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Esterovestizione: costruzione di puro artificio o effettiva attività economica

Esterovestizione
Esterovestizione

Esterovestizione: costruzione di puro artificio o effettiva attività economica


Abstract

L’esterovestizione societaria configura un’evasione fiscale internazionale con l’applicazione di severe sanzioni: si verifica quando una società, pur avendo la sua sede principale e l’amministrazione effettiva in Italia, si trasferisce fittiziamente all’estero per ottenere un regime fiscale più vantaggioso.

 

Premessa

L’esterovestizione si configura quando una società simula di essere residente all'estero per non essere assoggettata al regime tributario italiano: a tal fine, nelle norme del TUIR, è previsto un meccanismo (una presunzione) che colpisce tale comportamento: la società viene considerata fiscalmente residente in Italia, salvo che fornisca prova contraria.

È bene precisare che trasferendo una società la propria attività in un altro Stato non pone in essere, di per sé, alcun comportamento elusivo e abusivo: infatti, l'abuso del diritto di stabilimento si configura, nell'ipotesi di esterovestizione societaria, dopo avere verificato se il trasferimento vi è stato nella realtà. Diventa necessaria la verifica fattuale dell'operazione posta in essere e, se essa stessa, sia artificiosa e preveda la costituzione di una forma giuridica che non corrisponde alla realtà economica.

Alla base dell’esterovestizione, devono sussistere due elementi:

  1. la natura fittizia della localizzazione all’estero della società. In altri termini l'attività economica non è esercitata in detto altro Paese, non configurandosi atti di organizzazione e di attività imprenditoriale stabilmente localizzati. A tal fine bisogna individuare esattamente:

            a) il luogo in cui sono prese le decisioni strategiche per la società;

            b) il luogo dove è prevalentemente svolta l'attività di impresa.

  1. l’indebito risparmio d’imposta che ne deriva.


La norma del TUIR a presidio dell’esterovestizione

La ragione della norma del TUIR a presidio dell’esterovestizione (art. 73) è quella di intensificare la lotta alle operazioni elusive, impedendo alle società di localizzare la propria residenza fiscale in Stati in cui è possibile sottrarsi all'imposizione fiscale.

L'art. 73 del TUIR introduce una presunzione legale relativa di localizzazione nel territorio dello Stato della sede dell'amministrazione delle società non residenti che detengono direttamente partecipazioni di controllo (art. 2359 c. 1 c.c.) in società di capitali ed enti commerciali residenti (art. 73 c. 1 lett. a, b del TUIR), se:

  • sono controllati anche indirettamente da soggetti residenti nel territorio dello Stato;
  • sono amministrati da un consiglio di amministrazione o da un altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza da amministratori residenti nel territorio dello Stato.

Occorre considerare che:

  1. la “sede amministrativa”:
  • è situata nel luogo in cui l'organo amministrativo esercita stabilmente i propri poteri e le proprie funzioni per la gestione unitaria dell'attività sociale;
  • è situata nel luogo in cui si formano e vengono assunte le decisioni strategiche e gestionali più importanti: localizzazione del top management ed altro;
  • coincide con la sede effettiva della società e non con la residenza degli amministratori (Corte di Cassazione 28 maggio 2019 n. 14527);
  1. il controllo a cui fa riferimento la norma è quello disciplinato dall'art. 2359 c.c., in base al quale deve considerarsi tale:
  • il controllo di diritto, cioè la maggioranza dei voti in assemblea ordinaria;
  • il controllo di fatto, cioè il possesso di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante;
  • il controllo in virtù di particolari vincoli contrattuali.

La verifica della sussistenza del controllo deve essere effettuata alla data di chiusura dell'esercizio o del periodo di gestione del soggetto estero controllato. Per le persone fisiche è necessario considerare anche i voti spettanti ai familiari, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo (art. 5 comma 5 del TUIR);

  1. la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall'attuale formulazione dell’art. 2 del TUIR e, quindi, sono residenti in Italia le persone che per la maggior parte del periodo d'imposta, considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato ovvero che sono ivi presenti.


Ambito soggettivo

La presunzione di residenza si applica:

  • agli enti e società che controllano società ed enti commerciali residenti in Italia e che siano al contempo controllati direttamente o indirettamente da soggetti residenti ovvero il cui organo gestore è composto prevalentemente da consiglieri residenti nello Stato;
  • agli enti e società il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliari e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia.

