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Il ravvedimento operoso: normativa, prassi e giurisprudenza

Analisi dell’istituto alla luce delle recenti sentenze della Cassazione

Abstact:

Due sentenze della cassazione a distanza di circa un anno l’una dall’altra sanciscono gli elementi essenziali alla validità dell’istituto del ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97. Con l’articolo si analizzano la normativa e la prassi alla luce della interpretazione della Suprema Corte offrendo agli operatori del settore un quadro sintetico e attuale dell’istituto che costituisce oggi uno strumento importante nelle mani del contribuente.

***

La Corte di Cassazione, con ordinanza 9 giugno 2011 n. 12661 e, più recentemente, con ordinanza 8 agosto 2012 n. 14298, ha affermato che l’istituto del c.d. ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97 effettuato ai fini della regolarizzazione degli omessi versamenti di imposte, si perfeziona solo e soltanto con “l’integrale pagamento della sanzione ridotta e degli interessi”. La più recente sentenza afferma poi che, a fronte di un non esatto versamento di sanzioni o interessi per ravvedimento, il contribuente non può invocare neppure il principio di “buona fede” e di “leale collaborazione” disposto dallo Statuto del Contribuente approvato Legge n. 212/2000.

La Cassazione torna quindi a pronunciarsi su un istituto introdotto nel nostro ordinamento nel 1997 con la legislazione delegata di riforma del sistema sanzionatorio in materia tributaria, ed oggi largamente usato nella prassi, che merita un approfondimento sia con riferimento alla normativa, sia con riferimento ai principi generali che ne disciplinano il funzionamento che vanno a completare gli elementi costitutivi dell’istituto utili agli operatori del settore.

Come noto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 del Decreto Legislativo n. 471/97, in caso di omesso o tardivo versamento delle imposte è applicabile la sanzione pari al 30% dell’importo non versato.

Al fine di evitare l’applicazione della suddetta sanzione il contribuente ha la facoltà di utilizzare l’istituto del ravvedimento operoso, provvedendo a sanare l’omissione con le modalità previste dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97.

La regolarizzazione delle violazioni è consentita quando ricorrano tre condizioni essenziali:

1) la mancata constatazione;

2) l’assenza di accessi, ispezioni o verifiche in corso;

3) l’assenza di altre attività amministrative di accertamento di cui l’interessato abbia avuto formale conoscenza.

Quando sussistono preliminarmente le tre condizioni esposte, l’omissione può essere sanata con il versamento contestuale dell’importo dovuto, degli interessi legali calcolati a giorni dalla data di scadenza a quella di effettivo pagamento, della sanzione calcolata in misura ridotta rispetto a quella prevista.

La sanzione, in caso di utilizzo del ravvedimento operoso, è determinata nella misura di 1/10 del minimo edittale se il pagamento viene effettuato entro 30 giorni dalla scadenza originaria, oppure nella misura di 1/8 del minimo edittale se il pagamento è effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è commessa la violazione o entro un anno dall’omissione, qualora non sia prevista la presentazione di una dichiarazione.

L’articolo 23 comma 31 del Decreto Legge n. 98/2011 ha apportato poi rilevanti novità al regime sanzionatorio per ritardato od omesso versamento di tributi cercando di rendere il sistema più graduale rapportando maggiormente la sanzione alla gravità dell’inadempimento.

La nuova disposizione, infatti, riscrive il secondo periodo del comma 1, articolo 13 del Decreto legislativo n. 471/1997, eliminando il riferimento, che la medesima norma faceva, ai crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge, o riconosciute dall’amministrazione finanziaria, al fine della applicazione della sanzione. Tale riscrittura ha fatto sorgere una nuova misura di sanzione applicabile oggi alla generalità dei versamenti eseguiti entro 15 giorni dalla ordinaria scadenza. Secondo la nuova norma, infatti, la sanzione edittale del 30% è ridotta di 1/15 per ogni giorno di ritardo nell’ambito dei primi 15 giorni. Ciò significa che un versamento eseguito con un giorno di ritardo sconterà una sanzione del 2%, con due giorni di ritardo del 4%, e così via giorno per giorno fino a raggiungere il 28% in caso di versamento effettuato con 14 giorni di ritardo.

