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Art. 393 - Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone

1. Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.

2. Se il fatto è commesso anche con violenza sulle cose, alla pena della reclusione è aggiunta la multa fino a euro 206 (1).

3. La pena è aumentata se la violenza o la minaccia alle persone è commessa con armi.

(1) Multa così aumentata dall’art. 113 della L. 689/1981.

Rassegna di giurisprudenza

Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone e quello di estorsione si differenziano tra loro in relazione all’elemento psicologico, da accertarsi secondo le ordinarie regole probatorie, fermo restando che il concorso del terzo nel reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone è configurabile nei soli casi in cui questi si limiti ad offrire un contributo alla pretesa del creditore, senza perseguire alcuna diversa ed ulteriore finalità (Nella fattispecie la Corte, in applicazione del menzionato principio di diritto, enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 29541 del 16/7/2020, ha disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio in ordine alla qualificazione giuridica del fatto contestato all’imputato, ritenendo necessario un nuovo scrutinio sulla eventuale esistenza di un interesse proprio del ricorrente alla restituzione della somma oggetto della minaccia e sulla identificazione dell’elemento psicologico che ha caratterizzato l’azione) (Sez. 2, 36126/2021).

I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all'elemento psicologico: nel primo, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. (In motivazione, la Suprema corte ha precisato che, ai fini dell’integrazione dell’ipotesi criminosa di cui all’art. 393 pur non essendo necessario che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale, poiché il soggetto attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto di una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo) (Sez. 6, 34532/2021).

I delitti di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alla persona e di estorsione, pur caratterizzati da una materialità non esattamente sovrapponibile, si distinguono essenzialmente in relazione all’elemento psicologico: nel primo, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione non meramente astratta ed arbitraria, ma ragionevole, anche se in concreto infondata, di esercitare un suo diritto, ovvero di soddisfare personalmente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria; nel secondo, invece, l’agente persegue il conseguimento di un profitto nella piena consapevolezza della sua ingiustizia. L’elemento discretivo tra i due delitti non può fondarsi sulla modalità esplicative della condotta materiale (quasi sovrapponibili in quanto non vi sono elementi normativi per distinguere la nozione di violenza e di minaccia contenuta nell’art. 393 c.p. rispetto all’identica nozione contenuta nell’art. 629), bensì nell’elemento psicologico, in quanto soltanto la presenza di un ragionevole convincimento di agire al fine di perseguire un proprio diritto porta la condotta nell’alveo della ragion fattasi, deviandola dal delitto di estorsione (Sez. 2, 5823/2021).

Le regole che disciplinano nel nostro ordinamento i negozi giuridici con causa illecita e la relativa mancanza di azione nel caso di prestazione geneticamente irripetibile si pongono come integratrici del precetto penale contenuto negli artt. 392 e 393, nella parte in cui si rimanda alle norme che accordano la possibilità di azione giudiziaria e l’ignoranza o l’errore sulle regole stesse costituiscono ignoranza o errore di diritto, e sono pertanto penalmente irrilevanti (Sez. 1, 2290/1971).

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni può essere commesso, ai sensi degli artt. 392 e 393, come soggetto agente, unicamente da chiunque ... si faccia arbitrariamente ragione da sé medesimo: detta espressa previsione impone di ritenere che l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni (sia con violenza alle cose che con violenza alle persone) rientra tra i cc.dd. reati propri esclusivi o di mano propria, che si caratterizzano in quanto la loro esecuzione implica l’intervento personale e diretto del soggetto designato dalla legge; la condotta tipica oggetto di incriminazione assume rilievo penale nell’ambito della norma incriminatrice che la prevede e punisce, soltanto se posta in essere personalmente da un determinato soggetto attivo. Si può affermare quindi che, se la condotta tipica di violenza o minaccia  come nel caso di specie  è posta in essere da un terzo estraneo alla pretesa civilistica asseritamente vantata nei confronti della parte offesa, essa potrà assumere rilievo soltanto ex art. 629 (Sez. 2, 46288/2016).

L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o alle persone integra il reato di rapina se si estrinseca con modalità violente che denotano la volontà di impossessarsi comunque di una cosa, qualora ricorrano gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice (Sez. 7, 821/2019).

Integra il delitto di tentata estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la condotta minacciosa posta in essere onde ottenere la restituzione del compenso corrisposto per l’acquisto di un minore in violazione del procedimento legale di adozione, stante la natura non solo illecita, ma anche contraria al buon costume del contratto concluso, che determina l’impossibilità di accedere alla tutela giudiziaria per ottenere la restituzione di quanto versato ovvero l’adempimento coattivo della prestazione (In motivazione la Corte ha precisato come la condotta ascritta agli imputati si caratterizzasse per la mancanza di qualsiasi forma di tutela, nell’impossibilità di poter ritenere un esercizio arbitrario delle proprie ragioni, emergendo non solo un contratto caratterizzato evidentemente da una causa illecita – l’acquisto di un minore – ma anche contrario al buon costume, nel senso precisato dalla stessa Corte in sede civile, che ha chiarito che la nozione di buon costume non si identifica soltanto con le prestazioni contrarie alle regole della morale sessuale o della decenza, ma comprende anche quelle contrastanti con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico) (Sez. 2, 25519/2022).

