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Art. 289 - Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio

1. Con il provvedimento che dispone la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice interdice temporaneamente all’imputato, in tutto o in parte, le attività a essi inerenti.

2. Qualora si proceda per un delitto contro la pubblica amministrazione, la misura può essere disposta a carico del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 287 comma 1. Nel corso delle indagini preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice procede all’interrogatorio dell’indagato, con le modalità indicate agli articoli 64 e 65. Se la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio è disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal pubblico ministero, l’interrogatorio ha luogo nei termini di cui al comma 1-bis dell’articolo 294.

3. La misura non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare.

Rassegna giurisprudenziale

Sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio (art. 289)

L’indicazione del termine di scadenza della misura coercitiva personale, prescritta dall’art. 292, comma 2, lett. d), per il caso in cui le esigenze cautelari attengano soltanto al pericolo di inquinamento probatorio, non è necessaria quando concorrono anche esigenze diverse (Sez. 6, 1094/2015).

A mente dell’art. 289, comma 2, secondo periodo, nel corso delle indagini preliminari, prima dell’emissione del provvedimento interdittivo della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il giudice provvede ad interrogare, ex artt. 64 e 65, l’indagato nei cui confronti la richiesta si fonda.

La norma in questione, che prevede l’inversione della sequenza disciplinata per le altre misure personali, ha la finalità di evitare che il provvedimento che incide sulla funzionalità e continuatività dell’esercizio dell’amministrazione pubblica, da un lato possa essere adottato senza la conoscenza e ponderata valutazione di evenienze che egli può fornire anche in ordine alla necessità di adottare il provvedimento, dall’altro che il provvedimento che sarà emesso tenga conto delle risultanze che il PM ha trasmesso al GIP al momento della richiesta della misura e di quanto in ordine a tali elementi l’indagato ha potuto evidenziare, difendendosi.

Anche se, quindi, la finalità dell’interrogatorio è quella di consentire all’indagato di poter controdedurre rispetto a quanto a suo carico dedotto, ciò non implica una rinuncia a priori da parte del medesimo alle strategie che, a prescindere dalla richiesta della misura interdittiva e dei suoi esiti, costituiranno quanto rilevante per la decisione di merito.

Sotto questo profilo il codice prevede che non sussista a carico del PM l’onere di trasmettere al GIP tutti gli atti di indagine compiuti nella loro integralità, in quanto è legittimato a selezionare il materiale indiziario da sottoporre al vaglio del giudice, mentre l’obbligo di una trasmissione completa ed integrale sussiste solo per gli elementi a favore dell’imputato. In tal modo viene circoscritto l’oggetto dell’apporto su cui il giudice assumerà la decisione e l’indagato valuterà quanto riferire a sua discolpa, ben consapevole che le risposte fornite potranno legittimamente assumere una valenza nelle successive fasi processuali apparendo logico, a prescindere dalla decisione del giudice in ordine alla misura da adottare, l’influenza che avrà quanto dichiarato dall’indagato in ordine al giudizio sulla responsabilità.

Da quanto sopra consegue che, nonostante l’art. 293, comma 3, secondo cui il giudice, unitamente all’ordinanza, debba depositare la richiesta del PM e gli atti presentati con la stessa, faccia riferimento esplicito all’ordinanza emessa cui segue l’interrogatorio, la necessità che gli stessi atti vengano posti a disposizione della difesa e dell’indagato anche nell’ipotesi di cui all’art. 289, comma 2, secondo periodo, emerge dalla circostanza che, in caso contrario, verrebbe a realizzarsi una compressione del diritto della difesa che non può ritenersi salvaguardato con la formale contestazione degli elementi di prova a mente di quanto previsto dall’art. 64 e 65 (Sez. 6, 26929/2018).

Il Tribunale - in sede di appello ex art. 310 - ben può, al fine di meglio adeguare la misura al caso concreto, scegliere una misura meno afflittiva nei confronti dell’indagato, poiché l’effetto devolutivo dell’impugnazione non implica che debba decidere nel senso dell’applicazione o del diniego del provvedimento richiesto.

Detto principio, tra l’altro, è coerente con la previsione dell’art. 292, comma c) e c-bis), che impone al giudice che emette la misura cautelare una valutazione sulla sua adeguatezza anche con riferimento alla specifica individuazione, oltre ad essere evincibile dal disposto dell’art. 289, comma 2, terzo periodo, che, prevedendo la possibilità per il giudice che dispone la misura interdittiva, in luogo di quella coercitiva richiesta (stabilendo che l’interrogatorio debba avvenire in un momento successivo alla sua emissione), esplicitamente riconosce tale potere anche in capo al Tribunale ex art. 310 (Sez. 6, 15518/2018).

È illegittima l’applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio di pubblico ufficio o servizio nei confronti di persona che ricopre un ufficio elettivo per diretta investitura popolare, stante il divieto previsto dall’art. 289, comma 3. L’art. 289, comma 3 infatti che la misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio «non si applica agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare».

Il delicato bilanciamento tra rispetto della volontà legislativa e tutela del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge è stato espresso dalla giurisprudenza di legittimità nella ricorrente affermazione secondo la quale il divieto della misura interdittiva della sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio nel caso di uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare deve essere interpretato restrittivamente e non può fondare un’interpretazione che renda incompatibile (e quindi non applicabile) alcuna misura cautelare personale che si risolva nel determinare effetti equivalenti (Sez. 6, 14504/2018).

L’interrogatorio preventivo ex art. 289,che impone al GIP di interrogare l’indagato, prima di decidere sulla richiesta del PM di sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio, amplia la sfera delle garanzie - con particolare riguardo al diritto di difesa - dei soggetti in favore dei quali opera e la sua ratio sta nell’esigenza, la cui attuazione rientra nelle scelte discrezionali del legislatore, di verificare anticipatamente che la sospensione dall’ufficio o dal servizio non rechi, senza effettiva necessità, pregiudizio alla continuità della pubblica funzione o del servizio pubblico (Corte costituzionale, ordinanza 229/2000).

Tuttavia questa sua funzione di verifica non elide quella, fondamentale, di tutela del diritto di difesa, il cui esercizio nel caso della misura interdittiva viene consentito in anticipo rispetto all’applicazione della misura perché vi è una sorta di presunzione di minore urgenza e di minor rilievo dell’elemento sorpresa quale tutela della genuinità o dell’efficacia degli effetti dell’applicazione rispetto alla misura.

La previsione di cui all’art. 289, comma 2, costituisce norma speciale rispetto alle previsioni generali di cui all’art. 294 e solo se la sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio è disposta dal giudice in luogo di una misura coercitiva richiesta dal PM, l’interrogatorio ha luogo nei termini di cui al comma 1-bis dell’articolo 294, come previsto dall’ultimo periodo dell’art. 289, comma 2 (Sez. 6, 6113/2018).