La legge è uguale per tutti? Non sempre!  Il caso Palamara & company insegna

Le chat di Palamara
Le chat di Palamara

La legge è uguale per tutti? Non sempre!  Il caso Palamara & company insegna

 

«Noi possiamo anche credere all’asinello che vola, ma non possiamo credere che lo scandalo Palamara si sia limitato a quei quattro poveretti che si sono dimessi» (Ministro Nordio, 14 giugno 2025)

 

In termini colti l’uguaglianza davanti alla legge, declinata in tutte le sue articolazioni dall’art. 3 Cost., si chiama isonomia. Per comprenderne il senso, niente di più efficace che stigmatizzare un caso in cui difetta proprio l’isonomia.

Un insegnante di scuola secondaria trascende sui social media, augurando tutto il male possibile alla figlia minore della Presidente del Consiglio. Se ne occupa, per quanto di competenza, non solo la Procura della Repubblica ma anche l’Ufficio scolastico regionale, che dopo qualche giorno gli infligge una misura disciplinare d’urgenza, la sospensione cautelare dal servizio con retribuzione dimezzata. Amaramente mortificato e pentito, l’insegnante implora il perdono dalla Premier e tenta perfino il suicidio, ma non si duole minimamente della propalazione sulla stampa della grave sanzione disciplinare intanto irrogatagli per avere (probabilmente) agito in violazione della...disciplina (art. 54 Cost.). Numerose sono le associazioni che tutelano gli insegnanti, ma nessuna di esse si è eretta a difesa della riservatezza del pur sinceramente pentito insegnante.

Invece, nel 2019 esplode il caso Palamara & Company, il più eversivo nella storia della Magistratura. Come risulta da decine e decine di chat pubblicate su giornali e volumi, numerosi e importanti magistrati – anch’essi impiegati civili dello Stato al pari dell’insegnante anzidetto - imploravano, e spesso ottenevano, dal dott. L. Palamara (allora potente componente del C.S.M.), illeciti favori per scalare gli uffici giudiziari più ambiti, in danno degli aspiranti meritevoli. Sono stati subito pubblicamente banditi Palamara e pochi altri (tra i “Magnifici Sette” protagonisti, nell’Hotel Champagne, della “Notte della Magistratura”) dall’Ordine e dall’ANM. Ma neppure agli associati è dato sapere quali e quanti altri Magistrati ordinari siano stati sanzionati dall’ANM, che per legge ha avuto il compito sia di dettare il codice etico sia di infliggere le sanzioni (anche ai magistrati non affiliati all’ANM). Allo stato dunque, al pari di ogni altro, lo scrivente, in quanto socio dell’ANM, ignora se il socio Sempronio (con cui è chiamato a perseguire gomito a gomito i fini elencati nello Statuto) sia stato oggetto di archiviazione del Collegio dei Probiviri ovvero di sanzione disciplinare ad opera del Comitato Direttivo Centrale. E pertanto ora ciascun socio non è in grado di scegliere a ragion veduta se, a fronte di tante documentate violazioni delle norme etiche, debba persistere o recedere dall’ANM, come è sua indiscutibile facoltà. Quest’orientamento, dettato dal Garante per la privacy a seguito di esplicita richiesta dell’ANM per difendere la riservatezza degli indagati, tra l’altro trascura vistosamente i diritti e le opzioni dei soci non indagati, altrettanto meritevoli di tutela, finendo per addensare così una coltre di sospetto su tutti i magistrati ordinari. Ma l’Utente finale della Giustizia (nel cui nome i giudici giudicano) e gli associati tutti dell’ANM non devono sapere se i magistrati coinvolti nelle divulgatissime chat siano stati sanzionati? Che senso ha l’attività lato sensu disciplinare dell’ANM se destinata a restare segreta nei secoli dei secoli? Cui prodest? E, a tacer d’altro, il segreto ‘imposto’ dal Garante su istanza dell’ANM non presuppone giuridicamente che il suo oggetto (la richiesta di illeciti favori) non debba essere notorio, mentre le compromettenti chat di Palamara & Company sono state da subito legalmente conosciute da un vastissimo pubblico attraverso la Stampa e appositi dedicati volumi? In sostanza il socio dell’ANM legittimamente ha appreso da fonti aperte (giornali e libri) le condotte (perciò non segrete) dei magistrati che hanno violato il codice etico, ma gli è preclusa soltanto la conoscenza delle doverose valutazioni apprestate dagli organi associativi disciplinari! Egli conosce il ‘peccato’, ma è ‘condannato’ ad ignorare se il’ peccatore’ sia stato sanzionato, pur all’interno di una struttura associativa fondata sulla fiducia reciproca.

Questo misericordioso riguardo per il ‘peccatore’, estraneo al menzionato insegnante pentito e tuttavia pubblicamente sanzionato, si rinviene perfino nei numerosi provvedimenti di archiviazione (i più ambiti dagli indagati) emessi dal Procuratore Generale della Suprema Corte, che li ha dichiarati immediatamente segreti, sebbene abbia il dovere di agire disciplinarmente.

Duole perciò registrare che la segretezza disciplinare non è uguale per tutti i dipendenti pubblici e che i cittadini – al pari degli storici della magistratura ordinaria - dovranno ancora fare i conti con gli arcana imperii, per stabilire se l’imposto segreto intenda velare la condotta dei tanti magistrati correi di Palamara (pur testualmente riprodotta in numerose e convergenti fonti aperte) o piuttosto soltanto la motivata decisione adottata (dagli organi disciplinari dell’ANM ovvero dal P.G. della Suprema Corte) nei singoli casi.

Giova rammentare che «La luce del sole è il miglior disinfettante» (L. Brandeis, membro della Corte Suprema americana)?