Il testimone ostile tra prassi applicative e prospettive de iure condendo

Testimone ostile
Testimone ostile

Abstract

“Ogni testimone è un editor: non ti dice tutto ciò che ha visto e sentito, per quanto sarebbe possibile, ma ciò che ha visto, sentito e trovato significativo, e ciò che trova significativo dipende dalle sue percezioni.” Patrick Devlin, The Criminal Prosecution in England 66 (1960). Tale affermazione si coglie ancora di più nell’analisi del testimone ostile, soggetto dimenticato dalla prassi e dal codice ma che tuttavia rivendica ancora oggi una disciplina ad hoc.

Every witness is an editor: he tells you not everything he saw and heard, for that would be possible, but what he saw and heard and found significant, and what he finds significant depends on his perceptions.Patrick Devlin, The Criminal Prosecution in England 66 (1960). This assertion can be grasped even more in the analysis of the hostile witness, a subject forgotten by judicial practice and by the code but who still claims an ad hoc discipline today.

 

Indice:

1. Un inquadramento del testimone ostile

2. Le soluzioni adottate dalla prassi

3. Un tentativo di ricondurre la figura del teste ostile all’interno del codice

 

1. Un inquadramento del testimone ostile

Figura ben nota agli ordinamenti giuridici di common law, il testimone ostile è colui il quale rende, nel corso dell’esame diretto, dichiarazioni contrarie all’interesse della parte che ne ha chiesto l’escussione, di modo che l’interrogante può essere autorizzato dal giudice a continuare l’escussione del teste tramite il controesame, come se il dichiarante fosse un teste introdotto dalla parte avversaria e con le facoltà processuali che di norma spettano alla controparte (cfr. Black’s Law Dictionary, St. Paul, Minn., West Group, 1999, voce hostile witness).

In tal senso, il sistema statunitense prevede espressamente le ipotesi in cui la parte che ha citato il testimone, avendo la necessità di guidarlo durante la deposizione, può condurre il controesame anche con domande suggestive; tra tali ipotesi naturalmente figura anche l’eventualità del testimone che si riveli ostile (cfr. Federal Rules of Evidence, 611 (c) (2), 2021).

Nel codice di rito italiano manca una disciplina in merito, e nel silenzio normativo non è chiaro se l’interrogante di fronte ad un “proprio” teste divenuto ostile debba continuare l’escussione nella forma dell’esame diretto oppure possa procedere per il tramite di un controesame atipico (sul punto, L. de Cataldo Neuburger, Esame e controesame nel processo penale, Padova, 2000, p. 172).

Occorre pertanto analizzare le soluzioni intraprese tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, per comprendere come venga affrontato il teste ostile nell’ordinamento processuale penale italiano.

 

2. Le soluzioni adottate dalla prassi

In assenza di una disciplina che regoli i poteri delle parti dinanzi ad un teste rivelatosi ostile, l’interprete non può fare a meno di constatare la laconicità di quanto disposto dall’articolo 499 c. 3 Codice Procedura Penale, che vieta le domande suggestive ai testi citati dalle parti.

Come correttamente sottolineato da una parte della dottrina, peraltro, la funzione delle domande suggestive è quella di consentire un vaglio dell’attendibilità delle dichiarazioni del teste che si presume avere un interesse contrario alla parte che lo esamina; tuttavia, un’interpretazione meramente letterale dell’articolo 499 Codice Procedura Penalerischia di lasciare priva di strumenti la parte […] che chiamato a deporre un testimone, lo veda rendere dichiarazioni inopinatamente contrarie alla sua posizione” (G. Carofiglio, Il controesame. Dalle prassi operative al modello teorico, Milano, 1997, p. 145).

Aldilà delle possibili letture correttive dell’articolo 499 Codice Procedura Penale, che consentano alle parti di escutere efficacemente il teste che nel corso dell’esame diretto si rivela ostile, l’unico strumento che il codice pare offrire per fronteggiare un teste tanto atipico sono le contestazioni ex articolo 500 Codice Procedura Penale, che però si rivelano impraticabili in caso di assenza di precedenti dichiarazioni del teste.

Proprio per tale ragione, per colmare la lacuna normativa vi è chi suggerisce di considerare l’esame del teste ostile sostanzialmente come un controesame, ritenendo di conseguenza inapplicabile il divieto previsto dall’articolo 499 c. 3 Codice Procedura Penale per mancanza della ragione posta a fondamento della disposizione da ultimo citata, ovvero garantire la genuinità delle dichiarazioni del teste escusso (G. Carofiglio, cit., p. 169).

