x

x

Cassazione Penale: la responsabilità penale del medico non sussiste in presenza del ragionevole dubbio sul nesso di causalità

La Corte di Cassazione ritorna a pronunciarsi sulla responsabilità del medico, argomento molto spesso oggetto di contenzioso anche in sede di legittimità per la particolarità del rapporto medico-paziente.

La Cassazione ha stabilito che il semplice errore del medico non lo rende responsabile del danno cagionato al paziente, ma è necessario che sussista un nesso causale tra la sua condotta e l’evento dannoso. Il ragionevole dubbio sulla presenza di tale nesso di causalità non permette di giungere ad una responsabilità del soggetto agente, percorrendo la strada già tracciata dalla sentenza Franzese.

Nel caso in esame, il medico di turno di una struttura di pronto soccorso era accusato di omicidio colposo, per non aver correttamente diagnosticato una specifica patologia ad un paziente, deceduto successivamente.

Il giudice dell’udienza preliminare assolveva il medico dall’accusa di omicidio colposo con formula piena (perché il fatto non sussiste), negando quindi ogni responsabilità, penale ma anche civile, del medico per la morte del paziente. Il Gup rilevava la mancanza di certezza sulla presenza del nesso causale tra condotta del medico e fatto dannoso (morte del soggetto), non ritenendo, dunque, sussistente alcuna responsabilità dell’imputato.

La Corte territoriale confermava la sentenza appellata, in quanto dagli atti processuali non era possibile stabilire con certezza quando il quadro clinico del paziente fosse divenuto indicativo della specifica patologia che ne aveva causato la morte.

Inoltre, pur ammettendo che già al primo ricovero del paziente il medico avesse potuto diagnosticare correttamente la patologia, dalle convergenti conclusioni dei consulenti tecnici e del perito si rilevava che una immediata diagnosi e l’attuazione di terapia non avrebbero, con alto grado di probabilità, evitato l’evento.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, le parti civili proponevano ricorso in Cassazione, denunciando vizio di motivazione nella decisione della Corte che, dopo aver constatato un comportamento negligente dell’imputato, l’aveva ritenuto esente da ogni responsabilità, confermando la sentenza di assoluzione dall’accusa di omicidio colposo.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso giudicando i motivi infondati, in quanto ha ritenuto che: “giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di reato colposo omissivo improprio, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio”.

A giudizio della Corte, entrambi i giudici di merito, tenuto conto degli esiti della perizia e delle consulenze svolte, hanno preso atto dell’esito incerto del giudizio controfattuale, in quanto, ipotizzata come realizzata la condotta dovuta, non è risultato provato che l’evento mortale si sarebbe evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Sia il perito, sia i consulenti d’ufficio, avevano constatato come l’imputato, se avesse agito con la diligenza propria richiesta dall’articolo 1176, comma 2, del Codice Civile, poteva diagnosticare già nel primo ricovero la patologia del paziente ma questa, anche se correttamente e prontamente diagnosticata, non avrebbe potuto portare a conseguenze diverse dal decesso, in quanto la percentuale della possibilità di guarigione era molto ridotta (17-20%). Di conseguenza, i giudici di merito hanno disposto l’assoluzione dell’imputato, in assenza di un nesso causale tra la condotta e la morte del paziente, dato il ridotto effetto salvifico di una qualunque attività del medico.

La decisione della Cassazione, che conferma la sentenza di assoluzione, permette di enunciare il principio di diritto secondo il quale: la responsabilità penale sussiste solo in presenza di un reale nesso causale tra la condotta imprudente o negligente dell’agente e il fatto dannoso, un rapporto di causa-effetto che assume i connotati di una condicio sine qua non che rende l’autore(in questo caso il medico) irresponsabile qualora sia altamente probabile che la morte del paziente sarebbe parimenti soggiunta.

(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Penale, Sentenza 28 novembre 2014, n. 49654)

La Corte di Cassazione ritorna a pronunciarsi sulla responsabilità del medico, argomento molto spesso oggetto di contenzioso anche in sede di legittimità per la particolarità del rapporto medico-paziente.

La Cassazione ha stabilito che il semplice errore del medico non lo rende responsabile del danno cagionato al paziente, ma è necessario che sussista un nesso causale tra la sua condotta e l’evento dannoso. Il ragionevole dubbio sulla presenza di tale nesso di causalità non permette di giungere ad una responsabilità del soggetto agente, percorrendo la strada già tracciata dalla sentenza Franzese.

Nel caso in esame, il medico di turno di una struttura di pronto soccorso era accusato di omicidio colposo, per non aver correttamente diagnosticato una specifica patologia ad un paziente, deceduto successivamente.

Il giudice dell’udienza preliminare assolveva il medico dall’accusa di omicidio colposo con formula piena (perché il fatto non sussiste), negando quindi ogni responsabilità, penale ma anche civile, del medico per la morte del paziente. Il Gup rilevava la mancanza di certezza sulla presenza del nesso causale tra condotta del medico e fatto dannoso (morte del soggetto), non ritenendo, dunque, sussistente alcuna responsabilità dell’imputato.

La Corte territoriale confermava la sentenza appellata, in quanto dagli atti processuali non era possibile stabilire con certezza quando il quadro clinico del paziente fosse divenuto indicativo della specifica patologia che ne aveva causato la morte.

Inoltre, pur ammettendo che già al primo ricovero del paziente il medico avesse potuto diagnosticare correttamente la patologia, dalle convergenti conclusioni dei consulenti tecnici e del perito si rilevava che una immediata diagnosi e l’attuazione di terapia non avrebbero, con alto grado di probabilità, evitato l’evento.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, le parti civili proponevano ricorso in Cassazione, denunciando vizio di motivazione nella decisione della Corte che, dopo aver constatato un comportamento negligente dell’imputato, l’aveva ritenuto esente da ogni responsabilità, confermando la sentenza di assoluzione dall’accusa di omicidio colposo.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso giudicando i motivi infondati, in quanto ha ritenuto che: “giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali in tema di reato colposo omissivo improprio, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio”.

A giudizio della Corte, entrambi i giudici di merito, tenuto conto degli esiti della perizia e delle consulenze svolte, hanno preso atto dell’esito incerto del giudizio controfattuale, in quanto, ipotizzata come realizzata la condotta dovuta, non è risultato provato che l’evento mortale si sarebbe evitato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Sia il perito, sia i consulenti d’ufficio, avevano constatato come l’imputato, se avesse agito con la diligenza propria richiesta dall’articolo 1176, comma 2, del Codice Civile, poteva diagnosticare già nel primo ricovero la patologia del paziente ma questa, anche se correttamente e prontamente diagnosticata, non avrebbe potuto portare a conseguenze diverse dal decesso, in quanto la percentuale della possibilità di guarigione era molto ridotta (17-20%). Di conseguenza, i giudici di merito hanno disposto l’assoluzione dell’imputato, in assenza di un nesso causale tra la condotta e la morte del paziente, dato il ridotto effetto salvifico di una qualunque attività del medico.

La decisione della Cassazione, che conferma la sentenza di assoluzione, permette di enunciare il principio di diritto secondo il quale: la responsabilità penale sussiste solo in presenza di un reale nesso causale tra la condotta imprudente o negligente dell’agente e il fatto dannoso, un rapporto di causa-effetto che assume i connotati di una condicio sine qua non che rende l’autore(in questo caso il medico) irresponsabile qualora sia altamente probabile che la morte del paziente sarebbe parimenti soggiunta.

(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Penale, Sentenza 28 novembre 2014, n. 49654)