Conseguentemente, la misura della sanzione dovuta a seguito di ravvedimento varia giorno per giorno nell’arco dei primi 15 giorni dalla scadenza ordinaria e pertanto, se il ravvedimento viene effettuato con un giorno di ritardo la sanzione ridotta sarà dello 0,20% (2% ridotto a 1/10), con due giorni di ritardo la sanzione ridotta sarà dello 0,40% (4% ridotto a 1/10) e così via; dal 16° al 30 giorno la sanzione ridotta sarà del 3% (30% ridotto a 1/10) mentre per il periodo successivo fino alla scadenza del termine di fruibilità del ravvedimento la sanzione ridotta sarà del 3,75% (30% ridotto a 1/18).

Deve essere evidenziato, poi, che la nuova metodologia di calcolo della sanzione da ravvedimento è in vigore dal 6 luglio 2011, tuttavia secondo il principio sancito dall’articolo 3, comma 3, Decreto legislativo n. 472/1997, secondo cui: “Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” è da ritenere che la stessa, in quanto più favorevole, troverà applicazione anche per le violazioni commesse precedentemente alla predetta data.

La contestualità del pagamento delle sanzioni e degli interessi e del tributo, prevista dall’art. 13 comma 2 del Decreto legislativo n. 472/1997, va intesa nel senso che gli adempimenti prescritti devono essere conclusi entro il termine stabilito per il ravvedimento, posto che tale termine varia in relazione all’epoca in cui si effettua. Pertanto se il ravvedimento riguarda un mancato versamento gli interessi, il tributo e la sanzione devono essere versati nello stesso giorno.

A tale proposito, con riferimento ai termini individuati dal citato art. 13, è opportuno precisare che, quello iniziale, dal quale si computano sia i giorni per il calcolo degli interessi che per la sanzione, decorre dalla data in cui avrebbe dovuto essere effettuato l’adempimento. Se tale data cade in un giorno festivo, il termine è differito al primo giorno non festivo successivo; analogamente ƒnse il termine finale cade in un giorno festivo, il termine per la regolarizzazione è differito al primo giorno non festivo successivo.

Sempre con riferimento sia alla contestualità che alla esattezza degli importi, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di esprimersi nell’ambito della Risoluzione 23.6.2011, n. 67/E dedicata ai pagamenti parziali o rateali. In tale risoluzione l’agenzia ha confermato l’impossibilità di rateizzare il versamento delle somme dovute ai fini della regolarizzazione riconoscendo appunto come non perfezionato il ravvedimento qualora si provveda, ad esempio, al pagamento delle sanzioni e degli interessi con successiva rateazione delle imposte dovute.

L’agenzia sostiene infatti che la rateazione costituisce una modalità di pagamento dilazionato nel tempo applicabile soltanto se espressamente prevista dalla norma e pertanto “non è ammissibile che il ravvedimento della violazione si perfezioni con il versamento della cosiddetta «prima rata» … e che il contribuente possa … beneficiare della riduzione complessiva delle sanzioni applicabili anche quando i versamenti delle «rate» successive siano effettuati oltre i termini ultimi … previsti”.

Appare condivisibile, peraltro, che l’Agenzia abbia distinto, nella medesima risoluzione, tra “rateazione delle somme da ravvedimento” e “ravvedimento parziale”, riconoscendo, al contrario, il perfezionamento della regolarizzazione nel secondo caso e cioè quanto il contribuente provveda al versamento “frazionato” (e non rateale) di quanto dovuto effettuando quindi il ravvedimento di una sola parte dell’omissione, corrispondendo interessi e sanzione commisurati esattamente alla frazione del debito d’imposta versato tardivamente.

Ovviamente tale frazionamento appare consentito fino al riscontro, da parte dell’Ufficio, dell’irregolarità a seguito di un controllo ovvero fino a quando non scada il termine previsto per il ravvedimento.