Il contegno delle parti nei confronti del teste ostile acquisisce immediati risvolti pratici, in considerazione del rispetto o meno da parte di colui che escute il teste del divieto previsto dall’articolo 499 c. 3 Codice Procedura Penale, la cui cogenza è tutt’altro che pacifica.

Secondo la giurisprudenza, infatti, la violazione del divieto di porre domande non pertinenti o suggestive, se da un lato non determina l’inutilizzabilità della testimonianza, posto che tale sanzione riguarda le prove vietate dal codice di rito e non la regolarità dell’assunzione di quelle consentite, dall’altro, non è affetta da nullità in virtù del principio di tassatività vigente in tema di invalidità (Cass. Pen., Sez. III, 25 giugno 2008 n. 35910).

Ad ogni modo, vi è la possibilità che le domande suggestive compromettano la genuinità della dichiarazione, incidendo sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto globalmente inidoneo ad essere valutato; in tal caso occorre, tuttavia, la compromissione dell’intera dichiarazione e non semplicemente della singola risposta fornita, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande (Cass. Pen., Sez. II, n. 25 giugno 2019, n. 42568).

Di contrario avviso invece la dottrina, che, nel caso in cui non venga rispettato quanto disposto dall’articolo 499 c. 3 Codice Procedura Penale, ritiene integrata un’ipotesi di inutilizzabilità, in quanto le prove risultano acquisite in violazione di uno specifico divieto (tra gli altri, M. Colamussi, In tema di domande «suggestive» nell’esame testimoniale, in Cass. pen., 1993,1801; G. Varraso, La violazione del divieto di domande suggestive: il ruolo delle parti ed i poteri del giudice, in Cass. pen., 2006, 2870).

 

3. Un tentativo di ricondurre la figura del teste ostile all’interno del codice

Nell’ambito della XV Legislatura, era stato presentato il Disegno di Legge n. 1075 da parte dei Senatori Centaro, Fazzone, Ghedini, Malvano, Pittelli e Ziccone, che, all’interno di una più ampia riforma del codice di procedura penale, per quanto interessa in questa sede, in caso di approvazione avrebbe introdotto nel codice di rito la figura del testimone ostile.

Nel citato Disegno di Legge, infatti, si evinceva che “è stata definita la figura del «testimone ostile», consentendo alla parte che procede all’esame, se può dimostrare sulla base degli elementi in suo possesso che il teste è «ostile», di chiedere al giudice di essere autorizzato a proseguire l’esame secondo le regole del controesame; si considera «avverso» il testimone che, nel corso dell’esame, rende dichiarazioni palesemente contrastanti con l’assunto della parte che ne ha richiesto l’esame; il giudice decide, sentite le parti in camera di consiglio, presa conoscenza dei documenti a supporto della richiesta” (per consultare il testo integrale del disegno di legge si veda il sito ufficiale del Senato della Repubblica, www.senato.it).

L’articolo proposto aveva il seguente tenore:

Articolo 543. - (Testimone ostile).

1. Se nel corso dell’esame diretto il testimone si rivela ostile alla parte che ne ha richiesto l’ammissione, questa può chiedere al giudice di essere autorizzata a proseguire l’esame secondo le modalità del controesame, anche utilizzando per le contestazioni, a norma dell’articolo 540, comma 5, precedenti dichiarazioni difformi rese dallo stesso.

2. Si considera ostile il testimone che rende una deposizione palesemente, univocamente e inaspettatamente contraria agli assunti e agli interessi della parte che ne ha chiesto l’ammissione e che con condotte o espressioni univoche manifesta verso la medesima sentimenti di avversione.

3. Il giudice, sentite le parti in camera di consiglio e presa conoscenza degli elementi che esse gli presentano per sostenere o contrastare la richiesta, decide immediatamente e senza formalità, facendo solo dare atto che il teste si è o non si è rivelato ostile.

Aldilà della vaghezza in merito agli elementi in virtù dei quali ritenere ostile il testimone, il disegno di legge in questione aveva l’indubbio pregio di introdurre una disciplina ad hoc per la figura del teste ostile, che ad oggi non solo risulta orfana di appropriate disposizioni codicistiche, ma che trova altresì gli interpreti discordi in merito alle conseguenze processuali di un’escussione del teste ostile secundum legem, ovvero di un’escussione che, per quanto non prevista normativamente, risulta con evidenza più coerente con l’intero impianto codicistico dell’esame incrociato, anche per come concepito dalla tradizione giuridica inglese e nordamericana.