto né il diritto comunitario né il diritto nazionale prenderebbero in considerazione la buona fede nel disciplinare l’etichettatura. Si tratta di un motivo di merito. Lo analizzerò, pertanto, nell’ambito dell’esame nel merito della seconda questione.

Nel merito

L’interazione tra la direttiva 2000/13/CE e il regolamento n. 2081/92

46. La direttiva 2000/13/CE e il regolamento n. 2081/92 operano su piani diversi e sono stati predisposti dal legislatore comunitario al perseguimento di scopi diversi.

47. La direttiva 2000/13/CE ravvicina le legislazioni degli Stati membri sull’etichettatura dei prodotti alimentari, contribuendo in tal modo al corretto funzionamento del mercato interno. Il primo fondamento di qualsiasi regolamentazione relativa all’etichettatura, come indicato nel suo sesto ‘considerando’, deve essere anzitutto la necessità d’informare e tutelare i consumatori. Come osservato correttamente dal governo italiano, a tal fine, la direttiva 2000/13/CE obbliga i produttori a fornire nell’etichetta informazioni sufficienti a consentire ai consumatori di scegliere con piena cognizione di causa. Ciò comprende l’obbligo di fornire informazioni sulla natura e sulle caratteristiche esatte del prodotto, inclusa la sua origine o provenienza.

48. Per contro, l’obiettivo del regolamento è più complesso. Esso muove dal presupposto che la promozione di prodotti aventi determinate caratteristiche può rappresentare una carta vincente per il mondo rurale, in quanto garantirebbe il miglioramento dei redditi degli agricoltori (14), e che la ricerca dei consumatori di prodotti di qualità specifici comporta una domanda sempre più consistente di prodotti agricoli o di prodotti alimentari aventi un’origine geografica determinata (15). Il regolamento sostiene l’indicazione al consumatore di informazioni chiare e sintetiche sull’origine del prodotto al fine di consentirgli di operare una scelta ottimale (16), stabilendo disposizioni particolari per i prodotti agricoli ed alimentari provenienti da una determinata area geografica (17). A tal fine, il regolamento ha istituito un quadro normativo comunitario che garantisce una protezione uniforme di denominazioni di origine ed indicazioni geografiche registrate, assicurando così condizioni di concorrenza uguali tra i produttori e aumentando la credibilità dei prodotti in questione agli occhi dei consumatori (18). Di conseguenza, mentre la protezione della denominazione geografica produce indubbiamente effetti sulle scelte dei consumatori, gli obiettivi del regolamento hanno una portata più ampia della mera garanzia della tutela del consumatore.

49. A prescindere dalla differenza di obiettivi e ambiti d’intervento, l’uso di denominazioni geografiche nelle etichette di prodotti alimentari può rientrare nell’ambito di applicazione di entrambe le normative, il regolamento e la direttiva 2000/13/CE. Vi sono tre situazioni distinte nelle quali ciò si verifica: la prima, qualora la denominazione utilizzata sull’etichetta di un prodotto alimentare sia stata esaminata dalla Commissione e registrata ai sensi del regolamento; la seconda, qualora essa sia stata esaminata, ma considerata generica; la terza, qualora l’esame previsto dal regolamento non sia stato concluso. Il presente rinvio pregiudiziale riguarda unicamente la terza situazione. Comunque, in via ultronea, tratterò anzitutto brevemente le altre due situazioni.

– Una denominazione registrata

50. Quando una denominazione è stata esaminata dalla Commissione e iscritta nel registro istituito dal regolamento, il suo utilizzo può essere limitato.

51. Se tale denominazione è utilizzata in assenza delle condizioni per il suo uso o con modalità contrarie all’art. 13, n. 1, del regolamento, un tale uso è suscettibile di «indurre in errore l’acquirente, specialmente: i) per quanto riguarda le caratteristiche del prodotto alimentare e in particolare (...) l’origine o la provenienza», ai sensi dell’art. 2, n. 1, lett. a), sub i).

