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La prova di resistenza nel diritto tributario: prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario

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La prova di resistenza nel diritto tributario: prevalenza del diritto nazionale su quello comunitario


La prova di resistenza del contribuente- ossia l’onere, da parte di quest’ultimo, di dimostrare che, ove fosse stato attivato il contraddittorio procedimentale, il provvedimento sarebbe stato a lui favorevole – deve ritenersi fornita nel caso in cui le ragioni da egli addotte non appaiano manifestamente vacue e pretestuose.

The taxpayer's proof of resistance - i.e. the burden on the latter's part to demonstrate that, if the procedural cross-examination had been activated, the provision would have been favorable to him - must be considered provided in the event that the reasons given by him alleged do not appear manifestly vacuous and specious.

L’art. 6 comma 5 dello Statuto, come novellato dal D.lgs. 219/2023 – a norma del quale l’iscrizione a ruolo eseguita dall’AF senza contraddittorio con il contribuente, nel caso in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, è “annullabile” – contrasta con l’art. 4 comma 4 lett. F) della Legge Delega n. 111/2023, che imponeva al legislatore delegato di prevedere “una generale applicazione del principio del contraddittorio “a pena di nullità”, e non di annullabilità.

The art. 6 paragraph 5 of the Statute, as amended by Legislative Decree. 219/2023 - pursuant to which the registration in the register carried out by the FA without cross-examination with the taxpayer, in the event that there are uncertainties on relevant aspects of the declaration, is "cancellable" - contrasts with art. 4 paragraph 4 letter. F) of Delegated Law no. 111/2023, which required the delegated legislator to provide for "a general application of the adversarial principle "under penalty of nullity", and not of annulment.

Per quanto riguarda i tributi di origine comunitaria (c.d. “unionali”), l’orientamento giurisprudenziale nazionale, secondo cui, ai fini della prova di resistenza, è sufficiente che le ragioni del contribuente non appaiano manifestamente pretestuose, deve ritenersi prevalente sull’orientamento giurisprudenziale comunitario, secondo cui il contribuente deve dimostrare, in modo pieno ed incontrovertibile, che, nel caso di contraddittorio procedimentale, il provvedimento sarebbe stato a lui favorevole.

With regard to taxes of community origin (so-called "union"), the national jurisprudential orientation, according to which, for the purposes of the resistance test, it is sufficient that the taxpayer's reasons do not appear manifestly specious, must be considered prevalent over the jurisprudential orientation community, according to which the taxpayer must demonstrate, fully and incontrovertibly, that, in the event of procedural cross-examination, the provision would have been favorable to him.


La Cassazione Sezione Quinta civile, con ordinanza interlocutoria n. 7829 del 22.03.2024, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, di particolare importanza, relativa al contenuto e ai limiti della cd. “prova di resistenzaa carico del contribuente in caso di violazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del contraddittorio endoprocedimentale, obbligatorio per i tributi armonizzati.

Per “tributi armonizzati” si intendono quelli rientranti nella sfera di competenza dell’Unione Europea (nel qual caso, si trattava di un debito IVA).

L’ordinanza in commento viene motivata da due considerazioni:

1) la mancanza di «specifici orientamenti sui contenuti e limiti della c.d. “prova di resistenza”;

2) il fatto che, mentre la giurisprudenza della CGUE richiede che il contribuente dimostri che, “in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (CGUE, 10 ottobre 2009, in C-141/08; CGUE, 10 settembre 2013, in C-383/13; CGUE, 26 settembre 2013, in C-418/11; CGUE, 3 luglio 2014, in C-129/13 e C-130/13), pretendendo così un giudizio di prognosi postuma da condurre caso per caso, attraverso la valutazione delle ragioni addotte – le Sezioni Unite civili (Sez. U, n. 24823/2015, Cappabianca, Rv. 637604-01) hanno reputato sufficiente l’indicazione di ragioni “non puramente pretestuose” ovvero di elementi difensivi “non del tutto vacui”.

 

In merito alla questione di cui al punto 1)

Nel caso in cui l’Amministrazione Finanziaria (AF) abbia accertato la sussistenza del debito tributario senza aver instaurato preliminarmente il contraddittorio con il contribuente, quest’ultimo deve dimostrare in giudizio (ecco in cosa consiste la c.d. “prova di resistenza”) che, qualora il contraddittorio fosse stato regolarmente attivato dall’ufficio, il procedimento si sarebbe concluso con un non accertamento del debito tributario.

