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Il porto delle nebbie e il mistero della cittadella giudiziaria

Georges Simenon
Georges Simenon

La cittadella giudiziaria romana di piazzale Clodio viene indicata in maniera sinistra come: “il porto delle nebbie”. Un luogo ove tutto è possibile, nel bene e nel male. Progettata nel 1958, la costruzione venne completata nel 1969.

Il Tribunale penale di Roma è detto il porto delle nebbie, la colorita definizione prende spunto dal libro “Les port des brumes” di Simenon, pubblicato nel 1932.

Nel libro il commissario Maigret è alle prese con un vero rompicapo, che si snoda in un “ambiente umido e nebbioso” pieno di insidie. Una similitudine che si adatta a meraviglia per la cittadella giudiziaria di piazzale Clodio.

Un vero e proprio labirinto, con scale interne, cunicoli e spazi poco esplorati che si prestano a facili nascondigli e ad improvvise imboscate.

Non parliamo dei corridoi interni bui, pavimentati con sampietrini che dovrebbero rappresentare, il progettista si suicidò secondo la vulgata, che la Giustizia vuole essere vicina alla vita vissuta. Sennonché, l’edificio è stato “concepito come fortezza murata, senza finestre aperte sull’esterno, ma con sottili prese di luce, specie di feritoie che obbligano a tenere lampade accese a mezzogiorno”.

L’ambiente cupo e tenebroso ricorda la descrizione del “tribunale” di Ugo Betti nel suo dramma: “Corruzione al Palazzo di Giustizia; rappresentata per la prima volta nel 1949.

La storiella che segnalo mi venne raccontata da un vecchio cancelliere, ed è un piccolo segreto del Porto delle Nebbie.

Il tutto iniziò, nei primi anni 2000 quando si avviarono i lavori di costruzione della nuova sede della Corte d’Appello di Roma.

Opera, progettata dall’Arch. Paolo Cuccioletta, e appaltata alla Italiana Costruzioni dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

La costruzione, con un tetto a cupola in vetri (mirabile intenzione, rimasta però solo sulla carta, di rendere luminoso e chiaro un luogo spesso buoio e opaco), ha lo scopo di dotare il tribunale di una struttura in grado di accogliere gli uffici e le aule della Corte di appello penale.

L’accesso all’edificio avviene da Via Antonio Varisco, attraverso un’ampia scalinata che conduce ad uno spazio centrale coperto da una cupola vetrata.

Questo è il punto di incontro e di sosta per gli avvocati e imputati e lo potremmo chiamare “l’area dei passi perduti presente anche nel modernissimo tribunale di Parigi, progettato da Renzo Piano, ove è collocata la “Salle des pas perdus”.

Si tratta di quegli spazi prossimi alle aule di udienza nei quali sono soliti passeggiare gli avvocati prima del processo, conversando e confrontandosi, «spazzando la sala con le loro toghe» come scrisse Balzac.

Ultimata l’opera, si iniziarono i traslochi delle cancellerie e dei relativi fascicoli processuali. La carta pesa e i fascicoli da trasportare sono tanti.

Arriviamo al fattaccio, nel corso del trasloco delle cancellerie delle tre sezioni penali della Corte di Appello si “smarrirono un centinaio di fascicoli processuali.

Il trasporto dal palazzo B del Tribunale al nuovo edificio della Corte di Appello è un “viaggio” di poche centinaia di metri. Il tragitto è tutto all’interno della cittadella giudiziaria.

Dei fascicoli fantasma non si è mai parlato, sarebbe interessante conoscere i nomi degli imputati fortunelli che hanno potuto “beneficiare” dell’imprevisto smarrimento nel corso del periglioso viaggio.

Probabilmente centra il Mercurio, posizionato, proprio in quegli anni, nel cortile interno di piazzale Clodio. La statua in bronzo, alta 4 metri, costruita con i fondi del Giubileo, domina il cortile interno del palazzo di giustizia, proprio dove sarebbero dovuti transitare i fascicoli.

Nella mitologia greca, Hermes (Mercurio per i romani) era anche dio protettore dell'inganno, dei ladri, dei bugiardi. Chi ha avuto la bella idea di scegliere il Mercurio?

All’interrogativo non rispose l’allora presidente del Tribunale di Roma, Luigi Scotti, che intervistato su “Repubblica” disse, improvvisando una arringa difensiva del calunniato Dio pagano: “Mercurio, anzitutto era il più furbo ed intelligente degli dei. Noi diciamo che per risolvere le cause ci vuole intelligenza da parte dei giudici … la statua potrebbe rappresentare un augurio per una giustizia che sia rapida e funzionale, come pié veloce era Mercurio”.

Mai parole furono più profetiche per gli “imputati fortunati” che videro dissolti nell’aria mefitica del Tribunale di Roma i loro fascicoli processuali.

Vogliamo credere all’intervento della Dea Fortuna, al caso e al destino in fatti di giustizia.

Come disse Orson Welles: “Nessuno ottiene giustizia. La gente ottiene solo fortuna o sfortuna”.

 

Per guardare il video clicca qui.

Georges Simenon, Il porto delle nebbie, Adelphi, 1994

Henry Jaglom, A pranzo con Orson, Adelphi, 2015

Iacopo Benevieri, Semiotica del processo da remoto: la piazzetta di Piazzale Clodio, su Giustizia a parole, 2020.

Honoré de Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane, Bur Rizzoli, 1996

Ugo Betti, Corruzione al Palazzo di Giustizia, Newton, 1994

Armando Ravaglioli, I Palazzi della Giustizia, Newton, 1995