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Cassazione Civile: diritto dei coniugi di attribuire il cognome materno al neonato

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Prima Civile, Ordinanza interlocutoria 22 settembre 2008, n.23934
L’automatica attribuzione del cognome paterno non è più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna, ponendosi in contrasto anche con alcune norme di origine sopranazionale.

Con la suddetta motivazione la Prima Sezione della Suprema Corte (ordinanza interlocutoria n. 23934/2008) ha rimesso al Primo Presidente il ricorso promosso da una coppia di genitori al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita del proprio figlio, nella parte in cui ha attribuito allo stesso il cognome paterno, anziché quello della madre, nonostante l’esplicita richiesta dei genitori al momento della denuncia di nascita.

La Corte di Cassazione, facendo leva sulla precedente pronuncia n. 16093/2006 con la quale, decidendo su di un caso analogo, si era riconosciuto che l’esistenza nel nostro ordinamento di una norma attributiva del cognome paterno al figlio legittimo fosse retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non in sintonia con le fonti sopranazionali, nel tentativo di superare l’inerzia del Legislatore, sollecita nuovamente il riesame della questione.

Ed infatti, nella precedente pronuncia era stato ritenuto che spettava al Legislatore ridisegnare la materia, nonostante già l’ordinanza n. 13298 del 17 luglio 2004 e la sentenza della Corte costituzionale n. 61/2006, avessero evidenziato il contrasto della norma de qua con il principio di uguaglianza fra i sessi e con le fonti internazionali.

Sul punto viene richiamata la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. 37/1978, le raccomandazioni del medesimo Consiglio n. 1271/1995 e 1362/1998, l’ art 16 della Convenzione di New York, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e gli artt 3 e 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 19.12.1966, chiamate ad essere parametro del giudizio di costituzionalità delle norme interne, alla luce della nuova formulazione dell’art 117, 1^ comma, Cost.

Peraltro, la Corte ricorda che con la ratifica del Trattato di Lisbona del 13.12.2007, dovrebbero trovare applicazione diretta nel nostro Paese tutte le norme convenzionali sul divieto di discriminazione fondata sul sesso, anche nella vita privata e familiare.

Inoltre, non si tratterebbe di risolvere la complessa problematica dell’attribuzione del cognome al figlio legittimo, che gli Ermellini non negano che spetti alla competenza del Legislatore, piuttosto di derogare alla norma nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano concordi nella scelta del cognome materno per il figlio, soluzione peraltro consentita da alcuni Giudici in passato (così Trib. Lucca, 1.10.1984; Trib. Bologna, 9.6.2004; Cons. Stato, sez. IV, 25.1.1999, n. 63).

L’automatica attribuzione del cognome paterno non è più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna, ponendosi in contrasto anche con alcune norme di origine sopranazionale.

Con la suddetta motivazione la Prima Sezione della Suprema Corte (ordinanza interlocutoria n. 23934/2008) ha rimesso al Primo Presidente il ricorso promosso da una coppia di genitori al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita del proprio figlio, nella parte in cui ha attribuito allo stesso il cognome paterno, anziché quello della madre, nonostante l’esplicita richiesta dei genitori al momento della denuncia di nascita.

La Corte di Cassazione, facendo leva sulla precedente pronuncia n. 16093/2006 con la quale, decidendo su di un caso analogo, si era riconosciuto che l’esistenza nel nostro ordinamento di una norma attributiva del cognome paterno al figlio legittimo fosse retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non in sintonia con le fonti sopranazionali, nel tentativo di superare l’inerzia del Legislatore, sollecita nuovamente il riesame della questione.

Ed infatti, nella precedente pronuncia era stato ritenuto che spettava al Legislatore ridisegnare la materia, nonostante già l’ordinanza n. 13298 del 17 luglio 2004 e la sentenza della Corte costituzionale n. 61/2006, avessero evidenziato il contrasto della norma de qua con il principio di uguaglianza fra i sessi e con le fonti internazionali.

Sul punto viene richiamata la risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. 37/1978, le raccomandazioni del medesimo Consiglio n. 1271/1995 e 1362/1998, l’ art 16 della Convenzione di New York, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e gli artt 3 e 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale dell’ONU il 19.12.1966, chiamate ad essere parametro del giudizio di costituzionalità delle norme interne, alla luce della nuova formulazione dell’art 117, 1^ comma, Cost.

Peraltro, la Corte ricorda che con la ratifica del Trattato di Lisbona del 13.12.2007, dovrebbero trovare applicazione diretta nel nostro Paese tutte le norme convenzionali sul divieto di discriminazione fondata sul sesso, anche nella vita privata e familiare.

Inoltre, non si tratterebbe di risolvere la complessa problematica dell’attribuzione del cognome al figlio legittimo, che gli Ermellini non negano che spetti alla competenza del Legislatore, piuttosto di derogare alla norma nell’ipotesi in cui entrambi i genitori siano concordi nella scelta del cognome materno per il figlio, soluzione peraltro consentita da alcuni Giudici in passato (così Trib. Lucca, 1.10.1984; Trib. Bologna, 9.6.2004; Cons. Stato, sez. IV, 25.1.1999, n. 63).