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Art. 499 - Regole per l’esame testimoniale

1. L’esame testimoniale si svolge mediante domande su fatti specifici.

2. Nel corso dell’esame sono vietate le domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte.

3. Nell’esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte.

4. Il presidente cura che l’esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona.

5. Il testimone può essere autorizzato dal presidente a consultare, in aiuto della memoria, documenti da lui redatti.

6. Durante l’esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l’esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni.

Rassegna giurisprudenziale

Regole per l’esame testimoniale (art. 499)

Il divieto di porre domande suggestive al teste vale anche per il giudice (Sez. 4, 15331/2020).

L’assunzione della prova direttamente a cura del presidente, e mediante la semplice richiesta se il teste confermi o meno le dichiarazioni già rese in una precedente fase del dibattimento, non può dirsi conforme alle regole che disciplinano la prova stessa, perché non si articola con domande su fatti specifici (art. 499, comma ), tende a suggerire la risposta (art. 499 commi 1 e 3), e comunque viola la disposizione per la quale - salvi alcuni casi particolari - le domande sono e rivolte al testimone direttamente dalle parti processuali (art. 498 comma 1).

Va esclusa, nondimeno, la ricorrenza della sanzione di inutilizzabilità (art. 191), posto che non si tratta di prova assunta in violazione di divieti posti dalla legge, bensì di prova assunta con modalità diverse da quelle prescritte, così come va esclusa la ricorrenza di nullità, posto che la deroga alle norme indicate non è riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 del codice di rito (Sez. 5, 10127/2018).

Non è pensabile che il giudice del dibattimento debba esercitare le sue prerogative di cui all’art. 499, comma 6, circa la pertinenza e rilevanza delle domande poste al testimone (che certamente comportano la necessità di comprendere quale sia lo scopo perseguito dall’esaminante e le circostanze che intenda far emergere), ogni volta allontanando il testimone (Sez. 3, 24050/2018).

La violazione del divieto di porre domande suggestive, non assistita da alcuna sanzione, rileva soltanto sul piano della valutazione della genuinità della prova, che può risultare compromessa esclusivamente se inficia l’intera dichiarazione e non semplicemente la singola risposta fornita alla domanda suggestiva, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte alle altre domande. (Sez. 5, 12150/2018).

Dall’espresso divieto contenuto nell’art. 499 comma 3 di porre domande suggestive nel corso dell’esame diretto del testimone non può essere desunto il diritto ad un indiscriminato ricorso alle medesime nel corso del controesame, dovendo, a mente del successivo comma 6, comunque essere assicurata la genuinità delle risposte e la lealtà dell’esame (in senso lato inteso) del testimone, nonché, soprattutto, rimanendo vietate ai sensi del secondo comma dello stesso articolo le domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte (Sez. 37373/2012).

Stante la particolare vulnerabilità psichica dei minori, a maggior ragione valgono anche per le loro deposizioni testimoniali il divieto di domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte (art. 499 comma 2) e il divieto di domande suggestive, che tendono a suggerire le risposte (art. 499 comma 3) (Sez. 3, 6624/2014).

Il legislatore non ha introdotto indicatori normativi volti in particolare a regolare la delicatissima attività dell’interrogatorio di minori e si è preoccupato della problematica solo con riferimento ai testimoni in generale, ponendo all’art. 499 due divieti: l’uno assoluto, inerente alle domande che possono nuocere alla sincerità delle risposte; l’altro, relativo e circoscritto allo esame diretto, riguardante quelle suggestive.

Pur potendosi convenire che la disciplina predisposta per l’escussione dei testi difficilmente può essere trasferita nello interrogatorio protetto del minore, il cui svolgimento avviene con modalità del tutto peculiari  non può tuttavia disconoscersi che debbano valere anche per tali testi, anzi a maggiore ragione che per gli adulti, i divieti di domande nocive e suggestive.

