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Si è sempre fatto così

Si è sempre fatto così – La ruota
Si è sempre fatto così – La ruota

Si è sempre fatto così

 

La nostra è una società permeata dai pregiudizi e dagli stereotipi, a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, non lo dico io ma persone molto più competenti di me. Di recente, ad esempio, mi sono imbattuta nel primo saggio della pedagogista, formatrice e consulente educativa Alessia Dulbecco, Si è sempre fatto così, dedicato alla pedagogia di genere. Un tema, e un titolo, che mi hanno ispirato a condividere una breve riflessione sul significato della frase che probabilmente ognuno di noi sente ripetere spessissimo a lavoro, e non solo: “Ma come, si è sempre fatto così!”, nella sua variante ontologica meno diffusa “è sempre stato così”, su cui esiste un’ampia letteratura, da Grace Murray Hopper - sua la celeberrima frase “La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così” - a papa Francesco.

L’espressione di per sé potrebbe risultare anche simpatica, tanto che ne hanno fatto slogan per t-shirt, se non che viene frapposta dall’interlocutore, quasi come una formula apotropaica, ogni volta che, in un contesto lavorativo, senz’altro di pubblico impiego, c’è una piccola novità, una procedura diversa dal solito, un cambiamento anche minimo nelle abitudini.

Quando 5 anni fa sono entrata in un ufficio dell’amministrazione periferica del Ministero X  credevo che fosse un’antica abitudine, una leggenda metropolitana, una rappresentazione stereotipata del lavoratore pubblico medio, ormai superata nella nuova fulgida fase di storia dell’amministrazione, avviata con la legge Bassanini, perfezionata con l’introduzione dei concetti di valutazione e di performance, e scossa dal suo torpore burocratico, di ascendenza sabauda, dai processi di semplificazione e transizione digitale. Purtroppo mi sono dovuta rapidamente ricredere e all’inizio ho interpretato questo approccio come una forma estrema, da parte dei colleghi, di misoneismo e resistenza al cambiamento, di ineluttabilità dell’esistenza, di fedeltà ad alcune tradizioni, anche sbagliate, radicate e inscalfibili.

Poi a poco a poco ho provato a ribaltare lo stereotipo, spostandolo dalle persone alle situazioni e ho capito: fare come si è sempre fatto rassicura, semplifica le regole del gioco, de-responsabilizza, tiene insieme il sistema, e consente, volendo, di non mettere mai veramente in discussione noi stessi e gli altri. Come vivere eternamente la mitica ‘giornata della marmotta’ del film Groundhog day (trad. italiana: Ricomincio da capo) o la giornata del 13 agosto nella brillante versione italiana È già ieri.

L’altra faccia della medaglia, che da paleografa e archivista, studiosa di antiche scritture e custode di tesori di carte, apprezzo e difendo, è l’importanza della consuetudine, la necessità di conoscere e utilizzare i precedenti, la fortuna di essere, nella maggior parte delle situazioni in cui mi trovo, un nano sulle spalle dei giganti.

Tuttavia la coperta di Linus delle consuetudini rischia spesso di essere un po’ troppo corta, sebbene ci consenta di avere spesso poche e definite regole da mandare a mente - mi sovvengono a tal proposito le formule ripetute come un rosario dai notai medievali, quasi svuotate del loro alto significato giuridico, o le terrificanti, per me che sono timida, poesie di Natale che si imparano a memoria a scuola e si recitano intorno alla tavolata di parenti nel dì di festa. Il “si è sempre fatto così” rischia in tal senso di riproporre abitudini vetuste o errate, credenze non verificate o superate dai cambiamenti normativi e tecnologici, impedisce un reale miglioramento personale e collettivo, sopratutto se ottunde l’orizzonte di possibili mondi nuovi, causa a volte, nei casi peggiori, vizi formali e sostanziali nell’azione amministrativa

Ho capito allora che l’approccio, la risposta a questo mantra doveva essere diversa, non annichilirmi, turbarmi o spiazzarmi, ma essere uno stimolo per provare a capire l’origine di certe abitudini e riconoscere che in alcuni casi non sono sbagliate.

E poi :tornare alle fonti, proporre, quando possibile e necessario, un ‘fare’ e un ‘essere’ nuovi dove l’individuo, le capacità, le competenze e le attitudini, siano al centro e dove il patrimonio di conoscenze comuni sia verificato e verificabile.

E per continuare: essere ironici e, cosa già più difficile, autoironici, prendersi poco sul serio, ammettere l’errore, confrontarsi con se stessi e con gli altri, formarsi, non voler sempre avere l’ultima parola, ascoltare e non ascoltarsi.

Chissà quando potremo dire che “È sempre stato così?”

NOTA: on line si trova dappertutto quindi suppongo che sia libera da diritti