L’art. 6 comma 2 della Legge 212/2000 (di seguito “Statuto”) stabilisce quanto segue: “l'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppure parziale, di un credito”.

In via preliminare va detto che se l’AF deve informare il contribuente su fatti dai quali potrebbe derivare il mancato riconoscimento di un credito, la medesima informativa dovrebbe essere fornita anche in ordine ai fatti dai quali potrebbe derivare l’accertamento di un debito (in tal caso, di IVA). Ciò anche in considerazione del fatto che la garanzia del contraddittorio è prevista dall’art. 1 comma 3 bis dello Statuto come “principio generale”, che, in quanto tale, si presta a rendere sostanzialmente infondata qualsiasi presunta (o pretesa) distinzione tra “credito” e “debito”.

Ciò premesso, questa garanzia viene poi disciplinata, nello specifico, dall’art. 6 bis dello Statuto, il quale, al comma 3, prevede che “per consentire il contradditorio, l'amministrazione finanziaria comunica al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo schema di atto di cui al comma 1, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo. L'atto non è adottato prima della scadenza del termine di cui al primo periodo”. Di conseguenza, l’accertamento di un debito tributario senza previo contraddittorio con il contribuente deve considerarsi come viziato da “annullabilità”, e ciò in base a quanto previsto dal comma 1 dello stesso art. 6 bis Statuto.

Pertanto, il contribuente, fornendo in giudizio la “prova di resistenza”, ossia dimostrando che, ove il contraddittorio fosse stato avviato prima dell’accertamento del tributo, quest’ultimo non sarebbe stato accertato, potrà ottenere dal Giudice l’annullamento dell’atto stesso.

La domanda è questa: questa prova verrà ritenuta valida solo nel caso in cui da essa risulti evidente, incontrovertibile, che, ove fosse stato attivato il contraddittorio, il provvedimento sarebbe stato favorevole al contribuente e che quindi la procedura si sarebbe conclusa con un “non accertamento”, oppure anche nel caso in cui le ragioni addotte dal contribuente appaiano non manifestamente vacue e pretestuose?

L’art. 21 octies comma 2 Legge 241/90 (di seguito “Legge”) stabilisce chenon è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. La mancata attivazione del contraddittorio da parte della PA rappresenta una “violazione delle norme sul procedimento”. Allora si potrebbe fare la seguente considerazione: se la PA deve dimostrare “palesemente”, ossia in modo incontrovertibile, che il contenuto del provvedimento sarebbe stato lo stesso anche se fosse stato attivato il contraddittorio, quest’onere della prova così rigoroso dovrà valere anche nei confronti del contribuente, e cioè anche questi dovrà dimostrare, “palesemente”, e quindi senza ombra di dubbio, che, ove fosse stato attivato il contraddittorio, il provvedimento avrebbe avuto un contenuto diverso. Di conseguenza, non sarà sufficiente che le ragioni addotte dal contribuente appaiano non manifestamente vacue e pretestuose.

Tuttavia, ai sensi dell’art. 13 comma 2 della Legge, le norme relative alla partecipazione del privato al procedimento non si applicano ai procedimenti tributari, “per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li regolano”. Ebbene, nell’ambito di tali norme dovrebbe rientrare anche l’art. 21 octies comma 2 della Legge, il quale disciplina gli effetti della violazione delle suddette norme. Pertanto, la considerazione sopra fatta – ossia il contribuente deve dimostrare pienamente ed inequivocabilmente che, se ci fosse stato il contraddittorio, il procedimento si sarebbe concluso in modo per lui favore, e cioè con un “non avviso” – viene a cadere, poiché l’art. 21 octies comma 2 Legge non si applica ai procedimenti tributari. Ed è, verosimilmente, proprio sull’art. 13 comma 2 Legge che la giurisprudenza nazionale si è basata per ritenere sufficiente, ai fini della prova di resistenza, la non manifesta infondatezza delle ragioni addotte in giudizio dal contribuente.

Inoltre, al riguardo va segnalato quanto segue.

L’art. 6 comma 5 dello Statuto, come novellato dal D.lgs. 219/2023, stabilisce che l’iscrizione a ruolo eseguita dall’AF senza contraddittorio con il contribuente, nel caso in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, è non più nulla bensì “annullabile”. Tuttavia, “l’annullabilità” contrasta palesemente con l’art. 4 comma 4 lett. F) della Legge Delega n. 111/2023, il quale imponeva al legislatore delegato di prevedere “una generale applicazione del principio del contraddittorio “a pena di nullità”, e non di annullabilità. Inoltre, la stessa mal si concilia con il fatto che “la garanzia del contraddittorio” sia stata prevista dall’art. 1 quale “principio generale”.

