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Cassazione Penale: se ti sostituisci on line ad altra persona commetti il reato di sostituzione di persona

Tribunale di Palmi, prima, e Corte d’appello di Reggio Calabria, poi, condannavano un soggetto per il delitto di cui all’articolo 494 (rubricato “Sostituzione di persona”). La condotta criminosa consisteva nell’aver creato su un sito di chat online (in questo caso badoo.com) un account contenente le generalità di un diverso soggetto e nell’averlo utilizzato, traendo in inganno i soggetti in rete con cui intratteneva conversazioni, mostrandosi come il soggetto di cui aveva sottratto l’identità, anche attraverso foto che ritraevano il soggetto leso e nickname che richiamavano il suo nome. 

L’imputato ricorreva in Cassazione adducendo la mancata integrazione del reato ascritto per l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo (specifico), ossia nella volontà di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno. Tale elemento costituente il reato, secondo il ricorrente, era assolutamente mancante, data l’assenza di un qualsiasi vantaggio o danno realizzabile. In assenza dell’elemento soggettivo, non poteva configurarsi la fattispecie criminosa in esame.

La Cassazione ha cassato il ricorso. Su piano processuale, il suddetto motivo di ricorso non era mai stato proposto nei due gradi precedenti e pertanto, essendo precluso alla Corte l’esame di legittimità su questioni di fatto e di diritto nuove, è stato dichiarato inammissibile.

Tuttavia, la Corte ha ugualmente trattato il ricorso e ha giudicato il motivo infondato rilevando “la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa”, ovvero della sostituzione di persona per il fatto che la creazione e l’utilizzo di un account falso era idonea a trarre in inganno un numero di individui indeterminato, ragion per cui il reato è stato inserito all’interno del Codice dal legislatore nel titolo contenente i delitti contro la fede pubblica, offrendo una tutela più forte rispetto alla semplice tutela della fede privata e del diritto al nome di natura civilistica.

In sostanza, secondo la Corte, priva di censure può definirsi la sentenza impugnata per il fatto che i giudici di merito hanno correttamente inquadrato la condotta criminosa nella fattispecie penale, essendo ravvisabile anche l’elemento soggettivo, contestato dal ricorrente. L’account, infatti, poteva essere utilizzato per intrattenere rapporti con altri utenti della rete (in genere, ragazze) o “per il soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale)”; conteneva, inoltre, informazioni poco lusinghiere che un utente del sito internet, tratto in inganno, poteva ragionevolmente attribuire al soggetto la cui identità era falsamente spesa. Tali informazioni erano idonee a ledere l’immagine e la dignità della parte danneggiata (danno nel dolo del reato).

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata e stabilendo che “la condotta di colui che crei ed utilizzi un “account”, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei confronti dei quali le false generalità siano declinate, con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano abusivamente spese, integra il reato di sostituzione di persona. La descrizione di un profilo poco lusinghiero consente di riconoscere, oltre all’intento di conseguire un vantaggio non patrimoniale, quello di recare un danno all’altrui reputazione, intesa come immagine di sé presso gli altri, così integrando anche l’elemento soggettivo del reato”.

La Cassazione ha ricordato due recenti pronunce, su temi analoghi e sempre con riferimento al delitto di sostituzione di persona:

integra il reato di sostituzione di persona “la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 15 dicembre 2011, n. 12479)”;

integra il reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale (sostituzione di persona), la condotta dell’imputata che aveva pubblicato il numero di cellulare della sua ex datrice di lavoro, tra i dati di una “chat line” erotica, associata al proprio nickname. Per effetto di detta condotta la vittima aveva ricevuto numerosi sms di contenuto offensivo, nonché mms con inserite immagini pornografiche (Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 29 aprile 2013, n. 18826).

Evidentemente i giudici di legittimità hanno contribuito a rafforzare il recente orientamento giurisprudenziale diretto a tutelare beni e diritti quali dignità, onore, reputazione e nome dalle minacce portate mediante l’utilizzo dei servizi promossi dalla rete Internet.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito Internet della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 23 aprile-16 giugno 2014, n.25774)

Tribunale di Palmi, prima, e Corte d’appello di Reggio Calabria, poi, condannavano un soggetto per il delitto di cui all’articolo 494 (rubricato “Sostituzione di persona”). La condotta criminosa consisteva nell’aver creato su un sito di chat online (in questo caso badoo.com) un account contenente le generalità di un diverso soggetto e nell’averlo utilizzato, traendo in inganno i soggetti in rete con cui intratteneva conversazioni, mostrandosi come il soggetto di cui aveva sottratto l’identità, anche attraverso foto che ritraevano il soggetto leso e nickname che richiamavano il suo nome. 