Argomentare in senso difforme condurrebbe alla assurda conclusione che le regole fondamentali per assicurare una testimonianza corretta verrebbero meno là dove, per la fragilità e suggestionabilità del dichiarante, sono più necessarie.

La violazione dei divieti anzidetti non dà luogo alla globale inutilizzabilità della testimonianza, non vertendosi in ipotesi di una prova vietata per la sua intrinseca illegittimità.

Tuttavia, il procedimento acquisitivo della prova, cioè il metodo con cui l’interrogatorio viene condotto, non è neutrale rispetto alla attendibilità ed alla affidabilità delle dichiarazioni rese dal minore, la cui genuinità può restare inficiata a causa delle modalità di assunzione, tenuto anche conto che i bambini presentano modalità relazionali orientate in senso imitativo ed adesivo, sono influenzabili da stimoli potenzialmente suggestivi e, mancando di adeguate risorse critiche, tendono a non differenziare le proprie opinioni da quelle dello interlocutore specie se vissuto come figura autorevole (Sez. 3, 27512/2011).

Il divieto di porre domande suggestive nell’esame testimoniale non opera con riguardo al giudice, il quale, agendo in una ottica di terzietà, può rivolgere al testimone tutte le domande ritenute utili a fornire un contributo per l’accertamento della verità, ad esclusione di quelle nocive (Sez. 3, 21627/2015).

Non si deve confondere il diritto al controesame con l’esclusione dell’esercizio del potere-dovere, previsto per l’esame testimoniale dall’art. 499, comma 6, da parte del giudice, di intervenire per assicurare la pertinenza delle domande, in tale concetto dovendosi ritenere ricompresa anche ogni intervento volto ad evitare domande ripetitive o la ripetizione di domande già formulate (Sez. 5, 48204/2017).

Qualora in dibattimento venga concessa, a norma degli artt. 514, comma 2, e 499, comma 5, a testimoni appartenenti alla PG l’autorizzazione a leggere integralmente o comunque a consultare in aiuto della memoria le relazioni di servizio documentanti il rispettivo operato, è da escludersi che ciò sia consentito solo se vi sia stata la personale compilazione e sottoscrizione dell’atto da parte dei testi in quel momento ascoltati in dibattimento.

Infatti, poiché le operazioni di PG vengono normalmente svolte con la collaborazione di più soggetti operanti e poiché la formazione della relativa documentazione avviene per lo più in un momento successivo da parte del superiore gerarchico o del responsabile dell’ufficio, per redattori degli atti di documentazione dell’attività compiuta da testi che siano ufficiali od agenti di PG devono intendersi non solo i loro materiali compilatori o coloro che, sottoscrivendoli, se ne siano assunta la paternità, ma anche quanti abbiano cooperato alla formazione degli stessi atti, riferendo al personale compilatore il proprio operato (Sez. 7, 9995/2018).

Non ricorre alcuna nullità a seguito della lettura – autorizzata – per aiuto della memoria anche se effettuata con mezzi informatici per comodità di consultazione, poiché non prevista dalla legge.

Peraltro, nessuna disposizione di legge impone che i documenti, letti per aiuto della memoria, debbano anche essere versati in atti al fine della verifica della paternità e genuinità, poiché il mezzo di prova sono le dichiarazioni rese in contraddittorio dal teste, non trattandosi di letture ex art. 511 e ss. (Sez. 5, 54155/2016).

L’acquisizione di uno schema riassuntivo interno (relativo all’attribuzione delle singole voci di persone ascoltate nelle operazioni di intercettazione) utilizzato dal teste/agente di PG nel corso della sua deposizione non viola alcuna disposizione di legge (Sez. 4, 36470/2015).

La consultazione nel corso del dibattimento del verbale di accertamento delle violazioni previdenziali redatto da altri colleghi da parte del funzionario dell’INPS chiamato a deporre come testimone non è sanzionata da nullità e deve ritenersi consentita dall’imputato che non si sia ad essa opposto (Sez. 3, 3968/2006).