– Una denominazione generica

52. Come argomentato correttamente dalla Commissione nelle sue osservazioni sull’irricevibilità, anche quando una denominazione è stata esaminata e considerata generica in forza del regolamento, al giudice nazionale non è tuttavia preclusa la possibilità di determinare se l’uso di tale denominazione nell’etichetta di un prodotto alimentare sia ingannevole ai sensi delle norme di cui alla direttiva 2000/13/CE.

53. La GSI sostiene che se una denominazione è stata considerata generica, essa non può essere protetta dal regime del regolamento. Anche se ciò è ben vero, non posso condividere la conclusione cui la GSI intende giungere, vale a dire che l’uso di una tale denominazione in etichetta non può essere considerato ingannevole in applicazione della direttiva 2000/13/CE.

54. Al contrario, sembra evidente che vi sono circostanze in cui un consumatore può ben essere indotto in errore dall’uso di una denominazione generica nell’etichettatura di un prodotto (si potrebbe, a titolo di esempio, immaginare un prodotto alimentare etichettato con una denominazione generica che però non abbia in comune nessuna delle caratteristiche che il consumatore comunemente associa a tale denominazione).

55. Ne consegue che, anche laddove una denominazione venga considerata generica, il giudice nazionale può comunque ancora decidere se l’etichetta di un prodotto alimentare particolare sia ingannevole ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

56. A tale proposito il giudice nazionale dovrebbe avere presente il fatto che la determinazione da parte della Commissione della genericità di una denominazione si basa su una valutazione delle caratteristiche di tale denominazione. Ne consegue che tali caratteristiche, nonché la relativa constatazione da parte della Commissione che la denominazione è generica, saranno elementi determinanti di cui un giudice nazionale dovrà tenere conto nel decidere se il consumatore sia stato o meno indotto in errore dall’uso della denominazione nell’etichettatura del prodotto alimentare (19).

– Una denominazione non esaminata

57. Come ho già indicato nella mia soluzione della prima questione, qualora la denominazione non sia stata esaminata dalla Commissione, essa non può essere considerata generica ai sensi del regolamento n. 2081/92.

58. Dall’altro lato, fintantoché la Commissione non abbia preso una decisione, una denominazione che sia stata sottoposta alla sua valutazione non è protetta dal regolamento salvo che lo Stato membro decida di fruire della possibilità ad esso concessa dall’art. 5, n. 5, di garantire una protezione in via transitoria.

59. In assenza di una tale protezione transitoria, il giudice nazionale deve unicamente accertare se l’uso della denominazione nell’etichettatura induca in errore secondo le disposizioni legislative nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

60. Tali disposizioni non dovrebbero, comunque, essere utilizzate quale fondamento per istituire un sistema di protezione parallelo di una denominazione geografica non registrata. Nel contesto della presente fattispecie i giudici nazionali, sebbene possano considerare che la denominazione ‘Salame Felino’soddisfi i requisiti per la registrazione prevista dal regolamento(20), devono valutare il suo uso unicamente alla luce delle disposizioni che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

61. Pertanto, la questione da risolvere per il giudice nazionale è, puramente e semplicemente, quella di sapere se l’etichettatura utilizzata per il salame prodotto dalla GSI possa indurre in errore un consumatore italiano normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto(21).

62. Nel risolvere tale questione il giudice nazionale dovrebbe chiedersi se il consumatore possa essere indotto in errore sulla provenienza del prodotto, considerando il collegamento tra il prodotto stesso e l’area geografica indicata dalla denominazione. Secondo l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE, un’etichetta che utilizzi una denominazione che invochi o indichi una provenienza può essere prima facie ritenuta ingannevole se il prodotto è completamente ottenuto altrove e non ha alcun nesso con il territorio geografico indicato in una delle fasi del processo di produzione.

63. Il giudice nazionale dovrebbe dunque prendere parimenti in considerazione la questione se il consumatore possa essere indotto in errore su qualsivoglia altra caratteristica del prodotto. A tal fine, il giudice dovrebbe valutare se la denominazione, come appare nell’etichettatura, sia specifica di una regione o sia divenuta il nome comune utilizzato per designare un prodotto con caratteristiche particolari (22). Nel procedere a tale valutazione, sarebbe opportuno che il giudice nazionale prenda in considerazione elementi e argomenti analoghi a quelli che sarebbero sollevati dinanzi alla Commissione in una domanda di protezione ai sensi del regolamento, o in una dichiarazione di opposizione proposta avverso tale domanda.