Poste queste brevi premesse normative e di prassi sull’istituto del ravvedimento operoso possiamo analizzare più nel dettaglio le ordinanze della Corte di Cassazione.

Nella Ordinanza del 9 giugno 2011, n. 12661 la S.C. è chiamata a pronunciarsi su una sentenza emessa Commissione Tributaria regionale della Lombardia in accoglimento dell’appello del contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Milano, che aveva disposto uno sgravio solo parziale dì una cartella di pagamento per omesso versamento dell’Iva.

La Commissione regionale aveva infatti ritenuto ininfluente il fatto che il contribuente avesse versato sanzioni nella misura inferiore al dovuto a fronte della pacifica volontà dello stesso di regolarizzare la propria posizione fiscale verso l’erario in quanto “dall’esame letterale della norma non risulta che da un errore di calcolo sul computo della sanzione possa scaturire l’invalidità del ravvedimento”.

Nel cassare la sentenza la corte sostiene un principio importante riguardante la necessità inderogabile, perchè il ravvedimento si perfezioni, che si effettui “l’integrale pagamento della sanzione ridotta e degli interessi”. La Cassazione sostiene infatti non solo la necessità della contestualità del versamento di sanzioni, interessi e imposte, ma anche la necessità che il versamento sia corretto nella sua determinazione; infatti secondo la Corte dalla locuzione “deve” inserita dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97 “discende la necessità, ai fini del perfezionamento del ravvedimento, del versamento integrale (“e dunque necessariamente esatto”) della sanzione (sia pure nella misura ridotta), con la conseguenza che un diverso pagamento della sanzione integra una “fattispecie impediente l’efficacia dell’istituto”.

Nella Ordinanza 08 agosto 2012, n. 14298 la S.C. è chiamata nuovamente a pronunciarsi su una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che ha solo parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Milano che aveva, al contrario, pienamente accolto il ricorso del contribuente contro una cartella esattoriale concernente omesso pagamento di IVA ed altre imposte.

La predetta Commissione Tributaria regionale, cambiando l’orientamento espresso nella sentenza cassata con l’ordinanza del 2011, accoglieva la tesi dell’Agenzia secondo cui il ravvedimento operoso, concernente l’omesso versamento dell’IVA non si era perfezionato per non essere stato integralmente versato il dovuto ammontare, precisando inoltre che non poteva trovare applicazione il principio di “buona fede” e di “leale collaborazione fra fisco e contribuente” disposto dall’art. 10 dalla Legge n. 212/2000.

Il contribuente ha quindi insistito nel ricorso per cassazione sostenendo quale unico motivo proprio il principio previsto dallo “statuto del contribuente”.

La Cassazione ha disposto per il rigetto del ricorso (con condanna alle spese) sostenendo l’impossibilità di applicare il suddetto principio generale.

Sostiene infatti la corte che le norme dettate dallo statuto del contribuente e “qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse" (in termini, per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8145 del 11/04/2011)”.

In conclusione la Cassazione con le due ordinanze afferma e consolida il proprio orientamento dapprima negando il perfezionamento del ravvedimento anche in presenza di interessi versati in misura inferiore al dovuto ancorché l’errore si sia, di fatto, concretizzato nel mancato versamento di una “tenue somma” e, successivamente, sostenendo l’impossibilità di qualsiasi sanatoria postuma di un siffatto comportamento neppure se lo si riconducesse ad un principio generale dell’ordinamento tributario.

In definitiva soltanto il corretto versamento di quanto dovuto ai fini della regolarizzazione (integrale versamento del tributo, sanzione ridotta e interessi) consente di rendere efficace il ravvedimento in capo al contribuente; diversamente, l’errata determinazione dell’ammontare da versare sia in relazione agli interessi che alla sanzione, rende inefficace il ravvedimento, con conseguente legittima applicazione, da parte dell’Ufficio, della sanzione in misura intera.