Il delitto di estorsione è configurabile quando la condotta minacciosa o violenta, anche se finalisticamente orientata al soddisfacimento di un preteso diritto, si estrinsechi nella costrizione della vittima attraverso l’annullamento della sua capacità volitiva; è, invece, configurabile il delitto dì esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando un diritto giudizialmente azionabile venga soddisfatto attraverso attività violente o minatorie che non abbiano un epilogo costrittivo, ma più blandamente persuasivo (Sez. 2, 36928/2018).

In caso di contestazione del delitto di estorsione, qualora l’imputato eccepisca di aver agito al fine di esercitare un preteso diritto, l’accertamento dell’elemento psicologico impone il previo esame della pretesa vantata dall’agente, onde verificare se essa presenti i requisiti dell’effettività e della concretezza che la rendono azionabile in giudizio (Sez. 2, 52525/2016).

Integra il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, l’azione violenta o minacciosa che, indipendentemente dall’intensità e dalla gravità della violenza o della minaccia, abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria (Sez. 2, 24478/2017), in quanto siffatto profilo costituisce il primo ed essenziale criterio di selezione delle condotte astrattamente riconducibili alle fattispecie in esame che il giudice è tenuto a verificare (Sez. 2, 52525/2016), di talchè  ove difetti il requisito della tutelabilità della pretesa  la condotta è destinata a refluire univocamente nel paradigma dell’estorsione (Sez. 2, 9343/2019).

Non è configurabile il reato di cui all’art. 393, bensì quello di estorsione, nei casi in cui il debitore sia costretto a pagare a mani di un terzo, atteso che, in tal caso, la persona offesa è anche costretta, a seguito dell’azione intimidatrice, a versare denaro a mani di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, senza alcuna garanzia di effetto liberatorio (Sez. 2, 51013/2016).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di cui all’art. 610, il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. (Sez. 5, 48369/2017). Posta tale premessa, ai fini di una netta demarcazione tra i reati di violenza privata e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, va rammentato che, secondo gli arresti giurisprudenziali più recenti, non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393, bensì quelli del reato di violenza privata, allorché il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria (Sez. 5, 10133/2018).

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, con violenza alle persone o minaccia, e quello di estorsione si distinguono non già tanto, e soltanto, in relazione all’esistenza o meno di una legittima pretesa creditoria, bensì con riferimento alle modalità oggettive dell’azione, risultando integrato il delitto di estorsione anche quando le condotte violente o minatorie si manifestino in forme tali da trasformare una plausibile richiesta di pagamento in un ingiusto profitto.

Quel che rileva non è tanto l’intensità o la gravità delle condotte in discorso (essendo compatibili con il delitto di ragion fattasi anche modalità di particolare forza intimidatrice, come quelle connesse all’uso di armi, che può aggravare il reato di cui all’art. 393, quanto l’effetto che ne deriva, rimanendo integrata la fattispecie più grave quando si verifichi un epilogo francamente costrittivo, che di fatto annulli la capacità volitiva della vittima, e ricorrendo la fattispecie meno grave in presenza di un epilogo meramente induttivo (Sez. 1. 8235/2019).

Al fine di potere ipotizzare l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, qualificante risulta essere il fine di esercitare un preteso diritto, da intendersi quale pretesa tutelabile davanti all’autorità giudiziaria; qualora, infatti, si tratti di pretesa anche solo parzialmente non tutelabile davanti all’AG, la condotta deve qualificata come estorsione (Sez. 2, 1901/2017).

L’esercizio arbitrario è parimenti da escludere allorché la condotta minacciosa e violenta, finalizzata al recupero del credito, sia diretta nei confronti non soltanto del preteso debitore, ma anche di persone estranee al sinallagma contrattuale (Sez. 2, 5092/2018).

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni mediante violenza sulle cose è configurabile in relazione a beni posseduti dall’autore della condotta qualora questi non agisca a tutela del proprio possesso, ma incida radicalmente sul diritto in contesa, così procurandosi direttamente l’utilità sottostante all’accertamento di spettanza dell’autorità giudiziaria (Sez. 6, 12377/2016).

Deve ritenersi configurabile, invero, il reato di estorsione sussistendo l’elemento della ingiustizia del profitto ogni qualvolta il diritto sia sfornito di una azione, come nell’ ipotesi delle obbligazioni naturali menzionate nell’art. 2034 CC, apparendo, pertanto, priva di fondamento la testi dei ricorrenti circa l’assenza del requisito della ingiustizia del profitto nella fattispecie in esame. Appare, invero, condivisibile la tesi, propugnata da autorevole dottrina, secondo cui sussiste “ingiusto profitto” anche in ipotesi di tutela indiretta rappresentata dalla soluti retentio attraverso la quale l’ordinamento riconosce una pretesa - a trattenere quanto corrisposto per l’obbligazione naturale o contraria al buon costume - solo dopo che una delle parti abbia spontaneamente adempiuto; prima di quel momento l’ordinamento non riconosce alcuna tutela, con la conseguenza che il relativo profitto deve, comunque, considerarsi “ingiusto” (fattispecie avente ad oggetto debiti di gioco) (Sez. 2, 9295/2019).