Ai fini dell’individuazione del controllo, si fa riferimento a:

  1. la maggioranza dei voti nell'assemblea ordinaria della società estera, e l'influenza dominante determinata dai voti nell'assemblea ordinaria o da particolari vincoli contrattuali
  2. al controllo indiretto esercitato da soggetti residenti in Italia, e, dunque, anche al controllo esercitato da soggetti italiani (persone fisiche o società) per il tramite di sub holding estere; la presunzione in tal caso può essere applicata non solo all'entità estera che detiene direttamente partecipazioni nei soggetti italiani e risulta indirettamente controllata dal soggetto nazionale posto al vertice della catena, ma anche a tutte le altre società intermedie.

Con riferimento all'ente, si presume residente in Italia anche nel caso in cui sia amministrato da soggetti residenti in Italia, cioè quando il Consiglio di amministrazione (o l'analogo organo di gestione) sia composto in prevalenza da consiglieri residenti in Italia.


Inversione dell'onere della prova

La presunzione legale prevista dal citato art. 73, comma 5-bis del TUIR è relativa e, pertanto, prevede l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente. Per vincere la presunzione, il contribuente è tenuto a dimostrare che la direzione effettiva della società non è radicata in Italia ma all'estero). In tal senso è necessario dimostrare che, nonostante i presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni o atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero. In caso contrario, il soggetto estero deve considerarsi fiscalmente residente nel territorio dello Stato e, pertanto, deve assoggettato a tassazione in Italia in applicazione del principio di tassazione su base mondiale.

La Circolare n. 28/E/2006 dell’Agenzia delle Entrate afferma che il contribuente potrà fornire la prova contraria richiamando:

  • elementi di fatto;
  • situazioni od atti,

idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero. Deve, quindi, essere provato ad esempio che:

  • gli insediamenti produttivi/commerciali all’estero sono effettivi ed esistono delle ragioni imprenditoriali sottese agli stessi;
  • in linea con il modello organizzativo e funzionale di gruppo, le società estere si caratterizzano per una specializzazione, non solo in senso geografico, ma anche strategico ed economico rispetto alla capogruppo ed alle altre consociate;
  • dai flussi informativi e contrattuali intercompany si desume la totale indipendenza economica delle partecipate estere rispetto alla holding;
  • sussistono sistemi di tesoreria centralizzata (c.d. cash pooling), che testimoniano l’autonomia finanziaria delle società estere rispetto all’ente controllante;
  • esiste autonomia gestionale dei soggetti preposti all’attività di impresa all’estero (c.d. country manager), in termini di organizzazione del personale, di poteri di spesa (in ottica finanziaria), di approvvigionamento (acquisti) e di negoziazione di contratti con i clienti esteri.

Con l’applicazione della presunzione di residenza, il soggetto estero si considera a tutti gli effetti residente nel territorio dello Stato, a meno che non fornisca la prova contraria, atta a dimostrare la sua reale residenza all'estero e la presenza di fondate ragioni imprenditoriali e di insediamenti produttivi e/o commerciali all'estero. In tal caso il compito dell'Amministrazione finanziaria consiste semplicemente nel verificare la residenza degli amministratori designati.


Orientamento della giurisprudenza di legittimità

A livello interpretativo, è stata riconosciuta la necessità di individuare la residenza delle società sulla base di elementi sostanziali quali (Corte di Cassazione Sez. Penale 8 marzo 2000 n. 1156 e 30 ottobre 2015 n. 43809):

  • il luogo in cui si svolgono in concreto le attività amministrative e di direzione dell'ente;
  • il luogo in cui si convocano le assemblee;
  • il luogo in cui vengono stipulati i contratti;
  • il luogo in cui avvengono le operazioni bancarie.

In modo analogo è stata riconosciuta l'esistenza della sede di direzione effettiva in Italia nelle seguenti ipotesi (Corte di Cassazione 7 febbraio 2013 n. 2869):

  • società (detentrice del 99,9% del capitale della società lussemburghese) stabilita in Italia;
  • residenza in Italia di due dei tre membri del consiglio di amministrazione;
  • “decisioni di rilievo” adottate in occasione di riunioni tenutesi in Italia.