Abstact:

Due sentenze della cassazione a distanza di circa un anno l’una dall’altra sanciscono gli elementi essenziali alla validità dell’istituto del ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97. Con l’articolo si analizzano la normativa e la prassi alla luce della interpretazione della Suprema Corte offrendo agli operatori del settore un quadro sintetico e attuale dell’istituto che costituisce oggi uno strumento importante nelle mani del contribuente.

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La Corte di Cassazione, con ordinanza 9 giugno 2011 n. 12661 e, più recentemente, con ordinanza 8 agosto 2012 n. 14298, ha affermato che l’istituto del c.d. ravvedimento operoso previsto dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97 effettuato ai fini della regolarizzazione degli omessi versamenti di imposte, si perfeziona solo e soltanto con “l’integrale pagamento della sanzione ridotta e degli interessi”. La più recente sentenza afferma poi che, a fronte di un non esatto versamento di sanzioni o interessi per ravvedimento, il contribuente non può invocare neppure il principio di “buona fede” e di “leale collaborazione” disposto dallo Statuto del Contribuente approvato Legge n. 212/2000.

La Cassazione torna quindi a pronunciarsi su un istituto introdotto nel nostro ordinamento nel 1997 con la legislazione delegata di riforma del sistema sanzionatorio in materia tributaria, ed oggi largamente usato nella prassi, che merita un approfondimento sia con riferimento alla normativa, sia con riferimento ai principi generali che ne disciplinano il funzionamento che vanno a completare gli elementi costitutivi dell’istituto utili agli operatori del settore.

Come noto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 del Decreto Legislativo n. 471/97, in caso di omesso o tardivo versamento delle imposte è applicabile la sanzione pari al 30% dell’importo non versato.

Al fine di evitare l’applicazione della suddetta sanzione il contribuente ha la facoltà di utilizzare l’istituto del ravvedimento operoso, provvedendo a sanare l’omissione con le modalità previste dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97.

La regolarizzazione delle violazioni è consentita quando ricorrano tre condizioni essenziali:

1) la mancata constatazione;

2) l’assenza di accessi, ispezioni o verifiche in corso;

3) l’assenza di altre attività amministrative di accertamento di cui l’interessato abbia avuto formale conoscenza.

Quando sussistono preliminarmente le tre condizioni esposte, l’omissione può essere sanata con il versamento contestuale dell’importo dovuto, degli interessi legali calcolati a giorni dalla data di scadenza a quella di effettivo pagamento, della sanzione calcolata in misura ridotta rispetto a quella prevista.

La sanzione, in caso di utilizzo del ravvedimento operoso, è determinata nella misura di 1/10 del minimo edittale se il pagamento viene effettuato entro 30 giorni dalla scadenza originaria, oppure nella misura di 1/8 del minimo edittale se il pagamento è effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui è commessa la violazione o entro un anno dall’omissione, qualora non sia prevista la presentazione di una dichiarazione.

L’articolo 23 comma 31 del Decreto Legge n. 98/2011 ha apportato poi rilevanti novità al regime sanzionatorio per ritardato od omesso versamento di tributi cercando di rendere il sistema più graduale rapportando maggiormente la sanzione alla gravità dell’inadempimento.

La nuova disposizione, infatti, riscrive il secondo periodo del comma 1, articolo 13 del Decreto legislativo n. 471/1997, eliminando il riferimento, che la medesima norma faceva, ai crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge, o riconosciute dall’amministrazione finanziaria, al fine della applicazione della sanzione. Tale riscrittura ha fatto sorgere una nuova misura di sanzione applicabile oggi alla generalità dei versamenti eseguiti entro 15 giorni dalla ordinaria scadenza. Secondo la nuova norma, infatti, la sanzione edittale del 30% è ridotta di 1/15 per ogni giorno di ritardo nell’ambito dei primi 15 giorni. Ciò significa che un versamento eseguito con un giorno di ritardo sconterà una sanzione del 2%, con due giorni di ritardo del 4%, e così via giorno per giorno fino a raggiungere il 28% in caso di versamento effettuato con 14 giorni di ritardo.