Quindi il contribuente, nel ricorrere innanzi al Giudice Tributario avverso l’atto di accertamento, potrebbe anche sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 dello Statuto per violazione della Legge Delega, ossia per contrasto con l’art. 76 Costituzione. In tal modo, egli eviterebbe di dover fornire la “prova di resistenza”.

 

In merito alla questione di cui al punto 2)

Quanto detto al punto 1) vale per i tributi nazionali.

Adesso, si tratta di stabilire se, anche in materia di tributi unionali, per quanto attiene al “contenuto” della prova di resistenza, si debba dare prevalenza alla giurisprudenza nazionale, secondo cui è sufficiente che le ragioni sostenute del contribuente non siano del tutto pretestuose e vacue, oppure se, in tale ambito, debba essere considerato come preminente l’orientamento giurisprudenziale comunitario, secondo cui

il contribuente deve effettivamente dimostrare, in modo pieno ed incontroveritibile, che, ove fosse stato attivato il contraddittorio in via preventiva, il provvedimento avrebbe potuto essere a lui favorevole.

L’ art. 65 comma 1 lett. B) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (di seguito “TFUE”) stabilisce che le disposizioni comunitarie, le quali vietano restrizioni ai movimenti di capitali tra gli Stati membri, non pregiudicano il diritto di questi ultimi di “prendere tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale”.

Se il diritto comunitario lascia lo Stato membro libero di adottare norme (il legislatore) e/o di stabilire principi (la giurisprudenza) volti ad impedire che i contribuenti violino od eludano gli obblighi fiscali, medesima libertà dovrà essere riconosciuta allo Stato di prevedere, a favore del contribuente i cui diritti siano stati violati (vedi mancato contraddittorio), un onere della prova più tenue rispetto a quello previsto dalla giurisprudenza comunitaria.

L’art. 114 comma 3 dello stesso TFUE prevede che le misure adottate dal Parlamento e dal Consiglio Europeo ai fini del ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri, non si applicano alle disposizioni fiscali, rispetto alle quali quindi l’autonomia normativa degli stessi Stati viene ad essere espressamente riconosciuta.

Quindi, a ben vedere, la normativa comunitaria riconosce l’autonomia normativa degli Stati membri in materia fiscale.

Nello Statuto l’unica norma concernente i tributi comunitari è quella contenuta nell’art. 10 comma 2, il quale, nel disciplinare la tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente, stabilisce quanto segue: “limitatamente ai tributi unionali, non sono altresi' dovuti i tributi nel caso in cui gli orientamenti interpretativi dell'amministrazione finanziaria, conformi alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali e che hanno indotto un legittimo affidamento nel contribuente, vengono successivamente modificati per effetto di un mutamento della predetta giurisprudenza o dei predetti atti”.

Se il contribuente, sulla base dell’orientamento giurisprudenziale comunitario del momento, aveva maturato un legittimo affidamento sul fatto di non essere tenuto a pagare alcun tributo, non potrà poi essere chiesto al medesimo di provvedere al pagamento nel caso in cui tale orientamento sia mutato.

Tuttavia, nel caso di cui all’ordinanza in commento, la questione è non il legittimo affidamento maturato dal contribuente a seguito di un orientamento giurisprudenziale, ma la garanzia del contraddittorio procedimentale, e non vi è nessuna norma dello Statuto la quale preveda che, in materia di tributi unionali, la violazione di tale garanzia debba essere valutata alla luce della giurisprudenza comunitaria anziché alla stregua di quella nazionale, e quindi secondo un criterio più restrittivo per il contribuente.

Come già chiarito al punto 1), la garanzia sopra citata costituisce un “principio generale”, e quindi la sua violazione deve essere analizzata alla luce di quella che è la disciplina (o la giurisprudenza) nazionale: lo Statuto, se avesse voluto prevedere, per i tributi unionali, una disciplina specifica relativa alla mancata attuazione del contraddittorio procedimentale, lo avrebbe fatto, esattamente come lo ha fatto per il legittimo affidamento.

Di conseguenza, sembra potersi ritenere che, anche in materia di tributi unionali, debba attribuirsi prevalenza agli orientamenti giurisprudenziali nazionali, i quali considerano sufficiente, ai fini della prova di resistenza, la non manifesta infondatezza delle ragioni addotte in giudizio dal contribuente.