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Cassazione Penale: è reato fotocopiare testi universitari (e crearne un archivio) a scopo di lucro

La Cassazione ha stabilito, in una recente sentenza, che fotocopiare testi universitari costituisce reato, punito con la reclusione e con una pena pecuniaria. Nonostante la pratica sia molto diffusa, la Corte ha evidenziato come il reato esista, richiamandone nella pronuncia in esame, i caratteri essenziali.

Nel caso di specie, la titolare di una copisteria era accusata del reato di cui all’articolo 171-ter, comma 2, della Legge n. 633/1941 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) per il possesso a fini di lucro di copie informatiche di testi universitari e condannata alla pena della reclusione di otto mesi e al pagamento di una multa, con contestuale confisca e distruzione di quanto sequestrato presso l’impresa della stessa.

In seguito ad un controllo della Guardia di Finanza, all’interno della copisteria erano rinvenuti 29 testi universitari di vari autori, dispense e un hard disk  contenente più di 1500 testi universitari.

La Corte territoriale aveva qualificato l’utilizzo di tale materiale come attività imprenditoriale con finalità di lucro e come tale vietata dalla legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/1941), che permette solo la riproduzione dei testi protetti dal diritto d’autore per uso personale, ma nella misura del 15% dell’intero volume.

L’imputata proponeva ricorso per Cassazione, denunciando nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale per aver la Corte territoriale erroneamente configurato una attività imprenditoriale, con finalità di lucro, nell’utilizzo del materiale sequestrato.

I giudici di legittimità hanno rilevato come la pronuncia della Corte territoriale sia esente da vizi, avendo qualificato correttamente, sulla base del materiale probatorio assunto nel processo, l’uso imprenditoriale e a scopo di lucro che l’imputata faceva delle copie informatiche contenute nel disco rigido e delle stampe rinvenute all’interno della copisteria. Né poteva dirsi esente da censura un uso personale di tali testi che, oltre ad essere difficilmente provato, è permesso soltanto nella misura del 15% dell’intero volume, mentre i testi ritrovati erano riprodotti integralmente.

Ha, dunque, dichiarato inammissibile la domanda dell’imputata, confermato la sentenza impugnata e condannato la parte soccombente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza 29 ottobre 2014, n.44919)

La Cassazione ha stabilito, in una recente sentenza, che fotocopiare testi universitari costituisce reato, punito con la reclusione e con una pena pecuniaria. Nonostante la pratica sia molto diffusa, la Corte ha evidenziato come il reato esista, richiamandone nella pronuncia in esame, i caratteri essenziali.

Nel caso di specie, la titolare di una copisteria era accusata del reato di cui all’articolo 171-ter, comma 2, della Legge n. 633/1941 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) per il possesso a fini di lucro di copie informatiche di testi universitari e condannata alla pena della reclusione di otto mesi e al pagamento di una multa, con contestuale confisca e distruzione di quanto sequestrato presso l’impresa della stessa.

In seguito ad un controllo della Guardia di Finanza, all’interno della copisteria erano rinvenuti 29 testi universitari di vari autori, dispense e un hard disk  contenente più di 1500 testi universitari.

La Corte territoriale aveva qualificato l’utilizzo di tale materiale come attività imprenditoriale con finalità di lucro e come tale vietata dalla legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/1941), che permette solo la riproduzione dei testi protetti dal diritto d’autore per uso personale, ma nella misura del 15% dell’intero volume.

L’imputata proponeva ricorso per Cassazione, denunciando nullità della sentenza impugnata per erronea applicazione della legge penale per aver la Corte territoriale erroneamente configurato una attività imprenditoriale, con finalità di lucro, nell’utilizzo del materiale sequestrato.

I giudici di legittimità hanno rilevato come la pronuncia della Corte territoriale sia esente da vizi, avendo qualificato correttamente, sulla base del materiale probatorio assunto nel processo, l’uso imprenditoriale e a scopo di lucro che l’imputata faceva delle copie informatiche contenute nel disco rigido e delle stampe rinvenute all’interno della copisteria. Né poteva dirsi esente da censura un uso personale di tali testi che, oltre ad essere difficilmente provato, è permesso soltanto nella misura del 15% dell’intero volume, mentre i testi ritrovati erano riprodotti integralmente.

Ha, dunque, dichiarato inammissibile la domanda dell’imputata, confermato la sentenza impugnata e condannato la parte soccombente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle Ammende.

(Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza 29 ottobre 2014, n.44919)