Conseguentemente, la misura della sanzione dovuta a seguito di ravvedimento varia giorno per giorno nell’arco dei primi 15 giorni dalla scadenza ordinaria e pertanto, se il ravvedimento viene effettuato con un giorno di ritardo la sanzione ridotta sarà dello 0,20% (2% ridotto a 1/10), con due giorni di ritardo la sanzione ridotta sarà dello 0,40% (4% ridotto a 1/10) e così via; dal 16° al 30 giorno la sanzione ridotta sarà del 3% (30% ridotto a 1/10) mentre per il periodo successivo fino alla scadenza del termine di fruibilità del ravvedimento la sanzione ridotta sarà del 3,75% (30% ridotto a 1/18).

Deve essere evidenziato, poi, che la nuova metodologia di calcolo della sanzione da ravvedimento è in vigore dal 6 luglio 2011, tuttavia secondo il principio sancito dall’articolo 3, comma 3, Decreto legislativo n. 472/1997, secondo cui: “Se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo” è da ritenere che la stessa, in quanto più favorevole, troverà applicazione anche per le violazioni commesse precedentemente alla predetta data.

La contestualità del pagamento delle sanzioni e degli interessi e del tributo, prevista dall’art. 13 comma 2 del Decreto legislativo n. 472/1997, va intesa nel senso che gli adempimenti prescritti devono essere conclusi entro il termine stabilito per il ravvedimento, posto che tale termine varia in relazione all’epoca in cui si effettua. Pertanto se il ravvedimento riguarda un mancato versamento gli interessi, il tributo e la sanzione devono essere versati nello stesso giorno.

A tale proposito, con riferimento ai termini individuati dal citato art. 13, è opportuno precisare che, quello iniziale, dal quale si computano sia i giorni per il calcolo degli interessi che per la sanzione, decorre dalla data in cui avrebbe dovuto essere effettuato l’adempimento. Se tale data cade in un giorno festivo, il termine è differito al primo giorno non festivo successivo; analogamente ƒnse il termine finale cade in un giorno festivo, il termine per la regolarizzazione è differito al primo giorno non festivo successivo.

Sempre con riferimento sia alla contestualità che alla esattezza degli importi, l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di esprimersi nell’ambito della Risoluzione 23.6.2011, n. 67/E dedicata ai pagamenti parziali o rateali. In tale risoluzione l’agenzia ha confermato l’impossibilità di rateizzare il versamento delle somme dovute ai fini della regolarizzazione riconoscendo appunto come non perfezionato il ravvedimento qualora si provveda, ad esempio, al pagamento delle sanzioni e degli interessi con successiva rateazione delle imposte dovute.

L’agenzia sostiene infatti che la rateazione costituisce una modalità di pagamento dilazionato nel tempo applicabile soltanto se espressamente prevista dalla norma e pertanto “non è ammissibile che il ravvedimento della violazione si perfezioni con il versamento della cosiddetta «prima rata» … e che il contribuente possa … beneficiare della riduzione complessiva delle sanzioni applicabili anche quando i versamenti delle «rate» successive siano effettuati oltre i termini ultimi … previsti”.

Appare condivisibile, peraltro, che l’Agenzia abbia distinto, nella medesima risoluzione, tra “rateazione delle somme da ravvedimento” e “ravvedimento parziale”, riconoscendo, al contrario, il perfezionamento della regolarizzazione nel secondo caso e cioè quanto il contribuente provveda al versamento “frazionato” (e non rateale) di quanto dovuto effettuando quindi il ravvedimento di una sola parte dell’omissione, corrispondendo interessi e sanzione commisurati esattamente alla frazione del debito d’imposta versato tardivamente.

Ovviamente tale frazionamento appare consentito fino al riscontro, da parte dell’Ufficio, dell’irregolarità a seguito di un controllo ovvero fino a quando non scada il termine previsto per il ravvedimento.

Poste queste brevi premesse normative e di prassi sull’istituto del ravvedimento operoso possiamo analizzare più nel dettaglio le ordinanze della Corte di Cassazione.