64. Per quanto riguarda le menzioni contenute nell’etichetta, l’uso del termine ‘tipo’ può costituire la prova del fatto che il nome viene utilizzato per richiamare le caratteristiche del prodotto piuttosto che la sua origine. Tuttavia, come sottolineato dalla Commissione, l’uso di tale termine non garantisce che l’etichetta non sia ingannevole.

65. Il giudice nazionale dovrebbe anche tener conto della presentazione dell’imballaggio, in particolare della posizione e della dimensione di un nome geografico e la descrizione del luogo di produzione (23). L’art. 3, n. 8, della direttiva 2000/13/CE stabilisce che, fatte salve le deroghe previste nella stessa direttiva, è obbligatorio indicare nell’etichettatura dei prodotti alimentari il luogo d’origine o di provenienza, qualora l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l’origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. In pratica, ciò deve significare che l’etichettatura, anche se l’indicazione geografica sia volta a pubblicizzare le caratteristiche di un prodotto alimentare, deve ‘dire l’intera verità’ in modo da non indurre in errore un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.

La rilevanza della buona fede e la durata dell’uso

66. La direttiva 2000/13/CE non menziona né la buona fede né la durata dell’uso. In particolare, essa non stabilisce che l’uso di una denominazione in buona fede, o in modo costante per molto tempo, possa costituire un argomento di difesa contro l’asserito carattere ingannevole dell’etichettatura.

67. I giudici nazionali devono valutare le asserite violazioni delle norme nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE alla luce dell’impressione che l’uso di una denominazione nell’etichettatura di un prodotto alimentare suscita in un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto.

68. Mi sembra che, logicamente, se uno specifico elemento può modificare le aspettative del consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto (come sottolineato dal governo italiano), sarebbe del tutto ragionevole che un giudice nazionale consideri tale elemento nel valutare se un’etichetta di un prodotto alimentare possa indurre in errore un consumatore.

69. La durata dell’uso di una denominazione costituisce un elemento obiettivo che può influenzare le aspettative del consumatore ragionevole. Al contrario, non riesco a comprendere in qual modo (soggettivo) la buona fede di un produttore o rivenditore possa incidere sull’impressione (oggettiva) suscitata nel consumatore dall’uso di una denominazione geografica in un’etichetta.

70. Alla luce di quanto suesposto, suggerisco alla Corte di risolvere la seconda questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che la denominazione, non registrata come DOP o IPG, di un prodotto alimentare che evochi un luogo può legittimamente essere usata a condizione che lo sia in modo da non indurre in errore il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Ai fini dell’accertamento se ciò si verifichi, il giudice nazionale deve tener conto della durata del periodo di uso della denominazione. Resta comunque irrilevante la questione se il produttore abbia agito o meno in buona fede.

Sulla terza questione

Sulla ricevibilità

71. Il governo italiano sostiene che la terza questione sia irricevibile in quanto la causa dinanzi al giudice nazionale non riguarderebbe un marchio d’impresa collettivo. La Regione Emilia Romagna non è titolare del marchio, né allega che la GSI l’abbia violato. Inoltre, il governo italiano ha suggerito all’udienza che il giudice del rinvio deve accertare unicamente se l’etichettatura della GSI sia suscettibile di indurre in errore il consumatore, e, nonostante l’intervento dell’APTSF nel procedimento, nessuna censura relativa alla violazione di un marchio collettivo è stata sollevata dinanzi al giudice nazionale.

72. La Corte può esimersi dal rispondere alle questioni pregiudiziali qualora esse non abbiano alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale (24). La terza questione oggetto del rinvio è volta ad accertare se la direttiva 89/104/CEE possa costituire un diverso fondamento per impedire alla GSI di utilizzare la denominazione ‘Salame Felino’. Tuttavia, la sanzione amministrativa controversa nel procedimento principale si basava unicamente sull’asserita violazione delle disposizioni nazionali che traspongono l’art. 2 della direttiva 2000/13/CE.

