Confessioni e contraddizioni del ministro. «Le riforme mancate»? Nordio ipse dixit

Carlo Nordio (foto tratta da Wikipedia)
Carlo Nordio (foto tratta da Wikipedia)

Confessioni e contraddizioni del ministro. «Le riforme mancate»? Nordio ipse dixit

 

«Voce dal sen fuggita poi richiamar non vale» (Metastasio)

 

«In questa patologia genetica della giustizia possono esservi correttivi o, all’opposto, degenerazioni.

I primi sono rappresentati dalla rapidità delle procedure e dal rispetto delle garanzie. Un processo veloce non è necessariamente un processo giusto: quelli di Freisler e di Vyšinskij si aprivano la mattina con la farsa del rito e si chiudevano la sera con la tragedia del patibolo.

Ma un processo lento è sempre un processo iniquo, perché sottopone la persona a una logorante sequenza di vessazioni e di spese. Se la dilatazione delle garanzie comporta anche quella dei tempi, la loro esasperata lentezza provoca comunque un’insanabile ferita. Ed è questa la degenerazione più dolorosa del nostro ordinamento.

 Una delle ragioni principali di diffidenza, e forse di ostilità, verso il nostro sistema giudiziario, consiste, infatti, nella sua lentezza logorante e vessatoria, lentezza che consolida il detto di Carnelutti che il processo non serve solo a irrogare una pena, ma è esso stesso una pena.

 Un’altra è proprio l’incertezza di quest’ultima, di cui in parte abbiamo già parlato nel capitolo sulla sicurezza; un’altra ancora è la devastazione dei diritti individuali dell’onore e della privacy attraverso l’uso dissennato delle intercettazioni. E tutto questo perché l’attuazione del processo accusatorio, introdotto nel 1989, è stata prima interrotta e successivamente abbandonata. Cosicché il nostro sistema processuale, dopo trent’anni di modifiche, soppressioni, integrazioni e interventi della Corte Costituzionale, è una maionese impazzita di cui nessuno capisce più nulla.

 Quali sono le riforme mancate?

 Sono quelle vigenti nei Paesi dove questo tipo di processo funziona da secoli: la separazione delle carriere, la discrezionalità dell’azione penale, la riformulazione dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, la distinzione tra giudice del fatto (la giuria popolare che emette il verdetto) e il giudice del diritto (che pronuncia la sentenza), e non ultima la nomina governativa dei giudici e quella elettiva dei pubblici ministeri.

 Sarebbero effettivamente novità epocali per la nostra tradizione giuridica, ed è naturale, e doveroso, che se ne discuta animatamente. Purché se ne discuta.

 E invece le reazioni negative sono sempre state improntate alla ripetizione petulante e sterile dei più triti luoghi comuni: una simile riforma ucciderebbe l’indipendenza della magistratura, e sovvertirebbe l’ordine democratico. Ancora un’altra reazione «di pancia» del tutto simile a tante altre che abbiamo visto e che vedremo.

 Solo che qui non si tratta dell’emotività del popolino, ma della reazione pavloviana di chi è così avvolto nella matassa della consuetudine da perdere il filo della logica.

 Asini che volano e mostri proteiformi

 Quando si sostiene una tesi, occorre affrontare la cosiddetta prova di resistenza: dobbiamo cioè guardarci dall’evidenza contraria. Se dico che il cianuro uccide, devo verificare che non ci siano persone che con il cianuro hanno ripetutamente brindato. Così, se affermo che queste novità sarebbero antidemocratiche, autoritarie e liberticide, devo accertarmi che non ci siano Paesi, autenticamente democratici, in cui questi principi sono applicati con successo.

 Orbene, la separazione delle carriere, la discrezionalità dell’azione penale ecc. esistono negli Stati Uniti, nel Regno Unito di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, in Canada, Nuova Zelanda, Sudafrica, Australia e in generale dove la Britannia, governando i mari, ha governato anche i popoli. E dove non ha comandato la Union Jack, come in Francia e in Svizzera, le cose vanno anche peggio, perché lì il Pm dipende dal potere esecutivo.

 Dunque, per sostenere la tesi che la separazione delle carriere e quel che ne segue è antidemocratica, autoritaria e liberticida, dovremmo dimostrare, seguendo i principi di logica elementare sopra enunciati, che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada ecc. sono regimi dittatoriali. È vero che abbiamo sentito dire da alcuni magistrati che il nostro sistema ci è invidiato in tutto il mondo. È anche vero che, di questo passo, possiamo pure credere all’asinello che vola.

 Di queste polemiche, e di queste inerzie, il cittadino sa poco o nulla. E quel poco che gli viene spiegato dai giornali e dalle Tv è generalmente condizionato dalla linea politica editoriale, per cui ne trarrà, da destra o da sinistra, una rappresentazione parziale e ingannevole.

 Quello che, però, il cittadino comprende benissimo è il funesto risultato: il sistema non funziona, o comunque funziona assai male. E la sua non è una sfiducia ingiustificata, perché in questi ultimi trent’anni lo Stato non ha fatto nulla per risolvere questi problemi.

 Non che i governi succedutisi nel tempo siano rimasti inerti. Al contrario. Animati certamente dalle migliori intenzioni di intimidire i delinquenti, diminuire i reati, velocizzare i processi ecc., hanno prodotto una serie impressionante di leggi, decreti, regolamenti e circolari: un mostro proteiforme che ha aggravato i danni che intendeva eliminare».

 

C. NORDIO, Giustizia. Ultimo atto. Da Tangentopoli al crollo della magistratura, pag. 112 e segg., 2022, Milano.

C. NORDIO, «L'indipendenza della magistratura giudicante e requirente è un principio non negoziabile, Palermo, 11 maggio 2024, Ansa.

 

Dunque, come sopra trascritto, il dott. C. Nordio in passato auspicava convintamente l’innesto nel nostro ordinamento costituzionale (di civil law) di tutti gli istituti tipici del sistema di common law, tra cui la separazione delle carriere e la discrezionalità dell’azione penale nonché «la nomina governativa dei giudici e quella elettiva dei pubblici ministeri», espressamente escludendo che «una simile riforma ucciderebbe l’indipendenza della magistratura, e sovvertirebbe l’ordine democratico». Tuttavia, nominato Ministro della Giustizia nell’ottobre 2022, egli si è fatto vittorioso promotore della separazione delle carriere requirenti e giudicanti, affrettandosi in siffatta qualità a garantire specificamente «l'indipendenza della magistratura giudicante e requirente», sebbene avesse dianzi auspicato esplicitamente «la nomina governativa dei giudici e quella elettiva dei pubblici ministeri». In conclusione, a fronte di un testo logicamente ipermotivato, come quello articolato dal dott. Nordio nel suo volume, deve riconoscersi a lui la possibilità di contraddirsi e ai suoi lettori la facoltà di dubitare della sua effettiva coerenza!