Nella Ordinanza del 9 giugno 2011, n. 12661 la S.C. è chiamata a pronunciarsi su una sentenza emessa Commissione Tributaria regionale della Lombardia in accoglimento dell’appello del contribuente avverso la sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Milano, che aveva disposto uno sgravio solo parziale dì una cartella di pagamento per omesso versamento dell’Iva.

La Commissione regionale aveva infatti ritenuto ininfluente il fatto che il contribuente avesse versato sanzioni nella misura inferiore al dovuto a fronte della pacifica volontà dello stesso di regolarizzare la propria posizione fiscale verso l’erario in quanto “dall’esame letterale della norma non risulta che da un errore di calcolo sul computo della sanzione possa scaturire l’invalidità del ravvedimento”.

Nel cassare la sentenza la corte sostiene un principio importante riguardante la necessità inderogabile, perchè il ravvedimento si perfezioni, che si effettui “l’integrale pagamento della sanzione ridotta e degli interessi”. La Cassazione sostiene infatti non solo la necessità della contestualità del versamento di sanzioni, interessi e imposte, ma anche la necessità che il versamento sia corretto nella sua determinazione; infatti secondo la Corte dalla locuzione “deve” inserita dall’art. 13 del Decreto Legislativo n. 472/97 “discende la necessità, ai fini del perfezionamento del ravvedimento, del versamento integrale (“e dunque necessariamente esatto”) della sanzione (sia pure nella misura ridotta), con la conseguenza che un diverso pagamento della sanzione integra una “fattispecie impediente l’efficacia dell’istituto”.

Nella Ordinanza 08 agosto 2012, n. 14298 la S.C. è chiamata nuovamente a pronunciarsi su una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia che ha solo parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione Tributaria provinciale di Milano che aveva, al contrario, pienamente accolto il ricorso del contribuente contro una cartella esattoriale concernente omesso pagamento di IVA ed altre imposte.

La predetta Commissione Tributaria regionale, cambiando l’orientamento espresso nella sentenza cassata con l’ordinanza del 2011, accoglieva la tesi dell’Agenzia secondo cui il ravvedimento operoso, concernente l’omesso versamento dell’IVA non si era perfezionato per non essere stato integralmente versato il dovuto ammontare, precisando inoltre che non poteva trovare applicazione il principio di “buona fede” e di “leale collaborazione fra fisco e contribuente” disposto dall’art. 10 dalla Legge n. 212/2000.

Il contribuente ha quindi insistito nel ricorso per cassazione sostenendo quale unico motivo proprio il principio previsto dallo “statuto del contribuente”.

La Cassazione ha disposto per il rigetto del ricorso (con condanna alle spese) sostenendo l’impossibilità di applicare il suddetto principio generale.

Sostiene infatti la corte che le norme dettate dallo statuto del contribuente e “qualificate espressamente come principi generali dell’ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell’Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell’ordinamento, criteri guida per il giudice nell’interpretazione delle norme tributarie (anche anteriori), ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria; conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse" (in termini, per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8145 del 11/04/2011)”.

In conclusione la Cassazione con le due ordinanze afferma e consolida il proprio orientamento dapprima negando il perfezionamento del ravvedimento anche in presenza di interessi versati in misura inferiore al dovuto ancorché l’errore si sia, di fatto, concretizzato nel mancato versamento di una “tenue somma” e, successivamente, sostenendo l’impossibilità di qualsiasi sanatoria postuma di un siffatto comportamento neppure se lo si riconducesse ad un principio generale dell’ordinamento tributario.

In definitiva soltanto il corretto versamento di quanto dovuto ai fini della regolarizzazione (integrale versamento del tributo, sanzione ridotta e interessi) consente di rendere efficace il ravvedimento in capo al contribuente; diversamente, l’errata determinazione dell’ammontare da versare sia in relazione agli interessi che alla sanzione, rende inefficace il ravvedimento, con conseguente legittima applicazione, da parte dell’Ufficio, della sanzione in misura intera.