73. Sebbene l’ordinanza d’ingiunzione abbia constatato che ‘Salame Felino’ è un marchio registrato, tale constatazione è stata effettuata nell’ambito dell’accertamento che l’uso da parte della GSI della denominazione ‘Salame tipo Felino’ induceva in errore i consumatori. Analogamente, la GSI si è richiamata all’uso in buona fede della denominazione ‘Salame Felino’ da parte di commercianti al di fuori del comune di Felino relativamente ad un marchio collettivo a sostegno dell’affermazione che il proprio utilizzo della denominazione nell’etichettatura non indurrebbe in errore i consumatori.

74. L’assenza di ogni contestazione relativa alla violazione di un marchio collettivo (25) indica che la questione se il titolare di un marchio collettivo possa opporsi all’uso in buona fede di una denominazione simile a quella contenuta nel marchio collettivo è irrilevante con riguardo all’oggetto essenziale della causa dinanzi al giudice nazionale, vale a dire l’accertamento dei casi in cui un produttore può indurre in errore i consumatori utilizzando una denominazione geografica nell’etichettatura dei propri prodotti.

75. La terza questione è pertanto irricevibile.

Conclusioni

76. Suggerisco pertanto alla Corte di risolvere le prime due questioni pregiudiziali sottoposte dal Tribunale Civile di Modena nei seguenti termini:

1) Gli artt. 3, n. l, e 13, n. 3 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli ed alimentari (ora artt. 3, n. 1, e 13, n. 2, del regolamento CE n. 510/06) devono essere interpretati nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare contenente riferimenti geografici, per la quale sia stata inoltrata una domanda di registrazione come denominazione d’origine protetta o indicazione d’origine protetta ai sensi dei citati regolamenti, non può essere considerata generica fintantoché la domanda non sia stata respinta dalla Commissione in base al rilievo che tale denominazione sia divenuta generica.

2) Le stesse disposizioni, in riferimento all’art. 2 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 marzo 2000, 2000/13/CE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, devono essere interpretate nel senso che la denominazione di un prodotto alimentare evocativa di un luogo, non registrata come DOP o IGP ai sensi dei citati regolamenti, può essere legittimamente utilizzata a condizione che non induca in errore un consumatore medio normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto. Ai fini dell’accertamento se ciò si verifichi, il giudice nazionale deve tener conto della durata del periodo di uso della denominazione. E’ tuttavia irrilevante la questione se il produttore abbia agito o meno in buona fede.



1 – Lingua originale: l’inglese.

2 – GU L 208, pag. 1 (in prosieguo: il «regolamento n. 2081/92» o «il regolamento»).

3 – GU L 109, pag. 29 (in prosieguo: la «direttiva 2000/13/CEE»). Tale direttiva ha sostituito la direttiva del Consiglio, 18 dicembre 1978, 79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati al consumatore finale, nonché la relativa pubblicità (GU L 33, pag. 1, in prosieguo: la «direttiva 79/112/CEE»).

4 – GU L 40, pag. 1 (in prosieguo: la «direttiva 89/104/CEE»). Questa direttiva è stata abrogata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU L 299, pag. 25), ma era in vigore al momento in cui la controversia è stata sottoposta dinanzi al giudice nazionale.

5 – Tale regolamento è stato sostituito, con effetto a decorrere dal 31 marzo 2006, dal regolamento (CE) del Consiglio 20 marzo 2006, n. 510, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (GU L 93, pag. 12). Gli artt. 3, n. 1, e 13, n. 3, del precedente regolamento sono adesso riportati nel regolamento successivo rispettivamente negli artt. 3, n. 1, e 13, n. 2. Né tali disposizioni, né altre norme da me citate sono state modificate in modo da incidere sulla soluzione della questione sottoposta. Sebbene la sanzione controversa (v. supra, punto 21) sia stata irrogata dopo l’entrata in vigore del regolamento successivo, le asserite violazioni nel presente caso hanno avuto luogo nel 2002. Mi riferisco pertanto alle disposizioni del regolamento precedente e le mie affermazioni si applicano, mutatis mutandis, a quello successivo.

6 – Come sottolineato al nono ‘considerando’ del regolamento.