Pure con riferimento al Gruppo “Dolce & Gabbana”, le sentenze della Corte Suprema (Cassazione 21 dicembre 2018 n. 33234 e n. 33235), richiamando i principi di diritto comunitario relativi alla “libertà di stabilimento”, hanno evidenziato che non costituisce di per sé abuso del principio della libertà di stabilimento la circostanza che una società venga costituita in uno Stato membro per godere di una legislazione più vantaggiosa: la Corte ha ritenuto di dare prevalenza non tanto alle ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma piuttosto alla necessità di verificare se il trasferimento vi fosse stato e se l'operazione fosse meramente artificiosa e, in più, ha evidenziato che il luogo dal quale partono direttive amministrative o gestionali non rappresenta automaticamente la sede amministrativa della controllata estera ai sensi dell'art. 73 del TUIR. Secondo la Corte il giudice non può adottare una interpretazione che vada a limitare la libertà di stabilimento, in quanto nel principio costituzionale che la disciplina l’imprenditore può decidere di collocare le proprie strutture dove meglio ritiene e dotarle secondo le proprie insindacabili valutazioni. Occorre solo valutare se l’ufficio corrisponde ad una costruzione di puro artificio volta a lucrare benefici fiscali oppure no. Secondo i giudici, infatti, il vantaggio fiscale è indebito non perché l’imprenditore sfrutta le opportunità offerte dal mercato o da una più conveniente legislazione fiscale, ma lo è solo se è ottenuto mediante costruzioni non aderenti alla realtà. In conclusione, quindi, il contribuente in sede contenziosa potrà far valere il principio secondo cui, in ipotesi di controllo ex articolo 2359 c.c., l’esterovestizione non dipende da impulsi gestionali o direttive amministrative impartite dalla controllante italiana alla controllata estera, ma dal fatto che quest’ultima non sia una costruzione di puro artificio. In tal senso il contribuente potrà fare riferimento alla semplice nozione di stabile organizzazione contenuta nell’articolo 162 del TUIR.

Pure le recenti considerazioni della Corte di legittimità (sentenza n. 3386/2024), sul coordinamento tra la disciplina dell’esterovestizione e la libertà di stabilimento stabilita dagli artt. 49 ss. del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), passano attraverso il richiamo alla c.d. “sentenza Cadbury Schweppes”, “secondo la quale la circostanza che una società sia stata creata in uno Stato membro dell’Unione Europea per fruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa non costituisce di per sé abuso della libertà di stabilimento, fermo restando che una misura nazionale restrittiva di tale libertà è ammessa se concerne specificamente le costruzioni di puro artificio finalizzate ad escludere l’applicabilità della normativa dello Stato membro interessato; il che accade quando alla formale localizzazione della sede della società all’estero non corrisponde l’esercizio quivi di un’attività economica reale”.

La Corte afferma che “la disciplina interna, tesa ad attribuire prevalenza al dato fattuale dello svolgimento dell’attività direttiva presso un territorio diverso da quello in cui la società ha la sua sede legale, non si pone in conflitto con la libertà di stabilimento”: come a dire, che l’attrazione della residenza in Italia di una società con sede legale in un Paese membro dell’UE non può avere luogo se in tale Paese essa svolga un’attività economica effettiva e non costituisca una costruzione di puro artificio (ciò, ancorché la sede dell’amministrazione si trovi in Italia).


Conseguenze sanzionatorie penali-tributarie e tributarie

Il rischio di effettuare pianificazioni fiscali internazionali, è quello di incorrere nel reato di esterovestizione e di essere puniti, ad esempio, per:

  • dichiarazione omessa;
  • dichiarazione infedele;
  • omessa effettuazione di ritenute alla fonte;
  • omessa tenuta delle scritture contabili;

Ulteriormente, alla società può essere imputata l’omissione dei seguenti adempimenti tributari:

  • scritture contabili obbligatorie ai fini Iva e delle imposte sui redditi;
  • attribuzione del numero di codice fiscale;
  • dichiarazione di inizio attività e del luogo di tenuta e conservazione dei libri, registri, le scritture ed i documenti obbligatori;
  • dichiarazione annuale dei redditi ai fini Ires;
  • dichiarazione annuale ai fini Iva;
  • dichiarazione annuale ai fini Irap.