L’imputato ricorreva in Cassazione adducendo la mancata integrazione del reato ascritto per l’assenza dell’elemento soggettivo del reato, consistente nel dolo (specifico), ossia nella volontà di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno. Tale elemento costituente il reato, secondo il ricorrente, era assolutamente mancante, data l’assenza di un qualsiasi vantaggio o danno realizzabile. In assenza dell’elemento soggettivo, non poteva configurarsi la fattispecie criminosa in esame.

La Cassazione ha cassato il ricorso. Su piano processuale, il suddetto motivo di ricorso non era mai stato proposto nei due gradi precedenti e pertanto, essendo precluso alla Corte l’esame di legittimità su questioni di fatto e di diritto nuove, è stato dichiarato inammissibile.

Tuttavia, la Corte ha ugualmente trattato il ricorso e ha giudicato il motivo infondato rilevando “la configurazione, nel caso concreto, di tutti gli elementi costitutivi della contestata fattispecie delittuosa”, ovvero della sostituzione di persona per il fatto che la creazione e l’utilizzo di un account falso era idonea a trarre in inganno un numero di individui indeterminato, ragion per cui il reato è stato inserito all’interno del Codice dal legislatore nel titolo contenente i delitti contro la fede pubblica, offrendo una tutela più forte rispetto alla semplice tutela della fede privata e del diritto al nome di natura civilistica.

In sostanza, secondo la Corte, priva di censure può definirsi la sentenza impugnata per il fatto che i giudici di merito hanno correttamente inquadrato la condotta criminosa nella fattispecie penale, essendo ravvisabile anche l’elemento soggettivo, contestato dal ricorrente. L’account, infatti, poteva essere utilizzato per intrattenere rapporti con altri utenti della rete (in genere, ragazze) o “per il soddisfacimento di una propria vanità (vantaggio non patrimoniale)”; conteneva, inoltre, informazioni poco lusinghiere che un utente del sito internet, tratto in inganno, poteva ragionevolmente attribuire al soggetto la cui identità era falsamente spesa. Tali informazioni erano idonee a ledere l’immagine e la dignità della parte danneggiata (danno nel dolo del reato).

In conclusione, la Corte ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza impugnata e stabilendo che “la condotta di colui che crei ed utilizzi un “account”, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet nei confronti dei quali le false generalità siano declinate, con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano abusivamente spese, integra il reato di sostituzione di persona. La descrizione di un profilo poco lusinghiero consente di riconoscere, oltre all’intento di conseguire un vantaggio non patrimoniale, quello di recare un danno all’altrui reputazione, intesa come immagine di sé presso gli altri, così integrando anche l’elemento soggettivo del reato”.

La Cassazione ha ricordato due recenti pronunce, su temi analoghi e sempre con riferimento al delitto di sostituzione di persona:

integra il reato di sostituzione di persona “la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese (Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 15 dicembre 2011, n. 12479)”;

integra il reato di cui all’articolo 494 del Codice Penale (sostituzione di persona), la condotta dell’imputata che aveva pubblicato il numero di cellulare della sua ex datrice di lavoro, tra i dati di una “chat line” erotica, associata al proprio nickname. Per effetto di detta condotta la vittima aveva ricevuto numerosi sms di contenuto offensivo, nonché mms con inserite immagini pornografiche (Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 29 aprile 2013, n. 18826).

Evidentemente i giudici di legittimità hanno contribuito a rafforzare il recente orientamento giurisprudenziale diretto a tutelare beni e diritti quali dignità, onore, reputazione e nome dalle minacce portate mediante l’utilizzo dei servizi promossi dalla rete Internet.

La sentenza è integralmente consultabile sul sito Internet della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezione Quinta Penale, Sentenza 23 aprile-16 giugno 2014, n.25774)