7 – Il primo ‘considerando’ della direttiva 2000/13/CE stabilisce che quest’ultima era volta a codificare le modifiche della direttiva 79/112/CEE. Di conseguenza, la direttiva 2000/13/CE è stata interpretata su tale fondamento [v., a titolo di esempio, le conclusioni dell’avvocato generale Stix-Hackl nella causa C‑315/05, Lidl Italia, par. 53 (Racc. pag. I‑11181)].

8 – Si tratta dei primi tre commi di cui il secondo e il terzo sono riportati come modificati dal regolamento del Consiglio 17 marzo 1997, n. 535/97 (GU L 83, pag. 3).

9 – La traduzione inglese della seconda denominazione è «Felino-type Salami».

10 – V. anche la recente sentenza 8 maggio 2008, causa C‑491/06, Danske Svineproducenter (Racc. pag. I‑3339, punto 23) e la giurisprudenza ivi citata.

11 – Non mi sembra che influisca in un senso o nell’altro su tale posizione il fatto che, in forza dell’art. 5, n. 5, del regolamento, qualora una domanda per la protezione di una denominazione sia stata inoltrata alla Commissione dalle autorità competenti di uno Stato membro, quest’ultimo può accordare entro i propri confini una protezione a titolo transitorio a tale denominazione durante la pendenza della domanda.

12 – Al par. 133 delle sue conclusioni nelle cause riunite C‑465/02 e C‑466/02, Germania e Danimarca/Commissione (Racc. pag. I‑9115), l’avvocato generale Ruíz-Jarabo Colomer afferma, nel quadro di un utile chiarimento della natura delle denominazioni generiche, che queste ultime sono state soggette ad un processo di volgarizzazione. A mio avviso tale definizione incapsula chiaramente il concetto.

13 – Sentenze 25 ottobre 2005, cause riunite C‑465/02 e C‑466/02, Germania e Danimarca/Commissione, cit., punti 75-100, e 26 febbraio 2008, causa C‑132/05, Commissione/Germania (Racc. pag. I‑957, in particolare punto 53).

14 – Secondo ‘considerando’ del regolamento.

15 – Terzo ‘considerando’ del regolamento.

16 – Quarto ‘considerando’ del regolamento.

17 – Quinto ‘considerando’ del regolamento.

18 – Settimo ‘considerando’ del regolamento.

19 – V. anche punti 60 e segg.

20 – A tale proposito l’APTSF ha fatto riferimento a numerose sentenze nazionali. Tuttavia, un tale accertamento ai sensi del regolamento dev’essere effettuato dalla Commissione e solo da essa.

21 – V. sentenze 6 luglio 1995, causa C‑470/93, Mars (Racc. pag. I‑1923, punto 24); 16 luglio 1998, causa C‑210/96, Gut Springenheide and Tusky (Racc. pag. I‑4657, punto 31) nonché 13 gennaio 2000, causa C‑220/98, Estée Lauder (Racc. pag. I‑117, punto 30). Al par. 54 delle sue conclusioni nella causa C‑239/02, Douwe Egberts (Racc. pag. I‑7007), l’avvocato generale Geelhoed ha aggiunto che da ciò si presume che un consumatore prima del (primo) acquisto di un certo prodotto prenderà atto delle informazioni riportate sull’etichetta e sia inoltre in grado di valutarne il valore.

22 – Fintantoché la denominazione di cui trattasi sia una semplice indicazione geografica e non sia volta a trasmettere al consumatore informazioni sulle caratteristiche del prodotto: v. sentenza 7 novembre 2000, causa C‑312/98, Warsteiner Brauerei (Racc. pag. I‑9187, punto 44).

23 – In tal senso considero che le informazioni riguardanti la sede della società non indichino necessariamente ai consumatori il luogo in cui un prodotto è veramente ottenuto.

24 – V. sentenza 19 aprile 2007, causa C‑295/05, Asemfo (Racc. pag. I‑2999, punto 31).

25 – In realtà, l’APTSF, titolare di due marchi figurativi collettivi, adduce che non è proprio possibile violare tali marchi attraverso l’uso di una denominazione geografica.